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Sono un precario, mi ami lo stesso?
Sono un precario, mi ami lo stesso?
Sono un precario, mi ami lo stesso?
E-book428 pagine6 ore

Sono un precario, mi ami lo stesso?

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Info su questo ebook

In un paese del Sud Italia….
… Tommaso, architetto disoccupato, fervente idealista, è sempre pronto a sacrificare se stesso per dare una mano a chi ha più bisogno. La sua vita monotona è scossa dalla bellezza di Mariana, una ragazza romena fuggita dal suo paese dopo la rivolta del 1989. Tra i due nasce un amore profondo, pulito, su cui pesa negativamente la precarietà della condizione sociale.
A sconvolgere ulteriormente le loro esistenze, si aggiunge la partenza di Tommaso per la Germania, dove il padre, emigrato da molti anni, è in fin di vita. Qui, il giovane incappa in una tragica disavventura che lo porta addirittura in carcere.
Durante la lunga assenza di Tommaso, Mariana si trasferisce a Torino cedendo alle lusinghe di Alfredo che all’amore incantato fa seguire un Inferno permeato di violenze, induzione alla prostituzione ed umiliazioni corporali.
Sia Mariana che Tommaso ritornano al Sud ognuno col proprio fardello: un giorno s’incontrano, chiariscono e s’innamorano di nuovo. Mariana rimane incinta senza volerlo.
La paura di diventare padre, in una condizione sociale sempre più precaria, sconvolge Tommaso a tal punto da farsi strada, nella sua mente annebbiata, l’idea di farla finita.
È notte fonda. Mariana dorme.
Tommaso è in cucina: è determinato a girare la chiave del gas. All’improvviso squilla il telefonino sul comodino. Risponde alla chiamata, e da quella sera, inaspettatamente ed incredibilmente, la vita di Tommaso e Mariana si colora di Speranza.
LinguaItaliano
Data di uscita5 feb 2016
ISBN9788899333133
Sono un precario, mi ami lo stesso?

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    Anteprima del libro

    Sono un precario, mi ami lo stesso? - Vito Gruosso

    Farm

    collana ROSSO H

    Sono un precario, mi ami lo stesso?

    Vito Gruosso

    Sono un precario, mi ami lo stesso?

    è  un romanzo di Vito Gruosso

    © Vito Gruosso © www.herkulesbooks.com

    Tutti i diritti sono riservati.

    È vietata ogni tipo di riproduzione dell’opera, anche parziale 

    All’ora della partenza tutti sciamano sull’autobus, compreso un gruppo di studenti che approfittando del lungo ponte festivo tornano al paese d’origine. Un attimo prima che si chiudano le porte, quello più curioso tra loro si avvicina al conducente per chiedere chi sia la bellezza senza pari rimasta sola sotto la pensilina, con l’aria incerta di chi non sa cosa fare.

    «Be’, non farci caso, dispiace anche a me, ma non posso farla salire. Su questo autobus si viaggia solo con prenotazione e lei mi ha appena detto che non ce l’ha.»

    Lo studente rimane perplesso. Poi però, come se avesse trovato la soluzione al problema, lancia uno sguardo di traverso al conducente e torna dai suoi amici nella parte posteriore dell’autobus. Da qui, dopo un breve consulto, parte la protesta per farla salire. Fallito il tentativo di chiudere le porte bloccate dai ragazzi, il conducente scende dal posto di guida e, con fare spazientito, prende il borsone facendole cenno di salire. È accolta da un fragoroso applauso, mentre lei risponde con un sorriso di ringraziamento e le dita alzate a V in segno di vittoria.

    Si stringono più che possono per farle posto sull’ultimo sedile, quello lungo a forma di divano, e per tutto il viaggio scherzano mimando l’atteggiamento da Duce del conducente e raccontandosi le loro storie come se si conoscessero da sempre. «Sono Mariana e vengo dalla Romania.»

    Lei arrossisce per essersi trovata, contro la sua volontà, al centro dell’attenzione di persone che vede per la prima volta.

    «E dove sei diretta?» domanda lo studente che ha dato inizio alla protesta.

    «Vado a trovare un’amica che da diversi anni vive in Italia e fa la badante al paese di Melfi.»

    «Pensi di fare anche tu la stessa cosa?» chiede un altro.

    «No, sono laureata in ingegneria elettronica e spero di trovare qualcosa che mi permetterà di mettere a valore i miei studi.»

    Spesso però non sono l’intelligenza, la cultura, la buona educazione a colpire chiunque le capiti davanti, ma la sua rara bellezza. Già tra i banchi del liceo i deboli di cuore non ce la facevano a nascondere il turbamento per i suoi occhi verdi, i capelli color Tiziano e quelle labbra moderatamente pronunciate. Anche il giovane professore di matematica si dichiarava vittima di quella presenza splendente, che si elevava come nell’aria sospesa. Con fare da scolaretto al primo innamoramento, rischiando di rovinare tutto, una volta approfittò della ricreazione per infilare un biglietto fra le pagine del libro della fanciulla. Le parole erano state scelte con cura per descrivere i suoi sentimenti e per decantare quel fisico alto e snello che, vestito senza alcuna concessione all’ostentazione e alla volgarità, lasciava intravedere forme perfette e irraggiungibili.

    Così adesso, non solo per i bulli di paese sempre arrapati, quel fisico sovrasta ogni altra cosa, al punto che per i progetti di Mariana diventa più un ostacolo che un vantaggio. La bellezza è la miglior lettera di raccomandazione sostiene Aristotele, ma nel suo caso è il contrario. Già in Romania ogni volta che si presentava per un colloquio di lavoro, veniva puntualmente esclusa per il distacco gelido che riservava alle perverse attenzioni di selezionatori improbabili, interessati più alle qualità fisiche che a quelle intellettuali, sia pure notevoli.

    Alle 19.30 di una profumata e colorata domenica di primavera, Mariana arriva alla stazione del paese con l’autobus proveniente da Roma. A quell’ora, soprattutto la domenica, il piazzale e il lungo viale adorno di platani secolari, che porta fino a piazza Municipio, sono gremiti di giovani e meno giovani che fanno lo struscio. Con un sorriso di riconoscenza Mariana saluta i compagni di viaggio e scende dal pullman. Rimasta sola, è presa da un attimo di smarrimento, che supera solo quando vede Flora farsi strada a bracciate fra la folla per andarle incontro.

    Terminato il lungo abbraccio, approfittando della breve distanza da percorrere, le due amiche s’incamminano a piedi verso casa. Quella bellezza così abbagliante alimenta pensieri proibiti in quei giovani assuefatti alla noia della vita di provincia. Un tipo biondino, con l’aria da playboy di periferia, si fa avanti: «Mi scusi signorina, posso aiutarla a portare il borsone?».

    Mariana si gira e fa un sorrisetto malizioso. «No, grazie, è abbastanza leggero.»

    Ha ben altro a cui pensare Mariana per prestare attenzione agli sguardi vogliosi e senza prospettiva di ragazzi che, come in una processione, sgomitano tra loro per avvicinarsi il più possibile all’oggetto del desiderio.

    Con un po’ di affanno per il passo sostenuto, Flora si sforza di dare all’amica qualche informazione sulla famiglia presso la quale fa la badante e che, con generosità cristiana, si è offerta di ospitarla per il tempo necessario a trovare una sistemazione. Parla di Antonietta come la vera padrona di casa e di Ernesto, il marito, sempre attento a non contraddirla. Poi c’è la nonna, alla quale vanno prevalentemente le sue cure, e i due figli, Giacomo e Francesca.

    Con il respiro sempre più pesante, racconta che Francesca ha quattordici anni e rassomiglia tutta alla madre.

    «In che senso?» le chiede Mariana.

    «Che ha un carattere aperto, ben disposta verso il prossimo e lo sguardo ingenuo di chi ancora deve conoscere le asprezze della vita.»

    «E il maschio?»

    «Be’, lui di anni ne ha sedici e, a differenza della sorella, è chiuso, taciturno, introverso e con qualche difficoltà a socializzare. In particolare soffre il fatto di non riuscire a farsi una ragazza, nonostante il suo aspetto abbastanza interessante e la posizione sociale più che agiata.»

    La sua famiglia infatti appartiene a quella borghesia agraria, conservatrice e un po’ reazionaria, che nei decenni passati ha espresso una parte significativa delle classi dirigenti meridionali. Quando le due amiche giungono a casa trovano solo Ernesto e la moglie che hanno rinunciato alla passeggiata domenicale proprio per non lasciare sola la vecchietta e per far trovare pronta la cena alla nuova ospite.

    La calorosa accoglienza e il sincero senso di ospitalità mettono a proprio agio Mariana che, sollecitata dalle domande di Antonietta, comincia a raccontare della sua giovane vita e delle ragioni che l’hanno spinta a venire in Italia.

    La Romania, come tutti i Paesi del vecchio blocco comunista, portava i segni di un sistema dittatoriale che aveva represso ogni possibilità di sviluppo e progresso civile. Mariana, animata dal valore supremo della libertà, ci mise poco a diventare un’attivista intrepida della rivolta del 1989, salendo sulle barricate e partecipando con spirito patriottico alle operazioni di guerriglia urbana organizzate dagli studenti. Sembrava spinta da un sentimento di vendetta per averle sottratto qualcosa di molto caro che mai nessuno le poteva restituire. La voce infatti si fa incerta e gli occhi non trattengono le lacrime quando, in un italiano quasi perfetto, Mariana parla di come i criminali del regime hanno distrutto la sua famiglia. «Mio padre era un professore di liceo e mia madre faceva l’infermiera in un grande ospedale di Bucarest.»

    «E poi, cos’è successo?» chiede Antonietta, senza riuscire a frenare la sua ansia.

    «Loro credevano nella libertà ed erano impegnati a far progredire gli ideali di una società democratica, esponendosi, sia pure con prudenza, alle rappresaglie dei custodi della dittatura.»

    «Come hanno fatto a scoprirli?»

    «Mia madre si è esposta di più nel tentativo di trovare una via di fuga. Non tanto per loro, come dicevano sempre, che ormai avevano bruciato gli anni della giovinezza, quanto per me che avevo ancora tutta una vita davanti.»

    Un progetto che fu represso con inaudita violenza. Mariana, infatti, non dimenticherà mai quella gelida sera d’inverno quando, mentre giocava a scacchi nel tepore della sua casa, illuminata quasi esclusivamente dal fuoco del camino, qualcuno bussò alla porta come se la volesse sfondare. Istintivamente alzò lo sguardo dalla scacchiera e incrociò quello del padre, nel quale colse il presentimento di ciò che stava per accadere. Anche la madre, che stava leggendo in camera da letto, scossa dall’insolito rumore corse in cucina. Non fece neanche in tempo ad aprire che, senza spiegazioni e con l’atteggiamento di chi non deve chiedere permesso, irruppero sei militari armati fino ai denti.

    Appena dentro, con lo sguardo gelido e il tono deciso, il capo iniziò a fare domande sulla presunta attività anti regime dei due coniugi e sui possibili contatti con i servizi segreti dei Paesi nemici del comunismo. Senza farsi prendere dal panico e dissimulando una certa tranquillità, il padre di Mariana rispose che né lui né la moglie avevano mai partecipato ad alcuna azione di carattere sovversivo e tantomeno cercato contatti con i nemici del comunismo. A quel punto il militare, già spazientito e irritato, tirò fuori dalla tasca un piccolo registratore e fece ascoltare la telefonata della madre di Mariana a un esponente del comitato dei rifugiati politici che operava nella Germania dell’ovest. La donna accennò a dire qualcosa, voleva spiegare il senso di quella telefonata, ma non fece in tempo ad aprire bocca che un altro militare, con il volto inespressivo e gli occhi di ghiaccio, la colpì con il calcio del mitra. Riversa a terra in una pozza di sangue sembrava non dare più segni di vita.

    Il marito tentò di reagire per soccorrerla, ma venne subito bloccato, ammanettato e colpito più volte alla testa dallo stesso militare, fino a farlo stramazzare sul pavimento.

    Quella fu l’ultima volta che Mariana, annientata dal dolore, vide i suoi genitori portarti via come sacchi inanimati. Solo dopo qualche tempo seppe da un vecchio amico di famiglia che erano stati fucilati e gettati in una delle tante fosse comuni.

    Finita la breve rivoluzione, il clima era euforico e carico di eccitanti aspettative. Le vie di Bucarest erano piene di gente inebriata dal profumo di libertà e dalla sensazione di essere protagonista di una nuova pagina di storia. Mariana partecipava a quella festa di popolo con lo sguardo rivolto al futuro e la consapevolezza che la primavera era ancora lontana. «Devo riprendere subito gli studi» diceva ai suoi amici rivoluzionari, raggelando per un attimo il loro entusiasmo. «Mai come in questo momento di transizione verso la democrazia e lo sviluppo economico, il nostro Paese ha bisogno di nuovi quadri dirigenti.»

    Grazie al sostegno della zia che praticamente si sostituì ai suoi genitori, Mariana, mantenne la parola. E nei tempi necessari si laureò in ingegneria elettronica. Gli studi però non affievolirono la sua passione politica e, prima che venisse approvata la nuova Costituzione, si iscrisse al PSD (Partito Socialista Democratico) che più degli altri si era speso contro il regime autoritario. Gli eventi però andarono in un’altra direzione, senza incrociare i sogni e le aspirazioni della giovane rivoluzionaria.

    «Ho l’impressione che i nostri compagni, una volta eletti al governo, si siano adeguati alla logica miope e clientelare del potere, tradendo le aspettative della gente» disse Mariana al termine di una riunione con alcuni amministratori locali.

    «Anche a me sembra che ancora una volta a occupare le posizioni più ambite e qualificate in tutti i campi di attività siano i parenti e gli amici più vicini ai nuovi governanti» disse Daniele, il compagno più fedele e da sempre innamorato di lei senza mai trovare il coraggio di dichiararlo.

    Per quelli come Mariana invece, rimasta coerente fino all’esasperazione con gli ideali che avevano ispirato la rivolta, la situazione diventò insostenibile al punto da vedersi costretta a chiedere l’aiuto di un vecchio compagno rivoluzionario diventato esponente di primo piano nella gerarchia politica della città.

    L’indomani mattina, quando ancora non tutti i dipendenti erano giunti sul posto di lavoro, Mariana era già nell’ufficio che le avevano indicato ad aspettare il suo interlocutore. Dopo circa dieci minuti arrivò un uomo in giacca e cravatta indossate senza alcuna classe e con abbinamento a casaccio che la salutò calorosamente. Lei non lo riconobbe subito. Rispetto ai tempi delle barricate era più magro, portava i capelli lunghi, la barba incolta e i suoi modi erano semplici e naturali. L’uomo recepì subito la freddezza della ragazza che le stava davanti, ancora più bella e grintosa di come la ricordava e, ricomponendosi in un atteggiamento da burocrate, le chiese a cosa fosse dovuta quella visita tanto gradita quanto inaspettata.

    «Ad essere sincera, non è stata mia l’idea di venirti a trovare.»

    «Ah, e allora chi devo ringraziare per questa sorpresa?»

    «È stata la zia, con la quale vivo dopo la morte dei miei genitori, a insistere.»

    «E posso sapere il perché?»

    «Be’, la verità è che con la chiusura della fabbrica dove lei lavora la nostra condizione è diventata insostenibile. Mi sono data molto da fare partecipando a concorsi d’ogni genere, ma ho avuto la sgradevole sensazione che, anche dopo la rivolta, senza un santo in paradiso non vai da nessuna parte.»

    «Mi dispiace, avresti potuto parlarmene prima.»

    «Guarda che non sono venuta a chiederti la solita raccomandazione, ma solo di fare qualcosa per assicurare a chiunque, fosse anche il figlio del Presidente della Repubblica, di essere valutato sulla base dei titoli e delle capacità professionali.»

    A questo punto, raddrizzandosi contro lo schienale della sedia sulla quale era seduto, come per assumere un atteggiamento più impegnato e responsabile, il burocrate iniziò a esporre il suo punto di vista.

    «Vedi Mariana, le cose non stanno come dici tu e, in ogni caso, il giudizio che dai mi sembra sbagliato, ingeneroso nei confronti di chi è stato investito dal popolo di responsabilità assai onerose.»

    «Ah, sì? E come si spiega che a occupare le posizioni di maggior prestigio sono sempre quelli che, in un modo o nell’altro, ruotano intorno al nuovo ceto politico?»

    «Certo, non posso escludere che qui e là ci sia qualche abuso, ma è anche vero che ai tempi della rivolta eravamo motivati da ideali e progetti che al confronto con la realtà si sono rivelati un’utopia.»

    «Quello che dici sarebbe giusto se aveste almeno tentato di realizzare quei progetti. Voi invece avete subito abboccato al fascino del potere dimenticando i problemi del Paese e arricchendovi alle spalle della povera gente.»

    Il burocrate a questo punto cominciò a sbiancare in viso e a dimenarsi sulla sedia, come per sfuggire a quel confronto così serrato. Poi però, ritenendo le accuse di Mariana troppo pesanti per rimanere senza risposta, aggiunse: «Devi sapere che per un regime autoritario è più semplice governare».

    «Non capisco.»

    «Basta assicurarsi l’appoggio delle forze armate e degli organi di controllo dello Stato per imporre, senza alcuna opposizione, scelte di qualunque natura.»

    «Ma è per questo che abbiamo lottato contro il vecchio regime.»

    «È vero, ma non sottovalutare che in una democrazia, soprattutto quando è appena nata come la nostra, devi misurarti con le proposte e le idee di tanti soggetti politici e sociali che agiscono in rappresentanza dei cittadini, prima di assumere una decisione che valga per tutti.»

    Mariana aveva capito bene la parte in commedia che stava recitando il suo interlocutore, ma un po’ per educazione e un po’ per curiosità, decise di continuare ad ascoltarlo mentre diceva: «Capisco il tuo disappunto, e mi dispiace per come sono andate le cose nella ricerca del lavoro, ma ti posso assicurare che troveremo presto una soluzione».

    Poi, quando sembrava che non avesse più nulla da dire, con lo sguardo da pesce morto aggiunse: «E adesso però, basta con questi problemi così angoscianti, parliamo un po’ di noi, delle nostre vite».

    «Per quanto riguarda la mia, non c’è molto da dire.»

    «Be’, immagino che una donna bella come te abbia il suo bel da fare per tenere testa ai tanti pretendenti.»

    «Se sono qui è perché ho ben altro a cui pensare.»

    «Sai, anche la mia non è tutta rose e fiori.»

    «A guardare come ti sei sistemato, non si direbbe.»

    «Mi riferisco alla vita privata. Ho scoperto che dopo solo due anni di matrimonio mia moglie mi tradiva con un altro e ci siamo lasciati in malo modo.»

    «Sono cose che capitano, purtroppo.»

    «È passato parecchio tempo e non ti nascondo che il bisogno di una donna mi assilla continuamente, credo che tu…»

    «Ma allora» fece Mariana «non hai capito un cazzo di quello che ho detto, o veramente pensi che abbia potuto credere a tutte le stronzate che hai raccontato per cercare di nascondere le malefatte e l’inadeguatezza del gruppo dirigente di cui fai parte?».

    «Ma cosa dici, forse hai capito male, non volevo…»

    «Mi fai schifo come tutti gli altri che ho incontrato e che, come te, hanno tentato di usare il potere per portarmi a letto.»

    Uscì da quell’ufficio sbattendo la porta, amareggiata e delusa ancora una volta, ma con un’idea che, fino a quel momento, non le era mai balenata nella testa: lasciare il suo amato Paese per cercare fortuna in qualche altra parte del mondo. Quasi correndo andò a casa dei genitori di Flora, una cara amica da tempo emigrata in Italia, per farsi dare un recapito a cui poter fare riferimento.

    Appena in possesso del numero di telefono tornò dalla zia alla quale, senza giri di parole, raccontò l’esito negativo del colloquio e la decisione di lasciare la Romania.

    Antonietta trattenne a stento le lacrime.

    «Mariana, sono fiera di ospitare a casa mia una persona così intelligente e ricca di buoni sentimenti, spero tu possa trovare la sistemazione che meriti. In ogni caso, devi sapere che noi saremo felici di ospitarti fino a quando non avrai risolto, nel migliore dei modi, i tuoi problemi.»

    «Ti ringrazio, sei molto buona.»

    «Sono sicura che anche i miei due figli non mancheranno di considerarti una della nostra famiglia.» La padrona di casa corse in cucina dove l’acqua da tempo bolliva in pentola, pronta per cuocere le orecchiette con le rape.

    * * *

    La mattina dopo, all’ora di colazione, con fare materno presenta all’ospite i suoi figli, Giacomo e Francesca, e senza rinunciare a una raccomandazione del tipo:

    «Attenzione ragazzi a non dire sciocchezze, Mariana conosce e parla bene l’italiano. Non credo vi sarà possibile prenderla in giro, come fate con Flora, per la sua improbabile pronuncia».

    Francesca, quasi a voler smentire la madre, abbraccia la nuova arrivata e baciandola le sussurra nell’orecchio:

    «Sei frumoasa», bella in rumeno.

    Entra subito nelle simpatie della destinataria del complimento che sorride scuotendo la testa, proprio per il modo buffo con cui ha pronunciato quella parola. Giacomo invece, com’è nel suo stile, non si scompone più di tanto e con apparente distacco abbozza un saluto di cortesia, anche se la vista di quella giovane donna fa esplodere in lui un tumulto di pensieri proibiti.

    Subito dopo la colazione, mentre i ragazzi escono per andare incontro a un altro giorno di scuola, spensierati e con una certa euforia vista l’imminente chiusura dell’anno scolastico, Antonietta chiama Flora alle prese con la vecchietta.

    «Non ti preoccupare delle faccende di casa, provvederò io a fare tutto quello che c’è da fare, tu vestiti e accompagna Mariana al Centro per l’Impiego.»

    «Cos’è, un supermercato?»

    «Ma cosa dici? È l’ufficio dove si prendono informazioni su come iniziare a cercare lavoro.»

    Il primo approccio con la struttura pubblica non è proprio incoraggiante. L’elenco dei disoccupati è infinito, l’offerta di lavoro pari allo zero, con qualche possibilità solo nel comparto agricolo, soprattutto durante il periodo delle grandi raccolte. Le aziende chiudono una dopo l’altra e al loro posto rimangono le insegne a rendere visibili le tracce di una crisi drammatica. Giorno dopo giorno Mariana vede sfumare i sogni e i progetti che l’hanno spinta a lasciare il suo Paese per adeguarsi all’idea, assai più modesta, di fare qualunque cosa pur di uscire da quella situazione che diventa sempre più pesante da sopportare.

    Così, fra le altre cose, decide di andare a parlare anche con il sindaco del paese, come le ha suggerito Antonietta. Sfiduciata e con poche speranze, Mariana va al comune, dove a riceverla trova un impiegato che fa le veci di segretario del primo cittadino. Si capisce a prima vista che è un galoppino messo lì per filtrare chi far passare e chi no, a seconda della questione che viene posta e dal colore politico di chi la pone.

    Anche per questo, la giovane donna non ha alcuna voglia di raccontare i suoi problemi a quella specie di sbriga faccende, e limitandosi all’essenziale dice: «Ho saputo che il comune sta assumendo personale, vorrei parlare con il sindaco per sapere se…».

    «A essere precisi è la cooperativa che ha vinto l’appalto per l’assistenza agli anziani ad assumere.»

    «Be’, per me non cambia molto, l’importante è trovare lavoro.»

    «Ma lei è per caso un’assistente sociale?»

    «No, io sono laureata in ingegneria elettronica e prima di venire qui ho cercato di trovare un lavoro inerente alla mia specializzazione, purtroppo senza alcun risultato.»

    «Ho capito, ma ha almeno il permesso di soggiorno?»

    «Sì, ho tutte le carte in regola, se servono altre informazioni sul mio conto potete chiederle alla famiglia Pastore che mi ospita da circa un mese.»

    Il galoppino, con uno scatto improvviso, si alza sulla punta dei piedi per sembrare più alto del suo metro e sessanta circa e, con un sorrisetto malizioso e alludendo a cose che nulla hanno a che vedere con il lavoro, risponde: «Signorina, lei potrebbe aspirare a qualcosa di più che a un semplice lavoro di assistente sociale, e non solo per la sua laurea». In ogni caso continua: «Oggi il sindaco non può riceverla, se vuole può tornare giovedì che è il giorno dedicato al pubblico».

    Il sorriso da carogna sfoggiato da quell’impiegato facente funzione di segretario non lascia sperare nulla di buono. Comunque il giovedì successivo, con lo stato d’animo dimesso, senza un filo di trucco e vestita in modo semplice proprio per non attrarre l’attenzione sul suo fisico perfetto, Mariana si presenta al comune.

    Dopo circa mezz’ora di anticamera il solito galoppino, con il tono di chi le sta facendo un favore, la chiama: «Venga signorina, il sindaco la sta aspettando».

    Il primo cittadino è un tipo abbastanza giovane, a prima vista fa una buona impressione. Il suo fisico prestante e le movenze da manager in ascesa proiettano un’immagine moderna, lontana da quei vecchi tromboni che troppo spesso si trovano ai vertici delle istituzioni pubbliche.

    Seduta su una delle due sedie sistemate davanti alla scrivania, Mariana lo ascolta con attenzione, sperando di cogliere, prima o poi, qualche segnale di disponibilità.

    Ben presto però deve accorgersi che chi le sta parlando è solo un giovane rampante senza alcuna competenza amministrativa. Un vero e proprio pallone gonfiato che nasconde la sua ignoranza dietro quell’atteggiamento spavaldo e un po’ arrogante. Atteggiamento, per la verità, assai diffuso tra i rappresentanti della nuova classe politica che viene alla ribalta con la crisi del vecchio sistema partitocratico e la scesa in campo di un noto quanto ambiguo imprenditore come salvatore della patria.

    Appena Mariana fa cenno di parlare, il giovane rampante la blocca con un gesto della mano dicendo: «Non c’è bisogno, il segretario mi ha già detto tutto e conosco perfettamente la sua situazione».

    «Meglio, così mi risparmio di ripetere le stesse cose» fa lei abbozzando un mezzo sorriso.

    «Almeno per il momento però devo dirle che non c’è spazio per inserirla tra le nuove assunzioni, ma le prometto di seguire personalmente il suo caso sperando di poterlo risolvere in un tempo non molto lungo.»

    Lei ascolta sempre più sfiduciata il suo interlocutore che, dopo una breve pausa, quasi volesse riflettere per qualche istante, riprende: «Mi ha detto il segretario, passando più confidenzialmente al tu, che sei laureata in ingegneria elettronica. Si tratta di un titolo forte, mi meraviglia che tu non abbia ancora trovato uno sbocco occupazionale».

    «Per la verità anch’io mi ero illusa che sarebbe stato più facile, dopo la laurea, trovare un posto di lavoro, ma qui sembra che le cose funzionino diversamente.»

    «Senti, adesso che ci penso, potrei chiedere al mio amico che dirige una fabbrica di componentistica per auto a Foggia se c’è qualche possibilità.»

    «Dovrei trasferirmi di nuovo?»

    «D’altra parte, per una ragazza come te, andare a vivere in una città più grande potrebbe voler dire maggiori opportunità e una diversa qualità della vita.»

    «Visto come vanno le cose, non voglio farmi altre illusioni. Per il momento mi basterebbe qualcosa per rendermi autonoma e togliere il disturbo alla famiglia che mi ospita.»

    «Allora, se vuoi, una di queste sere posso accompagnarti e magari approfittiamo dell’occasione per fermarci a cenare in un posto dove si mangia veramente bene.»

    «Non vedo la ragione» fa lei in modo pacato, sperando che il pallone gonfiato colga il messaggio. Ma lui imperterrito continua: «Volendo, possiamo prenderci anche tutta la notte solo per noi».

    E, a questo punto, per rendere ancora più esplicite le sue intenzioni, si ferma all’altezza di Mariana, poggiandole la mano sul collo lungo e vellutato.

    Lei in un attimo s’irrigidisce, come se avesse ricevuto un colpo di frusta all’improvviso. Le viene in mente il burocrate del suo Paese e lo stesso impulso di reagire, ma stranamente stavolta trova la forza per controllarsi. Con fare in apparenza disinvolto gli toglie la mano dal collo, si gira verso di lui e guardandolo fisso negli occhi, con voce pacata, gli risponde: «Tieni le mani a posto e finiscila con questa recita. Mi ero illusa di aver incontrato una persona perbene e invece, ancora una volta, mi tocca prendere atto che voi, uomini di potere, siete tutti uguali».

    Il sindaco, che non si era mai trovato in una situazione del genere essendo sempre riuscito a conquistare la preda senza particolari difficoltà, rimane muto come un pesce. Quando accenna a riprendere la parola la donna è già sulla soglia della porta e, con un gesto della mano come per allontanare un fastidioso moscone, se ne va. Decisa, ormai, a fare qualunque tipo di lavoro, Mariana si ricorda che in paese ci sono altre donne romene che lavorano da qualche parte, ma non sa cosa fanno di preciso.

    Chiede a Flora di accompagnarla da una di loro per informarsi sull’attività che svolgono e se c’è qualche possibilità anche per lei. Senza farselo chiedere la seconda volta, Flora accompagna l’amica in una trattoria al centro del paese dove Lorena fa la cameriera come secondo lavoro. Il primo, infatti, è quello di bracciante agricola impegnata nella raccolta di pomodori.

    Quando Mariana le chiede più precisamente in che consiste questo lavoro, lei con un sorriso, che sembra più una smorfia di sofferenza, risponde: «Cara mia, non è cosa per te. Sei così bella, hai la pelle vellutata, sembri una modella. Quello è un lavoro per donne come me, abituate alla fatica che abbruttisce il fisico e inaridisce lo spirito».

    Nel raccontare il suo lavoro, Lorena descrive una realtà da brivido e, quasi inconsapevolmente, mette in luce una piaga sociale tanto grave quanto antica, come quella del caporalato. Mariana ascolta con curiosità mista a rabbia il racconto di Lorena ma alla fine, non avendo alcuna alternativa e pressata dal desiderio di rendersi il prima possibile autonoma e indipendente, decide lo stesso di tentare l’avventura.

    Si lasciano con l’impegno di rivedersi l’indomani all’alba nella piazza del paese dove passa il caporale a fare la selezione della manodopera da condurre nei campi di raccolta dei pomodori. Quando l’uomo con i baffi folti e gli occhi cattivi come quelli di un felino incontra lo sguardo fiero di Mariana, non esita a reclutarla, senza neanche stringerle il braccio, come fa di solito per misurare la consistenza della forza fisica. Ammassate come bestie e in condizioni di pericolo costante per lo stato fatiscente del pulmino, le donne, tutte le mattine all’alba, vengono condotte al punto di raccolta. Dopo neanche un quarto d’ora di lavoro, piegata in due a raccogliere i pomodori, Mariana si sente spaccare la schiena, bruciare le mani e le gambe tremare. Avverte dolore per tutto il corpo, ma a far male ancora di più è quel senso di umiliazione che le opprime il cervello e la fa piangere in silenzio.

    Sotto lo sguardo vigile dei guardiani al servizio del padrone riesce a resistere per qualche ora. Poi però, appena i raggi del sole si alzano e diventano cocenti, le forze vengono meno, il respiro si fa pesante e, per un tempo incalcolabile, non si accorge più di nulla. Si sveglia su un letto vecchio e ancora disfatto in un salone grande dal soffitto alto, le pareti di pietra viva e pervaso da una puzza di formaggio che fa venire la nausea. È la masseria del proprietario del fondo, nella quale l’hanno condotta per farla rinvenire.

    Appena sveglia si trova davanti un uomo grasso, tarchiato, con gli occhi piccoli e un faccione di colore rossastro, tipico di un mezzo alcolizzato. Con il tono di chi vuole apparire come il padre di famiglia comprensivo e disponibile si rivolge a Mariana dicendo: «Non ti devi preoccupare, non è successo niente di grave, è stato solo un piccolo svenimento dovuto al caldo eccessivo e al fatto che tu non sei abituata a questo tipo di lavoro».

    «Dove sono?» chiede lei. «Sei al sicuro, chi ti sta parlando è il proprietario dell’azienda e, se fai quello che ti chiedo, non avrai alcun problema.»

    Mariana non lo degna neanche di uno sguardo, ancora mezza intontita si alza di scatto e, senza dire una parola, si allontana con la sgradevole sensazione di avere incontrato un essere spregevole. Riprende a lavorare a un ritmo assai più lento delle altre, ma almeno per il resto di quella interminabile giornata nessuno le chiede di fare di più.

    Quando in serata Antonietta la vede rientrare con il viso bruciato dal sole e le mani in più parti graffiate e sanguinanti, come una madre spaventata e affettuosa la stringe a sé scongiurandola di rinunciare a quel lavoro così massacrante. «Che bisogno c’è di fare questo?» le dice quasi piangendo. «Da qui nessuno ti caccia, noi ti vogliamo bene e non devi sentirti in alcun modo obbligata. Puoi prenderti tutto il tempo necessario per trovare un lavoro più adatto a te.»

    Mariana si è sentita rincuorata dalle premure e dal calore umano di Antonietta, ma sa che la realtà è un’altra e con quella deve fare i conti. Così, l’indomani all’alba, come tutte le altre è in piazza ad aspettare il caporale.

    Con il passare dei giorni il comportamento dei guardiani diventa sempre più rude anche con lei che, con freddezza, comincia a capire in che inferno è capitata. Quello che Mariana scopre è un ingranaggio assai complesso e pericoloso, azionato da uomini violenti che non si vedono, ma che agiscono con mano pesante per occupare spazi sempre più ampi in settori non secondari dell’economia locale e nazionale.

    In questo ingranaggio il caporale è solo l’anello più visibile di una catena che lega interessi corposi e di dubbia legalità. Proprio in nome di questi interessi le donne sono trattate come schiave e costrette, con la forza, a soddisfare la fame sessuale di uomini malvagi.

    Spesso infatti le più stimolanti sessualmente entrano nel mirino del proprietario che prima di qualunque altro suo sottoposto ha il privilegio di scegliersi quella che più gli piace. Mariana, con la bellezza e l’avvenenza delle sue curve, sembra la preda predestinata per l’uomo che comanda e decide come devono andare le cose. Tutti quei tipacci che controllano l’andamento del lavoro se la divorano con gli occhi e fanno sogni proibiti mentre lei piegata raccoglie i pomodori, ma nessuno di loro può toccarla, neanche con un dito. Proprio per la rabbia di non poterla toccare a volte si inventano cose inaudite per dare sfogo ai loro istinti animaleschi. Sovente capita che quando la zona di raccolta è in pendio la costringono, insieme alle altre, a lavorare con il viso rivolto a valle per farle mettere meglio in evidenza il suo inconfondibile fondoschiena, l’oggetto del desiderio di quei farabutti. Lorena, che non è stupida, si accorge delle attenzioni che vengono rivolte alla sua connazionale e, conoscendo come funzionano le cose in quel posto, la mette in guardia avvisandola: «Prima o poi, come già hanno fatto con altre, ti chiameranno per portarti alla masseria».

    «A fare cosa?» fa lei, simulando una certa ingenuità.

    «Lì troverai il mostro che in un primo tempo cercherà di prenderti con le buone e poi, se ti opporrai, passerà alle maniere forti fino a quando non cederai.»

    «Non è detto che…»

    «Guarda che sono delle bestie capaci di tutto, fai ancora in tempo a uscire dall’inferno rinunciando, da domani, a questo sporco e maledetto lavoro.»

    Mariana è consapevole del rischio che corre, ma ne ha passate già tante nella sua giovane vita per darla vinta anche a quei bastardi. Così, più per una questione di principio che per altro, decide di non dare ascolto alla sua collega.

    Il giorno dopo però, alle poche cose che porta con sé nello zaino da lavoro, aggiunge un coltellaccio, uno di quelli che Antonietta usa in cucina quando deve tagliare a piccoli pezzi le parti d’agnello o di altri animali che le portano dalla campagna. Come previsto, dopo qualche giorno, mentre Mariana si rompe la schiena a raccogliere i pomodori, uno dei tanti guardiani si avvicina e quasi gridando la chiama:

    «Ehi tu, ce l’ho con te».

    La ragazza finge di non essere lei la persona a cui si rivolge.

    «C’è bisogno di te per un lavoro diverso alla masseria.»

    Sente già il sangue bollire nelle vene, svuota il secchio pieno dei pomodori nella cassetta poco lontana, prende lo zaino e si avvia scortata da lui verso la masseria. Qui trova il mostro che l’aspetta seduto sulla sponda di quel letto sudicio e sempre disfatto, in canotta e pantaloni corti; è una stomachevole palla di lardo. Abbozza un sorriso che mette in mostra una dentiera ingiallita mentre si sforza di sfoggiare l’espressione più affabile che possiede nel suo squallido repertorio di stupratore. Quando Mariana è abbastanza vicina e il guardiano che l’ha accompagnata è sparito, esordisce: «Ecco la nostra giovane dipendente, vedo che ti sei ripresa bene».

    «Se lo dice lei» fa Mariana.

    «Ti trovo ancora più bella con questa abbronzatura che contrasta col pallore di quando sei svenuta.»

    «E io invece ancora non ho capito cosa sto a fare qui.»

    «Ti ho fatta chiamare per dirti che ho preso qualche informazione su di te e ho saputo che sei una ragazza seria, con una laurea

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