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ombre dal passato
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E-book236 pagine3 ore

ombre dal passato

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Info su questo ebook

-Sono stato uno schiavo di sesso, di sangue. Ho sofferto in silenzio piegando la testa. Sono stato alla mercé di persone sadiche e violente, persone senza scrupoli. Ho vissuto l'inferno in terra, mentre mia sorella, la mia amata sorella viveva gli albori della sua sovranità. Le violenze sono solo ricordi dolorosi sulla mia pelle. Un chiodo fisso sempre vivo nella mia mente...Vendetta!

Avrei sacrificato la mia intera esistenza al fine di vendicarmi, vendicare l'abbandono da parte dell'unica persona che ha sempre promesso di "rimanermi accanto" -
LinguaItaliano
Data di uscita1 apr 2016
ISBN9788892587045
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    Anteprima del libro

    ombre dal passato - Sebastian Da

    Note

    Ombre dal Passato

    Sebastian Da

    La presente opera è protetta dalle leggi vigenti

    sui diritti d'autore.

    Nessuna parte di essa può essere riprodotta

    in tutto o in parte senza

    l'espressa autorizzazione scritta dell'Autore.

    Tutti i diritti riservati.

    La presente opera è frutto della fantasia dell'autore.

    Qualsiasi analogia con persone, eventi e luoghi

    descritti è da ritenersi del tutto casuale.

    Edizione: febbraio 2016

    Titolo originale:Ombre dal Passato

    ©2016 by Sebastian Da

    Proprietà letteraria e artistica riservata

    Progetto grafico di copertina: Se@DaGraphics

    Revisione

    a cura di

    O. Gnecchi

    Scorpions

    Walking down the street

    Distant memories

    Are buried in the past forever

    I follow the Moskva

    Down to Gorky Park

    Listening to the wind of change.

    -Wind of the Change-

    Qui, nel maniero

    In questi luoghi spogli

    io ti compiango

    con calici odorosi

    di crisantemi.

    Fra le rocce la soglia

    ha saloni dipinti

    vermiglie torri

    con aromi di nove veli.

    Stormiscono le guglie

    alle due rive

    e mi riprende il pianto

    a ridestarmi.

    Nel fondo

    è l'urlo delle acque

    il frastuono dei flutti

    col tuono di mille gole.

    Io ti compiango

    e non m'avvedo

    tra le campane

    ultima voce.

    - Silloge Gotica -

    Giuliana Guzzon

    PARTE I

    1.

    L’uomo aprì gli occhi con noncuranza, quasi non avesse voglia di svegliarsi e di ritornare al mondo reale. Sentì il picchiare della pioggia contro i vetri delle grandi finestre che non erano ancora state coperte dalle pesanti tende damascate. Si scostò lentamente dal corpo di una delle due donne che giacevano inermi sul suo letto. Intontito dalla notte precedente, Jean, aveva esagerato ancora una volta. Sesso, alcool, droga e sangue fresco, lo avevano stordito.

    Sorrise al pensiero degli anni passati senza alcun mutamento. Non ricordava quasi nulla di quello che era successo la notte precedente; i pochi flash riguardavano i momenti in cui aveva adescato le due bambole di silicone nella sala Vip del Casta Nera.

    Ci pensò un attimo. Che fossero state loro ad averlo adescato? Non lo ricordava e francamente non gli interessavano i dettagli, come non gli importava sapere se quelle due fossero ancora vive oppure morte. Si sentì infastidito: non voleva quell’immondizia nella sua camera, sul suo letto.

    Eh, sì! Mio caro Jean, la devi smettere con questa robaccia… pensò fra sé.

    Ai suoi tempi, le donne si prostituivano per denaro, fame o miseria; adesso, invece, lo facevano per avere un cellulare di ultima generazione, un capo firmato e una quantità smisurata di silicone utile a modificare il loro corpo.

    Nella penombra della camera da letto, si domandò il perché di questa regressione da parte dell’essere umano, nonostante l’avanzare del progresso. Rise dei suoi stessi pensieri, a lui non importava un cazzo dell’essere umano.

    Ricordò sua madre, Juliette, una donna bellissima prima che l’alcool la rendesse una schiava.

    Rammentò un episodio piacevole, quando, con Adelaide, giocava nel piccolo e angusto giardinetto dietro casa. Vedendo arrivare la madre, le correvano incontro a braccia aperte, accogliendola urlando: «Mamma, mamma!»

    La donna si gettava a terra e, a braccia aperte, li salutava: «Oh, eccoli qua i miei tesori! Siete stati bravi anche oggi?»

    Adelaide guardava di sottecchi il fratellino e, con un sorrisino malizioso, rispondeva sempre allo stesso modo: «Siamo stati bravissimi.» Anche se in cuor loro erano consapevoli di aver commesso certe marachelle. I due sapevano che la madre portava dolci dalla casa del Conte Polignèau dove faceva la serva e non solo.

    «Allora, se i miei tesori sono stati bravi, avranno una bella sorpresa dopo cena. Adesso entriamo in casa, dai.»

    Juliette preparava la cena mentre Adelaide e Jean giocavano, poi tutti insieme sedevano a uno sgangherato tavolo e, con la compagnia della luce di una candela, consumavano la cena e infine mangiavano i dolci che la madre aveva portato loro in dono.

    Jean tornò al presente dopo aver udito dei colpi alla porta; sapeva chi era: ne aveva fiutato l'odore.

    «Avanti.» disse con voce atona.

    Entrarono tre donne incappucciate, coperte fino ai piedi. Le larghe tuniche nere erano strette in vita solo da una cintura fatta di filamenti in oro intrecciati. Erano le Guaritrici. Jean non conosceva il loro aspetto fisico. Sebbene fossero al suo servizio da sempre, non aveva mai visto nient'altro che le loro mani bianche e udito le voci dolci e delicate. Quella che secondo l’istinto di Jean parlò per prima, doveva essere la più vecchia delle sorelle.

    «Padrone, perdonaci, non sapevamo che non fossi ancora pronto.»

    Jean le guardò stupito. "Pronto per cosa?" pensò. Chi le aveva chiamate? Si maledisse! Perché diavolo si ostinava a bere sempre così tanto sangue da stordirsi in quella maniera.

    Si rese conto di essere nudo. Un forte imbarazzo si fece strada in lui. Le Guaritrici gli stavano davanti, conoscevano il suo corpo, ma la loro castità continuava a essere, per lui, causa di disagio. Figurarsi davanti a tre che, sottostando alle antiche leggi della loro casta, erano anche vergini. Jean, trovandosi al cospetto di quelle donne, tornò indietro con i ricordi.

    «Jean? Jean, svegliati amico, ci sono le Guaritrici…»

    La voce di Viktor, l’amico fedele, arrivò da lontano, come se stesse parlando da dentro una caverna.

    «La Padrona sta dormendo. Io e Krum abbiamo pensato di scendere qui giù, abbiamo visto quello che ti ha fatto quella maledetta puttana insieme al suo amico Nikolaj.»

    Krum era rimasto fuori dalla cella, per accertarsi che altre guardie della Padrona non arrivassero a controllare. Aveva pagato a caro prezzo, con il proprio corpo, la libertà di soccorrere l'amico. Ma i Lycan erano animali senza guinzaglio, imprevedibili come bestie feroci. Non provavano rimorso. Anche se Jean era come un amico, un fratello per loro. Non potevano non aiutarlo.

    Jean era inerme sul letto, privato di ogni forza; il corpo martoriato da morsi e sevizie, da acqua santa e catene d’argento. La notte era stata molto lunga. La Padrona e il suo amico Nikolaj, insieme ad altri ospiti del castello, si erano accaniti come api sul miele. Avevano violentato e torturato quell’uomo, per il solo gusto di farlo. Se solo fosse stato umano, non avrebbe retto più di un’ora. Quelle cicatrici avrebbero lasciato il segno per tutta la vita, non solo sul corpo, ma anche nel profondo, di quelle che ti segnano per l’eternità, quelle dell’anima, che non si possono cancellare.

    Aprì gli occhi, quel poco che bastava per non sentire il dolore lancinante alle tempie. Davanti a lui, le tre donne incappucciate e vestite di nero. Nessuna di loro parlava, sembrava non respirassero neanche. In silenzio si avvicinarono e, con fare delicato e gentile, iniziarono a pulire il corpo del vampiro con balsami profumati e unguenti. Coprirono le ferite con bende pulite. Jean si sentì bruciare, ma per rispetto verso la sua mascolinità e verso le tre donne, che stavano rischiando la vita per quel gesto di puro altruismo, si impose di tacere e di sopportare il male ancora una volta, in silenzio. D'altronde, ormai, per lui era quasi un’abitudine.

    2.

    «Ah, Guaritrici, vedo che siete già arrivate!»

    Viktor entrò nella stanza senza neanche chiedere il permesso, si avvicinò al letto, guardò i corpi delle due ragazze, poi il suo amico che parve perso nel nulla. Jean lo guardò e chiese con voce calma, ma anche con spaventosa fermezza: «Mi spieghi, di grazia, cosa sta accadendo?»

    Viktor sogghignò. Vedere il Padrone imbarazzato era davvero una scena divertente. Così, con un leggero sorriso sul volto, si chinò leggermente su di lui e disse: «Non ricordi nulla della notte scorsa, vero?»

    Jean stava per perdere la pazienza ma doveva stare calmo. Trovare tutti i tasselli del puzzle, era importante. Avrebbe potuto dare di matto senza problemi in seguito, magari spaccando proprio il bel viso dell’amico. Lo guardò negli occhi e, con un ghigno di rabbia, rispose deciso: «NO!» Chissà se era stato chiaro. Cercando di non lasciare che la rabbia gli montasse dentro ulteriormente, continuò: «Non ricordo nulla. Ora, se non ti dispiace, potresti illuminarmi? Visto che sei così divertito, forse potrei ridere anche io…»

    Per Viktor, quella somigliava a una richiesta di aiuto da parte del suo Padrone. Cercò di spiegargli quello che era successo. Sperando che non si incazzasse prima della fine.

    Jean si trova nel privé del suo locale, seduto alla solita poltroncina in pelle rossa. La gente che affolla la sala è quasi tutta umana, i suoi due migliori amici sono con lui. Krum si sta sbattendo una rossa dai capelli molto corti. Le ha legato le mani dietro la schiena. La ragazza ha il viso poggiato sul tavolino in maniera poco educata, lui, da dietro, le pompa dentro tutta la sua mascolinità. È ubriaco come quasi tutte le sere. Jean sorride tranquillo, pensa che sono ragazzi e per tanto si devono divertire. Viktor ha la testa riversa all’indietro, gli occhi quasi animali, il respiro affannato, la voce gutturale. Tra le mani stringe una bottiglia di Diva Vodka, una delle più costose e rinomate in commercio. Mentre una brunetta, tutta plastica e piena di tatuaggi, succhia con avidità la sua erezione. Annoiato di tutto, Jean si alza dalla poltrona ed esce nella notte. Sta andando al posto segreto. Incontrerà la sua Mistress.

    «Quando sei tornato, eri conciato maluccio. Così ti ho trovato queste due bambole di plastica per nutrirti, vi ho lasciati soli per tutta la notte. Solo questa mattina, quando sono venuto a controllare che fosse tutto a posto, ho pensato di chiamare le Guaritrici. Nonostante tu ti sia nutrito, le tue ferite non sono guarite.» raccontò Viktor. Non sopportava le scappatelle di Jean e, tutte le volte che ne aveva l’occasione, gli faceva pesare il suo parere. Avrebbe preferito che l’amato amico dissanguasse l’intera popolazione della Louisiana, piuttosto che saperlo fra le mani di quella donna. Quando Jean rincasava, l’odore che si portava dietro gli dava la nausea, e poi non sopportava quello che gli faceva. Ne aveva passate così tante al castello, non c’era bisogno di farsi torturare in quella maniera.

    Jean non voleva crederci, le parole di Viktor furono come uno schiaffo in pieno volto. Si era ripromesso di non vederla più. Evidentemente, non aveva seguito il suo stesso consiglio. Accidenti a lei! Era brava. Il sesso sadomaso consumato con lei era liberatorio. Quello che però dava fastidio all’amico erano i tagli, il sangue e le nuove cicatrici che sarebbero guarite, certo, però erano dolorose dal punto di vista psicologico.

    «Beh, non c’era bisogno di chiamare le Guaritrici, tecnicamente queste ferite guariscono in fretta.»

    Guardò l’amico e lesse una punta di delusione in quegli neri come la notte. I fratelli Viktor e Krum erano davvero i suoi migliori amici, sapeva che avrebbero fatto di tutto per lui. Jean capì di aver detto qualcosa di sbagliato. Voleva mantenere un certo tono di comando all’interno della sua famiglia ma, proprio con lui, l’unica persona che si era veramente presa cura del suo dolore, non riuscì ad essere cattivo. Così, celando lo sguardo dietro alla montagna di lunghi capelli neri, con un filo di voce disse: «Comunque, grazie. Come sempre.»

    Il servo fedele chinò il capo, Jean lo aveva ringraziato.

    Le tre donne continuarono a fissarlo senza proferire parola, i volti ancora celati dai cappucci neri. Giorno dopo giorno, cresceva in Jean un’insana voglia di strappare via quei travestimenti e scoprire chi vi si nascondesse sotto. La Guaritrice più anziana era elegante nei modi, persino quando si rivolgeva al suo Padrone.

    «Mio Signore, se non ti arreca alcuna offesa, vorrei chiedere al tuo servo di poter spostare i corpi delle due donne, così da poter iniziare il nostro lavoro.»

    Le conosceva da sempre. Quando sua sorella Adelaide aveva liberato la Razza dalla schiavitù ed era diventata la Sovrana, abbandonandolo a se stesso nelle segrete del maniero di Giselle, solo Viktor, Krum e le Guaritrici si erano presi cura di lui. Nonostante Jean era il Padrone delle loro vite e della loro libertà, sentiva che doveva molto alla sua gente, ecco perché sarebbe dovuto essere lui il Padrone indiscusso della Razza. Lui avrebbe saputo governare in maniera equa, avrebbe protetto chi gli era stato fedele.

    Jean guardò il cappuccio nero davanti a sé e, senza distogliere lo sguardo, ordinò al suo servo e amico di soddisfare la richiesta appena fatta dalla donna.

    «Viktor, hai sentito il volere della nostra Guaritrice?» Poi, con flemmatica noncuranza, si voltò a guardare i corpi e, dettando un nuovo ordine al servo, aggiunse: «Fammi un favore: getta via quest’immondizia, ormai non servono più a nulla.»

    Viktor uscì dalla stanza con i corpi senza vita delle due malcapitate; ormai, sbarazzarsi dei giocattoli vecchi del suo Padrone, era diventato un lavoro di routine.

    Bello come un dio, Jean era anche letale come il peggiore dei predatori. Il fisico pareva scolpito nel marmo più pregiato, la sua pelle ambrata come le sabbie del Sinai, i lunghi capelli neri scivolavano sulle possenti spalle che parevano essere disegnate da un pittore. Gli occhi tenebrosi, dello stesso colore dell’oro, brillavano alla luce artificiale degli abat-jour accesi. Solo una cosa deturpava quello splendido viso da adone. Una lunga cicatrice che partiva dal sopracciglio destro e scendeva giù, sino al mento.

    Le tre donne chinarono ancora di più il capo alla presenza di quella statua fatta uomo, facendo spuntare, sul viso deformato dalla cicatrice, un sorriso compiaciuto. Non era solo il capo del Casta Nera e Padrone assoluto della cerchia di animali letali che lo circondavano, ma era anche un uomo dal fisico e dal fascino indiscusso, non vi era essere vivente che non lo desiderasse. Jean, completamente nudo di fronte alle tre donne, si mosse flemmatico e rivolse loro un sorriso elegante, si congedò da loro dicendo: «Signore, con il vostro permesso, vorrei prima poter fare una doccia calda, dopo sarò tutto vostro…»

    Non ne fu certo, ma immaginò le tre donne arrossire sotto i cappucci neri.

    3.

    «Marinette? Ma che cosa…»

    La donna si girò e, veloce come un fulmine, nascose il capo con il cappuccio nero. Cerridwen entrò nella cella con la terza sorella al seguito, le mani occupate da catini, unguenti e bende pulite. Carman sorrideva sorniona, Marinette stava facendo quello che tutte e tre avrebbero voluto fare da tempo: togliere il cappuccio, mandare al diavolo la loro castità e perdersi nei piaceri della carne insieme a quel prigioniero. Ma Cerridwen era ferrea sulle regole che vigevano sulla loro Casta.

    «La prossima volta che ti vedrò fare una cosa del genere ti farò punire.» ammonì la sorella minore.

    Cerridwen era la più anziana, il loro compito era preciso, non dovevano fare altro che guarire chiunque avesse avuto bisogno di cure. Avrebbero passato l’eternità a desiderare un uomo, senza distogliere l'attenzione dal proprio dovere. Marinette e Carman non erano d’accordo su questo loro stato di servitù e purezza, imposto dalla Casta, ma sui doveri non si discuteva. Se fossero arrivate delle voci alle orecchie dei membri delle famiglie protettrici, a proposito della disobbedienza, la prima cosa a saltare via sarebbero stati gli occhi. Marinette, con dispiacere, calò sul capo il cappuccio nero e, con un sospiro, si coprì il volto in modo che nessuno potesse mai più vederlo. Cercò di scusarsi per il gesto inconsulto, avrebbe tanto voluto ribellarsi a quelle regole, ma era una schiava, anche se veniva chiamata Guaritrice. Doveva solo obbedire e tacere.

    «Non ho fatto nulla di male, volevo solo guardarlo. Invoco il tuo perdono sorella, prometto di non mancare mai più di rispetto alla mia condizione sociale.»

    Un profumo di orchidee nere si addensò nella stanza. Jean uscì dal bagno con indosso solo un asciugamano legato ai fianchi. I lunghi capelli, ancora bagnati, stillavano sulla pelle scura e sul viso; i muscoli, imperlati dalle gocce di acqua, luccicavano come brillanti sotto la luce fredda del

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