Twins Obsession
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Info su questo ebook
Un’ossessione, come una specie di apnea, dalla quale a tratti sembra fuoriuscire e in altri momenti ricadere come un peso morto, ma sarà proprio il dialogo con il suo diario a mostrarle faccia a faccia i suoi più profondi tormenti fino ad arrivare a scoprire la verità su una inquietante storia.
La storia di se stessa e dell’indimenticabile legame con Ida, la persona più importante della sua vita.
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Anteprima del libro
Twins Obsession - Francesca Ghiribelli
riservati
PREFAZIONE
Questo romanzo è nato da un’idea particolare, quasi inspiegabile: il tutto è scaturito da un’ispirazione improvvisa giunta come una tempesta fra anima e cuore.
Un romanzo che si discosta completamente dai soliti generi a cui mi dedico da tempo. Non so per quale motivo sia stato partorito con foga dalla mia immaginazione, ma il personaggio di Sara voleva impadronirsi della mia penna e così è stato.
Un genere difficile da definire e da catalogare, lo descriverei come una forma di diario epistolare dedicato a una persona speciale ed essenziale per la protagonista. Un attaccamento quasi morboso e letale per la sua stessa identità e per il suo stato di salute mentale e fisico. Una specie di libro psicologico e paranormale con funzione-denuncia della follia e dei dubbi di una mente travolta da un confuso senso di colpa che soltanto, pagina dopo pagina, riuscirà a trovare la verità per la protagonista stessa e per tutti i lettori, i quali potrebbero finire invischiati in questa trama alquanto singolare.
Una storia dai toni gialli, ma soltanto nel senso psicologico del termine. Una donna che riuscirà a riconoscersi attraverso una terapia scritturale e a ripercorrere, passo dopo passo, quella sorta di apnea interiore che sovraccarica la sua realtà di un universo onirico
, a sua volta scosso da un subconscio gotico e al contempo in parte razionale.
Mi auguro di riuscire a emozionare i lettori almeno la metà di quanto mi sia emozionata io nel curarne la stesura.
Fra le righe, chi legge può riflettere e comprendere quanto la mente umana sia misteriosa e su come sia capace di celare anfratti apparentemente invisibili, per poi invece lasciarli sfociare in qualcosa di così terribile da provocare un brivido lungo la schiena.
Spero che questa mia piccola e umile creatura
possa restare in un minuscolo angolo del vostro cuore o della vostra mente, facendovi trascorrere qualche ora o qualche minuto in compagnia della mia creatività o folle immaginazione, come preferite definirla.
Buona lettura!
L’autrice
Capitolo 1
Cara Ida, ti scrivo in un turbine di idee, mentre sono sopita in questa mia storia che ha un inizio, ma non so bene come e dove finirà.
Stamattina mi sono alzata presto. Altre volte dormo fino a tardi, quasi senza sapere se fuori sia già giorno o ancora notte. In fondo, che mi importa? Non ha alcuna differenza, sono come imprigionata fra queste mura quasi composte da spine di rose, che nella mia vita mai ho colto.
Mi alzo, non rifaccio neanche il letto. Non so cosa mi prenda, ma per me è normale essere così. Sì, così spenta e apatica; anzi, direi noiosamente normale. Mi dirigo in cucina, scaldo una tazza di latte e lo ingurgito da solo, senza neanche qualche biscotto o quei dannati corn-flakes.
Non so neanche cosa siano, visto che non li ho mai comprati.
Ti chiederai, piccola mia, come faccia a sopravvivere a questa vita da barbona
abbandonata al mio destino. Tuttavia non sono una barbona nel vero e proprio senso della parola, perché mangio quel poco che mi basta (infatti faccio solo una volta al mese un bel rifornimento di latte e carne) e ho il mio numero di vestiti da mettere... in fondo bastano e avanzano quelli che ho. A che mi servirebbero costosi abiti o eleganti mise? Per andare dove? Possiedo comodi jeans larghi e felpe corredate da soffici cappucci che mi proteggono dal freddo di questa cittadina di provincia, sempre così nebbiosa e malinconica. E anche il cambio di armadio non è più quello di un tempo, le mezze stagioni non esistono più e per l’estate mi bastano una semplice canotta e un paio di shorts comodi per starmene in casa o girellare in giardino in perfetta libertà.
Non sai quanto mi manchi, cara Ida. Sei stata il mio tutto
, il mio dannato per sempre
che è durato troppo poco, il mio caldo cappotto d’inverno che stringevo forte quando mi sentivo troppo sola e abbandonata a me stessa; eri il mio raggio di sole anche quando la neve cadeva a fiocchi invisibili ed eri il cucciolo da sfamare per dare senso alla mia esistenza.
Sei sparita troppo presto. Non so dove tu sia andata, ma sei volata via per un tempo di cui non vedrò mai la fine.
Dopo la breve e magra colazione accendo la radio, ma lo faccio raramente, perché quel contrasto di suoni mi mette in confusione, mi soffoca in uno stato d’ansia impressionante: di solito tutti si rilassano con la musica, a me fa l’effetto contrario. Forse perché sto eternamente da sola e non riesco a sopportare anche soltanto il rumore di una presenza non umana dentro le mura della mia casa.
Ah, a proposito, non so se sia mia, ma mi sono ritrovata confinata in queste stanze e credo sia stato il destino a mandarmi qui... Qui, in una piccola città spersa nella glaciale nebbia di una provincia fatta di densa boscaglia e sinistri rumori tutt’intorno, che dovrebbero tenermi compagnia ma che mi spaventano e mi incitano a rinchiudermi ancora una volta dentro la mia tana.
Solo ora ho compreso il motivo per cui odio tanto ogni tipo di rumore e quella dannata musica: al posto di quella cascata assordante di suoni vorrei tanto poter sentire ancora la tua dolce e rassicurante voce.
Sai, a volte mi viene da piangere disperatamente, dentro di me un vuoto enorme che non so colmare, non soltanto perché mi ritrovo sola e sperduta fra le vie della vita, ma perché ti sento in qualche modo vicino a me e non posso vederti. Non riesco più a ricostruire la mappa del tuo volto senza che una lacrima mi solchi la guancia.
Chiudo gli occhi e un nodo forte alla gola mi dice che, per quanto il tuo ricordo sia onnipresente, è già molto lontano nel rimembrare la chiara fisicità dei tuoi tratti somatici.
Com’erano le tue labbra? Sempre più spesso, ultimamente, mi guardo allo specchio per ridisegnare i contorni ormai sbiaditi di una memoria sempre più sepolta dal peso degli anni. Sfioro la vuota pienezza della mia bocca e, se all’inizio mi sembra di ritrovare un solo accenno di te, alla fine mi perdo fra le linee incomprese di un’illusa somiglianza con ciò che solamente tu potevi davvero essere. Ed è proprio lì che ricordo le tue labbra, sempre ricollegabili a un sorriso incancellabile al di là del tempo; perché eri unica nel tuo intercedere sognante. Mentre tutto andava avanti, tu restavi ferma nel tuo etereo simposio di carezze, che mi donavi anche quando non le meritavo. Quando tutto il mondo era cattivo tu, più piccola di me, mi regalavi il tuo incoraggiante sostegno, perché il tuo cuore splendeva di coraggio e la tua anima disegnava speranza per ogni anima perduta sulla strada dell’odio. Mi guardavi come una madre dovrebbe guardare una figlia, facevi danzare ogni percettibile lacrima sul mio volto affinché tornasse un radioso sorriso, ma quel magico idillio è durato troppo poco, per noi.
Fino al giorno prima esistevi e subito dopo non ci sei stata più, non hai fatto più ritorno fra le mie braccia.
Forse ho deluso anche te.
Già, posso solo continuare a chiedermi perché tutti mi abbiano abbandonata.
All’improvviso ho potuto contare solo su me stessa e nient’altro, ma credo sia la tua vivida presenza nel mio cuore a farmi ancora sopravvivere a tutto questo.
Le giornate si susseguono pesanti nella loro immensa staticità: mi sembra che i rari fiorellini sbocciati in giardino diventino subito foglie secche spazzate dal vento, tanto il tempo passa troppo velocemente e muore fra le mie mani stanche.
Ricordo, però, con struggente nostalgia, che in qualche parte dello spazio e del tempo, forse anche secoli fa, non ero così. Ero un altro tipo di persona, non saprei dire quale, ma adesso non mi rassomiglia neanche più.
Vedo in fugace lontananza qualcosa o qualcuno che mi sussurra invisibili parole e spesso, svegliandomi di soprassalto, mi accorgo che è soltanto un sogno. Un sogno in cui quel qualcuno
, che mi chiamava per sussurrarmi qualcosa, ero semplicemente io. Non so quando mai sia stata agghindata
in quel modo, perché in lei osservo una donna piacente, un tipo snello e sveglio con una chioma castano chiara al vento e un paio di occhi grandi e verdi, i quali non riconosco come i miei.
Sono basita e allibita, perché credo di aver fatto un viaggio veramente a vuoto, se quella fossi davvero io.
La sottoscritta, una femminilità un tempo così fiorente, adesso è morta come un’erbaccia velenosa fra le mura della siepe di una casa che non sente sua.
Sono davvero io, quella? O, meglio, lo sono stata?
Mi riconosco soltanto perché è un sogno e perché nel cassetto del ricordo dormiente posso rivedere soltanto per un attimo la luce di un sorriso che mi riaccompagna a te.
Ida, tre