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L’ultima scintilla prima del buio: 1922, nasce il Partito Liberale Italiano
L’ultima scintilla prima del buio: 1922, nasce il Partito Liberale Italiano
L’ultima scintilla prima del buio: 1922, nasce il Partito Liberale Italiano
E-book103 pagine1 ora

L’ultima scintilla prima del buio: 1922, nasce il Partito Liberale Italiano

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Info su questo ebook

Come sarebbe stata la politica liberale italiana se fosse nato un partito organizzato prima dell’ottobre 1922? Avrebbe potuto contrastare l’ascesa del fascismo? L’atto fondativo del Partito Liberale Italiano svoltosi l’8 ottobre a Bologna avviene infatti alla vigilia, soltanto 20 giorni prima, della marcia su Roma di Mussolini che ne decreterà quasi immediatamente lo scioglimento. Il libro è la prima e unica pubblicazione dedicata alla nascita del Partito Liberale Italiano, «angolo» dimenticato della storia politica del nostro Paese che risente immediatamente dell’avvento del fascismo. Tanto da trasformare il tentativo di radunare le diverse voci dei liberali in un partito organizzato in un’occasione perduta. Con contributi di autorevoli studiosi, il testo si pone come opera inedita a un anno dal centenario della fondazione del partito.
LinguaItaliano
Data di uscita7 feb 2024
ISBN9788881955015
L’ultima scintilla prima del buio: 1922, nasce il Partito Liberale Italiano

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    Anteprima del libro

    L’ultima scintilla prima del buio - Beppe Facchetti

    ©2023 Edizioni Angelo Guerini e Associati srl via Comelico, 3 – 20135 Milano

    https://www.guerini.it

    e-mail: info@guerini.it

    Prima edizione: ottobre 2023

    Ristampa: V IV III II I      2023  2024  2025  2026  2027

    Publisher: Giovanna Gammarota

    Copertina di Donatella D’Angelo

    Printed in Italy

    ISBN 978-88-8195-501-5

    Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla siae del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.

    Le fotocopie per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da clearedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail autorizzazioni@clearedi.org e sito web www.clearedi.org.

    Versione digitale realizzata da Streetlib srl

    Title

    INDICE

    Presentazione

    di Beppe Facchetti

    Prefazione

    di Andrea Ciandri

    UN SECOLO DOPO IL PRIMO CONGRESSO

    L’idea di partito nella cultura politica liberale

    di Giovanni Orsina

    Tra guerra e dopoguerra la sinistra liberal-democratica giolittiana alla vigilia del fascismo

    di Antonio Scornajenghi

    1. La Sinistra giolittiana dalla guerra alle elezioni del 1919

    2. L’apertura della XXV Legislatura

    3. La riforma del regolamento della Camera dei deputati (estate 1920)

    4. Gli errori di giolittiani e nittiani di fronte al fascismo

    L’impronta sonniniana sulla destra liberale dalla crisi di fine secolo all’avvento del fascismo

    di Paolo Carusi

    La famiglia liberale e la frattura tra interventisti e neutralisti

    di Fulvio Cammarano

    Il primo congresso del PLI e il fiancheggiamento al fascismo

    di Gerardo Nicolosi

    Il liberalismo e l’Italia

    di Roberto Balzani

    1. I liberali e lo Stato. Il nodo del primo dopoguerra e le questioni di lungo periodo

    IL LIBERALISMO IN UN MONDO IN TRASFORMAZIONE

    Il PLI nel secondo dopoguerra tra incertezze strategiche e incapacità attrattiva

    Pierluigi Barrotta

    Tornare al movimento: anche in rete

    Franco Chiarenza

    Postfazione

    Giovanni Orsina

    Nota conclusiva

    di Enrico Morbelli

    Gli Autori

    Presentazione

    di Beppe Facchetti*

    Patrocinando la pubblicazione di questo piccolo libro che ripercorre – con il contributo scientifico di autorevoli studiosi – i giorni della nascita formale del PLI, Partito Liberale Italiano, un secolo fa e inopinatamente nell’immediata vigilia della Marcia su Roma, il Centro Einaudi è convinto di offrire agli storici un limitato ma importante contributo inedito, certo che verrà apprezzato proprio per la sua originalità. Mancano totalmente pubblicazioni dedicate all’evento.

    Il Congresso di Bologna del 1922, che fondò il PLI, è infatti un angolo dimenticato e quasi sconosciuto della storia politica italiana, e forse per la prima volta, con questa pubblicazione, si illumina una pagina che era lì, sotto gli occhi, da tanto tempo, ma nessuno aveva quasi interesse a scoprire.

    Ma arricchire la ricerca storiografica non è questione di interesse settoriale. In questo caso, è riempire una lacuna, è dare un’occasione preziosa di approfondimento, di conoscenza.

    Quel Congresso non ebbe nessuna conseguenza politica immediata: alle successive elezioni, il PLI non si presentò in quanto tale, anzi si sparpagliò in varie direzioni e i liberali, non tutti ma troppi, ebbero il torto storico di dare fiducia al nuovo esperimento, nonostante fosse costruito violentemente contro gli ultimi risultati democraticamente validi. Confermando, così, la pervicace tradizione dell’individualismo e del frazionismo liberale, vizio permanente di questa parte politica, ben visibile anche nell’Italia di oggi, pur tanto diversa.

    Fece poi appena in tempo a indire un secondo Congresso, ormai inutile, e poco dopo dovette subire l’onta, o l’onore, di essere sciolto. Solo il terzo Congresso, nel successivo dopoguerra, avrebbe segnato l’avvio di una storia democratica significativa, tutto sommato dignitosa, anche con momenti alti, ma la democrazia e le libertà perdute in quei lontani anni Venti avevano dovuto essere riconquistate a un prezzo altissimo.

    I liberali che si riunirono a Bologna per fon-dare il partito non erano neppure tutti i liberali. Mancavano nomi illustri e a ben guardare molti di quelli che parteciparono lo fecero quasi di malavoglia.

    In fondo, la generazione immediatamente precedente aveva fatto l’Italia, e l’aveva fatta liberale senza bisogno di organizzarsi in partito.

    La costruzione di un partito era un po’ come cedere, rassegnarsi a essere fazione, imitare chi come i socialisti aveva bisogno di un certificato di esistenza in vita per affermarsi nel proprio campo, agitato e febbrile.

    I liberali erano il partito dello Stato, non di una parte. Eppure, avevano ben sperimentato, fin dai tempi di Cavour, per non parlare di Depretis e dello stesso Giolitti, quante potevano essere le differenze al loro interno, in una tavolozza che andava dal radicalismo più acceso al conservatorismo più classico. Ma il dibattito, talora aspro e profondo, non era regolato da uno Statuto di partito. Era difficile rinunciare all’identificazione leaderistica o notabilare di una èlite che non voleva venir meno a quello che riteneva la sua missione civile, per consegnarlo alle ritualità congressuali.

    C’era insomma la diffidenza tipica di chi non ama irreggimentassi. Il metodo preferito era sempre quello usato ai tempi del consenso alle posizioni di Giolitti sulla partecipazione alla grande Guerra. Non la votazione di una mozione formale, ma la consegna individuale di biglietti da visita al concierge della sua residenza romana.

    Eppure, menti illuminate avevano avuto le intuizioni giuste. Andrea Ciandri cita un conservatore, Sidney Sonnino, che addirittura già nel 1882 aveva intuito l’utilità di un partito liberale «unitario, organizzato federalmente e capillarmente, che si apra anche agli strati sociali popolari fornendo loro assistenza».

    In realtà, dunque, riunirsi quaranta anni dopo a Bologna, la città di Minghetti, era dram-maticamente tardivo ma oggettivamente giusto, inevitabile, perché il mondo era cambiato. Bisognava adeguarsi ai metodi di una democrazia non certo di massa ma non più gestibile con singoli gesti di orgoglio individuale. Erano i metodi dell’allargamento del suffragio, anch’essi profondamente liberali, che lo stesso Giolitti aveva promosso, consapevole che era finita l’epoca dell’autoreferenzialità.

    Era solo tutto un po’ intempestivo e quasi anacronistico, una cosa un po’ fuori dalla realtà, quella che incombeva all’esterno di quel Teatro bolognese, in cui più delle meditazioni ideali contava l’azzardo della provocazione di una minoranza forte e convinta, dentro un contesto di dubbiosi e rassegnati, ma soprattutto di scontenti, perché la poesia del Risorgimento aveva ormai lasciato tutto lo spazio alla prosa di un Paese sfiancato da una guerra vittoriosa ma deludente.

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