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La Storia dei vincitori e i suoi miti: Da Giovanna D'Arco al delitto Moro, da Cristoforo Colombo ai Rothschild, mille anni tutti da riscrivere
La Storia dei vincitori e i suoi miti: Da Giovanna D'Arco al delitto Moro, da Cristoforo Colombo ai Rothschild, mille anni tutti da riscrivere
La Storia dei vincitori e i suoi miti: Da Giovanna D'Arco al delitto Moro, da Cristoforo Colombo ai Rothschild, mille anni tutti da riscrivere
E-book174 pagine2 ore

La Storia dei vincitori e i suoi miti: Da Giovanna D'Arco al delitto Moro, da Cristoforo Colombo ai Rothschild, mille anni tutti da riscrivere

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La Storia è come un'arma. Come un fucile puntato contro la verità. La scrive chi vince, chi intende costruire e consolidare un potere. A questo scopo essa viene tramandata, insegnata e imparata a memoria da milioni e milioni di ragazzi, vincolati a una "scuola dell’obbligo" che ha soprattutto quell’obiettivo: forgiare le menti e controllare le conoscenze dei sudditi di ogni epoca.

Questo libro intende sollevare dubbi e ipotesi, tanto “alternative” quanto fondate e documentate, su una serie di vicende e di stereotipi storiografici relativi agli ultimi mille anni di Storia occidentale.

In qualche modo, può esser considerato un vero e proprio manifesto di quel Movimento Controstorico che, in questi ultimi tempi, si sta facendo strada.

E che Pietro Ratto, con la sua attività di ricerca assolutamente indipendente e i suoi irriverenti saggi, ha contribuito non poco a sviluppare.

LinguaItaliano
Data di uscita21 ott 2022
ISBN9788869348280
La Storia dei vincitori e i suoi miti: Da Giovanna D'Arco al delitto Moro, da Cristoforo Colombo ai Rothschild, mille anni tutti da riscrivere
Autore

Pietro Ratto

Pietro Ratto è filosofo, saggista, giornalista e scrittore. Laureato in Filosofia e Informatica, è professore di Filosofia, Storia e Psicologia. Pietro Ratto ha al suo attivo numerosi libri e ha vinto diversi premi letterari di Narrativa e Giornalismo ed ha partecipato a svariati Convegni filosofici. In ambito filosofico ha scritto La Passeggiata al tramonto. Vita e scritti di Immanuel Kant (2014-2019), la raccolta di suoi saggi BoscoCeduo. La Rivoluzione comincia dal Principio (2017) e il saggio Come mi cambiano la vita Socrate, Platone e Aristotele (2020). In ambito storico ha scritto: Cronache di una pandemia. I primi nove mesi di un incubo (2020), L'Industria della vaccinazione- Storia e contro-Storia (2020), Le Pagine strappate (2014-2020), I Rothschild e gli Altri (2015), L'Honda anomala. Il rapimento Moro, una lettera anonima e un ispettore con le mani legate (2017), La Storia dei vincitori e i suoi Miti (2018), Rockefeller - Warburg. I grandi alleati dei Rothschild (2019) e Il gioco dell’Oca. I retroscena segreti del processo al riformatore Jan Hus (2014-2020). Ha pubblicato anche i romanzi La Scuola nel Bosco di Gelsi (2017), Senet (2018), Il Treno (2019) e Il Testimone (2020), oltre alla raccolta di saggi polemici sulla degenerazione della scuola pubblica e le lobbies che la gestiscono, intitolata Programma dIstruzione (2020). Gestisce i siti BoscoCeduo.it e IN-CONTRO/STORIA, oltre a un affollatissimo canale YouTube e a una vivace pagina Facebook, chiamati entrambi BoscoCeduo. Dal 2019 amministra una piattaforma di contenuti di aggiornamento e approfondimento delle tematiche affrontate nei suoi libri, BoscoCeduoPro.

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    La Storia dei vincitori e i suoi miti - Pietro Ratto

    9788869348273.jpg

    Distorica

    Pietro Ratto

    La storia dei vincitori e i suoi miti

    Da Giovanna d’Arco al delitto Moro, da Cristoforo Colombo ai Rothschild, mille anni tutti da riscrivere

    © Bibliotheka Edizioni

    Piazza Antonio Mancini, 4 – 00196 Roma

    tel: (+39) 06. 4543 2424

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, ottobre 2022

    e-Isbn 9788869348280

    È vietata la copia e la pubblicazione,

    totale o parziale, del materiale

    se non a fronte di esplicita

    autorizzazione scritta dell’editore

    e con citazione esplicita della fonte.

    Tutti i diritti riservati.

    Disegno di copertina: Paolo Niutta

    www.capselling.it

    Pietro Ratto

    Filosofo, storico, giornalista, musicista e scrittore, Pietro Ratto ha al suo attivo numerosi libri.

    In ambito filosofico, ha scritto La Passeggiata al tramonto. Vita e scritti di Immanuel Kant (2014-2019), Come mi cambiano la vita Socrate, Platone e Aristotele (2020), Boscoceduo - La rivoluzione comincia dal principio (2017-2022).

    In ambito storico e giornalistico ha scritto: Le Pagine strappate (2014-2020), I Rothschild e gli Altri (2015), L’Honda anomala. Il rapimento Moro, una lettera anonima e un ispettore con le mani legate (2017), Rockefeller - Warburg. I grandi alleati dei Rothschild (2019), Il gioco dell’Oca. I retroscena segreti del processo al riformatore Jan Hus (2014-2020), L’industria della vaccinazione. Storia e contro-Storia (2020), Cronache di una pandemia - I primi nove mesi di un incubo (2020) e Lobbying (2021).

    Ha pubblicato anche i romanzi La Scuola nel Bosco di Gelsi, Senet (2018), Il Treno (2019), Il Testimone (2020) e Il Giudice (2022), oltre alla raccolta di saggi polemici sulla degenerazione della scuola pubblica e le lobbies che la gestiscono, intitolata Programma dIstruzione (2020) e all’audiolibro Parole e Musica (2020), che alterna riflessioni a suoi brani musicali.

    Gestisce i siti BoscoCeduo.it e IN-CONTRO/STORIA, oltre a un seguitissimo, canale YouTube e a una vivace pagina Facebook, chiamati entrambi BoscoCeduo.

    Dal 2019 amministra una piattaforma di contenuti di aggiornamento e approfondimento delle tematiche affrontate nei suoi libri, che si chiama BoscoCeduo Pro (www.boscoceduo.it/pro).

    Distorica

    C’è solo un frutto che una cultura che voglia dirsi tale deve saper produrre. Tanto più in un tempo come il nostro: il tempo delle risposte a tutte le domande, il tempo delle certezze granitiche e incontestabili.

    E questo frutto, così prezioso, è il Dubbio.

    Ecco. Questa collana (DISTORICA) non vuole ottenere null’altro che questo. Dal dubbio scaturisce e al dubbio, inesorabile, conduce. Nella convinzione secondo cui l’uomo sia davvero tale soltanto se sa porsi domande, se sa e ama mettersi in ricerca. Se non smette mai di accontentarsi. Perché la cultura, diciamolo, sta nel tormentato e scomodo mettersi in discussione. Sta nella domanda, appunto. Nel cercar sempre, e nel possedere mai, la verità.

    Il libro in questione è un esempio di quello che intendo. Di ciò che avevo in mente quando ho proposto l’idea di questa collana a Bibliotheka Edizioni. Mette in discussione una verità per molti sacra e indiscutibile. La accosta a una serie di domande, di ragionamenti, che ha il coraggio di elaborare solo chi ama il viaggio e non la meta. Chi, appunto, non si accontenta mai.

    Chi di gran lunga preferisce l’avventuroso rischio del dubitare al comodo accontentarsi della solita, rassicurante risposta.

    Pietro Ratto

    Il mito del Medioevo buio e bacchettone

    Una valle di lacrime?

    In Alvergna, nel Limosino, / me ne andavo da solo, a piedi. / Trovai le mogli di un Guarino e di un Bernardo / mi salutarono semplicemente, per san Leonardo!

    Guglielmo è poco più che trentenne, quando compone questi versi(1). È un uomo bello, forte, affascinante. Amante della vita e delle donne. I suoi lunghi capelli neri che gli scendono fluenti sulle spalle e il suo sguardo intenso e fiero - da giovane cavaliere, letterato e artista - ammaliano ogni donna che incrocia.

    È appena tornato dalla guerra, Guglielmo. Precisamente, da quel groviglio di imprese militari sviluppatosi in Terra Santa e in Anatolia nel 1101, tra la prima e la seconda crociata.

    Nonostante viaggi appiedato (il suo rifiuto di sottomettersi all’Imperatore d’Oriente gli è infatti costato esercito e bagagli), basta dargli un’occhiata, per capirlo: non si tratta certo di uno qualsiasi. Quell’uomo capace di raccontare con la stessa divertita disinvoltura le sue imprese erotiche e le sue gesta militari è nientemeno che Guglielmo IX, il duca di Aquitania. I suoi titoli nobiliari, in realtà, son molti di più. Tanti quanti i numerali a cui il suo nome è associato. Come Guglielmo VII, infatti, è conte di Poitiers. Come Guglielmo II è duca di Guascogna. E tra meno di quindici anni sarà anche conte di Tolosa. Col nome di Guglielmo V.

    Un pedigree di tutto rispetto, il suo. Da parte di madre, l’incantevole Hildegarda, i suoi avi discendono da dinastie potenti e antichissime come quelle degli Angiò e dei Capetingi (suo bisnonno materno era addirittura il mitico Enrico I, glorioso re di Francia alleato - e zio - di Guglielmo il Conquistatore in persona). Suo padre Guglielmo VIII, invece, appartiene alla nobilissima stirpe dei duchi di Sassonia. E non basta. Il nostro Guglielmo non vanta soltanto illustri ascendenze, ma anche illustrissime discendenze, visto che un suo pronipote si chiamerà Riccardo Cuor di Leone e che la sua celebre e raffinata nipote Eleonora, madre di Riccardo, sarà moglie di Luigi VII di Francia e di Enrico II di Inghilterra.

    Ed eccolo lì, adesso, il nostro nobile cavaliere, mentre passeggia spensierato per i sentieri dell’Auvergne, così come ci racconta. Due sorelle, regolarmente maritate, lo salutano. E lui che fa? Finge di non essere in grado di parlare, caratteristica questa che, evidentemente, non spiace assolutamente alle belle signore in cerca di avventure. Se davvero non parla, si dicono le due, questo giovane non sarà certo in grado di raccontar nulla di compromettente in giro.

    Così lo attirano in camera, assicurandosi che l’oggetto del loro desiderio sia davvero incapace di spifferare ai quattro venti quanto hanno intenzione di fare con lui. A tale scopo, dopo avergli servito da mangiare e bere a sazietà e averlo convinto con una certa facilità a denudarsi e a coricarsi sul letto, non esitano a torturarlo facendogli graffiare violentemente la schiena da un grosso e aggressivo gatto. Il dolore è terribile, ma il furbo Guglielmo lo trattiene a denti stretti, guardandosi bene dal fuggire, o anche solo proferir parola. Più di cento piaghe sul corpo, tutto sommato, valgono bene quel che le due sorelle vogliono da lui. A quel punto, l’orgia può avere inizio.

    Trovadori o trombadori?

    Che tipo di periodo è quello di cui stiamo parlando? Che Medioevo sfrenato e spregiudicato è mai questo?

    Andiamo con ordine, allora. Iniziamo col dire che Gugliemo d’Aquitania non è soltanto un principe. È anche un poeta, un musico. Questa sua preziosa e un po’ scabrosa composizione, come molte altre sue, costituisce il più antico esempio giunto a noi di testo occeltico (ossia occitano-celtico) di un trombadore (e non, come invece ci hanno insegnato a scuola, un trovatore)(2). Il nostro bel duca è il più antico esponente conosciuto di quella scuola di compositori medievali che amavano scrivere e cantare in lingua occitana. La lingua, cioè, di una grande federazione di stati che si estendeva dalla Francia meridionale all’Italia. Pare che Guglielmo avesse sentito suonare diverse ballate dai suoi giullari e che, avendole apprezzate molto, avesse provato ad aggiungervi dei testi. Una decisione rivoluzionaria, che avrebbe cambiato la storia della musica.

    Guglielmo, sì: il primo trombadore di cui ci sia giunta l’opera. Non si pensi male, però. Nonostante il contenuto della composizione appena esaminata, il modo con cui definiamo il nostro duca non ha a che fare (se non, forse, indirettamente, dato il carattere spiccatamente erotico delle tematiche spesso affrontate da questi artisti), con una qualche connotazione sessuale. No, no. I trombadori, i trombeur, erano chiamati così proprio in riferimento alle trombe di cui spesso si servivano, suonando per le strade dell’Occitania. Lo stesso Dante, nel Convivio, definisce Misene lo trombatore d’Ettore. Cioè il musicista, il declamatore, il cantore del grande eroe. Ecco. Questi primi musici occitani, per via delle loro trombe, eran chiamati proprio trombatori. I trovatori, invece, così come li abbiam sentiti nominare a scuola, son altra cosa. Son più recenti. Debbono il loro nome (coniato nel meno antico idioma franco-galizio, e non in occitano) al loro saper trovare i versi e le rime più giuste e più belle. Ma risalgono soltanto al XIII secolo. E, a ben pensarci, questa loro molto più generica definizione calza a pennello per qualsiasi artista. Per chiunque sappia trovare, ossia inventare, qualsiasi opera d’arte.

    Trovatori invece che trombatori... Com’è possibile esser caduti in questa trappola linguistica? Molto più facile di quanto sembri, in realtà, visto che gli antichi codici, soprattutto quelli di derivazione occitana, tra le molte abbreviazioni adottarono anche quella consistente nel rendere la m o la n successive a una vocale, con un normale accento su quest’ultima. Scrivendo per esempio hùiliasti invece che humiliasti, còtra invece che contra e tròbador, appunto, al posto di trombador.

    Marito geloso e marito generoso

    Dunque, Guglielmo racconta questa sua lussuriosa avventura. A prima vista, sembra strano. Il medioevo che ci hanno insegnato a scuola, quello tetro, oscuro, pieno zeppo di flagellanti e penitenti, di gente col cilicio che prega e digiuna, non pare proprio corrispondere all’immagine che ce ne trasmette il bel duca trombatore! E non è certo il solo caso. Il nostro Guglielmo, anzi, in un’altra composizione intitolata Cals es sa leis (La vagina e la sua legge) inneggia spudoratamente e a più non posso alla lascivia e al libero commercio sessuale, così da far invidia al più impenitente sessantottino e figlio dei fiori. E invocandone addirittura Dio a somma tutela!

    L’ossessione della fedeltà, spiega Guglielmo illustrando questa sua legge, nuoce anche all’uomo che si ostina a pretenderla dalla propria moglie. Funziona un po’ come accade con gli alberi. Se ne tagli uno, al suo posto ne ricresceranno altri due o tre. Lasciando la sua donna finalmente libera di coltivare le proprie esperienze extraconiugali, quindi, il marito generoso potrà cogliere per sé un numero addirittura maggiore di occasioni sessuali. Dio ci liberi, allora, dai ridicoli mariti gelosi!

    Non c’è che dire. Un’idea di matrimonio e di moralità coniugale decisamente diversa da quella che istintivamente attribuiremmo ad una coppia di noiosissimi sposi medievali. O da quella in cui, noi stessi, crediamo al giorno d’oggi.

    Che si tratti di evasiva finzione artistica? Che le cose, nella quotidianità del principe, siano andate diversamente? Niente affatto. Guglielmo ebbe due mogli, entrambe afflitte dalle sue numerose relazioni extraconiugali. Ripudiò la prima, Ermengarda d’Angiò, e costrinse al ritiro in convento la seconda, Filippa di Tolosa, stanca di assistere alla sua relazione con Maubergeon (il cui ritratto si era fatto dipingere spudoratamente sullo scudo), che era viscontessa di Châtelleraut. Maubergeon, naturalmente, era sposata come lui. Ma, dopo l’uscita di scena di Filippa, Guglielmo non esitò a portare all’altare anche lei.

    Il suo problema? Scegliere.

    In una sua celebre ballata paragona due dame di cui è invaghito a due cavalli con diverse e preziose qualità, alle quali egli è talmente affezionato da non riuscire rinunciare a nessuno dei due. Perché scegliere, dunque? Perché rinunciare?

    La Chiesa non apprezza certo la sua condotta. Ma ormai lo conosce. È un provocatore, Guglielmo. Ha addirittura fondato un monastero di prostitute, con tanto di Badessa e di Priora. Il Papa lo convoca, ma lui trova un pretesto e non si fa vedere. Il vescovo d’Angouleme, per conto di papa Pasquale II, lo scomunica così come già aveva fatto quello di Poitiers, forse per altri motivi. Guglielmo reagisce sprezzantemente, persino con qualche minaccia ad entrambi. Ma alla fine non se ne cura granché. E quando da lì a qualche anno Filippa muore, la scomunica decade.

    Un caso isolato? Tutt’altro.

    Divorzi medievali...

    Il padre, Guglielmo VIII, era pluri-divorziato. E nonostante papa Alessandro II avesse manifestato l’intenzione di scomunicarlo, se l’era comprato con una nuova abbazia e con l’impegno a non comparire in pubblico con la sua nuova fiamma Hildegarda. Terza moglie e madre, appunto, del nostro Guglielmo IX.

    Non si può nemmeno pensare a un vizio di famiglia. Il divorzio tra sovrani, a quei tempi, era molto comune. E fa davvero un po’ impressione se si pensa a tutto il putiferio (culminato con il famoso scisma tra cattolici e anglicani) che, a distanza di qualche secolo, si sarebbe verificato invece in Inghilterra a causa della decisione di Enrico VIII di lasciare Caterina d’Aragona per Anna Bolena.

    Il trucco era semplice. Una norma di diritto canonico prevedeva che fosse da considerarsi incestuoso (e quindi annullabile) un matrimonio tra consanguinei, definendo tali due individui che vantassero un antenato comune fino al settimo grado di ascendenza. Siccome però tutti i reali d’Europa

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