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Carmilla e altri racconti di fantasmi e vampiri
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E-book510 pagine8 ore

Carmilla e altri racconti di fantasmi e vampiri

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Info su questo ebook

A cura di Gianni Pilo
Edizioni integrali

Avvolti in atmosfere sinistre e inquietanti, popolati da creature sospese tra la vita e la morte, assetate di sangue e portatrici di sciagure, questi racconti di Joseph Sheridan Le Fanu hanno profondamente influenzato la narrativa fantastica e dell’orrore. Da Il testamento del gentiluomo Toby ai Racconti di fantasmi della Tiled House, da La cugina assassinata a Una notte alla “Locanda della Campana”, da Il fantasma e il conciaossa a Il fantasma della signora Crowl, da Il patto col Diavolo a La persecuzione, fino al celebre Carmilla – per citare solo alcune delle storie qui proposte – la fantasia di Le Fanu risveglia invincibili paure ancestrali, creando un universo oscuro e sconvolgente.


Joseph Sheridan Le Fanu

nato a Dublino nel 1814, fu romanziere, poeta e giornalista, ma deve la sua fama ad alcuni racconti del soprannaturale, divenuti veri e propri classici del genere, come quelli raccolti in questo volume, e per i quali l’autore si ispirò a favole e leggende nate nel suo Paese d’origine, l’Irlanda. Morì nel 1873.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854136861
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    Anteprima del libro

    Carmilla e altri racconti di fantasmi e vampiri - Joseph Sheridan Le Fanu

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    211

    Le traduzioni sono tutte di Gianni Pilo ad eccezione di Carmilla,

    tradotta da Roberta Formenti

    Prima edizione e-book: Dicembre 2011

    © 1997 Newton & Compton editori s.r.l.

    © 2010 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-541-3686-1

    www.newtoncompton.com

    Edizione digitale a cura di geco srl

    Joseph Sheridan Le Fanu

    Carmilla

    e altri racconti di fantasmi e vampiri

    A cura di Gianni Pilo

    Edizioni integrali

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    Le Fanu e la magia dell'Irlanda

    Quando per la prima volta mi capitò di scrivere un'introduzione a una serie di racconti di Le Fanu, la mia reazione fu a un tempo di contentezza e di perplessità: infatti, come si può commentare in maniera adeguata il lavoro di uno scrittore che non solo è stato il maestro in campo professionale di una folta schiera di autori che si sono cimentati nel campo della narrativa di fantasmi, ma che è anche universalmente riconosciuto come uno dei migliori scrittori di Ghost Stories di tutti i tempi?

    D'altro canto ero anche molto contento di poter parlare di un autore che - pur validissimo come già si è detto - non aveva avuto una grande ribalta nel nostro Paese e, questa volta, stante anche il fatto che lo spazio a mia disposizione è molto maggiore, vedrò di andare più in profondità nella disamina del nostro scrittore irlandese.

    Nello scrivere una qualsiasi introduzione, molti curatori o prefatori non si rendono conto che i lettori non hanno comprato i libri nei quali appaiono le loro dissertazioni per leggere quanto vi è scritto sui testi e sugli autori presentati, sebbene per gustare il narrato del libro che hanno acquistato. Io ne sono perfettamente convinto e, in quest'ottica, cercherò per quanto è possibile di non annoiare i lettori. Vorrà dire che, se sarò abbastanza fortunato, riuscirò a formulare qualche commento originale che aiuterà chi legge ad apprezzare meglio Le Fanu o, perlomeno, un po' più di quanto avrebbe fatto diversamente. Ma può darsi invece che non ci riesca e, in questo caso, tenete presente che ci ho profuso il massimo dell'impegno.

    Vediamo prima di tutto di fare alcune osservazioni sull'uomo in sé, prima di passare a occuparci dei suoi scritti. Non mi dilungherò molto al riguardo anche perché, a parte la cronologia che ho preparato e che ritengo abbastanza esaustiva, penso che i fatti salienti della vita di un autore non siano necessari per la comprensione del suo lavoro, con buona pace di quei critici che non sono di questo avviso: infatti, se questi eventi lo sono, ciò in realtà significa che il soggetto in questione spesso ha fallito come artista. Le Fanu indubbiamente ha fatto uso di una certa quantità di riferimenti autobiografici nel suo lavoro, ma non più di quanto abbiano fatto altri autori di narrativa fantastica e non. C'è però da dire che è troppo abile perché il lettore possa arrivare a riconoscerli.

    Lo scrittore nacque in Irlanda, a Dublino, il 28 agosto del 1814. In quella grande città visse la prima giovinezza, fino a dodici anni, poi si trasferì a Limerick, nel cuore della Terra Verde e, come sanno tutti gli irlandesi, non c'è posto al mondo più bello e più magico.

    Nascere e crescere in Irlanda è, ancora oggi, un'esperienza singolare. Ancor più lo era agli inizi dell'Ottocento, quando ben più vive erano le braci dell'antico folklore che fanno di quella terra uno dei luoghi più fantastici del mondo. Non esiste un posto, sul nostro pianeta - con Veccezione forse di certe plaghe magiche dell'Oriente -che sia ricco di fermenti soprannaturali quanto la verde, incantata Irlanda.

    Tarda al verbo cristiano, che il buon san Patrizio vi portò nel v secolo d.C, e restìa a cedere le antiche tradizioni per l'innato orgoglio delle sue genti, a lungo conservò le braci vive della remota spiritualità pagana, che i Celti - la stirpe magica dell'Europa - vi avevano recato dal cuore del vecchio continente e, prima ancora, dalle perdute caligini della favolosa Iperborea.

    Il corpus di racconti fantastici che dà vita al folklore d'Irlanda, si è conservato a lungo pressoché intatto, grazie al geloso senso d'identità culturale delle popolazioni. Nel Parochial Survey of Ireland, è riferito ad esempio, di come nel secolo scorso i pubblici favolatori, narratori di leggende nelle piazze dei paesi, usassero periodicamente riunirsi e, accanto al fuoco, raccontarsi le rispettive versioni delle loro favole. Se qualcuno apportava delle varianti al testo accettato, doveva giustificarne l'origine: ove il nuovo testo fosse stato accolto come conforme alle tradizioni autentiche, tutti si uniformavano: in caso contrario, il proponente tornava alla versione consolidata.

    Lungo e variegato è l'elenco delle figure fiabesche di cui si sostanziava il leggendario dell'Isola Verde, figure che, tutte insieme, formavano il Piccolo Popolo, ovvero i superstiti delle antiche Divinità, degli esseri favolosi, dei mostri, e delle creature benevole tramandate dall'antico credo animistico.

    C'erano in primo luogo, le Fate: in irlandese, Deenee Shee, che vuol dire popolo fatato. Chi sono? Secondo il Libro di Armagli, che risente dell'insegnamento cristiano, «Angeli caduti in peccato, non abbastanza segnati dal bene per essere salvati, ma neppure cattivi al punto da meritare la dannazione eterna».

    Queste figure, sovrapposte ai Tuatha de Danaan, gli Dèi della Terra dell'Irlanda pagana, non più oggetto di culti e di offerte, rimpicciolirono nell'immaginazione popolare, fino a ridursi a essermi alti poche spanne, nascosti nell'ombra dei boschi, i cui poteri sono soltanto un'eco dell'antica gloria.

    Sono maschi e femmine, e molti sventurati giovani, per averne udito il canto, si sono consumati d'amore fino alla morte. Tre sono le loro feste principali: la Vigilia di Maggio, la Festa di Mezza Estate, e Halloween, la Vigilia di Novembre. Allora danzano e cantano tra le rovine degli antichi templi, nelle radure dei boschi, intorno alle fonti: chi li vede può esprimere desideri, ma con cautela, perché il Piccolo Popolo ha uno strano senso dell'umorismo, che spesso volge al macabro e riserba tremende sorprese.

    A volte, peraltro, sono loro che s'invaghiscono dei mortali, e li portano seco in Faerieland, il Paese aldilà del Bosco: nulla si sa più di chi cade in loro balìa. Spesso rubano i bambini dalle culle, lasciando al loro posto dei folletti neonati, i changeling, che nello sguardo ardente e nei capelli di seta, recano l'impronta della loro origine non umana: altre volte lasciano un ceppo di legno che per magia appare come un infante, ma a poco a poco si consuma e muore.

    Ci sono poi le Sirene, o Murrughach (da muir, umare " e oigh, fanciulla ). I pescatori le temono perché annunziano tempesta. I maschi sono mostruosi, con i denti verdi come le alghe, naso scarlatto e occhi porcini; le femmine invece sono bellissime, anche se hanno i piedi membranosi come quelli delle anatre. Dei giovani che vanno solitari per mare ne fanno i loro amanti e, quando sono diventati vecchi, li trascinano negli abissi, dove le loro ossa si trasformano in coralli.

    Sirena e fata allo stesso tempo è la Banshee (da ban, donna e shee fata ), che segue le più antiche e nobili famiglie, e fa udire il suo canto straziante allorché s'approssima una morte prematura. Un presagio che talvolta l'accompagna è il Coisthe-Bodar, il Carro Infernale, nero come la notte, sormontato da una bara e tirato da cavalli senza testa: se nelle notti tenebrose lo sentite fermarsi alla vostra porta e incautamente aprite l'uscio, vi verrà lanciato in faccia un catino di sangue.

    La leggenda del Carro Infernale durò a lungo: ancora nel 1807, si dovette eliminare la vigilanza notturna di fronte al cimitero di St. James, perché le sentinelle morivano di paura. Alcune, sopravvissute, riferirono di aver visto una donna nuda e senza testa che, scesa dal nero biroccio, scavalcava la cancellata del cimitero per vagare tra le tombe.

    Meno cupe sono le leggende che riguardano il Leprecauno, termine che deriva forse da leith brogh, ovvero calzolaio univoco, perché lo si è visto lavorare sempre a un solo calzare. Ha l'aspetto di un vecchio sudicio e grinzoso, ma è solito nascondere in luoghi remoti tesori favolosi: per esempio, pentole piene di monete d'oro. Chi se la sente può cercare d'imprigionarlo in una bisaccia di cuoio grasso, e costringerlo a esaudire i suoi desideri o a rivelare il luogo dei tesori sepolti: ma deve fare attenzione, perché è bugiardo e tende trappole mortali.

    Affine al Leprecauno è il Gean Canach, che significa Colui che parla d'amore. E l'incarnazione dell'eros e dell'ozio: lo si incontra, nelle piccole amene valli, mentre fuma la pipa all'ombra di una pianta. Le pastorelle che s'imbattono in lui, non possono fare a meno di piegarsi alle sue voglie.

    Inquietante è anche l'incontro col Pooka, altro abitatore delle solitudini. Lo si può trovare tra le montagne disabitate o tra i vecchi ruderi, e in genere appare sotto forma di un robusto destriero che parla con voce umana. Il giorno in cui è dato di vederlo di più è il primo di novembre e, se lo si interroga, elargisce responsi su tutto ciò che accadrà sino al primo di novembre dell'anno successivo. Qualche volta appare anche in riva al mare e fa lunghe galoppate sulla battigia senza lasciare impronte sulla sabbia. In altri casi, assume forme diverse: d'aquila, di toro, di capra o d'asino. In effetti, appartiene solo per metà al mondo reale, e ciascuno lo vede secondo l'aspetto particolare che più si addice al proprio stato d'animo.

    In questo volume ci sono diverse storie, soprattutto quelle di fantasmi, per le quali Le Fami - come diversi altri scrittori suoi conterranei - trasse l'ispirazione dal folklore d'Irlanda. In Irlanda i fantasmi - o Taidshee - sono esseri che vivono in uno stato intermedio tra la vita e la morte. In tale condizione sono tenuti da un motivo particolare, quale un dovere o una vendetta da compiere, un lavoro lasciato a metà, un obbligo da estinguere. Anche un affetto troppo vivo è causa della sussistenza di un fantasma: l'amante defunto proietterà una larva che accompagnerà l'esistenza dell'essere amato.

    Ho già detto che nascere e crescere in Irlanda è un'esperienza singolare. Non deve dunque stupire se, per il suo esordio come narratore, il giovane Le Fanu scelse un racconto di fantasmi ispirato a una delle infinite tradizioni locali che mescolano (il presente è intenzionale) antiche reminiscenze pagane con venerazioni cristiane, in particolare il culto delle anime del Purgatorio. Il racconto, intitolato The Ghost and the Bone-Setter uscì nel 1838, ed è un gioiello della letteratura dei fantasmi.

    Il Piccolo Popolo, talvolta, s'impadronisce delle anime di chi muore. Secondo certi racconti tradizionali, presso ogni paese c'è un luogo magico (una cinta di ruderi, uno spiazzo nel bosco, una palude) in cui vengono radunate le anime dei morti, in attesa del Giudizio Universale. Un celebre racconto di Lovecraft, The Moon Bog, s'ispira a questa leggenda. I folletti compiono tale opera a fin di bene: le anime libere di vagare, infatti, potrebbero facilmente essere preda dei demoni, e venir trascinate nelle tenebre eterne. A essere in pericolo soprattutto gli spiriti dei bambini: quando moriva un neonato, si usava spruzzare del sangue di pollo sulla soglia della casa dei genitori, alfine di tener lontani gli Spiriti del Male.

    E talvolta le anime dei morti, in attesa della loro destinazione finale, assumono la forma di animali. William Butler Yeats, il grande poeta irlandese, nella raccolta di leggende della sua terra, del 1888, racconta che a Sligo, ancora pochi decenni prima, e 'era una casa cinta da un giardino nel quale il defunto proprietario veniva a razzolare sotto l'aspetto di un coniglio. A volte, i morti compaiono come farfalle: ed è un segno che sono destinati a godere della felicità eterna. Nel già citato studio Parochial Survey of Ireland, si ricorda l'usanza di ammonire i bambini che danno la caccia alle farfalle con la frase: «Come fai a sapere che non si tratta dell'anima del nonno?». Altro aspetto che assumono comunemente i defunti è quello di sosia di una persona viva. Se vi appare un amico al mattino, si dice che sia di buon auspicio; ma se ciò avviene di sera, significa che state per morire...

    Questo racconto rimase peraltro per diverso tempo un caso isolato, perché presto Le Fanu ritenne che la sua vocazione fosse quella di scrittore di romanzi storici, alla Walter Scott. Del 1845 è il suo romanzo d'esordio The Cock and the Anchor, cui fece seguito The Fortunes of Colonel Torlogh O'Brien, del 1847. Del 1863 è il suo primo romanzo Mistery d'ambientazione contemporanea, The House by the Churchyard. Vennero quindi altri titoli a scadenza quasi annuale: Wylder's Hand, Uncle Silas del 1864, Guy Deverell del 1865, Ali in the Dark del 1866, The Wyvern Mistery del 1869, e Checkmate del 1871.

    Proseguiva nel contempo la sua carriera giornalistica: nel 1856 era diventato direttore del «Dublin University Magazine», e ne aveva fatto una delle riviste letterarie più prestigiose in lingua inglese: nel 1861, arrivò a diventarne proprietario.

    Questo era il lavoro che, nelle sue convinzioni, gli avrebbe assicurato una nicchia nella storia della letteratura. Nel frattempo, un po' per divertimento personale, un po' per riempire in qualche modo le pagine dei suoi giornali, andava scrivendo racconti. E siccome era irlandese, nato in un territorio a metà tra storia e mito, e si rivolgeva -per questa sua produzione - a gente che aveva le sue stesse radici, scelse storie tratte dalle leggende del suo popolo: una tradizione come si è detto, che parlava di spettri inquieti in solitari castelli, di fate, di gnomi, di leprecauni, di animali fatati la cui apparizione significa morte o sciagura, e di creature fantastiche che insidiano le fonti, i boschi, e le brughiere.

    E siccome, tutto sommato, aveva abbandonato la campagna per vivere in città, non trascurò il fantastico urbano, in cui il meraviglioso si intellettualizza, e se ne tenta una spiegazione sul piano psicologico, affidata a sapienti d'insicura origine e di radici culturali composite, frammiste di razionalismo positivista e di arcane rivelazioni.

    Tanto poco si curava di questi racconti, che molti apparvero anonimi su varie riviste, e molti ancora ne esistono che non gli sono attribuiti. Ne pubblicò comunque alcune raccolte. Nel 1851 uscirono a Dublino le Ghost Stories and Tales of Mistery, nel 1871 a Londra le Chronicles of Golden Friars, e poi nel 1872 In a Glass Darkly; infine, nel 1880, The Purcell Papers.

    Chiudendo gli occhi nel 1873, dopo una vita serena, turbata tuttavia dalla morte prematura (nel 1858) della moglie Susan, dalla quale aveva avuto quattro bambini, Le Fanu non aveva di questi testi una particolare stima. Era sicuro che il ricordo di lui sarebbe stato affidato ai romanzi importanti, ossia quelli che in vita gli avevano assicurato fama e fortuna.

    Romanzi peraltro non trascurabili, uno dei quali è certamente di ottimo livello: si tratta di Uncle Silas, uno dei più agghiaccianti thriller psicologici che siano mai stati scritti. Ma il destino, come è noto, poco si cura delle convinzioni degli uomini e, ventanni dopo la morte di Le Fanu, di tutti quei libri che gli erano costati tanta fatica, non si ricordava nessuno. Diverso invece il caso per ciò che riguarda i suoi negletti racconti fantastici.

    Ho sin qui parlato dell'irlandese Sheridan Le Fanu. Devo ora pregare il lettore di compiere un balzo di ottantanni, e di scavalcare l'oceano. Infatti, bisogna parlare di un altro personaggio singolare, l'americano nativo del Wisconsin August Derleth, che fu un autore non certo eccelso, ma in compenso un grande editore, intendendo l'aggettivo grande al di fuori di ogni considerazione commerciale.

    Verso la fine degli anni Venti, al giovane Derleth capitò di acquistare in un drugstore una rivista che attirava i lettori mettendo in copertina immagini di fanciulle scarsamente vestite, colte in situazioni scabrose. L'interno non manteneva le promesse, perché il mensile, intitolato «Weird Tales», conteneva racconti fantastici, fantascientifici, dell'orrore, e comunque singolari.

    Uno di questi racconti era dovuto alla penna di uno scrittore del New England, H.P. Lovecraft, e piacque a tal punto al giovanissimo Derleth, da spingerlo a scrivere all'autore. Ebbe così inizio una lunga corrispondenza, e Lovecraft, che per inciso viene oggi considerato il caposcuola della nuova concezione dell'Orrore in letteratura, ebbe modo di instradare il suo amico nell'attività di scrittore.

    Derleth divenne a sua volta collaboratore di «Weird Tales» e, alla morte di Lovecraft, decise di pagare il debito di gratitudine nei confronti del suo amico e maestro preservandone le opere. Per questo, dando fondo ai suoi risparmi e a quelli di un amico - Donald Wan-drei - anch'egli corrispondente di Lovecraft, fondò una casa editrice col fine dichiarato di pubblicare opere di classici negletti della Narrativa dell'Orrore, e di dare spazio a giovani talenti.

    Nata nel 1939, la Arkham House (il nome è desunto da un toponimo di Lovecraft) è tuttora in piena attività e ha assolto egregiamente al suo compito. Non soltanto ha salvato la memoria dello stesso Lovecraft, ma ha attuato un 'analoga operazione di recupero nei confronti di una serie di altri autori che, ingiustamente, sarebbero caduti nell'oblio: è il caso di William Hope Hodgson, Henry S. Whi-tehead, ClarkAshton Smith, CarlJacobi.

    Non era un personaggio semplice August Derleth. Collerico, bizzarro, fortemente autoritario, convinto di aver sempre ragione, era pronto alla rissa per far valere i suoi diritti anche quando non ne aveva alcuno. Tanto per far capire l'uomo, una volta che mi invitò a cena, mi avvertì con aria truce: «Però, porta tu la bistecca per te».

    Si appropriò in questo modo, indebitamente, di una serie di autori ma, con altrettanta grinta, fece in modo che si affermassero nel mondo della grande editoria sottraendoli all'oblio cui è destinata la produzione che appare sulle riviste popolari. E aveva gusto nello scegliere i suoi soggetti: nelVArkham House non diede mai spazio a scrittori mediocri, e non pubblicò nulla che non valesse effettivamente la pena di essere preservato.

    Tra i recuperi di autori dimenticati da riproporre al pubblico americano, Derleth incluse anche quello di Sheridan Le Fanu. E, nel presentare ai lettori l' omnibus che raccoglieva le sue opere fantastiche, espresse un'opinione che ne rivela l'acume critico. «Le Fanu», affermò, «rappresenta l'equivalente britannico di Poe, in quanto ha avuto un influsso determinante sugli autori successivi».

    Quando scrisse questa frase, Derleth non aveva alcun fondamento critico su cui basarsi. Le storie della letteratura, quando si occupavano dell'autore irlandese, lo facevano soltanto per la sua produzione non fantastica. Anche le opere specializzate erano carenti. Ellen Birkhead, che nel 1923 pubblicò in Inghilterra il primo saggio di una certa caratura sulla narrativa del soprannaturale - The Tale of Terror - non nomina Le Fanu neppure una volta. Montague Rhodes James, che nello stesso anno curò una sua raccolta di racconti soprannaturali recuperandone una dozzina rimasti ignoti, non accenna ai suoi influssi sugli autori che hanno coltivato questo genere. Fu solo in seguito all'affermazione di Derleth, che si cominciò a scrivere sull'argomento.

    Si scoprì allora che, così come Poe poteva essere considerato il padre della narrativa di indagine, così Le Fanu aveva dato il via ad almeno tre importanti sottogeneri della narrativa fantastica, presenti soprattutto in Inghilterra.

    Il primo è quello degli investigatori dell'occulto. Le storie riunite da Le Fanu nell'antologia In a Glass Darkly, hanno come filo conduttore le indagini di un medico esoterista, il Dottor Hesselius, che affronta i casi, li esamina con spirito analitico, e ne divide le implicazioni soprannaturali da quelle ordinarie. La figura di Hesselius dette origine a un vero e proprio topos nell'ambito della narrativa fantastica, e servì da modello, in Inghilterra, per il Carnacki di Hodgson, V Antiquario di Montague Rhodes James e, soprattutto, per il John Silence diAlgernon Blackwood. In America fu modello di figure popolarissime come il Dottor Jules de Grandin di Seabury Quinn, John Thunstone di Manly Wade Wellman, e infinite altre.

    Un secondo filone originato da Le Fanu è quello della Sopravvivenza degli antichi Dèi. Nell'Irlanda magica da lui descritta, il Fantastico s'intreccia direttamente con il reale perché — egli immagina - i personaggi delle antiche fiabe come le fate dei boschi, gli gnomi che vivono sottoterra, le bestie incantate, non sono scomparsi col volgere dei secoli, ma vivono ancora, e ancora s'intromettono nella vita degli uomini.

    Gran parte di queste storie sono presentate come resoconti di vicende insolite raccolti da un ecclesiastico, Padre Purcell: e tale espediente dona alle narrazioni un tono di serietà documentaria che ha un suo particolare fascino.

    Il gallese Arthur Machen si ispirò a questi racconti per le sue storie di un Galles rimasto a metà tra paganesimo sopravvivente e consapevolezza cristiana, interpretazione razionalistica della natura e ansia verso il soprannaturale. Lovecraft, in seguito, dilatò questa sensazione d'incertezza fra immanente e trascendente nell'analisi delle manifestazioni del soprannaturale, fino a portare a proporzioni cosmiche il senso di spossessamene che ne deriva.

    L'ultimo influsso determinante che ebbe Le Fanu sulla Narrativa dell'Orrore a lui posteriore, è legato al più celebre dei suoi racconti, quello per il quale oggi viene maggiormente ricordato, Carmilla, una storia d'una cinquantina di pagine nella quale riassume in modo perfetto la tematica del Vampiro.

    Prima di lui c'erano state, certo, famose storie di Vampiri, a partire da quella che dette inizio al genere, The Vampyre, di John William Polidori. Le Fanu, tuttavia, fu il primo a riportare la tradizione del risurgente nel suo territorio d'origine.

    Il suo racconto rivela una scrupolosa disamina delle fonti, un 'attenzione precisa ai particolari, un'analisi approfondita delle leggende centro-europee che diedero spessore al personaggio del morto-vivo bevitore di sangue. Bram Stoker fu spinto dalla lettura di questo racconto a scrivere Dracula. E non è certo il caso di citare tutto quello che, dopo, ne è venuto.

    Gianni Pilo

    Cronologia della vita e delle opere di Le Fanu

    1814. Agosto. A Dublino, nella casa sita al numero 45 di Dominik Street, nasce Joseph Sheridan Le Fanu, da Thomas Le Fanu e da Emma Dobbin.

    1826. La famiglia si trasferisce ad Abington, dove Thomas Le Fanu è stato nominato Rettore di Emly. Nella biblioteca del Rettore, il piccolo Joseph fa la conoscenza di alcuni testi che lo affascinano e lo indirizzeranno sulla via dei racconti di fantasmi e del mistero: si tratta di La mummia: una storia del Ventiduesimo Secolo e I misteri di Udolpho di Ann Radcliffe.

    1832. Joseph entra nel Trinity College di Dublino per conseguire la Laurea in Giurisprudenza.

    1838. Sul «Dublin University Magazine» di gennaio, appare il suo primo racconto: The Ghost and the Bonesetter, che sarebbe stato il primo della raccolta successivamente pubblicata con il titolo The Purcell Papers, con riferimento al narratore eponimo Padre Francis Purcell.

    1839. Le Fanu viene ammesso all'esercizio della professione forense. Nel mese di maggio esce su «DUM», Strange Event in the Life of Schalken the Painter, una variazione sul tema dell'amante demoniaco.

    1841. Muore la sorella Catherine alla quale è profondamente affezionato e, essendo venuto per la prima volta a contatto con la morte, da questo momento -per tutta la sua vita - mostrerà segni di depressione e di malinconia.

    1843. Su «DUM» di marzo esce Spaltro, che riflette questo suo stato d'animo unito a un'ansia religiosa e sessuale. A dicembre sposa Susan Bennett, sorella di George, brillante avvocato del Foro di Dublino.

    1845. A febbraio gli nasce la prima figlia, Eleanor.

    In aprile gli nasce un'altra bambina, Emma. Scrive un romanzo di costume, The Cock and the Anchor ambientato nella Dublino del XVIII secolo.

    E’ la volta del terzo figlio, questa volta un maschio, che viene chiamato Thomas Philip. Scrive un altro romanzo storico, The Fortunes of Colonel Torlogh O'Brien (questo nome sarà dato da Howard a uno dei personaggi protagonisti del suo Ciclo Celta).

    1851. Esce la sua prima raccolta di racconti, Ghost Stories and Tales of Mystery. A gennaio, «DUM» pubblica tre racconti di fantasmi di Chapelizod, che costituiscono delle anticipazioni di The House by the Churchyard.

    1853. Tutta la famiglia di Le Fanu si trasferisce nella casa di Bennett in Marrion Square, dato che George Bennett, la moglie e le figlie, si erano trasferiti a Sodylt Hall nello Shropshire.

    1854. In agosto nasce il quarto figlio di Le Fanu, George Brinsley. Viene pubblicato An Account ofSome StrangeDisturbances in Augier Street, e sarà l'ultimo lavoro di Le Fanu per ben nove anni.

    1856. Muore il padre della moglie di Le Fanu, e questo evento ha un effetto traumatizzante sulla moglie Susanna che collassa mentalmente e arriva quasi in punto di morte.

    1858. A seguito di una grave malattia, la moglie muore. Se pure possibile, Le Fanu si chiude ancor più in se stesso.

    1861. Appare a puntate sul «Dublin University Magazine», The House by the Churchyard, che si rifa alla sua infanzia a Chapelizod.

    1863. L'editore londinese William Tinsley pubblica in edizione rilegata The House by the Churchyard.

    1864. Vede la luce Uncle Silas, quello che viene generalmente ritenuto il capolavoro di Le Fanu.

    1865. Pubblica Guy DeverelL

    1866. Esce In the Dark.

    1867. È la volta di The Tenants ofMalory.

    1868. Pubblica Haunted Lives e Squire Toby's Hill.

    1869. Esce The Wyvern Mystery. Vende a un tipografo londinese, Charles Adams, il «DUM» che aveva comprato nel 1861, per la somma di 1500 sterline.

    1971. Scrive The Chronicles of Golden Friars in tre volumi.

    1872. Dopo aver pubblicato In a Glass Darkly, anche questo in tre volumi, praticamente non dà alle stampe nient'altro di organico, salvo alcuni articoli e saggi.

    1873. Alla fine di gennaio Le Fanu viene colpito da un attacco di bronchite dal quale non si rimette più, e muore il 7 febbraio. Viene seppellito nella tomba di famiglia dei Bennett nel cimitero di Mount Jerome, a fianco della moglie Susan.

    G.P.

    Carmilla

    e altri racconti di fantasmi e vampiri

    Titoli originali:

    Squire Tobys Will, Ghost Stories of the Tiled House, The Story of an Hands Ghost, Wicked Captain Walshawe, ofWauling, The White Cat ofDrumgunniol, Schalken the Painter, The Murdered Cousin, A Night in the Bell Inn, The Drunkards Dream, Mr. Justice Harbottle, An Account ofSome Strange Disturbances in Augier Street, The Ghost and the Bone Setter, Madam CrowTs Ghost, The Fortunes of Robert Ardagh, The Fa-miliar, Carmilla.

    Il testamento del gentiluomo Toby

    (Un racconto di fantasmi)

    Molte persone abituate a percorrere la vecchia strada da York a Londra all'epoca delle carrozze, ricorderanno d'essere passate, diciamo un pomeriggio d'autunno, viaggiando verso la Capitale, a circa tre miglia a sud della città di Applebury. A un miglio e mezzo dalla Old Angel Inn, vi è una di quelle vecchie costruzioni ingabbiate, una grande casa bianca e nera diroccata e macchiata dal tempo, con ampie finestre a traliccio che scintillano al sole del tardo pomeriggio con i loro piccoli vetri romboidali tra il fitto fogliame di antichi olmi. Un ampio viale, oramai ricoperto d'erbacce e gramigna come i cimiteri, e fiancheggiato da due doppie file dei medesimi alberi scuri, vecchi e giganteschi, interrotti qua e là da un varco o da un albero caduto di traverso sulla strada, conduce alla porta principale.

    Osservando questo viale triste e spento dalla carrozza diretta a Londra, come ho fatto di sovente, si rimane colpiti da tanti segni di decadenza e abbandono: ciuffi d'erba che spuntano tra gli scalini e negli interstizi delle finestre, comignoli spenti sorvolati dalle taccole, totale assenza di vita umana... E da quei segni capisci immediatamente che il posto è disabitato e abbandonato alla devastazione del tempo.

    Il nome di quella casa vetusta è Gylingden Hall. Le alte siepi e il vecchio timpano nascondono alla vista l'edificio, e circa un quarto di miglio dopo averlo superato, si incontra, circondata da malinconici alberi, una piccola cappella sassone tutta dissestata che, molto tempo fa, era il luogo di sepoltura della famiglia Marston, e che partecipa dell'abbandono e della desolazione che aleggiano sull'antica dimora.

    La profonda malinconia della isolata valle di Gylingden, solitaria come una foresta incantata, dove le cornacchie tornano ai loro posatoi tra gli alberi, e dove i rari cervi erranti che fanno capolino tra i rami, paiono avere indisturbato e completo dominio, accentua ulteriormente l'aria di abbandono di Gylingden Hall.

    Negli ultimi anni le riparazioni sono state trascurate, e qua e là il tetto rotto avrebbe bisogno di ben più di un rattoppo. Sul fianco della casa, esposto ai venti che spazzano la valle così come un torrente viene trascinato per il canale, non è rimasta intatta neanche una finestra, e attraverso le imposte penetra la pioggia. I soffitti e le pareti sono coperti di muffa. In certi punti, dove l'umidità sgocciola dal soffitto, il pavimento è marcito. Nelle notti tempestose - così dice il guardiano - si possono sentire i cani che cercano riparo nel vecchio edificio: i loro latrati arrivano fino al ponte di Gryston, e il vento ulula e geme per i corridoi deserti.

    Circa settantanni fa, in quella casa morì il vecchio Signore Toby Marston, famoso in quella parte del mondo per i suoi cani da caccia, la sua ospitalità e i suoi vizi. Aveva fatto cose buone, e aveva sostenuto parecchi duelli: aveva sperperato il denaro e aveva frustato la gente. Si era portato nella tomba alcune benedizioni e numerose maledizioni, lasciandosi dietro cumuli di debiti e tasse sulle proprietà che terrorizzarono i due figli i quali, non avendo il bernoccolo degli affari e nessuna predisposizione per i conti, non avrebbero mai immaginato, fino alla morte del vecchio gentiluomo dissoluto e blasfemo, che il padre avesse condotto la famiglia al tracollo finanziario.

    I due si incontrarono a Gylingden Hall. Davanti a loro c'era il testamento e c'erano i legali per spiegare con chiarezza i gravami che il deceduto aveva accollato loro. Il testamento era congegnato in modo da provocare immediatamente una lotta mortale tra i due fratelli.

    I due differivano per molti versi, ma nell'attaccamento al denaro erano identici, e in questo somigliavano al defunto padre. In una disputa si buttavano sempre a capofitto e, una volta cominciato, non si risparmiavano nessun colpo basso.

    Il primogenito, Scroope Marston, il più pericoloso dei due, non era mai stato il prediletto del vecchio gentiluomo. Non amava gli sport all'aria aperta e i piaceri della vita campestre, non era atletico, e non era bello. E il padre era molto dispiaciuto per tutto questo.

    Il giovane, che non aveva alcun rispetto per lui, e che una volta cresciuto aveva superato la paura che il genitore gli incuteva, lo ripagava con gli stessi sentimenti. L'avversione del burbero gentiluomo per il figlio, era perciò, diventata odio aperto. Si augurava sempre che quella mela marcia, quell'inetto di Scroope, non intralciasse la strada a uomini migliori - riferendosi al figlio minore Charles - e, quando beveva, perfino i vecchi e i giovani che andavano a caccia con lui, che dividevano il suo Porto, e che non erano scevri da una certa volgarità, lo trovavano assai disgustoso.

    Scroope Marston era leggermente gobbo, con una faccia magra e scavata, occhi neri penetranti e lunghi capelli neri, caratteristiche spesso tipiche delle persone deformi.

    «Non sono io il padre di quella schiena d'asino. Non l'ho generato io, m.......a lui! Dovrei chiamare mie quelle molle?», sbraitava il vecchio, riferendosi alle gambe lunghe e magre del figlio. «Charlie sì che è un uomo, mentre quell'altro è uno scimmione. Non ha una buona indole; e non ha né il senso pratico né la virilità dei Marston».

    E quando era completamente ubriaco, il vecchio soleva giurare che non si sarebbe mai «seduto a capotavola, né avrebbe spaventato la

    gente, facendola fuggire da Gylingden Hall, con quella sua d

    faccia da corvo... lo zotico!».

    Il Bel Charlie sì che era il suo degno erede. Lui sapeva come trattare un cavallo, sapeva dominare la bottiglia, e le ragazze facevano le fusa con lui. Lui sì che era un Marston dalla testa ai piedi!

    Ma anche con il Bel Charlie, aveva avuto qualche litigio. Il vecchio gentiluomo aveva la mano lesta con il frustino quanto era lesta la sua lingua e, una volta in cui non c'erano armi a portata di mano, aveva dato al ragazzo una bella bussata di nocche.

    Il Bel Charlie era dell'avviso che il periodo della mortificazione della carne dovesse finire, e una notte, con il Porto che scorreva a fiumi, qualcuno fece una certa allusione a Marion Hayward, la figlia del mugnaio, che al vecchio gentiluomo per qualche motivo non piacque.

    Avendo alzato il gomito, e avendo le idee più chiare sul pugilato che sull'autocontrollo, l'uomo, con sorpresa di tutti i presenti, allungò un pugno al Bel Charlie. Il giovane spostò la testa con destrezza e non successe niente, tranne al boccale che cadde sul pavimento. Ma il vecchio gentiluomo si era scaldato, e balzò su dalla sedia. Il Bel Charlie saltò su a sua volta, deciso a non sopportare simili sciocchezze.

    Lilbourne, sbronzo anche lui, nel tentativo di mediare la situazione, cadde lungo disteso sul pavimento e si tagliò un orecchio con i vetri del boccale. Il Bel Charlie bloccò a mano aperta il pugno che il vecchio genitore avrebbe voluto assestargli, e poi, afferratolo per il colletto, lo sbatté di schiena contro il muro. Dissero che il vecchio non era mai stato più paonazzo di così, con quello sguardo stralunato. E allora il Bel Charlie lo bloccò con le braccia contro la parete.

    «Avanti... andiamo... Non dire più quelle stupidaggini che hai detto prima, che non mi piacciono», gracchiò il vecchio gentiluomo. «L'hai smessa di fare lo stupido, è vero? L'hai smessa, no? Avanti, Charlie, dammi la mano, e torna a sederti con noi, ragazzo».

    Così finì l'alterco, e credo che quella sia stata l'ultima volta che il signorotto provò ad alzare le mani sul Bel Charlie.

    Ma quei giorni erano passati. Adesso Toby Marston riposava in pace sotto la terra umida del grande albero cinerino vicino alla diroccata cappella sassone dove tanti Marston erano tornati alla polvere per giacervi dimenticati. Gli stivali macchiati dalla pioggia e le brache di pelle, il tricorno che solevano portare gli anziani gentiluomini di quei tempi, il famoso panciotto rosso che gli arrivava fin sotto i fianchi e la fiera faccia da pugile del vecchio gentiluomo, oramai erano solo un ricordo.

    E i fratelli tra i quali aveva fatto scoppiare una lotta insanabile indossavano adesso i vestiti da lutto, ancora lustri, mentre discutevano furiosamente al tavolo del grande salone di quercia dove tanto spesso erano risuonate le canzoni goliardiche, le oscenità, e le risate dei vicini che il vecchio Signore di Gylingden Hall amava radunarvi.

    I due gentiluomini, cresciuti a Gylingden Hall, non erano abituati a tenere a freno la lingua, né, se ce n'era bisogno, a tenere le mani a posto. Nessuno dei due aveva partecipato al funerale del vecchio. La sua morte era stata improvvisa. Coricatosi in quello stato ilare e litigioso nel quale lo inducevano sempre il Porto e il punch, la mattina dopo era stato trovato morto con la testa penzoloni dalla sponda del letto e la faccia tutta livida e gonfia.

    Il testamento del nobile espropriava il figlio primogenito di Gylingden, che veniva lasciato all'erede legittimo da tempi immemorabili. Scroope Marston era furioso. Si udiva la sua voce profonda inveire contro il padre defunto e il fratello, e i pugni che assestava sul tavolo per dare maggiore enfasi alle proprie recriminazioni, risuonavano per tutta la sala.

    Poi si intromise la voce più rude di Charlie, cui seguì un breve scambio di battute, e alla fine le due voci si levarono contemporaneamente in tono sempre più forte e irato. A quel punto intervennero i pacifici e spaventati legali, i quali cercarono di placare il tumulto, e l'alterco ebbe fine. Scroope uscì dalla stanza col volto pallido e furioso - che sembrava ancora più bianco sotto i lunghi capelli neri -gli occhi scuri fiammeggianti, i pugni serrati, e l'aspetto reso ancora più deforme dalla collera che lo scuoteva tutto.

    Dovevano essersi detti parole molto brutte, perché Charlie, sebbene fosse il vincitore, era quasi adirato quanto Scroope. Il fratello maggiore avrebbe voluto prendere possesso della casa e costringere il rivale a ricorrere all'azione legale per cacciarlo via, ma gli avvocati si dichiararono categoricamente contrari. E così, con il cuore gonfio d'odio, Scroope se ne andò a Londra, e trovò la società che si era occupata degli affari del padre. Gli impiegati controllarono la situazione economica, e dissero che Gylingden non rientrava negli accordi. Era molto strano, ma era proprio così: Gylingden era specificamente esclusa, sicché il diritto del vecchio gentiluomo di disporne liberamente nel proprio testamento era insindacabile.

    Nonostante questo, Scroope, giurando vendetta anche a costo di rovinarsi, pur di averla vinta sul fratello, partì all'offensiva e impugnò il testamento del vecchio Toby davanti alla Corte dei Privilegi e alla Corte di Giustizia, e la faida tra fratelli andò avanti per mesi e mesi, esasperando entrambi.

    Scroope perse la causa, ma la sconfitta non lo ammorbidì. Charlie avrebbe potuto dimenticare le brutte parole che si erano detti, ma le lunghe schermaglie e le mosse tattiche tipiche delle battaglie legali, nelle quali i due Marston figuravano come parti opposte, lo avevano indurito; anche i rovinosi costi legali lo avevano colpito, con il consueto effetto che sortiscono su un uomo che non naviga in acque economicamente tranquille.

    Gli anni volarono, ma senza medicare le ferite riportate dalle loro ali. Al contrario, la corrosione operata dall'odio, col tempo divenne più profonda. Nessuno dei due prese moglie. Ma al minore - Charles Marston - capitò un incidente diverso che accorciò i suoi piaceri drasticamente.

    Si trattò di una brutta caduta da cavallo. Charles riportò gravi fratture e una contusione alla testa. Per un po' tutti credettero che non si sarebbe più ripreso, ma lui smentì quegli uccelli del malaugurio.

    Si riebbe, infatti, anche se avvennero in lui due cambiamenti. La botta presa all'anca non gli consentì mai più di rimontare in sella, e la spensieratezza di un tempo lo abbandonò per sempre.

    Era rimasto cinque giorni in stato di coma - un'insensibilità assoluta - e, quando aveva ripreso conoscenza, era stato colto da un'incredibile agitazione.

    Tom Cooper, che all'epoca del vecchio Toby era stato il maggiordomo di Gylingden Hall, era ancora al suo posto con una fedeltà quasi patetica, in quei tempi di sbiadito splendore e frugale gestione domestica. Erano passati vent'anni dalla morte del vecchio padrone: era diventato ossuto e ingobbito, la faccia gli si era ricoperta delle tipiche chiazze marroni della vecchiaia, assumendo un'espressione cupa e arcigna, e col prossimo, eccettuato il padrone, si era anche inacidito.

    Il padrone si era recato a Bath e a Buxton, ed era tornato claudicando, aiutandosi con il bastone. Quando il cavallo venne venduto, scomparve con lui l'ultima tradizione di Gylingden. Il giovane gentiluomo - veniva chiamato ancora così - non potendo più andare a caccia dopo la disgrazia, si chiuse in una vita solitaria, facendo lente passeggiate intorno alla vecchia proprietà, sollevando di rado gli occhi, e assumendo un'aria infinitamente triste.

    Il vecchio Cooper aveva l'abitudine di parlare con franchezza al padrone, e così un giorno, mentre gli porgeva il cappello e il bastone, gli disse:

    «Dovreste cercare di tirarvi su, Padron Charles!».

    «Sono passati i bei tempi, vecchio Cooper».

    «Secondo me il problema è solo questo: avete qualcosa in mente e non volete dirlo a nessuno. Non fa bene tenersi tutto sullo stomaco. Vi sentireste più leggero dicendolo a qualcuno. Suvvia, di che si tratta, Padron Charlie?».

    Il gentiluomo lo guardò dritto in faccia con quei suoi occhi grigi e tondi. Gli sembrava che si fosse rotto un incantesimo. Era come la proverbiale proibizione del fantasma che non può parlare finché non viene interrogato. Guardò ansiosamente il vecchio Cooper per qualche secondo, poi sospirò gravemente.

    «Non è la prima volta che indovini, vecchio Cooper, e sono lieto che tu abbia parlato. È un tarlo che ho qui nel cervello da quando sono caduto. Seguimi, e chiudi la porta».

    Il gentiluomo aprì la porta del salotto di quercia e guardò pensierosamente i dipinti. Era diverso tempo che non entrava lì dentro e, dopo essersi seduto al tavolo, prima di parlare scrutò nuovamente Cooper.

    «Non è molto, Cooper, ma mi preoccupa, e non lo direi neanche al dottore e al parroco, perché Dio solo sa che cosa penserebbero, anche se è una cosa sciocca. Ma tu sei stato sempre fedele alla mia famiglia, perciò non mi preoccupa dirtelo». «Dirlo a Cooper, Padron Charles, è come chiuderlo in una cassa e gettarlo in fondo a un pozzo».

    «È tutto qui», disse Charles Marston, abbassando gli occhi sulla punta del bastone col quale stava tracciando delle linee e dei cerchi. «Per tutto il tempo in cui sono rimasto come morto, come tutti credevate, sono stato con il vecchio padrone». Mentre parlava, sollevò nuovamente lo sguardo verso Cooper poi, con una terribile imprecazione, ripetè: «Sono stato con lui, Cooper!».

    «Era un brav'uomo, Signore... a modo suo», disse il vecchio Cooper, ricambiando lo sguardo

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