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I racconti del Necronomicon
I racconti del Necronomicon
I racconti del Necronomicon
E-book357 pagine16 ore

I racconti del Necronomicon

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Cura e traduzione di Gianni Pilo

In questo volume sono raccolti e presentati quei racconti che citano o parlano in qualche modo del “Libro Maledetto”, quel Necronomicon che, sicuramente opera di fantasia di Lovecraft, come lui stesso ebbe ad affermare, a tutt’oggi conta una numerosa schiera di appassionati che sono convinti esista davvero. È in ogni caso fuor di dubbio che queste storie inquietanti costituiscono un momento fondamentale nell’insieme del corpus narrativo del Solitario di Providence, e in particolar modo per quanto attiene al suo famosissimo Ciclo dei Miti di Cthulhu, che viene unanimemente riconosciuto come la parte più pregnante e significativa della sua produzione.

«Quando mi avvicinai alla Città senza nome, capii che era maledetta. Viaggiavo in una vallata riarsa e terribile sotto la luna e, da lontano, la vidi sporgere stranamente al di sopra della sabbia così come parti di un cadavere sorgono da una tomba mal ricoperta.»



Howard P. Lovecraft

nacque il 20 agosto del 1890 a Providence nel Rhode Island. Vissuto in un ambiente familiare ben poco felice, dopo un’infanzia trascorsa in totale solitudine, fin da giovane dovette lottare con una serie di difficoltà economiche e si guadagnò da vivere con il mestiere ingrato e mal pagato di revisore dei testi narrativi di aspiranti scrittori. Grazie ai suoi romanzi e racconti, ispirati a una concezione del Cosmo particolare e singolarissima, è l’unico scrittore americano a poter rivaleggiare con Edgar Allan Poe. Divenuto, ancora vivente, una vera e propria “leggenda”, morì nella sua Providence, alla quale era legato in maniera viscerale, il 5 marzo del 1937. Moriva l’uomo, nasceva il mito.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854131521
I racconti del Necronomicon
Autore

H. P. Lovecraft

Renowned as one of the great horror-writers of all time, H.P. Lovecraft was born in 1890 and lived most of his life in Providence, Rhode Island. Among his many classic horror stories, many of which were published in book form only after his death in 1937, are ‘At the Mountains of Madness and Other Novels of Terror’ (1964), ‘Dagon and Other Macabre Tales’ (1965), and ‘The Horror in the Museum and Other Revisions’ (1970).

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    Anteprima del libro

    I racconti del Necronomicon - H. P. Lovecraft

    I racconti del «Necronomicon»

    Senza alcun dubbio, fra tutte le leggende nate intorno alla figura e all’opera di Lovecraft, quella che ha preso più piede – e tuttora vive – è legata all’esistenza del Necronomicon, un libro che sarebbe stato scritto da un arabo folle, Abdul Alhazred, che dovrebbe contenere le formule e i rituali grazie ai quali sarebbe possibile richiamare dai loro obbrobriosi intermundia le oscene divinità che fanno da sfondo ai racconti raggruppati in quello che è noto come il Ciclo dei Miti di Cthulhu, un libro la cui lettura ingenererebbe negli incauti la follia, o li proietterebbe verso destini ancora peggiori.

    Lovecraft si affannò inutilmente a spiegare che tanto il sinistro volume quanto il suo autore non esistevano, essendo unicamente frutto della sua fantasia: la maggioranza dei lettori credette (e a quanto pare continua a credere) alla reale esistenza di questo testo maledetto.

    A voler essere obiettivi, fu lo stesso Lovecraft a dare inizio al gioco, scrivendo (non con intenti di pubblicazione, ma come scherzo a beneficio degli amici e dei più stretti corrispondenti) una breve Storia editoriale del Necronomicon, che ebbe immediatamente una vasta diffusione fra gli appassionati della narrativa fantastica, ottenendo una fama che andò ben al di là delle intenzioni del suo autore.

    Ed ecco qui di seguito, nella sua versione più completa, la Storia e cronologia del Necronomicon scritta da Lovecraft.

    Il titolo originale dell’opera è Al Azif: Azif è l’allocuzione usata dagli arabi per indicare gli strani suoni notturni (dovuti agli insetti) che si supponevano essere gli ululati dei demoni. L’autore era Abdul Alhazred, un poeta folle nativo di Sanaa, capitale dello Yemen, che si dice fosse vissuto nel periodo dei Califfi Ommiadi, all’incirca nell’ottavo secolo dopo Cristo. Dopo aver effettuato molti misteriosi pellegrinaggi fra le rovine di Babilonia e le catacombe segrete di Menfi, trascorse dieci anni in completa solitudine nel grande deserto dell’Arabia meridionale, il Raba el-khaliyeh (o Spazio vuoto degli Arabi antichi), Dahna (o Deserto Cremisi dei moderni), ritenuto dimora di spiriti maligni e di mostri repellenti. Coloro che pretendono di aver attraversato questo deserto narrano di molti strani e incredibili accadimenti.

    Nell’ultimo periodo della sua vita, Alhazred abitò a Damasco (dove venne scritto Al Azif), e del suo trapasso o scomparsa (nel 738 d.C.) si raccontano molti particolari terribili e contraddittori. Riferisce Ibn Khallikan (un biografo del dodicesimo secolo), che venne afferrato in pieno giorno da un mostro invisibile e divorato in maniera agghiacciante di fronte a un gran numero di testimoni gelati dal terrore.

    Della sua follia parlano molti racconti. Egli affermava di aver visitato la favolosa Irem, la Città dalle Mille Colonne, e di aver trovato tra le rovine di un innominabile villaggio desertico le straordinarie cronache e i segreti di una razza più antica di quella umana. Non era un seguace della religione musulmana, ma adorava delle Entità sconosciute che si chiamavano Yog e Cthulhu.

    L’Al Azif, che era stato diffuso largamente, anche se in segreto, tra i filosofi dell’epoca, intorno all’anno 950 venne clandestinamente tradotto in greco dall’erudito bizantino Teodoro Fileta col titolo Necronomicon, cioè, letteralmente, il Libro delle leggi che governano i morti.

    Finché non venne soppresso e bruciato intorno al 1050 dal vescovo Michele, patriarca di Costantinopoli, favorì tutta una serie di innominabili esperienze. Dopo di ciò il suo nome fu solo furtivamente sussurrato ma, nel tardo Medioevo (1228), il danese Olaus Wormius ne fece una traduzione latina basata sulla versione greca di Fileta, che vide la stampa due volte: una alla fine del quindicesimo secolo in caratteri gotici (evidentemente in Germania), poi nel diciassettesimo (probabilmente in Spagna).

    Sia l’una che l’altra edizione sono prive di qualsiasi segno d’identificazione, e possono essere localizzate nel tempo e nello spazio solo in base a considerazioni riguardanti il tipo di stampa.

    Il Necronomicon, sia in latino che in greco, venne posto nell’Index Expurgatorius sin dal 1232 da papa Gregorio ix, al quale era stata mostrata la traduzione di Wormius. A quell’epoca l’originale arabo era già andato perduto, come mostra la prefazione alla prima versione latina (vi è tuttavia un vago indizio secondo cui una copia segreta sarebbe apparsa in San Francisco in questo secolo, e sarebbe andata distrutta nel famoso incendio del 1906).

    Della versione greca – che fu stampata in Italia fra il 1560 e il 1570 – non si ebbe più alcuna notizia fino al resoconto del rogo cui fu condannato nel 1692 un cittadino di Salem (città della Nuova Inghilterra che fu scenario di tutta una serie di processi per stregoneria) con la sua biblioteca. Una traduzione in inglese fatta dal dottor John Dee (il più celebre mago e alchimista dell’Inghilterra Elisabettiana) intorno al 1580, non venne mai stampata, e ne esistono solo alcuni frammenti ricavati dal manoscritto originale.

    Per quanto concerne le versioni latine attualmente esistenti, una (del quindicesimo secolo) è custodita nel British Museum, mentre un’altra (del diciassettesimo secolo) si trova nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Altre edizioni del diciassettesimo secolo sono reperibili nella Widener Library di Harvard, nella biblioteca della Miskatonic University ad Arkham, e nella biblioteca dell’Università di Buenos Ayres. È un fatto però che esistono sicuramente numerose altre copie detenute da privati, e al riguardo circola con insistenza la voce che un esemplare in caratteri gotici del quindicesimo secolo faccia parte della collezione privata di un celebre miliardario americano.

    Si diceva che anche presso la famiglia Pickman di Boston fosse presente una copia del testo greco stampato in Italia nel quindicesimo secolo ma, anche se ciò fosse stato vero, essa è comunque scomparsa insieme al pittore R.U.Pickman, di cui non si è saputo più niente a partire dal 1926.

    Tutte le fedi religiose hanno messo all’indice questo libro terribile e blasfemo. La sua lettura è causa di conseguenze nefande. Si dice che sia appunto da vaghe notizie circa quest’opera che lo scrittore W.R. Chambers abbia tratto lo spunto per il suo celebre romanzo Il Re in giallo, il cui filo conduttore è un libro iniziatico la cui lettura genera la follia.

    Per chiarezza, ecco qui di seguito le varie edizioni del Necronomicon con le date di pubblicazione e le relative traduzioni:

    1. Testo originale in lingua araba: tre copie scritte a mano risalenti al 730/738 d.C.

    2. Testo nella traduzione greca di Teodoro Fileta ricavata dall’originale testo arabo: una copia scritta a mano risalente al 950 d.C. circa, reperibile a Costantinopoli.

    3. Testo nella traduzione latina di Olaus Wormius, ricavato dal testo greco di Teodoro Fileta: una copia scritta a mano del 1228 d.C., segnalata nello Jutland.

    4. Testo nella traduzione inglese di John Dee, ricavato probabilmente anche questo dal testo greco di Teodoro Fileta: una copia scritta a mano nel 1580, che si trova a Londra.

    5. Testo in latino, impresso in caratteri gotici, riproducente la versione di Olaus Wormius: alcune copie senza data o luogo di pubblicazione, stampate probabilmente a Norimberga alla fine del quindicesimo secolo (edizione tedesca).

    6. Testo in greco riproducente la versione di Teodoro Fileta: alcune copie senza data o luogo di pubblicazione, probabilmente stampate a Roma nel 1567 (edizione italiana).

    7. Testo in latino riproducente la versione di Olaus Wormius: alcune copie prive di data e di luogo di pubblicazione, stampate probabilmente a Madrid intorno al 1623 (edizione spagnola).

    Non si conosce nessun’altra edizione a stampa del Necronomicon, almeno ufficialmente. La versione inglese di John Dee esiste solo in frammenti scritti a mano ricopiati dall’originale.

    Quello che segue invece è l’elenco degli esemplari del Necronomicon dei quali viene data per certa l’esistenza. Oltre a questi però ne esistono altri che fanno parte di collezioni private inaccessibili.

    1. Una copia del testo in caratteri gotici, completo, al British Museum.

    2. Una copia del testo in caratteri gotici, completo, di proprietà di un miliardario americano.

    3. Una copia dell’edizione spagnola nella Biblioteca Nazionale di Parigi.

    4. Una copia dell’edizione spagnola nella Miskatonic University Library di Arkham, Massachusetts.

    5. Una copia dell’edizione spagnola nella Biblioteca dell’Università di Buenos Ayres.

    6. Una copia dell’edizione spagnola nella Widener Library di Harvard.

    7. Una copia dell’edizione italiana nell’Università di Lima, Perù.

    8. Una copia del testo in caratteri gotici nella Kester Library di Salem, nel Massachusetts.

    9. Una copia dell’edizione spagnola nella Central Library della California State University di Los Angeles.

    10. Una copia dell’edizione italiana in una collezione privata del Cairo, in Egitto.

    11. Una copia del testo in caratteri gotici e una dell’edizione italiana, nella Biblioteca Vaticana a Roma.

    12. Una copia scritta a mano del testo arabo, in una località sconosciuta della Cina.

    13. Alcuni frammenti del manoscritto originale si trovano nella Città senza Nome, in Arabia.

    Fin qui Lovecraft. Un insieme di nozioni così ricche di suggestioni misteriche e di riferimenti pseudoeruditi non poteva non infiammare la fantasia degli appassionati di letteratura fantastica, i quali non soltanto stettero al gioco, ma moltiplicarono le carte sul tavolo inventando a loro volta falsi riferimenti, particolari ulteriori, nonché nuove versioni e abbellimenti per la nascente leggenda. Tutto ciò spesso all’insaputa dello stesso Lovecraft che, per esempio, nel 1936 si meravigliò quando il suo corrispondente Willis Conover gli inviò il fascicolo di una rivista amatoriale contenente una finta recensione scritta dall’appassionato Donald Wollheim (che poi sarebbe diventato una personalità eminente nel mondo della fantascienza), a proposito di una versione in inglese moderno del famigerato volume. Eccone il testo:

    Il Necronomicon secondo la traduzione e compendio dell’originale in lingua araba di Abdul Alhazred, di W.T.Faraday.

    Stampato privatamente dall’autore.

    Nei primi anni del Medioevo, poco prima dell’avvento di Maometto, un arabo ritenuto folle di nome Abdul Alhazred, compilò questo libro misterioso. Secondo la prefazione, si tratta della prima traduzione moderna in lingua inglese: l’unica traduzione esistente oltre a questa, destinata alla pubblicazione, è la rarissima opera in latino di un certo mago Olaus Wormius, che venne bruciato sul rogo per eresia diverse centinaia di anni orsono. La presente versione è una riduzione dell’originale. Questo libro non è destinato al pubblico. È stato stampato principalmente per essere messo a disposizione di quegli studiosi dell’Occulto che ne stimano necessaria la consultazione per le loro ricerche. Si suppone che sia un trattato sulle sfere dell’Occulto e la loro interazione con l’umanità fin dall’alba della storia. Dal testo traspare con molta chiarezza la mente squilibrata dell’autore, il quale era convinto di aver appreso questi fatti da forze soprannaturali. Curiosamente, peraltro, il libro sembra ispirare al presente recensore una certa aria di verità. A quanto si dice nella prefazione, questa edizione è estremamente ridotta. L’originale copre infatti novecento pagine di manoscritti, mentre la presente edizione ne contiene solo trecento. Il dottor Faraday ammette di aver omesso interi capitoli per motivi di sicurezza. Nel complesso, questa pubblicazione rimarrà un contributo essenziale per la scienza dell’Occulto. È anche un’introduzione alla cosmogonia degli Antichi Dei che, secondo le opinioni dei mistici, vennero prima della nascita dei moderni demoni. Si ritiene che R.W. Chambers e A. Bierce avessero consultato entrambi quest’opera per trarne spunto nello scrivere alcuni dei loro lavori più fantastici.

    Di fronte a quello citato, che è probabilmente il primo calembour sul suo libro, Lovecraft stette al gioco. Nel rispondere a Conover, puntualizzò, per esempio, gli errori commessi da Wollheim, ed affermò di attendere con ansia di poter consultare quanto prima «la traduzione di questo Faraday». Non mancò peraltro di concludere: «Se la leggenda del Necronomicon continua a crescere in questo modo, la gente finirà per crederci davvero, e accuserà me di falso per aver affermato di averlo inventato io».

    In questo fu profeta. Ben presto, agli scherzi fra appassionati di letteratura fantastica cominciarono ad aggiungersi voci più autorevoli. Philip Duchesnes, titolare di una libreria antiquaria di New York, fu probabilmente il primo, nel 1941, a inserire nel proprio catalogo il Necronomicon (scherzosamente, ma con tutti i crismi dell’inserzione autentica). Forniva una descrizione precisa del volume, e ne fissava il prezzo in novecento dollari, un’enormità per quell’epoca. Malgrado ciò, ricevette numerose richieste: a tutti rispondeva di essere già in trattative per la vendita del volume con «un’Università straniera».

    Nel 1953, un giornalista, Arthur Scott, scrisse per il mensile americano «Sir!» un articolo dal titolo Curiose utilizzazioni della pelle umana, nel quale parlava del Necronomicon come di uno dei libri più rari del mondo, affermando che ne esistevano pochissimi esemplari custoditi in collezioni private, e questo sta a dimostrare come la leggenda, lungi dall’estinguersi, si divulgava sempre più.

    Quindi, la presenza del Necronomicon cominciò a moltiplicarsi sui bollettini delle librerie specializzate, sui quali gli appassionati inserivano degli annunci dichiarandosi disposti a pagare il volume a qualsiasi prezzo. Vi fu poi un momento in cui la fama di questo libro varcò l’oceano: basti pensare che, per anni, rimase in testa all’elenco dei libri più richiesti della libreria parigina «La Mandragora».

    Il gioco, innescato in Francia dall’appassionato Marcel Bealù, ricevette novello vigore da parte del famoso disegnatore Philippe Druillet, il quale dichiarò di aver ritrovato, e ricopiato accuratamente, alcune pagine del Necronomicon, che cominciò a far apparire su diverse riviste. D’altro canto, questa versione fu avvalorata da Jacques Bergier – che fu corrispondente di Lovecraft – il quale confermò che l’edizione francese integrale sarebbe apparsa presso le Editions du Terrain Vague di Parigi. Ribadiva inoltre che un microfilm della copia contenuta nella Biblioteca Vaticana veniva conservato in una cella sotterranea del Vaticano, alla quale era rigorosamente interdetto l’accesso. Dava inoltre notizia di alcuni incidenti misteriosi verificatisi presso l’Università di Buenos Ayres, dove uno scienziato aveva imprudentemente letto a voce alta alcune parti della copia del Necronomicon colà custodita.

    Per tornare agli Stati Uniti, constatiamo che, nel 1962, l’«Antiquarian Bookman» (la più autorevole rivista americana per bibliofili) pubblicava nella sua rubrica di libri in vendita una nota con la quale veniva offerta la copia del Necronomicon proveniente dalla Miskatonic University, mentre, nel catalogo della Biblioteca della California University, appariva una regolare scheda di carico del Necronomicon che, ancora una trentina di anni fa, era regolarmente catalogata. Ora è stata eliminata.

    Un altro noto scrittore che entrò pesantemente nel gioco fu l’inglese Colin Wilson, il quale affermò di essere venuto a conoscenza del fatto che il padre di Lovecraft faceva parte di una filiazione americana della Massoneria di Rito Egizio fondata da Cagliostro, attraverso la quale era entrato in possesso di una copia della traduzione inglese del Necronomicon effettuata dal mago elisabettiano John Dee. Il libro era esattamente quello descritto da Lovecraft il quale, avendolo trovato fra le carte del padre, aveva finto di averlo inventato per non screditare la memoria del genitore.

    Wilson scrisse un libro, intitolato appunto Necronomicon, nel quale riporta tutti gli estratti, riferentesi a questo ipotetico volume inventato da Lovecraft, inseriti nei suoi racconti, incastonando il tutto in un trattato di magia evocatoria. Questo scherzo perpetrato da Wilson ebbe grande successo, e incise profondamente sulla credulità degli appassionati del Fantastico: è curioso il fatto che diverse associazioni occulte hanno dichiarato di aver messo in pratica i rituali descritti dal libro, ottenendo dei successi spettacolari.

    Per concludere, possiamo quindi constatare che il Necronomicon – pur non esistendo – è più vivo che mai; con questo titolo, sono usciti, in diverse lingue, numerosi centoni di carattere necromantico, diversi dei quali sono considerati dei testi fondamentali nell’ambito di varie scuole esoteriche. L’unica cosa incontrovertibile è che lo stesso Lovecraft, in una lettera scritta a Willis Conover il 28 luglio del 1936, dichiara: «Non è mai esistito un Necronomicon di Abdul Alhazred, perché sono stato proprio io a inventarlo... e la spazzatura messa in circolazione da sedicenti teosofi rientra nell’ambito del falso proditorio...». Rimane il fatto che le creature fantastiche di Lovecraft vivono di vita propria, il che è un risultato di assoluto rispetto.

    In questo volume sono stati raccolti tutti i racconti in cui, in qualche modo, compaiono riferimenti al Necronomicon, o vengono riportate parti di esso. Qui di seguito fornisco l’elenco completo in ordine cronologico degli stessi con il titolo italiano, il titolo originale, e la data di pubblicazione.

    1. La città senza nome (The Nameless City) 1921

    2. Il cane (The Hound) 1922

    3. La cerimonia (The Festival) 1923

    4. Il successore (The Descendant) 1926

    5. Il richiamo di Cthulhu (The Call of Cthulhu) 1926

    6. Colui che sussurrava nelle tenebre (The Whisperer in Darkness) 1928

    7. I sogni nella casa stregata (The Dreams in the Witch House) 1932

    8. Attraverso i cancelli della chiave d’argento (Through the Gates of the Silver Key) 1932

    9. Il libro (The Book) 1933

    A questi ne vanno aggiunti altri quattro non inseriti in questo volume dato che sono stati già pubblicati in questa stessa collana, e cioè:

    1. Il caso di Charles Dexter Ward (The Case of C.D.Ward) 1927

    2. L’orrore di Dunwich (The Dunwich Horror), contenuto nel volume La casa stregata, 1928

    3. Le montagne della follia (At the Mountains of Madness) 1931

    4. L’ombra venuta dal tempo (The Shadow Out of Time) 1934 G.P.

    Nota biobibliografica

    CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE DI HOWARD P. LOVECRAFT

    1890. 20 marzo. Nasce a Providence, nel Rhode Island, figlio unico di Winfield Scott Lovecraft (1853-1898), rappresentante di commercio della Gorham Silver Company (una ditta di argentieri), e di Sarah Susan Phillips (1857-1921), seconda delle tre figlie di un possidente un tempo dovizioso ma attualmente in declino.

    1891. I genitori si stabiliscono ad Auburndale, nel Massachusetts, pur trasferendosi di frequente in altre località, in genere nella zona di Boston.

    1893. Durante un viaggio a Chicago, Winfield Scott Lovecraft dà i primi segni di squilibrio mentale. In un albergo, dichiara che la cameriera lo ha insultato, e che la moglie era stata aggredita nella sua camera. Viene ricoverato nel Butler Hospital di Providence e interdetto. La moglie Sarah va a vivere con il figlio nella casa dei genitori, una bella villa di tre piani, con ampio giardino, al n. 194 di Angell Street. Lì Lovecraft trascorrerà gli anni più felici della sua vita.

    1894. Stimolato dalla presenza di una vasta biblioteca in casa dei nonni, Lovecraft impara precocemente a leggere. Le fiabe sono la sua prima passione, in particolare quelle de Le mille e una notte (da cui trarrà le suggestioni per inventare il personaggio del folle arabo Abdul Alhazred e del suo Necronomicon), e le novelle dei fratelli Grimm.

    1896. Muore la nonna materna Rhobinia Alzada Phillips (1827-1896). L’atmosfera di lutto familiare provoca in lui i primi sogni spaventosi, in particolare la visione di esseri d’incubo simili a dèmoni che battezza «Magri Notturni» (Night-Gaunts); per anni, perseguiteranno tutte le sue notti.

    1897. Una storia della mitologia greca lo fa innamorare del mondo classico. Scrive il suo primo componimento in versi, ispirato all’Odissea, e i primi racconti, The Noble Eavesdropper (perduto) e The Little Glass Bottle.

    1898. Muore in manicomio il padre (che nel frattempo era stato colpito da paralisi). Per tutta la vita Lovecraft ne parlerà pochissimo, ricordandolo sempre comunque con rispetto, e lodandone la cultura, la conoscenza delle lingue, lo stile di comportamento all’inglese: qualità che ebbe modo di conoscere quando, negli intervalli di lucidità concessi dalla follia, l’uomo poteva trascorrere dei periodi insieme con la famiglia.

    Si appassiona alla narrativa di Poe, Verne e Wells, che stimoleranno il suo interesse – oltre che per l’insolito – anche per le scienze naturali, in particolare la chimica e l’astronomia.

    Continua a scrivere brevi racconti, vergandoli sui quaderni di scuola. Frequenta saltuariamente le elementari: maestri privati curano la sua educazione negli intervalli. Stringe le prime amicizie con i compagni d’infanzia, alcuni dei quali, come i fratelli Chester e Harold Munroe, gli resteranno vicini a lungo.

    1899. Si sviluppa il suo interesse per le scienze. Attrezza in cantina un piccolo laboratorio chimico. Dopo la sua morte, i nuovi proprietari della casa troveranno ancora, incise sulle pareti di legno, le sue formule chimiche, che verranno scambiate per segni magici e cabalistici. Viene trovata anche una scritta che dice «H. P. Lovecraft – Chemist». A partire dal 4 marzo, tiene un resoconto settimanale dei suoi studi in un bollettino duplicato con la carta carbone che intitola «Scientific Gazette». Lo porterà avanti per dieci anni, fino al 1909.

    1900. È vittima dei primi esaurimenti nervosi, che gli impediranno di frequentare regolarmente le scuole. Secondo alcuni biografi, si tratta di conseguenze dell’atteggiamento iper-protettivo della madre (che manifesta a sua volta segni di non perfetto equilibrio mentale). La donna, ad esempio, smussa e imbottisce gli spigoli dei mobili per impedire che il figlio possa farsi male urtandovi e, per limitarne le uscite da casa, ricorre ad un espediente di incredibile crudeltà: gli dice che è troppo brutto per farsi vedere dagli estranei, per cui è più opportuno che resti in famiglia.

    1901. Si intensifica la sua produzione in versi, ispirata al Settecento inglese.

    1902. Scrive brevi racconti, dalle trame avventurose ma realistiche.

    1903. A partire del 3 agosto, redige un altro bollettino scientifico: il «Rhode Island Journal of Astronomy». Anche questo proseguirà fino al 1909.

    1904. Muore il nonno materno, Whipple V. Phillips (n. 1833), al quale era molto legato, e che gli faceva da guida fra i libri della vasta biblioteca, ricca di testi settecenteschi dalla cui lettura Lovecraft finì per trarre uno stile colto e a tratti arcaicizzante. In seguito alle difficoltà finanziarie derivanti dalla sua morte, le figlie vendono la villa di Angell Street. Lovecraft e la madre si trasferiscono in un appartamento più modesto sulla stessa strada, al n. 598. Lo scrittore vi abiterà fino al 1924.

    Inizia gli studi liceali, ma la salute cagionevole gli impedirà di portarli avanti regolarmente. Non prenderà mai il diploma.

    1905. Cade da un’impalcatura e si ferisce gravemente al capo. È questa, secondo alcuni biografi, la «infermità» cui accenna ripetutamente nell’epistolario, attribuendole la saltuarietà dell’impegno scolastico. Per tutta la vita sarà perseguitato da feroci mal di testa.

    Continua a scrivere racconti, ispirati soprattutto alla narrativa di Arthur Conan Doyle.

    1906. Appare in stampa per la prima volta. Il 3 giugno, il «Providence Sunday Journal» pubblica una sua lettera contenente una ridicolizzazione dell’astrologia (più volte, in seguito, entrerà in polemica con astrologi, accusandoli di ciarlataneria). Il 25 agosto lo «Scientific American» pubblica un’altra sua lettera nella quale analizza favorevolmente le prove dell’esistenza di un pianeta al di là di Nettuno. (Plutone verrà fotografato soltanto nel 1930 dall’astronomo Clyde Tombaugh). Da luglio a dicembre, pubblica una serie di articoli astronomici sul «Pawtuxet Valley Gleaner», un settimanale di Phoenix, West Warwick. Ad agosto inizia una collaborazione mensile, che durerà fino al 1908, con il «Providence Morning Tribune» e il «Providence Evening Tribune», sempre con articoli di astronomia.

    1907. Continua a scrivere racconti.

    1908. Interrompe definitivamente il liceo. Insieme con gli amici d’infanzia, comincia le sue esplorazioni della regione natale, con lunghe scampagnate in bicicletta.

    In seguito a un giudizio negativo della madre (che vedeva in lui un poeta più che un narratore), distrugge tutti i racconti scritti fino ad allora, salvando soltanto quattro novelline infantili e due storie lunghe: The Beast in the Cave (1905) e The Alchemist (1908).

    1909. Inizia un corso di chimica per corrispondenza. Non lo porterà a termine a causa dei consueti esaurimenti nervosi.

    1910. Scrive un manuale intitolato Inorganic Chemistry, andato perduto.

    1911. Serio rovescio economico per Lovecraft e la madre, in seguito ad investimenti sbagliati fatti dallo zio Edwin E. Phillips (1864-1918). Lo scrittore non uscirà mai più dalla povertà.

    1912. Primi versi pubblicati. È la lirica Providence in 2000 A.D., che appare sul «Providence Evening Bulletin».

    1913. Una serie di lettere pubblicate da Lovecraft su «Argosy» lo fa notare da Edward F. Daas, presidente dell’uapa, un’organizzazione di scrittori dilettanti, che prende contatto con lui. Sarà il suo ingresso nel mondo del giornalismo amatoriale, e la sua apertura verso un ambiente non ristretto a Providence, la cerchia familiare e gli amici più intimi.

    1914. Altri articoli di astronomia sul «Providence Evening News» e la «Gazette-News» di Asherville, North Carolina.

    Si iscrive alla «United Amateur Press Association», l’organizzazione di Daas.

    1915. Inizia quello che sarà, sino alla fine, il suo unico lavoro continuativo: la revisione di manoscritti altrui. Primo cliente, il poeta e conferenziere David Van Bush, un ecclesiastico che si servirà della sua opera per oltre dieci anni. Pubblica il primo numero di una sua rivista amatoriale, «The Conservative», sulla quale ospita saggi e poesie. Ne usciranno tredici fascicoli, fino al 1923.

    1916. La sua corrispondenza, stimolata dai contatti avuti nel mondo del giornalismo dilettante, assume dimensioni prodigiose, ed assorbe – come sarà per tutta la sua vita – la maggior parte del suo tempo. Il suo biografo de Camp ha calcolato in circa centomila i messaggi epistolari, dalle semplici cartoline a missive-monstre lunghe settanta e più pagine, inviati da Lovecraft. Derleth, Wandrei e Turner, curatori dell’epistolario, hanno impiegato oltre vent’anni per raccogliere e trascrivere le lettere conservate dai destinatari, finendo con circa ventimila cartelle dattiloscritte, che rappresentano solo una parte del totale, perché moltissime non sono state concesse.

    Nel numero di novembre 1916 di «The United Amateur» (una rivista amatoriale) appare il suo racconto giovanile The Alchemist.

    1917. Su invito di W. Paul Cook (1881-1948), curatore di varie riviste dilettantistiche, riprende la narrativa e scrive i racconti brevi The Tomb e Dagon. Cerca di arruolarsi nella Guardia Nazionale del Rhode Island, ma viene riformato in seguito ad un intervento della madre.

    1918. Stringe amicizia con Clifford M. Eddy (1898-1967), che resterà uno dei suoi compagni più fedeli e per il quale scriverà quattro racconti.

    1919. Si reca a Boston, dove ascolta una conferenza di Lord Dunsany. Rimane affascinato dallo scrittore, dal suo stile e dalla tematica onirica. Negli anni immediatamente successivi, scriverà numerosi racconti e un romanzo, ispirandosi alla vena dello scrittore irlandese.

    Sul giornale amatoriale «The Vagrant» esce Dagon (novembre).

    La madre, la cui sanità fisica e mentale è in rapido declino, viene ricoverata nella stessa clinica per malattie nervose che ospitò il marito. Anche lei non ne uscirà più.

    1920. La pubblicazione di Dagon suscita polemiche nel mondo amatoriale: i lettori giudicano il racconto inconsistente e incomprensibile: Lovecraft risponde una per una alle varie decine di lettere di critica, e raccoglie il tutto in un documento intitolato In Defense of Dagon, nel quale rivendica la superiore dignità letteraria della narrativa fantastica sulle vicende banali della stampa popolare.

    Comincia la sua corrispondenza con Frank Belknap Long, che rimarrà uno dei suoi pupilli più fedeli, e nel 1975 scriverà un commosso libro di ricordi sulla sua amicizia con lui.

    1921. È un anno cruciale per Lovecraft. Il 22 febbraio si reca ad un congresso di giornalisti dilettanti a Boston, e passa la prima notte fuori di casa dal 1901. Il 12 marzo è di nuovo a Boston, dove incontra Sonia H. Greene (1883-1972), una vedova di origine russa di sette anni più anziana di lui, con la quale intreccia una relazione prima intellettuale (le scriverà alcuni racconti), poi sentimentale, peraltro su base quasi interamente epistolare (lei vive a New York).

    Il 24 marzo muore la madre, in seguito a un’operazione alla cistifellea.

    Prosegue intanto la sua attività di narratore: fra i vari racconti, scrive The Nameless City, dove per la prima volta nomina Abdul Alhazred.

    Una rivista semiprofessionale, «Home Brew», edita dall’amico George J. Houtain, gli commissiona racconti.

    1922. Si apre al mondo come non aveva mai fatto prima. Viaggia estesamente negli Stati del New England, partecipa a conferenze, legge in pubblico suoi racconti, viene nominato presidente della sua associazione di giornalisti dilettanti. Si reca a New York, ospite di Sonia. Fra i suoi nuovi corrispondenti c’è il poeta, artista e scrittore Clark Ashton Smith (1893-1961), uno degli spiriti a lui più congeniali. La sua attività di scrittore è assai intensa.

    1923. Ancora viaggi, visite, lavoro e corrispondenza. L’evento principale dell’anno è tuttavia la sua prima apparizione su una rivista professionale, il mensile dell’orrido, «Weird Tales», che pubblica Dagon nel numero di ottobre. Il direttore della rivista, Edwin E. Baird, aveva sollecitato la sua collaborazione dopo aver letto i racconti Herbert West - Reanimator e The Lurking Fear, pubblicati da «Home Brew».

    Sonia Greene si reca a Providence per conoscere

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