Prima che c'incontrassimo
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Una donna eterea dalle sembianze normali, fiduciosa del fatto che rivivendo situazioni di vite passate possa giovare al suo futuro ma soprattutto al suo presente, prende parte a un seminario del famoso psichiatria Brian Weiss.
Chi ha incontrato e incontrerà sempre? Chi non potrà più incontrare?
Interrogativi, perplessità, questioni, dubbi, che permettono di creare nel lettore quelle domande che vanno all'essenza del vivere, al significato più nascosto e misterioso della vita stessa, e del come viverla nella sua autenticità."
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Anteprima del libro
Prima che c'incontrassimo - Daniela Montanari
Indice
Prefazione
Il principio
Campagna dell’Emilia
Bassa pianura bolognese
Lione (Francia)
Bologna – Verona
Riccione, Romagna
Nel mezzo
Ospedale da campo
Lione (Francia)
Verona – Bologna,
Riccione, Romagna
L’unione
Campagna dell’Emilia
Invictus
Riccione, Romagna
E poi…
Il compimento
Ultimo giorno di vita
Sono quella che sono
Note dell’autrice
Bibliografia
Ringraziamenti
Titolo: Prima che c'incontrassimo
Autore: Daniela Montanari
Editore: Temperino rosso edizioni
Prima edizione 2015
© 2015 Temperino Rosso Edizioni Fortini
ISBN 978-88-98894-28-4
Che il tuo cammino e il mio
possano coincidere
sempre.
Le orme confuse e intrecciate
e le ombre della sera
come una sola.
Prefazione
La protagonista di queste pagine, di questo appuntamento con la vita, è una donna di spirito. Non perché reagisca sempre ridendo alle situazioni, semplicemente l’io narrante è evanescente, incorporeo, indistinto. La mia donna velata che attraversa i tempi dell’adesso e dell’incredibile, che si introduce furtivamente in un passato moderno e in un futuro incerto, è una donna che voi non conoscete ancora, a cui mai prima d'ora avete avuto il piacere di stringere la mano. Abita lontano da qui e contemporaneamente vicino, segue le leggi della fisica quantistica. Se il pensiero è intriso di disperazione, o passione, o amore, o felicità e di un sentimento potente, la sua stessa forza secondo le medesime leggi, crea situazioni differenti ma contemporanee, definite a tal proposito anche da Zeland come Lo spazio delle varianti: cambiando il modo di vivere il tuo presente cambia anche il tuo passato, e quindi ti si prospetta un differente futuro mai immaginato. La donna velata è perciò QUI. Ma anche LA’.
Tutto questo per dire che non è la mia storia seppur le si avvicini il senso, e il consiglio che posso dare mentre state per compiere un viaggio in questi luoghi lontanissimi dentro di voi, è quello di darvi una possibilità: se foste già vissuti chi sareste stati? Quale lesione emozionale vi ha feriti, che ora non ricordate, arrecandovi questa o quella incomodità? Se vi ritroverete in qualche parola, disegno emotivo, fotografia animica, allora per me sarà valsa la pena di scrivere. Se desidererete percorrere cammini per raggiungere nuovi luoghi con l’acceso desiderio di incontrare un po’ del vostro ritratto antico mi vedrete sorridere: per la felicità di avervi corrotti. Di aver corrotto l’inamovibile self-control che non ci permette più di viaggiare avanti e indietro nel tempo come invece sapevamo fare quando eravamo tutte amebe senza età e stregate dalla luna.
Il principio
Ospedale da campo
Settembre 1944
La scena inizia con uno sparo, forse più colpi che non vacillano colpendo con mira il bersaglio. Non vedo chiaramente. Ho l’impressione di essere io a non voler vedere, ma sono qui e qualcosa devo pur apprendere. Inspiro, espiro, sento come se la testa mi dondolasse appena. O forse è quello che in essa è contenuto che straborda di qua e di là come un liquido poco arginato e denso.
Tre, due, uno, la scena è più nitida.
Lavoro in questo ospedale da campo da molti mesi. E’ un record, non si potrebbe: tre mesi al massimo e poi occorre osservare un periodo di riposo, quindi il rimpatrio. O comunque auspicarsi il trasferimento. Vivo questi giorni come la mia rivincita personale verso la guerra, questa mietitrice di vittime che falcia cuori impietriti senza sosta. Il Maggiore, quando viene a farci visita, insiste perché me ne torni a casa. Mi vorrebbe vedere, lui dice, sposata e madre felice di tre o quattro bambini. Dice che la guerra non fa per me poiché col tempo mi renderebbe immite. Parla lento, respira profondo anche quando fuma la sua immancabile pipa, e il timbro della voce è rassicurante mentre usa un linguaggio astruso. Doveva fare l’insegnante, e in un certo senso lo è; tutti i soldati lo temono e nessuno parla male di lui, del Maggiore. Quando non c’è lo chiamano l’Etrusco, non so se è un nome in codice oppure se i soldati sfogano la frustrazione con queste etichette. Io mi rivolgo a lui con: Maggiore senta? - La ringrazio Maggiore – Maggiore la prego
- non tanto per il fatto che potrebbe essere mio padre, ma perché mi cedono le ginocchia quando arriva: inizio a sistemarmi nervosamente il grembiale, a deglutire, a pensare cosa riferirgli e cosa no, mi sudano le mani, insomma mi mette soggezione. Prendermi cura di ferite così evidenti in uomini marchiati, scossi da ricordi che non se ne andranno mai più, mi ha cambiata. Quando ero piccola camminavo scalza con i capelli sempre sul viso, felice di essere spettinata e sicura che avrei fatto l’esploratrice: volevo ad ogni costo imparare a leggere e a scrivere per codificare tutti i boschi, montani e marittimi; io sola avrei voluto scoprire i sentieri, mettere nero su bianco nei testi per pionieri e ora invece scandaglio gli animi alla ricerca di un barlume, fosse mai rimasto, di salute. Salute emotiva, seppur febbrile. Sul muro della camerata degli infermi non gravi, proprio lì davanti ai miei occhi ogni volta che sollevo le palpebre come a cercare la pace suprema, quella scritta sul muro mi rimbalza tra petto e gola:
"La fede dei santi
e la luce della scienza vegliano
la resurrezione degli eroi".
La calligrafia è incerta ma il senso tutt’altro, poiché di eroica resta solo la voglia di tornare a casa. Se non bussa più alla porta nemmeno quella, si è un’anima alla deriva. Anima, eroi, casa. Parole troppo aristocratiche in questa miseria di fronte, eppure se resta una fioca luce per un’ora oltre il tramonto, rubo questo tempo ai feriti pur di annotare parole e sogni. Li leggerà qualcuno? Non so dire, non è mio desiderio tanto il fatto che in un’altra vita qualcuno le legga, quanto piuttosto se mi salverò, se ci salveremo. Sarò in grado di preservare queste pagine e me stessa? Sarò in grado di mettere in salvo queste pagine da me stessa? Non so perché ho questo timore, ma non potendo disegnare il prospetto di una fitta boscaglia