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Vado, sbaglio e torno
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Vado, sbaglio e torno
E-book265 pagine3 ore

Vado, sbaglio e torno

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Info su questo ebook

Questo libro è stato una sorpresa fenomenale! Sexy, romantico e divertente, che cosa chiedere di più?

Ho una certa abilità nello scegliere la persona sbagliata, devo ammetterlo. Magari viene fuori che il tipo che mi piace è gay. Oppure ha il vizio dei giochi spinti. Per non parlare di quello tutto perfettino che nella vita è solo un viziato cocco di mamma. Insomma, riesco a inanellare uno sbaglio dopo l’altro... Ultimamente, però, mi capita di non riuscire a smettere di fantasticare su uno dei clienti del bar dove lavoro nei ritagli di tempo. Mi auguro che sia solo un’innocua cottarella, niente di cui preoccuparsi. L’uomo in questione è il mio ginecologo ed è molto più grande di me. E questo lo fa diventare Mr. Uomo Sbagliato. Ma è anche vero che non mi ricordo di avere mai avuto fantasie più eccitanti e scandalose...

«Una storia che mi ha fatto ridere ed emozionare come mi succede con i romanzi di Emma Chase. Leggetelo!»
Gabriella
Jana Aston
tutti i giorni fa un mestiere molto noioso, ma si ritaglia tutto il tempo che può per scrivere storie d’amore romantiche e sensuali con cui sognare di evadere dalla realtà. I suoi romanzi sono diventati tutti bestseller del «New York Times» e «USA Today».
LinguaItaliano
Data di uscita12 lug 2017
ISBN9788822709998
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    Anteprima del libro

    Vado, sbaglio e torno - Jana Aston

    Capitolo uno

    «Sophie, c’è il tuo cliente preferito». Everly fa schioccare un tovagliolo sul mio sedere e mi fa un grande sorriso.

    «Everly, zitta! Potrebbe sentirti».

    Merda, sto già arrossendo. Luke. Viene al bar ogni martedì mattina. È il momento clou del mio turno mattutino da Grind Me, una caffetteria appena fuori dal campus. Lavoro vicino all’Università della Pennsylvania, dove seguo le mie lezioni. La sede di Grind Me, dove lavoro, è frequentata principalmente da professionisti e studenti che vivono in appartamenti fuori dal campus universitario.

    Luke rientra sicuramente nella categoria dei professionisti. Non so di preciso che lavoro faccia, ma entra da Grind Me con completi dall’aria molto costosa e cravatte eleganti. Niente a che vedere con i ragazzi del college che indossano pantaloni sportivi e magliette con stampe grafiche. Avrà dieci, quindici anni più di me. Non ha importanza. È bellissimo e mi sono presa una cotta per lui, il che è davvero una brutta cosa perché ho un ragazzo. Un ragazzo che ha l’età giusta.

    Ma Luke… mi fa bagnare le mutandine solo ordinando un caffè. Secondo i miei calcoli è alto oltre il metro e ottanta. Folti capelli scuri, occhi castani e ciglia per cui ogni donna sarebbe disposta a uccidere. Oggi indossa un completo grigio scuro con una cravatta prugna. Un vero sballo.

    Le sue mani sono quasi diventate un’ossessione. Le dita affusolate si completano con delle unghie corte e curate in modo impeccabile. Sembrano proprio… molto abili. Ho svariate fantasie che vedono protagoniste le sue mani e il mio corpo. Sa sicuramente come usare quelle mani. Scommetto che riuscirebbe a farmi avere un orgasmo in pochi minuti – di certo quelle dita perfette sanno dove piegarsi mentre preme il pollice sul mio clitoride. Probabilmente riuscirebbe a farmi venire con una sola mano mentre con l’altra chiude una telefonata sul cellulare.

    Ho un sacco di fantasie su Luke basate solo sul fatto di versargli una tazza di caffè ogni martedì e fargli lo scontrino. Paga sempre in contanti. Non ho idea di quale sia il suo cognome. Non avrei nemmeno saputo il suo nome se non lo avessi sentito mentre lo diceva al telefono estraendo dal portafoglio una banconota da venti. «Sono Luke, dica alla dottoressa Kallam che è urgente, attendo in linea».

    Purtroppo, non penso che le mie fantasie siano ricambiate. Non credo neanche che avrebbe mai saputo come mi chiamo se non fosse stato stampato in grassetto su una spilla attaccata al mio grembiule.

    «Sophie». Si rivolge a me chiamandomi sempre per nome. Buongiorno, Sophie. Vorrei del caffè nero, Sophie. Credo che lei abbia un po’ di panna sul naso, Sophie. Quella roba schizza, okay? «Sophie?». Oh, merda. Mi stava parlando mentre fantasticavo?

    «Mi dispiace! Uhm, stavo sognando a occhi aperti». Mi fa un sorrisetto compiaciuto. Bastardo. «Caffè nero in tazza grande?»

    «Sì, grazie». Fa scivolare un biglietto da cinque dollari sul bancone. «Le auguro una buona giornata, Sophie». Sorride di nuovo mentre si gira ed esce dal locale. Lo guardo mentre cammina, spogliandolo con gli occhi senza che lui se ne accorga. La porta si chiude dietro le sue spalle con uno scampanellio ma resto a fissarlo finché non scompare dalla visuale.

    «Wow, è stato eccitante», Everly si sventola con una busta da asporto. «Tensione sessuale. Fa caldo qui dentro?»

    «Smettila».

    Si diverte un sacco a prendermi in giro. Questo succede tutte le settimane. Senz’altro lui sente le sue risatine in sottofondo. E lei insiste a dire che sono io che lo aspetto tutte le volte. Se lei è al bancone quando lui arriva, cerca immediatamente qualcos’altro da fare per scivolare un passo indietro e guardarmi mentre gli faccio gli occhi dolci. Ovviamente è una cosa piuttosto imbarazzante.

    «Basta col misterioso strafico. Hai finalmente deciso di darla via e scoparti Mike o no? Lo stai facendo aspettare da un mese? È un sacco di tempo per uno studente del college arrapato. Inoltre, sei la vergine più vecchia del campus. Non solo del nostro campus. Di tutti i campus universitari».

    «Non è colpa mia se sono stata fidanzata con un ragazzo gay per due anni», mi metto una ciocca di capelli dietro l’orecchio e incrocio le braccia al petto. A questo riguardo sono un po’ sulla difensiva.

    «Pronto? Terra chiama delirante. Non ti era sembrato strano uscire con un ragazzo di vent’anni che non cercava mai di ficcarti dentro il cazzo?». Everly scarica i chicchi di caffè nel macinino di dimensioni industriali e solleva un sopracciglio con aria scettica guardando verso di me. Io le passo una pila di buste Grind Me da mezzo chilo con l’etichetta per la vendita sfusa e mi appoggio sul lato opposto del bancone.

    «Pensavo che mi rispettasse, non che avesse paura delle vagine», le dico, dando un calcio al tappetino di gomma sul pavimento e spostandolo di qualche centimetro. «Se lo faceva succhiare», aggiungo, sperando sia un ragionamento valido a mia difesa.

    Everly sbuffa. «Sì certo, con le luci spente».

    Mi mordo un labbro e guardo altrove.

    «Oh mio Dio! Stavo scherzando. Mi dispiace molto, Sophie. Merda, per davvero? Ai ragazzi piace guardare mentre glielo succhiano. Ma probabilmente Scott si immaginava fossi un uomo mentre gli tenevi in bocca il cazzo, insomma… Oh, porca puttana. Sto peggiorando la situazione». Everly fa cadere la busta del caffè sotto il dispenser. I chicchi si sparpagliano sul bancone e cadono sul pavimento mentre lei mi stringe in un grosso abbraccio. «Sono molti i ragazzi che vorrebbero scoparti, Sophie. Te lo giuro. Anche Luke. A quell’uomo piacerebbe moltissimo ficcartelo dentro, è solo preoccupato che tu sia minorenne. E comunque dovresti cominciare con Mike. Alto, moro e bello sembra che abbia un uccello da cavallo».

    «Hai veramente un modo fascinoso di esprimerti, Everly. Dovresti scrivere un libro o qualcosa del genere». Mi libero dal suo abbraccio e prendo la scopa per spazzare i chicchi di caffè dal pavimento.

    «Comunque, sarà un successo con Mike, giusto? Devi solo farla finita. Mike andrà bene, è un fico. Io me lo scoperei».

    «Everly!».

    «Però non lo farei senza preservativo. La sicurezza innanzitutto. E dimmi, hai preso un appuntamento con l’ambulatorio degli studenti? Bisognerebbe sempre avere un doppio metodo di contraccezione, perché io non sono ancora pronta per diventare nonna». Everly salta sul bancone posteriore e mi osserva mentre passo la scopa. «Te n’è sfuggito qualcuno alla tua sinistra».

    «Everly, hai ventuno anni e non siamo parenti. Non potresti diventare nonna».

    «Vabbè. È semantica».

    «Non è proprio questo il significato di semantica. In cos’altro ti stai laureando?». Alzo lo sguardo mentre lei ruba un muffin dalla vetrina della pasticceria e lo scarta.

    «Mi sto laureando in professor Camden», replica con la bocca piena. «Che è molto meglio di questo muffin. Gesù. Chi è che spende soldi per questa robaccia?»

    «Non tu, chiaramente», osservo mentre lei getta il dolcetto nel cestino della spazzatura. «Sì. Ho un appuntamento all’ambulatorio appena finisco il turno. Ho depilato le gambe e tutto il resto». Prendo un elastico dal polso e lego i miei lunghi capelli bruni in una coda di cavallo, prima di piegarmi per raccogliere con la paletta il casino fatto da Everly.

    «Ma anche la vagina? Hai depilato anche quella?». Everly si avvicina di nuovo alla vetrina della pasticceria e ne estrae un biscotto ricoperto di caramello.

    «Noooo», rispondo lentamente. «Non credo che il ginecologo si aspetti di trovarmi rasata. Giusto?»

    «Porca puttana. Questo biscotto. Questo sì che è buono. Orgasmicamente buono. Quanto li facciamo pagare?». Presumo che non le importi nulla perché non la smette di parlare e non controlla nemmeno il prezzo sulle etichette. «Oh, mio Dio. Ne vuoi un morso?». Scuoto la testa per dire di no e lei continua.

    «Non posso aspettare che tu abbia un orgasmo. Non un orgasmo per aver mangiato un biscotto, intendo un orgasmo da pene. Che non riuscirai ad avere in questo weekend, a meno che Mike non sia veramente, ma veramente bravo. E non penso che lo sarà perché è troppo giovane, dammi retta. Ma sarà meglio che quel coglione ti faccia venire con la lingua o con le dita prima di ficcartelo dentro. Perché le prime volte non ti piacerà un granché. Insomma sì, Mike potrebbe preferirti glabra. Ti organizzo un appuntamento con la mia amica Leah. La sua bravura con la ceretta, è sorprendente».

    Appoggia il biscotto mangiato a metà sul bancone e prende il cellulare dalla tasca mentre io mi distraggo con un cliente. Appena finisco di preparare un cappuccino alla vaniglia e nocciola medio, mi giro di nuovo verso Everly, lei ha finito la telefonata e torna a divorarsi il biscotto.

    «Ho organizzato tutto. Giovedì. Ti ho mandato un messaggio con l’indirizzo. Per me è un piacere».

    «Everly! Non ho detto che ero d’accordo a farmi la ceretta».

    «Non fare la femminuccia. La visita dal ginecologo è molto più fastidiosa della ceretta. Ti piacerà, fidati. Durante il sesso la frizione è di gran lunga migliore. Dio». Sorride. «E poi, anche con i jeans. Ti giuro che venerdì sarai eccitata tutto il giorno con la vagina rasata che si strofina contro i jeans».

    Scuoto la testa. «Questa conversazione è proprio inopportuna».

    «Di cosa state parlando ragazze? Di quando fate a cuscinate tutte nude negli alloggi per gli studenti?»

    «Zitto, Jeff». Everly non alza nemmeno lo sguardo dal biscotto.

    «Non puoi parlarmi così, Everly. Sono il tuo capo, questa è insubordinazione». Jeff, come noi, è all’ultimo anno di università. Suo padre è il proprietario della piccola catena di caffetterie e ha affidato a Jeff la gestione di questo locale.

    «Non ci puoi molestare sessualmente, ma lo fai. Perché non chiamiamo in videoconferenza tuo padre e discutiamo di questa denuncia per molestie mentre presenti il tuo reclamo d’insubordinazione?»

    «Bene», bofonchia Jeff. «Almeno scendi dal bancone. E segna tutto il cibo che rubi sulla lista delle cose andate a male. Quando lavori, nel magazzino manca sempre qualcosa». Si gira e torna nel suo ufficio. Non è un vero e proprio ufficio, è una scrivania che ha sistemato in magazzino – completa di poltrona dirigenziale che ha preso da Costco durante un weekend, trascinandola dall’ingresso posteriore come se dovesse allestire il negozio per gestire un piccolo impero e non una caffetteria per altri studenti del college.

    Everly salta giù dal bancone borbottando. «Quel ragazzo ha un futuro davanti. Un ruolo da manager, dove non riuscirà a motivare nessuno e ad annoiare tutti».

    «Non è poi così male, Everly». Mi dà un’occhiata che mostra tutta la sua disapprovazione. «Okay, è davvero pessimo», concordo.

    «È vero». Torna indietro per riempire le buste di caffè da mezzo chilo e per fortuna mette da parte l’argomento ceretta. Non sono sicura di voler andare a quell’appuntamento. Quello che mi aspetta nella tarda mattinata mi preoccupa già abbastanza.

    Capitolo due

    Tutto il resto del turno è un susseguirsi di cappuccini, caffè freddi e un flusso continuo di studenti pendolari diretti al campus e di professionisti che vanno a lavorare nelle vicinanze. Dopo aver finito il turno, mi avvio a piedi alla fermata dell’autobus più vicina. Ho meno di un’ora per andare all’appuntamento nell’ambulatorio degli studenti e non voglio mancare. I preservativi sono facili da trovare, ma ottenere una prescrizione per la pillola anticoncezionale richiede una visita medica e un esame, e se perdo quest’appuntamento non ho idea di quanto tempo potrebbe passare prima di averne un altro.

    L’università ha un servizio di navetta che si snoda intorno al campus ma Grind Me è a diversi isolati dal percorso, ecco perché tra i nostri clienti ci sono pochi studenti universitari. Fuori fa freddo, l’autunno è già in fase avanzata e mi stringo nella giacca affrettandomi a raggiungere la fermata, lieta che un autobus stia sopraggiungendo proprio mentre arrivo. Gli autobus passano ogni quindici-venti minuti e perciò sono molto felice di essere riuscita a prendere questo.

    La navetta è quasi vuota, essendo ormai mattina inoltrata. Gli studenti sono già in classe oppure stanno ancora dormendo. L’ambulatorio è solo a poche fermate su Market Street, tra la fermata vicino Grind Me e il mio alloggio universitario. Ho usato l’ambulatorio soltanto un’altra volta, al primo anno, quando un caso di faringite aveva contagiato la metà del mio dormitorio.

    Quando arrivo, l’ambiente è tranquillo, la segretaria alla reception sembra annoiata mentre una coppia di studenti aspetta il proprio turno per la visita, passando il tempo con lo smartphone. Mi porge una cartellina piena di moduli e mi dà le istruzioni su come compilarli e firmare ogni pagina, prima di restituirglieli.

    Mi siedo e mi sbrigo a riempire il questionario. Nome, numero del tesserino universitario, telefono, allergie, farmaci, storia medica familiare, data dell’ultima mestruazione. Sempre meno invasivo di un turno di lavoro da Grind Me con Everly. Il solo pensiero mi fa sorridere. Finisco e faccio scivolare la penna sotto la cartellina prima di ridare tutto alla segretaria e sedermi di nuovo in attesa.

    Qualche minuto dopo, un’infermiera chiama il mio nome e mi sento rincuorata. Spero che sia una cosa veloce e di essere fuori da qui tra mezz’ora con la prescrizione in mano.

    L’infermiera è una donna dall’aria amichevole con un grande sorriso e un camice zebrato che mi dice di chiamarla Marie. Inizia a parlare appena superiamo la porta mentre mi accompagna nella sala visite, dove mi pesa e mi prende la pressione prima di spiegarmi che dovrò togliermi gli abiti, compresa la biancheria intima. Non credo che esista qualcuno che provi a farsi visitare dal ginecologo con indosso le mutandine, ma non dico niente.

    «Per quale motivo sei venuta a farti visitare dal dottore oggi, Sophie?». Mi guarda dall’alto della cartellina, sorridendo gentilmente. Scommetto che i nipoti la adorano. Ne ha tre. Passano il weekend a casa sua e la distruggono. Mi racconta tutto mentre prende i miei parametri vitali, gesticolando e ridendo per le loro battute.

    «Anticoncezionali. Vorrei prendere la pillola». Cerco di mostrare un’aria sicura, nonostante l’imbarazzo che provo a parlare della mia potenziale vita sessuale con lei. Mi ricorda mia nonna, la donna che mi ha cresciuto. Mia madre mi ha avuto mentre era al primo anno di università ed è morta prima che io compissi due anni.

    «Bene, sei una ragazza intelligente. È sempre saggio adottare misure contraccettive». L’infermiera annuisce con un cenno d’approvazione. «Sei mai stata dal ginecologo prima?»

    «No».

    «Bene, allora sei fortunata. C’è il dottor Miller il martedì mattina. È il primario del reparto di Ostetricia dell’ospedale, ma fa il volontario qui per qualche ora la settimana. Altrimenti ti saresti trovata con uno dei nostri medici generici che non sono certo famosi per la loro delicatezza. Ti do qualche minuto per spogliarti e poi tornerò col dottore».

    La porta si chiude dietro l’infermiera con un woosh. Mi spoglio velocemente, ripiegando il reggiseno e le mutandine tra la camicia e i jeans, perché mi sembra maleducato lasciarli a vista. Mi faccio scivolare addosso il temuto camice di carta monouso e con un salto sono sul lettino. Merda. I calzini. Marie non ha parlato dei calzini. Vorrei che l’avesse fatto. So di dover togliere l’abbigliamento intimo, ma i calzini? È strano se me li lascio addosso o è strano se li tolgo? Sto ancora lì a valutare il da farsi quando sento bussare alla porta mentre qualcuno mi chiede se sono pronta. Allora i calzini me li tengo, penso.

    La porta si apre e Marie entra.

    Con Luke.

    Il Luke della caffetteria.

    La giacca del completo che indossava stamattina non c’è più ed è stata sostituita da un camice bianco. La cravatta color prugna che mi aveva tanto affascinata solo un paio d’ore prima è ancora perfettamente annodata attorno al collo.

    Oh mio Dio. La mia cotta di fantasia è un ginecologo. Il mio ginecologo.

    Capitolo tre

    «Tutto bene, tesoro?». Marie chiude la porta e spinge un vassoio con gli strumenti vicino al lettino. «Ho detto al dottor Miller che per te è la prima volta, sarà molto delicato».

    Il mio viso di certo tradisce la mia mortificazione. Guardo Luke. Quando è entrato nella stanza, ho pensato che avesse una qualche esitazione, ma adesso non sembra far trasparire nulla.

    «Sophie», dà un’occhiata alla scheda che tiene in mano, «Tisdale. Signorina Tisdale, ci conosciamo?».

    Sto avendo un’esperienza extracorporea? Questo momento potrebbe essere più imbarazzante? Non sa proprio dove collocarmi al di fuori della caffetteria. L’uomo sul quale ho fantasticato quasi ogni martedì per settimane è ora il mio ginecologo, e quel che è peggio – meglio? – non sa chi io sia.

    «Grind Me», mi lascio sfuggire. Oh mio Dio, che nome stupido per una caffetteria. «La caffetteria, Grind Me». La sua espressione non cambia.

    Guarda di nuovo la scheda che ha in mano. «Studentessa universitaria, ventuno». Si interrompe e con un dito tamburella sulla parte inferiore della cartellina. Accidenti a lui e alle sue dita così attraenti. Sfoglia un paio di pagine della mia cartella clinica. «Lei vuole la prescrizione per un anticoncezionale?». Mi guarda dritto negli occhi e il mio ritmo cardiaco esplode. Non era in questo modo che avrei voluto la sua totale attenzione.

    «Giusto», rispondo.

    «Ha un’idea di quale tipo di anticoncezionale vorrebbe? La pillola potrebbe essere la scelta più opportuna per una donna della sua età. Potrei darle una iud, ma non la consiglio per donne giovani che non hanno ancora avuto figli. C’è un cerotto e un anello, ma entrambi presentano in modo analogo dei pro e dei contro».

    «Solo la pillola», lo interrompo. «La pillola va bene».

    «Non insisterò mai abbastanza su quanto sia necessario praticare un sesso sicuro e usare un preservativo oltre alla pillola contraccettiva, purché lei e il suo partner non abbiate già fatto il test e deciso di affrontare questo rischio».

    «Okay, lo farò».

    Lui s’interrompe un attimo. «Lo farà o lo fa? Basta una volta sola, Sophie». Si lava le mani nel piccolo lavandino sul muro, poi si gira verso di me mentre si asciuga con una salvietta di carta. «È già attiva sessualmente?»

    «Uhm, no».

    «Quindi nessun rapporto sessuale nelle ultime quattro settimane?»

    «Uhm, no. Non ho mai fatto sesso».

    Lui si ferma ancora un momento, i suoi occhi si spostano dalla salvietta che ha tra le mani per incontrare i miei. «Okay, allora». Scuote un po’ la testa e getta l’asciugamani nella pattumiera. «Inizieremo con un controllo al seno e poi visiteremo la pelvi. Inserirò un tampone per il pap test, però non potrò anticipare nessun risultato. Il laboratorio la chiamerà entro una settimana se ci sono delle anomalie». Dà uno sguardo al vassoio con gli strumenti. «Marie, mi puoi prendere uno speculum piccolo? Credo che ce ne sia uno da qualche parte». Marie si alza dalla postazione sullo sgabello vicino alla porta e lascia la stanza.

    Appena lei esce Luke mi guarda di nuovo. Le mie mani sono incrociate e sto dondolando i miei stupidi piedi coperti dai calzini che sporgono dall’estremità del lettino mentre lui si fa scorrere una mano sulla mascella.

    «Se non si sente a suo agio, posso farle avere un appuntamento con un altro medico dell’ambulatorio, Sophie».

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