Famiglie nobili di Cosenza: Memoria storica
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Elia D'Amato, nella Relazione del 4 agosto 1712, pubblicata da Serafino Montorio nel suo Zodiaco, sfatò il mito, protrattosi fino a oggi, che Cosenza fu sempre autonoma poiché fu città demaniale. Purtroppo l'elenco dei diversi dominatori o "padroni" della città non è breve.
Menzionata da Strabone come città dei Bretti (secondo il nome greco) o dei Bruzi (secondo il nome latino), Cosenza fu fondata da un gruppo di servi che fuggirono dall'antica Lucania o, come vuole una tradizione meno accreditata, fu edificata in nome della giovane Brettìa, che aprì le porte a 600 Africani assoldati da Dionisio il Giovane. Aulo Giano Parrasio pensò, invece, che Cosenza avesse avuto la sua origine da Brezio, figlio di Ercole e di Balezia...
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Famiglie nobili di Cosenza - Vincenzo Napolillo
Cosenza
La Città di Cosenza
Gli storici del passato definirono Cosenza città antichissima e nobilissima
. Quali dunque le sue origini?
Elia D'Amato, nella Relazione del 4 agosto 1712, pubblicata da Serafino Montorio nel suo Zodiaco, sfatò il mito, protrattosi fino a oggi, che Cosenza fu sempre autonoma poiché fu città demaniale. Purtroppo l'elenco dei diversi dominatori o padroni
della città non è breve.
Menzionata da Strabone come città dei Bretti (secondo il nome greco) o dei Bruzi (secondo il nome latino), Cosenza fu fondata da un gruppo di servi che fuggirono dall'antica Lucania o, come vuole una tradizione meno accreditata, fu edificata in nome della giovane Brettìa, che aprì le porte a 600 Africani assoldati da Dionisio il Giovane. Aulo Giano Parrasio pensò, invece, che Cosenza avesse avuto la sua origine da Brezio, figlio di Ercole e di Balezia.
Alla morte di Alessandro il Molosso (330 a. C.), annegato nell'Acheronte, Cosenza soppiantò Pandosia, capitale degli Enotri. Formatasi una confederazione indipendente, i Bretti fecero di Cosenza la loro capitale (nel III secolo a. C.).
Cosenza fu, quindi, madre e capo dei Bretti. Sul significato etimologico le interpretazioni sono varie e discordanti.
Il nome Cosenza deriverebbe dai confederati bruzi (Riccardo Giraldi), dalle divinità Consenti (Davide Andreotti), dal consenso ossia dalla confluenza dei fiumi (Gerard Rohlfs), da Causentia (Ruggero di Aprigliano, discepolo di Gioacchino da Fiore), da caverna in lingua caldaica (John Basset Trumper).
Nelle Notizie greche sugli episcopati sottoposti a Costantinopoli, la città è segnata col nome Costanza, in onore di Costante II Eraclio, che s'identifica con Costantino III.
Durante la guerra annibalica, Cosenza fu, come la piccola Petelia, fedele a Roma; si schierò poi, come avvisa Appiano, a favore di Mario contro Silla.
Acquistò importanza, nel II secolo a. C., con la costruzione della Via Popilia-Annia da Capua a Reggio.
A Cosenza Alarico il Balta trovò la morte (nel 410 d. C.), come fu confermato da Jordanes (Giordane). Il re dei Goti fu seppellito sul suo cavallo nel Busento e col tesoro sottratto a Roma. Gli eunuchi che scavarono la fossa furono uccisi per non rivelare il luogo della sepoltura. Due componimenti, uno di August von Platen, tradotto dal Carducci, l'altro di Domenico Milelli, cantano l'epicedio al re dei Goti. Milelli dice: Nella tua gloria posa,/ dormi nell'onda fonda;/ dormi, che dissacrare d'alcun Romano/ il tuo sepolcro non potrà la mano
.
Dove è finito il tesoro di Alarico?
Gli studiosi, nel tentare una risposta, hanno interrogato soltanto le fonti latine ed hanno trascurato quelle greche; ma Olimpiodoro, lo storico bizantino del V secolo degno di massimo rispetto anche perché coevo ai fatti, attestò che Ataulfo, successore di Alarico, offrì alla sua sposa Galla Placidia, figlia di Teodosio il Grande, in casa di un certo Ingenio, nella città francese di Narbonne, due grandi vassoi, come regali di nozze: uno era pieno di ori, l'altro di pietre preziose, presi dai Goti in Roma, durante il saccheggio. Si è calcolato che il tesoro all'incirca pesava 25 tonnellate d'oro e 150 d'argento.
Il castello normanno-svevo guarda la Sila Grande, la quale ricorda, per certi aspetti, il paesaggio dolomitico.
Le dominazioni che si succedettero nell'Italia meridionale (Bizantini, Longobardi, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi) coinvolsero anche Cosenza, che però riuscì a evitare soggezioni feudali. Nel secolo XV, Cosenza fu confermata, con privilegi e statuti, città demaniale da Alfonso I d'Aragona.
Nel Rinascimento, con l'istituzione dell'Accademia Cosentina, fondata da Aulo Giano Parrasio, Cosenza acquistò importanza culturale, al punto che fu chiamata, nel volgere del tempo, l'Atene delle Calabrie.
Girolamo Sambiasi trattò delle casate di Cosenza, che furono antichissime in discendenza, grandi in onore, magnifiche e illustri in grandezze
. Dalle carte autentiche e da argomenti solidi, Domenico Arena estrasse il Libro della vera origine e gli Avvenimenti delle famiglie nobili del Sedile di Cosenza e dei Nobili fuori di esso. Lo studio di Arena, autore anche di una ricerca sulla rivoluzione di Calabria 1647-1648, porta la data del 1668 circa; ma il copista aggiunse di sua mano vicende nobiliari che arrivavano fino al 1698, quando la famiglia Poliastri si trasferì in Napoli, dove Gaetano Argento, gran giureconsulto, teneva casa e studio, e al 1738 per la nomina di Stanislao Poliastro di Cosenza ad arcivescovo di Rossano in seguito alla libera dimissione
di Francesco Maria Muscettola. Si spiega perché è abrasa la data del frontespizio del Manoscritto, che si conserva nella Biblioteca Civica di Cosenza.
A memoria si conosceva il sonetto di Bernardino Martirano segretario di Carlo V sopra alcune nobili casate di Cosenza:
Ecco i figli di Grate antichi e buoni
Maurelli, Migliaresi e Martirani,
Longhi, Rocchi, Materi e Quattrimani,
Tilesi, Longobucchi e Filraoni.
Son co' Sirsali cavalieri a sproni
Sambiasi, Carolei, Tarsi e Marani,
E questi, che già fur Napoletani
Sanfelici, Gaeti e gli Scaglioni.
I Cavalcanti venner da Fiorenza,
E da Perugia vennero i Beccuti
I Brittii, e i Caselli da Rossano.
Queste son le famiglie di Cosenza,
Ch'illustran questi monti e questo piano,
E fur i primi a portar lance e scudi.
Diverse le istituzioni sul territorio che fanno di Cosenza una città colta: Biblioteca Civica, Biblioteca Nazionale, Archivio di Stato, Archivio Diocesano, Galleria Nazionale di Palazzo Arnone, Museo Civico Archeologico, Museo dei Bretti, Museo delle Rimembranze, Teatro Rendano. Un notevole apporto culturale e scientifico è dato dall'Università, sorta ad Arcavacata di Rende nel 1968, a pochi chilometri da Cosenza.
Dopo l'unificazione italiana, Cosenza cominciò a espandersi nella pianura di là dal fiume Busento. La città ha preso una struttura doppia con equilibrati intrecci urbani
, che nella cosiddetta Cosenza vecchia sono rimasti pressoché intatti, sui quali va tenuta una guardia altissima
.
Il Busento confluisce nel Crati sotto la chiesa di San Francesco di Paola. Nei versi delle Troiane
di Euripide il Crati è definito il fiume bellissimo che tinge di fiamma la bionda chioma e con le sue divine correnti nutre e rende prospera una regione, madre di eroi
.
Ovidio disse nelle Metamorfosi:
Grates, et hinc Sybaris nostris conterminus oris
Electro similes faciunt, auroque capillos,
Et prope piscosos lapidosi Chrathidis amnes
Parvus ager, etc.
Nel XIX secolo, uno scrittore celebrò le gesta dei Cosentini dicendo che giovava conoscere l'indole indipendente e guerriera di questo popolo che si è visto combattere contro Roma
.
Dato che le concrete realtà della storia évenementielle si saldano con le richieste, i bisogni e le speranze umane, la storia della Chiesa e la pietà religiosa hanno grande rilevanza.
La cronotassi dei Vescovi di Cosenza comincia con Palumbo storicamente accertato, e arriva fino a oggi con i metropoliti Giuseppe Agostino (emerito) e Salvatore Nunnari (in carica). Sono degne di menzione le figure degli arcivescovi:
Luca Campano, scriba di Gioacchino da Fiore, di Bartolomeo Pignatelli, in altre parole il Pastor di Cosenza (Dante, Pg, canto III), di Nicola Brancaccio, che fu fatto cardinale dall'antipapa Clemente VII, di Francesco Borgia, zio di Lucrezia, di Aniello Calcara poeta.
Espressiva e bella è l'immagine, creata da Antonio Magino e da Leandro Alberti, di Cosenza città continovata da tante terre murate e dai borghi chiamati Casali.
Agli inizi del XVII secolo, Giovanni Maria Bernaudo bollò Cosenza come terra di morti, tanto è vero che una strada, egli diceva, era chiamata da tutti la Ruga di morti
.
In verità a Cosenza trovarono la morte: Alarico, l'emiro Ibrahim (m. 902), Isabella d'Aragona (1271) che nel monumento funebre dentro la Cattedrale è scolpita assieme a Tibaldo II re di Navarra, Luigi III d'Angiò (1434), i Fratelli Bandiera fucilati nel Vallone di Rovito. La sepoltura nelduomo Enrico VII detto lo Sciancato (1242), che fu re di Germania, figlio primogenito dell'imperatore Federico II di Svevia, i terremoti, le pestilenze, la malaria, la guerra, la carestia e altre terribili calamità spiegano esaurientemente l'appellativo di Cosenza luogo fatale.
La ricostruzione della vita di Cosenza, città ora ribelle e ora colta, rimane, purtroppo, inedita nelle opere di Sertorio Quattromani (Istoria della città di Cosenza) e di Bernardino Bombini (Commentaria Brutiorum Antiquitatum).
Giacomo Casanova, amatore leggendario, scoprì che Cosenza era una città dove una persona perbene