Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La Casa sulle Sabbie Mobili
La Casa sulle Sabbie Mobili
La Casa sulle Sabbie Mobili
E-book295 pagine3 ore

La Casa sulle Sabbie Mobili

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Tick e Polly non hanno mai incontrato i loro genitori. Sono confinati nell’appartamento dei bambini dove crescono sotto le cure dell’anziana Tata Warbourogh, nell’attesa di poter incontrare mamma e papà e andare a vivere nel resto della casa. Dopo anni di attesa ormai Polly è diventata troppo grande per i vestiti che ha nell’armadio e dei genitori non c’è ancora nessuna traccia.

Quando i macchinari che rendono autosufficiente l’appartamento iniziano a guastarsi, Polly e Tick sono obbligati ad affrontare il resto della casa. Li aspetta un labirinto di stanze e corridoi in rovina, abitato da creature mostruose che cacciano nelle ombre. La ricerca dei genitori diventa una battaglia per la sopravvivenza, nella disperata speranza di trovarli prima di morire di fame. Il mondo fuori dalle poche stanze in cui sono cresciuti è molto diverso da quello che pensavano di trovare, e più attraversano la casa e più svelano misteri che non avrebbero mai voluto scoprire.

Uno dei libri più intimi e toccanti della produzione di Carlton Mellick III.

[Romanzo di Bizarro Fiction, collana Vaporteppa, 58.000 parole, circa 187 pagine, con in aggiunta un saggio di "Introduzione alla Bizarro Fiction" di 3800 parole a cura di Chiara Gamberetta]
LinguaItaliano
Data di uscita18 apr 2016
ISBN9788893370189
La Casa sulle Sabbie Mobili

Leggi altro di Carlton Mellick Iii

Correlato a La Casa sulle Sabbie Mobili

Titoli di questa serie (19)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa horror per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su La Casa sulle Sabbie Mobili

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La Casa sulle Sabbie Mobili - Carlton Mellick III

    3:05

    CAPITOLO UNO

    Polly è diventata troppo grande per stare nell’appartamento dei bambini.

    Quando dorme le gambe e le braccia le spuntano fuori dal piccolo letto rosa, adagiandosi sul freddo pavimento come teneri serpenti sul tronco di un albero. La coperta copre solo un quarto del suo corpo massiccio e il cuscino le basta appena per la guancia.

    Quando sta in piedi nella stanza dei giochi, Polly è costretta ad abbassarsi altrimenti rischia di sbattere la testa contro il soffitto. Quando è seduta al tavolo del tè, riesce a malapena a ficcare il culo sulle piccole sedie di legno senza ridurle in pezzi. È tutto molto complicato per lei.

    «Perché tutto si restringe?» Polly chiede a Tata Warburough che cerca di allacciarle il vestito sulla schiena.

    Una volta tutti i vestiti le arrivavano fino alle caviglie, ora non le coprono nemmeno le ginocchia.

    «Nulla si restringe,» dice la tata, mentre aggiunge altri nastri al vestito per tenerlo insieme. «Stai solo crescendo. Stai diventando una donna.»

    Polly si guarda allo specchio. La schiena è completamente scoperta e si riesce a vedere la pelle pallida e leggermente coperta di lentiggini. Questo è il solo modo in cui riesce a indossare i vestiti da bambina.

    «Non mi piace,» dice Polly. Ultimamente è quello che ripete sempre. «Vorrei avere dei nuovi vestiti…»

    Legandosi un fiocco tra i capelli, Polly si ferisce il polso con una delle ossa appuntite che le stanno crescendo sulla testa.

    «Ahi!» grida, premendo il pollice sul polso per fermare il sangue. «Maledette stupide cose.»

    Tata Warburough le pulisce il sangue dalle estremità delle corna.

    «Devi imparare a stare attenta con quelle,» dice la tata. «I tuoi palchi sono destinati a crescere sempre di più.»

    «Voglio strapparle via,» dice Polly, afferrando e tirando con le dita le ossa appuntite. «Mi fanno sembrare così stupida.»

    La tata le toglie la mano dalle corna e le raddrizza il fiocco tra i capelli. «I palchi sono il simbolo della femminilità. Dovresti esserne orgogliosa. Più crescono e più è probabile che tu possa trovare marito.»

    «Non voglio un marito. Odio i maschi. Come Tick. È così fastidioso.»

    «Non intendo maschi come il tuo fratellino,» dice la tata, legandole in una coda di cavallo i capelli verde intenso. «Sto parlando di uomini adulti. Un giorno lascerai questo appartamento. Incontrerai talmente tanti uomini che non li potrai nemmeno contare e vorrai essere straordinariamente bella per loro. Vorrai che i tuoi palchi diventino lunghi e maestosi.»

    Polly storce la bocca guardandosi allo specchio. Da sempre la tata le racconta che un giorno riuscirà a lasciare l’appartamento, ma quel giorno sembra non arrivare mai. È ormai una donna adulta ora, ma è ancora lì. Credeva che sarebbe riuscita ad andarsene anni fa.

    «Devi solo aspettare che i tuoi genitori ti vengano a prendere,» dice la tata. «Sono certa che quel giorno arriverà. Sicuramente saranno impazienti di vedere la bellissima ragazza che sei diventata.»

    La tata le sorride arricciando le labbra.

    Polly odia quando la tata le dice certe cose. Da tanti anni le ripete che i suoi genitori sarebbero venuti a prenderla da un giorno all’altro. Quando la tata si volta, Polly si disegna dei cerchi su tutto il viso con un rossetto porpora al gusto di caramella, solo per farla incazzare. Con quelle orribili ossa che le crescono in testa e quei vestiti laceri e della taglia sbagliata, non vede perché dovrebbe cercare di essere carina.

    ***

    Tick osserva sua sorella e Tata Warburough da una fessura nel muro. Non possono vederlo nascosto nell’intercapedine. È il suo territorio. Quando Polly era più piccola, si rifugiavano insieme in quei tunnel segreti per nascondersi dalla tata, ma lei è ormai troppo grande per starci dentro. Ora quello spazio appartiene solo al suo fratellino.

    «Ti sento respirare, Tick,» dice Polly.

    Tick trattiene il respiro.

    «Smettila di spiarmi, piccolo pervertito,» dice Polly.

    «Non sono un pervertito,» risponde Tick. «Volevo solo vedere cosa stavate facendo voi due.»

    «Non voglio che tu veda cosa sto facendo,» dice Polly. «Ecco perché la porta è chiusa.»

    «Ma sono tutto solo là fuori,» dice Tick.

    «Vuoi che ti uccida?» dice Polly.

    Tata Warburough raggiunge lentamente il muro e batte tre volte le dure e tonde nocche contro la parete. «Esci subito dal muro. L’intercapedine è una zona vietata.»

    «Ma mi piace stare qui.»

    «Non è al sicuro dai creeper,» dice la tata. «Vuoi che i creeper ti prendano?»

    Tick si guarda intorno. L’incavo è buio e pieno di polvere e ragnatele, ma è sicuro che non ci sia nessuno con lui.

    «Non ho mai visto creeper qui,» dice Tick.

    «Non puoi vederli,» dice la tata. «Si nascondono nel buio e ti prendono quando meno te lo aspetti.»

    «No, non lo fanno,» dice Tick.

    «Esci fuori da lì e preparati per la scuola,» dice la tata.

    Tick si allontana carponi dal buco che dà sulla stanza di sua sorella. Il passaggio è buio, illuminato solo dai deboli fasci di luce che passano attraverso le ventole di aerazione e le crepe sparse qua e là nei muri. Nonostante ci siano tanti angoli privi di luce, Tick non crede che ci possano essere dei creeper nascosti lì con lui. Inizialmente l’intercapedine sembrava pericolosa e spaventosa, ma è entrato lì dentro talmente tante volte che ora si sente al sicuro come nel resto dell’appartamento. In realtà non crede nemmeno che i creeper esistano.

    ***

    «Cambiati,» dice Tata Warburough a Tick, non appena sbuca nella sua stanza dal condotto di ventilazione.

    «Perché?» dice. La sua faccia è coperta di polvere e fuliggine. I capelli neri sono scompigliati e spettinati da settimane.

    «Sei tutto sporco,» gli dice la tata, girandogli intorno con il suo piccolo corpo tozzo.

    Tick alza le spalle. «E allora? Nessuno a scuola ci farà caso.»

    «Beh, a me interessa,» dice la tata sull’uscio della porta. «Ora sbrigati o ti mando a scuola senza colazione.»

    Tick si toglie la camicia. Nell’armadio sono riposte venticinque uniformi scolastiche, cinque per ogni taglia. Ora indossa i completi di taglia più grande, gli altri venti non gli stanno più. Come Polly, probabilmente indosserà queste stesse uniformi per lungo tempo fino a che non gli andranno più bene. Ciò comunque non preoccupa Tick. Se diventerà grande come Polly, si farà lui stesso i vestiti usando tende e vecchi pigiama.

    «La colazione è pronta,» grida la tata dalla stanza del tè. Indossando l’uniforme più pulita, che poi proprio del tutto pulita non è, Tick attraversa il corridoio per andare nella stanza del tè. Il tavolo è apparecchiato per due persone. Al centro della tavola c’è una grande varietà di frutta, yogurt, croissant, bacon, marmellata e uova alla coque. È una delle sei diverse colazioni che viene loro servita regolarmente. A disposizione hanno anche tre tipi di succhi: arancio, pompelmo e pomodoro. E pure due bibite: Dr. Pepper e Coca-Cola.

    Tick afferra un pezzo di bacon dal piatto e dà un morso, gustandone il sapore di gomma affumicata.

    «Mangia bene,» dice Tata Warburough, indicandogli la sedia mentre lascia la stanza del tè.

    La tata non mangia mai con loro. Di solito sfrutta il tempo per rifare i letti e pulire le stanze. Chiama sempre Tick e Polly i suoi piccoli porcellini per quanto sono disordinati.

    Tick riempie un piatto con il cibo e si siede al tavolo di fronte a Polly. La ragazza sembra un gigante seduta al tavolo del tè, che è adatto ai bambini di cinque anni, le sue ginocchia superano la superficie del tavolo. Assomiglia all’Alice di taglia gigante dei vecchi libri di Alice nel Paese delle Meraviglie, ma con in più i palchi che le spuntano dalla testa verde.

    «Sei triste,» dice Tick alla sua sorellona.

    «No, non lo sono.» Polly fissa il piatto come se dovesse sbattere la faccia sullo yogurt.

    «So sempre quando sei triste.»

    «Stai zitto, Tick.»

    Tick non è il suo vero nome. In realtà è Rick, ma sua sorella lo chiama sempre Tick – zecca – come per insultarlo. Dice che le ricorda una zecca. Ma invece che essere offeso per il suo soprannome, a Tick piace. Adesso vuole che tutti lo chiamino sempre Tick, anche i bambini a scuola.

    «È perché Tata ti ha detto che Mamma e Papà verranno presto?» chiede Tick.

    Polly aggrotta la fronte, tenendo la forchetta e il cucchiaio in miniatura sul piattino e la tazzina da tè.

    «Sono così stufa di aspettarli,» dice.

    «Allora smettila di aspettarli,» risponde Tick. Conficca la forchetta nell’uovo alla coque, provocando la fuoriuscita di un liquido appiccicoso bianco e giallo che cola su tutto il piatto. «Vai tu da loro allora. Lascia l’appartamento e trovali tu.»

    Polly sospira. «Sei pazzo? Non sarei mai in grado di trovarli là fuori.»

    «Vivono in questa casa da qualche parte,» risponde Tick. «Se tu andassi a cercarli finiresti col trovarli.»

    «Tata ha detto che questa casa è troppo grande per poterli trovare, non importa quanto cerchiamo,» dice Polly. «Vivono completamente nella parte opposta della casa.»

    «E allora?» dice Tick. «È meglio che aspettare qui per il resto della tua vita.»

    «Non ho intenzione di aspettare qui per il resto della mia vita,» dice. «Alla fine verranno a prendermi.»

    «E se ti avessero dimenticata?» dice Tick.

    Polly ammutolisce.

    «Se si dimenticassero di me quando sarò troppo grande per stare in questo appartamento, sarò io stesso ad andarli a cercare,» dice Tick. «Non voglio stare bloccato qui per sempre. Voglio vedere il resto della casa, forse persino andarmene da qui per vedere il resto del mondo.»

    «Non lascerò l’appartamento fino a quando non arriveranno,» dice Polly.

    «Perché no?»

    «Perché non è permesso.»

    «Hai solo paura dei creeper,» dice Tick.

    Polly si zittisce di nuovo. Non le piace parlare dei creeper.

    «Hai mai visto un creeper prima d’ora?» chiede Tick. «Io penso che non esistano.»

    «Di sicuro non sono un’invenzione,» risponde Polly. «L’intera casa ne è piena. Solo l’appartamento dei bambini è protetto.»

    «Non sono reali,» replica Tick. «Tata ci ha solo detto che i creeper sono là fuori per non farci lasciare l’appartamento.»

    «Non sai di cosa stai parlando. Solo perché non li hai mai visti questo non significa che non esistano.»

    «Tu li hai visti?»

    «Già…»

    «Bugiarda.»

    Tick inzuppa una parte del croissant nel tuorlo d’uovo e lo manda giù in un sol boccone.

    ***

    Arrivato il momento di andare a scuola, Tick e Polly si incontrano nella stanza del teletrasporto.

    «Avete i file dei compiti?» chiede Tata Warburough.

    I bambini le danno le loro schede di memoria. Lei le inserisce nel sistema di teletrasporto, inviando i file ai loro computer di scuola.

    «Voglio sedermi vicino a Darcy oggi,» dice Tick sorridendo.

    «Chi è Darcy?» chiede la tata.

    «Ti ho parlato di lei un milione di volte!» dice Tick.

    Non capisce perché la tata si dimentichi sempre della sua fidanzata. Ultimamente è troppo smemorata.

    «È la ragazza per cui ha perso la testa a scuola,» risponde Polly, fissandosi stretto il casco del teletrasporto sulla fronte. «È così infantile.»

    «Non è infantile,» dice Tick. «Lei è la mia fidanzata.»

    «Sei proprio un idiota.»

    «Su, Polly,» dice la tata. «Mi ricordo che hai avuto anche tu una cotta per un compagno di scuola quando avevi la sua età.»

    Polly rotea gli occhi e si corica sul letto del teletrasporto. «Ero un’idiota anch’io.»

    Dopo che i due bambini si sono messi in posizione, la tata aziona il comando del teletrasporto e i loro corpi svaniscono. Le loro menti viaggiano lontano.

    ***

    «Prego, prendi posto,» dice l’insegnante non appena Tick si materializza in classe.

    Altri bambini si materializzano in angoli opposti dell’aula, uno alla volta. Tutti indossano uniformi nere come Tick e hanno pettinature e carnagioni molto simili. Come sempre, tengono il volume della voce basso e obbediscono all’insegnante. Il signor Robertson non è molto tollerante con gli studenti che disturbano.

    «Questo non è un luogo per chiacchierare,» dice il signor Robertson, non verso qualcuno in particolare, sistemandosi gli occhiali dalla montatura in metallo. «Questo è un posto per imparare.»

    Tick si siede al suo banco, aspettando che arrivi Darcy. Lei si siederà proprio accanto a lui, condividendo lo stesso tavolo. Ci sono tre file di banchi e in ogni banco ci stanno due persone, un ragazzo e una ragazza. È stato così fin dalla scuola materna. Ragazzi e ragazze lavorano insieme come una squadra composta da due persone, per prepararsi alla vita da sposati quando diventeranno adulti. Naturalmente i ragazzi e le ragazze vogliono fare coppia con chi preferiscono. È la prima volta in realtà che Tick fa coppia con Darcy, la ragazza di cui è innamorato fin dalla terza elementare.

    Quando la classe si riempie, il posto accanto al suo rimane vuoto.

    «Non è ancora qui Darcy?» chiede alla coppia davanti a lui.

    Il ragazzo e la ragazza alzano solo le spalle in segno di risposta.

    Tick aspetta, guardando verso gli angoli della stanza per vederla apparire.

    Darcy non è mai stata la ragazza più bella della scuola secondo il parere degli altri, eccetto che per Tick, che ha da sempre avuto una grande cotta per lei. Ha capelli corti blu Pepsi e una lunga frangia che le copre un occhio. La sua pelle è leggermente più scura di quella di chiunque altro, più liscia e più luminosa. È piuttosto piccola e un po’ troppo magra, ma i suoi occhi nero intenso brillano quando lo guarda. Difficilmente ride, ma quando lo fa il suo sorriso è più grande di quello di chiunque altro.

    Lui ha sempre sognato di potersi sedere vicino a lei. Ieri gli aveva detto che avrebbe potuto tenerle la mano durante la lezione, forse per tutto il tempo, o almeno fino a quando il signor Robertson non li avesse sorpresi. È seduto al suo posto e trema per l’agitazione. Ma Darcy ancora non arriva.

    «Voglio far scambio di posto con te,» gli dice una voce da dietro.

    Tick si gira. È Mike, il bambino più grande della classe. A Tick non è mai piaciuto. Fin dalla prima elementare, quel ragazzo è sempre stato un cretino totale.

    «Che vuoi?» dice Tick.

    «Voglio sedermi vicino a Darcy. Va’ a fare coppia con Tori.»

    «Neanche per sogno. Io voglio sedermi vicino a Darcy.»

    Mike strattona lo schienale della sedia di Tick, trascinandolo via dal banco.

    «Non essere così egoista,» dice Mike. «Io merito di sedermi vicino a lei. Mi ha detto che le piaccio.»

    «No, non l’ha detto.»

    Tick sa che sta mentendo. Non riesce proprio a credere che a Mike piaccia lei, per non parlare del fatto che a lei piaccia lui. Finora non c’è mai stata gara per l’affetto di Darcy. Lei è sempre stata la ragazza di Tick.

    «Come lo sai?» dice Mike. «Siamo perfetti l’uno per l’altra. Tutti lo sanno.»

    «Lei è la mia ragazza!»

    Mike ignora quello che ha detto e spinge lo schienale della sedia di Tick, cercando di farlo cadere.

    «Levati,» dice Mike, dimenandosi per far cadere Tick per terra.

    Tutti li fissano.

    «Michael, torna al tuo posto,» dice il signor Robertson.

    «Questo è il mio posto. Lui me l’ha rubato.»

    «No, non è vero!»

    «Sedetevi,» dice l’insegnante.

    Mike lascia la sedia e va al suo posto verso il fondo della stanza, vicino alla ragazza paffuta con le treccine. Quando Tick si volta a guardarlo, il grande ragazzo gli dice a bassa voce, «Sei morto.»

    Tick mette le dita nel naso e tira fuori la lingua, facendo una faccia da goblin.

    ***

    Dopo l’inizio della lezione, Darcy ancora non si vede. Tick diventa ansioso, preoccupato.

    «Signor Robertson?» chiede Tick al maestro. «Dov’è Darcy?»

    Il maestro fa una pausa. Di solito non viene interrotto dai suoi studenti.

    «È assente.»

    «Ma lei non è mai assente.»

    «Niente interruzioni,» dice l’insegnante.

    Tick guarda lo schermo del computer sul banco ma non riesce a concentrarsi nello studio. È preoccupato per Darcy. Molti studenti vengono a scuola anche se sono malati o non si sentono bene. Deve essere una cosa seria per saltare la lezione. Poi Tick realizza che anche altri studenti mancano. È strano. Non ci sono mai state più di due persone assenti nello stesso giorno prima d’ora e questo capita solo una volta l’anno al massimo. Si chiede se il mezzo per il teletrasporto non funzioni bene.

    ***

    Quando inizia l’intervallo, Tick decide che al momento è meglio non preoccuparsi per Darcy. Sicuramente verrà a lezione domani. Potrà allora chiederle perché è stata assente.

    «Vuoi giocare a basket?» chiede Justin a Tick in cortile.

    Justin è il migliore amico di Tick a scuola. È un ragazzo smilzo e goffo che porta gli occhiali e i capelli lunghi. Tutti lo chiamano Rana perché saltella sempre. Salta soprattutto quando gioca a basket ed è praticamente impossibile batterlo nell’uno contro uno. Sono amici da un paio d’anni ormai, soprattutto perché Tick è l’unica persona che abbia mai osato giocare a basket con lui.

    «Certo,» dice Tick.

    Darcy di solito li guarda giocare dalle altalene. Ultimamente quella è la cosa che Tick preferisce quando gioca a basket. Lei tifa sempre per Tick mentre è sulle altalene. Non ha senso giocare senza che lei lo guardi.

    «Niente tiri da tre punti oggi,» dice Justin.

    «Bene.»

    Justin fa rimbalzare la palla sul piccolo campo da gioco in cemento e la passa a Tick. Il cortile non è tanto grande. È grande quanto l’aula, solo che è all’esterno. Per metà è di sabbia e l’altra metà è di cemento. Nella parte di sabbia, ci sono due scivoli, tre altalene, una giostrina girevole, delle sbarre per appendersi e una struttura da arrampicata, tutti ammassati insieme. Nella zona in cemento ci sono due pali per il gioco del tetherball, un canestro appeso a una parete della scuola, e altre aree per il gioco della campana, per il salto della corda, o il gioco dei quattro cantoni. Un muro di circa cinque metri circonda il cortile. Al di là del muro si può solo vedere il cielo azzurro senza nuvole.

    «Sto nella squadra della Rana,» dice Mike, dirigendosi verso di loro sul campo da gioco.

    Tick scorge lo sguardo arrabbiato negli occhi di Mike. È ancora incazzato per prima.

    «Non puoi giocare,» dice Tick. «È uno contro uno.»

    «No, è due contro uno.» Mike afferra la palla dalle mani di Tick. «Se voglio, io gioco.»

    Mike fa rimbalzare la palla per terra. Tick scatta per sorprenderlo alle spalle, ma lui dribbla.

    «Ridammela. Tu non puoi giocare»

    «E cosa fai, vai a dirlo al maestro come un bambino piccolo?» chiede Mike, facendo attenzione alla palla non appena lui scatta.

    Justin interviene. «Puoi giocare se trovi un’altra persona. Mi piacerebbe giocare due contro due.»

    Tick lancia un’occhiataccia a Justin. Il suo amico non sa cosa sta facendo. Mike non vuole giocare per divertirsi. Lui vuole solo giocare per spingere, dare gomitate, e fare lo sgambetto a Tick durante il gioco, facendo sembrare tutto un incidente.

    «Se vuoi giocare due contro due faresti meglio a trovarti un compagno di squadra,» dice Mike a Tick.

    Justin e Tick danno un’occhiata al cortile. Tutti sono occupati a saltare la corda o ad arrampicarsi sulle sbarre.

    «Nessun altro gioca a basket,» dice Tick.

    «Che ne dici di Simon?» chiede Justin. «A volte lui gioca.»

    Tick raggela quando sente il nome di Simon. Nessuno pronuncia il suo nome da un bel po’.

    «Simon?» Tick si volta verso la porta dell’aula. «Stai scherzando?»

    «Vai a chiederglielo,» dice Mike.

    Simon non è uscito fuori per tutto l’anno durante la ricreazione. Non ha mai più parlato dalla quarta elementare. Si siede sempre in fondo alla classe, fissando davanti a sé, senza mai parlare. Non fa nessun lavoro di gruppo o non si alza mai

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1