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A domani
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E-book279 pagine4 ore

A domani

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A DOMANI: La più forte promessa da poter fare a qualcuno. La certezza di esserci. A domani è il libro di chi crede che l'unione delle anime vada oltre agli ostacoli della vita. Sapere che non esiste un'ultima volta. Non esiste di-stanza che separi per sempre. Il libro nel libro. La dichiarazione di Evol a Cloe. Di Cloe a Evol. Gli intrecci del-la vita tra personaggi e incontri che segneranno le rispettive esistenze. Rimini. Parigi. La cornice perfetta per chi vive fuori da un mondo dove l'unica realtà sono i sogni e le parole sussurrate all'orecchio. Un per sempre che non appartiene al tempo ma all' anima.
LinguaItaliano
Data di uscita26 ott 2016
ISBN9788892633469
A domani

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    Anteprima del libro

    A domani - Daniele Magnani

    vita

    1

    «Aspetterò ancora qualche minuto, perché col passare del tempo il colore tende a cambiare. Cambia tono, profumo e rende l’opera più o meno vivace.»

    «Quanto intendi aspettare?»

    «Aspetterò una vita, perché solo alla fine mi renderò conto di quale colore non ha perso la forza di brillare come l’ultima pennellata data.»

    Si mise a sedere a qualche metro da lui. Sembrava quasi non l’avesse nemmeno vista, eppure si erano parlati. Si erano guardati. Un timido sorriso sotto quella nera barba incolta era apparso sulla bocca semichiusa.

    Restava a guardarlo dipingere come incantata, tanta era la dolcezza con cui faceva scivolare quel pennello sulla tela ancora bianca. Fremeva dalla impaziente voglia di vedere quei colori, quel dipinto che, al solo pensiero della mano che lo creava, era già speciale. Unico, raro, come ogni quadro. Continuava a pensare a cosa stesse facendo, a cosa rendesse ora una linea dritta, ora una curva. Talmente vasto era il panorama da immaginare come possibile ricreare tutto su un’unica tela. Il mare con le sue sfumature, l’increspante onda che si infrangeva sullo scoglio ormai levigato, smussato, battuto, lisciato dall’acqua chiara e cristallina. La barca che, cullata dalle onde, sembrava ballasse a ritmo lento una canzone. Eppure vinceva un silenzio burrascoso, spezzato dall’infrangersi della marea contro il piccolo porto ormai privo di barche e marinai. Punto d’incontro di pescatori che prima che sorgesse il sole erano già per mare aperto a gettare reti, forza e sudore in cambio di qualche decina di euro o filoni di pane.

    Continuava a restare ferma. Lo guardava. Pochi metri la distanziavano da lui. Non troppi per poter parlare, per poterlo guardare, per poterlo sentire. Sì. Sentire. Sentiva il suo respiro farsi un po’ affannoso, poi rilassato, poi affaticato e nuovamente regolare. Sembrava entrasse quasi emotivamente in ciò che faceva. Restava rapito dal suo stesso quadro, dalla sua stessa opera. Si preoccupava, ma allo stesso tempo trovava il tutto talmente bello e speciale da restare senza parole. Era colpita, spiazzata, eppure magicamente attratta da questa cosa che rendeva ogni secondo migliore del precedente e sembrava che all’aumentare del suo respiro aumentasse anche quello di lei. Al diminuire del pittorico battito, diminuisse anche il suo.

    Pochi passi da quel ragazzo. Una tela, la sua tela che intelaiata sul retro non faceva trasparire nemmeno una goccia di colore, quasi le tenesse nascosta la sua opera. Sul retro, il bianco era l’unico colore che prevaleva. Ben posta sul cavalletto di legno scuro, macchiato, unto e colorato di schizzi di anni di lavoro, poggiava la tela. Non credeva fosse poi tanto grande. Sicuramente notava che l’altezza era maggiore della larghezza.

    E dietro di essa c’era lui. Occhi scuri, profondi, resi così unici da lunghe ciglia che sbattevano all’incirca una volta al minuto. Fissava costantemente ciò che lo circondava e faceva correre la sua mano su quel dipinto senza nemmeno guardarlo una sola volta. Si chiedeva come riuscisse a creare la sua opera senza nemmeno degnarla di uno sguardo.

    Notava che qualche goccia di colore scappava da quel pennello, quasi non volesse far parte di quell’opera così misteriosa quanto attraente. Il lungo camice scendeva dal nudo petto fin sotto le ginocchia. Sembrava di lino. Un tessuto, usato, consumato, rotto, sporcato, bucato e schizzato di una miriade di colori. Sotto di esso, un corpo definito quel tanto che basta per non essere considerati magri. Sciupati.

    La tranquillità e la calma la facevano da padrona in una giornata calda e soleggiata. Qualche garrito di gabbiano interrompeva il suono silenzioso del tempo che trascorreva lento, come lento spira un soffio di maestrale.

    «Ti sei mai chiesta dove va a finire il vento?»

    Spalancò gli occhi, al suono della sua voce. Rassegnata a voler passare altro tempo a guardare quel ragazzo nel silenzio, che ormai aveva preso il sopravvento su tutto, girò lo sguardo ormai perso nel vuoto. E poi, dal nulla, nuovamente il suono della sua voce. Non aveva sognato, aveva sentito bene. Lui chiedeva a lei.

    «Se me lo sono mai chiesta? A dire il vero, non mi sono mai posta questa domanda. Potrei pensarci» disse sistemandosi i capelli dietro l’orecchio destro.

    «Non serve pensare alla domanda. Basterebbe soltanto sognare dove vorresti direzionare il vento.»

    Allora chiuse gli occhi per non più di una decina di secondi e disse: «Vorrei che il vento finisse il suo soffio laddove è cominciato.»

    «Ma in questo modo non finirà mai di soffiare?» ribatté senza nemmeno distogliere lo sguardo dal mare.

    «Credo allora che non esista mai fine al vento. Non cesserà mai. Migliaia di anni fa ha iniziato a prendere forza e tutt’oggi non cesserà.»

    «Posso paragonare la forza del vento all’amore?»

    «Sinceramente non capisco che nesso ci sia tra le due cose, ma in ogni caso non posso negare il fatto che sia incuriosita da ciò che mi dirai.»

    Il silenzio smise di essere l’unico suono dolce di quella giornata. La voce di lui risuonava come una dolce melodia capace di entrare nel cuore ancor prima che nella mente. Quel fare così tranquillo rendeva già particolare quel ragazzo, così solo, davanti a quel mare immenso.

    «La vera forza del vento è l’intensità. La costanza. Hai mai pensato ad un soffio che spira per tutta la giornata e ti dà sollievo? Hai mai pensato al fatto che un tornado possa passare e, per quanta forza abbia, riesce a portar via tutto ciò che trova sulla sua strada? Così è l’amore. L’amore è un tornado che non guarda in faccia a nulla, dove passa porta via. Può essere stupendo inizialmente stare a guardare il suo impeto, vivere la sua forza, la sua irruenza, ma poi, se non viene controllata, avrà la stessa devastante forza di finire ancor prima di cominciare.»

    «Non ti sto seguendo!»

    «Il soffio del vento che spira ogni giorno sarà infinito se preso a piccole dosi. Quel soffio è l’amore. Esso è la chiave della felicità di ogni persona. La felicità è l’aria. Dalla felicità deriva l’amore come dall’aria deriva il vento. Mi capisci?»

    Restava senza parole davanti a quel ragazzo così profondo. Non avrebbe mai pensato di trovare una persona tanto bella a soli cinque minuti da casa. Era la prima volta che lo vedeva, eppure quella persona l’avrebbe già voluta incontrare i giorni a seguire, tanto era dolce il suono della sua voce e la calma che la abbracciava al suono delle sue parole.

    «Cloe. Ted ti sta aspettando.»

    Cloe distolse lo sguardo da quel ragazzo dando un addio con gli occhi e si voltò verso quella voce che proveniva alle sue spalle. «La ringrazio, Augusto. Vado subito.»

    «Di nulla.»

    Sospirò e salutò a mano aperta quel pittore che sulla riva del mare la guardò andare via. Non le staccò gli occhi di dosso nemmeno quando per poco la tela non finì sulla sabbia. La riposizionò sul cavalletto e, girandosi nuovamente, scoprì di essere rimasto solo.

    2

    L’aroma del caffè riempiva l’aria della cucina. Passava il piccolo corridoio arredato da un mobiletto in noce e sembrava evitasse le due stanze limitrofe per poi salire le scale, entrare in un’enorme stanza da letto senza nemmeno bussare, per poi fermarsi sotto il delicato naso di Cloe. Quel profumo così comune era la sveglia di ogni mattina. Dopo il dolce e lento aprir degli occhi, riusciva a mettere a fuoco ogni piccolo oggetto presente nella stanza, e nel giro di qualche minuto le lunghe coperte, che come ogni notte scivolavano in parte a terra, le ritirava verso di sé, coprendosi in parte il viso cercando quel calore che la mattina portava via. La sedia sotto la grande finestra era sempre resa invisibile dai vestiti. Alcuni riposti volontariamente dalla sera prima, altri persi da giorni e chissà quando poi ritrovati. Camicie, magliette, gonne, calzini, foulard e persino un cappello di paglia con un piccolo fiore con su scritto sui petali Al mio amore.

    «Cloe... Cloe, è pronta la colazione. Io devo andare. Ti ho preparato il pane caldo con la marmellata di fragole come piace a te. Ti aspetterei ma sono già in ritardo. A stasera.»

    «Grazie amore» sospirò quasi queste due parole, ancora avvolta da lenzuola e pensieri.

    La chiusura della porta risuonò fin alle sue orecchie e si decise a scendere dal letto che fino a quel momento era stato il suo rifugio.

    Come ogni mattina, il primo passo era accompagnato da una sola ciabatta, del resto non poteva iniziare una giornata senza questo piccolo particolare. Il pavimento freddo faceva restare in punta di piedi l’unico piede ancora nudo e, inginocchiandosi sul lato del letto, allungava il braccio fin sotto la rete per poi trovare la pantofola mancante. Indossate entrambe, scendeva le scale con la tranquillità di chi non conosce orari di appuntamenti, ma solo la consapevolezza di chi, se tarda ancora un po’, sa che il pane si abbrustolirà fino ad annerirsi completamente. L’aroma del caffè che le solleticava il naso faceva da rotaia immaginaria al suo percorso dalla camera da letto alla cucina. Come tutte le mattine, trovava una tavola imbandita di cereali, cornetti, spicchi di torta e yogurt con solo la fatica di versarsi il caffè ancora caldo nella tazza preparata sulla stuoia di finissimo bambù.

    La mattinata era ormai passata e, come tante volte accadeva, Cloe rimase sdraiata sul divano lasciando correre le ore in compagnia di un libro. Veniva quasi rapita dalle parole, dalle storie più o meno fantasiose, ma per lo più prediligeva storie d’amore, di passione, di sogni raccontati. Storie a lieto fine scritte da chi magari le aveva passate veramente. Il costante cigolio delle ante che davano sul retro della casa ormai faceva parte di quei sottofondi pomeridiani accompagnati da dolci canzoni suonate da un vecchio grammofono ereditato dal nonno materno. Il suono che ne usciva era un indefinito intrecciarsi di strumenti musicali. Era quasi difficile distinguerli uno ad uno, ma a Cloe piacevano quei tranquilli pomeriggi dove non esisteva un tempo per alzarsi dal comodo divano, come non conosceva il tempo di svegliarsi quando il sonno sopraggiungeva senza preavviso. Bum... bum... Di colpo aprì gli occhi. Fuori, il buio aveva mandato a riposare la luce. In casa, a sua volta, le luci non emettevano nemmeno un fiacco bagliore. Dentro e fuori, la notte la faceva da padrona.

    «Scusami, mi ero addormentata» disse Cloe con la voce ancora rauca dal sonno.

    «Ti avrei lasciata dormire, se solo avessi ricordato le chiavi! Mi dispiace di averti svegliata.»

    «Credo di non aver nemmeno pranzato. Fatta colazione, ho continuato a leggere quel libro che da qualche giorno avevo iniziato e, senza nemmeno accorgermene, mi sono addormentata.» Il rumore della puntina del giradischi emetteva un sibilo quasi impercettibile. Era tempo che girava. Era tempo che doveva esser spento. Ma per certe cose non esiste una fine, avrebbe girato infinite volte se non fosse che di colpo la corrente elettrica saltò.

    «Ted... prendi la candela nella credenza in cucina, io cerco di trovare qualche fiammifero in quel cassetto laggiù.»

    Il bagliore della candela appena accesa rendeva di un colore vivace i volti arrossati dalla fiamma e rendevano romantico quel bacio che, dato in punta di labbra, avevano custodito per tutto il giorno.

    Fuori il vento aveva ripreso a soffiare. La sabbia si alzava. Le onde del mare si increspavano e, mentre le ombrose foglie degli alberi non trovavano riposo, i gabbiani che provavano a volare controvento sembravano restare immobili per aria, quasi pietrificati, imbalsamati da qualcosa di sovrannaturale. Questa fotografia era scattata dalla finestra della camera da letto. Ogni sera, prima di dormire, Ted e Cloe restavano abbracciati ad ammirare tutto ciò che accadeva fuori. Avvolti in quella sicurezza delle braccia di chi si ama più di ogni altra cosa. Al sicuro da tutto e da tutti.

    Tra noi non si potrà mai infilare nemmeno un granello di sabbia se non siamo noi a farlo entrare. Questo si ripeteva Cloe ogni sera, stretta tra le braccia di chi come lei aveva saputo amare più di ogni cosa.

    3

    Un giorno un signore notò due rose in un vaso e mi disse: «Lo sai perché queste rose si stanno seccando?»

    «Non ne ho idea! E pensare che l'acqua non manca. Sono immerse fino alle ultime foglie eppure non ne hanno abbastanza?»

    «Non sta nella quantità d'acqua di cui dispongono, ma nel modo in cui la assorbono». Non ebbe bisogno di altre parole per capire.

    «Il gambo va tagliato ogni due giorni perché tende a seccarsi e chiudersi. Se lo taglierai con costanza, vedrai che dureranno una vita.»

    Un lampo abbagliò la sua mente.

    «Tu, io, noi come le rose. Siamo stati capaci e siamo ancora capaci di bere acqua, siamo capaci di tagliarci nel punto giusto per apprendere l'uno dell'altro e al tempo stesso siamo capaci di lasciarci seccare pur di non voler capire l'altro. Capaci di tagliare quel gambo con costanza tale da renderci sempre vivi e belli, stando attenti a non tagliare né troppo, né troppo poco. Di acqua ce n’è e ce ne sarà. Di gambo ce n’è quel tanto che basta per vivere. Serve soltanto capire il momento giusto per reciderlo, per bere l’uno dall’altro, perché del resto in quel vaso si è solamente in due. Non si morirà di sete se sapremo assorbire l'acqua a piccole dosi, non si morirà annegati perché la testa della rosa scenda sotto il livello dell'acqua se sapremo reciderci quel tanto che basta per bere, per lasciare la nostra mente fuori dall’acqua. Anche se il gambo non sarà infinitamente lungo, sarà abbastanza lungo da parlare, ascoltarsi e viversi fino in fondo.»

    La sveglia suonò alle 8.45. Durò il tempo di un soffio quella notte, accompagnata dalle parole sussurrate all’orecchio da una voce che aveva già sentito, che l’aveva fatta tremare, scaldata e al tempo stesso agitata. Serve capire il momento giusto per recidere il gambo perché tu possa bere, perché tu possa bere con me...

    Rimbombavano quelle parole come in una grotta, ma non riuscivano a calar di intensità. Si ripetevano all’infinito nella testa di Cloe. Risuonavano come unico pensiero di quella così corta notte.

    Quella voce già sentita, che già in precedenza l’aveva colpita come un fulmine a ciel sereno, come un’onda anomala quando il mare è piatto. Come la tranquillità di addormentarsi sotto un albero svegliati dalla puntura meschina di un’ape. Quel suono così dolce da confondere ogni pensiero ma capace di entrare in quel pensiero ed impadronirsene. Restarci dentro per sempre, senza uscirne più. Forse era quello che l’inconscio cercava, che il cuore desiderava, che la mente inventava e che con tutta se stessa non si aspettava.

    Cloe sedeva ai bordi del tavolo posto al centro della cucina, proprio sotto un ovale lampadario arancione. La luce illuminava la mano destra appoggiata sul tavolo. Le dita allargate rendevano una comoda stesura dello smalto rosso sulle lunghe unghie. Intingeva il pennello nella piccola bottiglietta ormai priva di colore. Il rosso vivo risaltava, contrapposto al tenue color biancastro della mano. Impeccabilmente steso e subito soffiato asciugava all’istante. Il ticchettio dell’orologio richiamava lo sguardo di Cloe. Segnava le 13.04. Solo il mignolo restava per qualche secondo ancora incolore e quando Cloe cercò le ultime gocce di colore... Tac! La bottiglietta si rovesciò sul tavolo. Una frecciata al cuore e una alla mente.

    «Il ragazzo al porto!» gridò alzando gli occhi al cielo e cercando di tamponare il colore rovesciato con un fazzoletto di carta.

    Il ricordo di quella voce fece alzare Cloe dalla sedia in una frazione di secondo. Infilato il primo paio di scarpe trovate vicino allo stipite della porta e indossata la maglia che aveva appeso a fianco all’armadio, non ci pensò altri minuti prima di correre fuori casa alla ricerca di colui del quale nemmeno conosceva il nome. Talmente stregata da quel modo di fare che non si rendeva conto della distanza che la separava da quella persona così diversa dalle altre. Restava quella distanza da colmare tra la casa e il porto e tutto ciò era riempito da un unico e singolare pensiero. Le saliva un nodo in gola pensando a come sarebbe stato quel secondo incontro. La corsa affaticava Cloe a tal punto da fermarla. Proseguì a passo svelto. Affaticata sì. Ma non di pensieri. Questi si concentravano soltanto su una persona, si mescolavano, si impossessavano senza dare spazio a domande, paure o incertezze. Unica meta. Quel ragazzo. Pochi metri, pochissimi passi e alla prossima via sarebbe giunta al luogo del primo incontro. Il fiato si accorciava, la stanchezza diventava ormai un ricordo, il cuore involontariamente batteva in un modo differente dal solito. Sembrava quasi salisse in gola per poi riscendere. Raddoppiava i battiti ad ogni passo. Le mani leggermente inumidite si stringevano in due pugni chiusi, quasi volessero racchiudere queste sensazioni senza lasciarsele sfuggire. Gli occhi, del resto, non potevano essere se non la parte più emozionale del corpo di Cloe. Un taglio orizzontale lasciava spazio a un diamante scuro di rara bellezza incastonato tra due marmi bianchi, i suoi occhi erano la cosa più bella che potesse esistere. Avere occhi di quel genere e non bagnarli di una lacrima salita dal cuore non avrebbe reso quello sguardo così indimenticabile. Freneticamente si sporse al di là del muretto del porto, ma di quel pittore nemmeno l’ombra. Non si rassegnò a guardare soltanto sulla spiaggia, cercò in lungo e in largo quella persona che a sua insaputa era entrata in sogno senza nemmeno presentarsi. Cercò quel ragazzo per così tanto tempo che il porto era quasi deserto. Le piccole imbarcazioni erano rientrate tutte e, scaricate le ultime nasse, restavano soltanto i saluti dei pescatori alle loro mogli che li aspettavano con cesti di vimini in mano sperando in qualche dono del mare. Sembravano passare tutti da quel piccolo porticciolo, eppure mancava sempre una persona. Delusa e ormai affranta dai pensieri, restava soltanto la strada di casa a far compagnia. Si schiaffeggiò le guance e pensò ad occhi chiusi: ma cosa sto combinando?

    «Cloe.» Una voce squillante spaccò il silenzio del tardo pomeriggio.

    Bloccata. Immobile. Scioccata a tal punto da sentirsi paralizzata. Gli occhi restarono chiusi per diversi istanti, quelli che bastavano ad immortalare quel suono di voce così bella. Ricorda il mio nome, pensò inizialmente, ma inevitabilmente le uscì detto.

    «Ricordo il tuo nome da quando ti chiamarono giù al porto. Perdonami se l’ho fatto mio sin da subito. Ho sperato di incontrarti in sogno questa notte, ma credo dormissi profondamente perché io entrassi tra i tuoi pensieri. Speravo di riuscire a far parte del sogno di una ragazza che nemmeno conosco eppure sento già m...» Interrotto dalla prima parola di Cloe, non riuscì a terminare la frase.

    «Tu sei entrato nel mio sogno. Te ne sei impossessato. Non mi hai dato alternative. Hai parlato di acqua, rose e un infinito amore se preso a piccole dosi. Ma chi sei tu per rapire il mio sonno, per parlarmi con tono così dolce da non riuscire a pensar ad altro che al modo in cui ti avrei voluto rincontrare?»

    Impietrito davanti a Cloe, non aveva altro da dare in quel momento che una lacrima. Una lacrima che scese prima dall’occhio destro, per poi essere raggiunta da una seconda. Il cuore raddoppiò i battiti e una sensazione di amore gli percorse la schiena. Mentre il silenzio attendeva una risposta, Cloe si avvicinò a tal punto da allungare la mano fino a sfiorare il volto di quel ragazzo. Asciugò le lacrime e le strinse in un pugno, perché si assorbissero fino a far parte di lei.

    «Tu mi sei apparso in sogno in altre sembianze ma con quella voce. Quel suono, quelle parole, mi avevano fatto tremare ancor prima di svegliarmi.»

    «Non mi chiedere chi sono, chiedimi perché sono così e allora ti risponderò. Un fiore può essere colto una sola volta. La fiamma di una candela può essere spenta una sola volta, come il mio cuore può essere fermato un’unica volta. Cosa accomuna un fiore, una candela e un cuore? Puoi decidere di farli spegnere e morire, ma puoi anche scegliere di farli vivere e brillare. Allora, se scelgo di sradicare un fiore per te e spegnere una candela per poterti abbracciare nel buio della notte, sentirai il mio cuore battere così forte fino a che cesserà di farlo, dimenticando di aver sacrificato luce e profumo perché tu potessi avere l’infinito tra le mie braccia.»

    «Io non so chi sei, eppure sei riuscito in così poco tempo a farmi provare emozioni tali da non poterne più fare a meno. Ti sento parte della mia vita, dei miei giorni e delle mie ore. Non dovrei dirti certe cose perché mi rendo conto che sia talmente assurdo tutto questo da non riuscire a togliere il pensiero da te. Sono passati solo pochi giorni dal primo casuale incontro e chissà quante volte sarai stato su questa spiaggia, sarai passato lungo queste vie e quante volte ci saremo sfiorati nelle passeggiate estive. Mi sarà arrivato il tuo profumo sospinto dal vento, ma non sono stata capace di coglierlo perché non conoscevo te. Avrò incontrato il tuo sguardo ma non l’ho contraccambiato perché mancava il cuore dentro quegli occhi. Ora quel profumo diventa un pensiero che una volta entrato resterà il primario di ogni mia giornata.»

    «Evol. Il mio nome è Martin Evol. Non è complicato da

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