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CORRERE NEL VENTO - racconti di atletica leggera
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E-book228 pagine2 ore

CORRERE NEL VENTO - racconti di atletica leggera

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Info su questo ebook

Correre nel vento è una raccolta di 46 racconti brevi che parlano di emozioni, sensazioni, sfide e passioni che infiammano il meraviglioso mondo dell’atletica leggera. Queste storie si addentrano nel profondo dei sentimenti e dell’animo dei runners, da cui nasce la loro primordiale vocazione. Si tratta di un’opera suddivisa in quattro capitoli di modo che la narrazione, pagina dopo pagina, sia sempre più intensa e coinvolgente.

I protagonisti non sono dunque campioni, bensì atleti ‘normali’ che si raccontano in questo libro e mettono in luce la realtà di un mondo fantastico e ancora in parte inesplorato: il mondo della corsa.
LinguaItaliano
Data di uscita3 lug 2016
ISBN9786050472219
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    Anteprima del libro

    CORRERE NEL VENTO - racconti di atletica leggera - Stefano Frascoli

    vita.

    PREFAZIONE DI GIORDANO BENEDETTI

    atleta di livello olimpico

    Un viaggio nella mente di chi sa e vuole sognare.

    Correre nel vento è un’immersione nel mondo dell’Atletica dove potrete assaporare sensazioni ed emozioni come la fatica, il dolore, la sofferenza, ma anche la conquista e la vittoria di chi sa trasformare una semplice corsa in un sogno.Il libro riflette su tematiche delicate e vicine alla vita dello Sportivo, quali il valore dell’impegno fisico e l’eterno conflitto tra talento e lavoro e le racconta tramite storie ed esperienze vissute da diverse persone.

         Proprio come in una gara, racconto dopo racconto, vengono esaminate le varie fasi che compongono la competizione degli 800 metri e, metro dopo metro, pagina dopo pagina, si può percepire come l’autore riesca in ogni storia a dare spunti per la costruzione della Massima Prestazione e a descrivere minuziosamente la lunga e faticosa costruzione dell’Atleta.

         Frascoli evidenzia la bellezza del gesto sportivo, unico e personale, che è forgiato nel cuore e nell'anima dalla passione e dalla determinazione di volersi esprimere al massimo.

         Personalmente ho vissuto alcune delle situazioni descritte e con stupore sono stato catapultato nel mio passato, quel passato che a poco a poco crea esperienza, quel passato che ti forma e ti fa crescere.

         Vi ritroverete in una serie di racconti dove sarà naturale immedesimarsi nei protagonisti di queste vicende legate al nostro splendido Sport. Queste storie vi accompagneranno nel profondo del cuore di ogni protagonista e nella loro mente, da cui nasce la loro primordiale vocazione.

         ...Sentieri di fate, le campagne dei ricordi...fatiche e sudore, vittorie gioie ed amicizia...

         Chiunque abbia corso nei prati o camminato nei boschi per il solo piacere di farlo, attraverso questi racconti ripercorrerà la poesia della Corsa.

         Chi invece non ha mai provato tutto questo sarà spinto a ricercare e rivivere quelle immagini dalle quali si sente avvolto leggendo il testo, avvicinandosi ai valori dello Sport.

         Credo che l’Atletica possa essere metafora delle esperienze di vita e la preparazione mentale e fisica necessaria per praticarla aiuti nell'affrontare l’esistenza.

         Lo Sport è un’esperienza stupenda; la sua durata può essere eterna o anche solo fuggevole, a seconda di quello che l’individuo sa dare e sa cogliere. Vi consiglio di fare attenzione alle emozioni provate dai protagonisti, seppur così diversi tra loro, e condivise attraverso ogni momento vissuto al campo d’allenamento o durante la corsa.

         Le vicende che si leggono toccano le note più sensibili di chi le vive e permettono di avvicinarsi alle emozioni di un Atleta, il Caro Cuore d’Atleta.

    Un appassionato di emozioni,

    Giordano Benedetti

    PREFAZIONE

    Questo libro nasce dalla mia esperienza diretta e dalla mia intenzione di voler trasmettere un messaggio.

         L’esperienza ha avuto inizio sei anni fa, presso il campo sportivo di Malnate (VA), dove, in un pomeriggio fin troppo caldo per essere a marzo, qualcuno aveva appeso un cartello all'interno degli spogliatoi maschili, recante la scritta: dare qualsiasi cosa meno del massimo significa sacrificare un dono.

         Era un richiamo alla citazione di un noto predecessore[1] a cui ogni agonista non può che inchinarsi; parole che figuravano come segnale e avvertimento verso le nuove leve che avessero avuto l’ardore di assaporare le fatiche e, soprattutto, le immense gioie che può donare l’atletica leggera.

         Al pari di tale citazione arcana, questo libro intende prendere per mano il lettore e condurlo verso un mondo misterioso, pervaso di passione, competizione, voglia di riscatto, amore e desiderio, tutti ingredienti, quelli appena citati, che confluiscono nell'universo dello Sport. Così nascono i miti; così vengono alla luce le leggende. Soprattutto quando hanno una vita breve ma gloriosa.

         Venendo al messaggio, premetto che io sono indiscutibilmente un mezzofondista: ragion per cui questo libro, come una gara di ottocento metri, è diviso in quattro frazioni di pari lunghezza, in modo che la narrazione divenga, da un punto di vista sostanziale, sempre più intensa e coinvolgente.

         Ciò affinché colui che legge capisca – queste le intenzioni di chi scrive – che l’atletica non è, a differenza di ciò che si pensa, soltanto un gioco da bambini, ma una vera e propria sfida tra eroi, sotto forma di persone che stanno per diventare adulte.

    Anche se non tutti i protagonisti delle seguenti storie sono dei veri e propri eroi.

         Ma, se il lettore coglierà il fiore i cui petali dischiudono la metafora, ciò costituirà per me la maggiore soddisfazione.

         Rileggendo questo libro, il mio pensiero non può che andare agli atleti meno giovani, da cui ho raccolto il testimone, impegnandomi a dare sempre il massimo.

         Con l’assoluta certezza che esisteranno sempre coloro che scriveranno libri, finché nel mondo ci sarà una buona storia da raccontare[2].

         Binago, agosto 2015.

    Stefano Frascoli


    [1] Sono parole di Steve R. Prefontaine (1951 – 1975), indiscutibile leggenda dell’atletica statunitense e mondiale. La sua cattiveria agonistica e la condotta spregiudicata che teneva in gara lo hanno reso famoso; la sua tragica scomparsa a soli 24 anni lo ha reso definitivamente immortale (N.d.A.).

    [2] La frase prende spunto da una citazione contenuta all'interno del monologo teatrale Novecento di Alessandro Baricco (N.d.A.).

    §1. METRI 0 – 200

    Un ordine da parte del giudice di metterci ai nostri posti e stare pronti; un istante dopo, lo sparo.

         La nostra gara è iniziata.

         Ma sono ancora i primi metri, il bello deve ancora venire, ci dissero alla partenza.

         E, non sapendo cosa abbia in serbo il futuro, per ora ci godiamo il presente.

         Perciò, senza particolari obiettivi, corriamo persino forte, approdando in un batter d’occhio alla successiva frazione.

         Nei seguenti racconti percorreremo la prima parte di gara, scavando nei sentimenti ancora acerbi di giovani protagonisti, dalle gambe lunghe sì, ma dalla mente ancora in fase di maturazione!

    1.UNA PROMESSA

    Tutto ha avuto inizio molto tempo fa. Quando cominciai la mia avventura nel mondo dell’atletica, non avrei mai immaginato che mi avrebbe portato così lontano. La prima squadra per cui venni tesserato era quella della mia città, e saremmo stati una decina di bambini, tutti della tenera età di otto anni.

         C’erano le Olimpiadi nei bei ricordi sbiaditi di quell'estate lontana, e i nostri idoli erano là sullo schermo: erano i fulmini dei cento metri, muscolosi e grossi come querce; erano gli eroi della maratona, magri e scavati in volto, ma che nascondevano una forza d’animo mostruosa; erano i saltatori, in grado di sprigionare un’agilità disumana; e poi c’erano tutti gli altri che onoravano i Cinque Cerchi, dalla marcia al martello, persone affascinanti in grado di trasmettere classe e bravura solamente dallo sguardo. Ogni sera, terminato l’allenamento, ricordo che si cenava il più in fretta possibile, e si correva a guardare la gara in televisione: quanto sognavamo di poter diventare un giorno grandi e forti come loro!

         A quei tempi, i nostri pomeriggi al campo sportivo comprendevano di tutto, persino i lanci e gli ostacoli. Ogni tanto però facevamo dei cento metri. Guardatemi, sono il nuovo campione delle Olimpiadi! urlavo io, sorridendo al futuro misterioso che sembrava pronto ad attendermi, laggiù dove si perde l’orizzonte.

         Un giorno, nello spogliatoio, ci prendemmo persino per mano l’un l’altro, e, di comune accordo, pronunciammo queste parole: Giuro solennemente di diventare un campione che farà le Olimpiadi! Amici per sempre! E compagni di fatica!

         Una nuova strada gloriosa si apriva dinanzi a noi, e l’avremmo percorsa uniti, tutti insieme, senza separarci mai, per cui stipulammo in forma solenne tale promessa.

         La nostra vita proseguiva spensierata, finché una sera, in cui mi sentivo particolarmente stanco, andai a letto più presto del solito: la mattina dopo, quando aprii gli occhi, già sette anni erano passati, qualcuno dei miei compagni aveva già la barba, e il nostro allenatore ci avrebbe fatto esordire in vere e proprie gare competitive, al fianco di altri ragazzini come noi, buttati allo sbaraglio! Egli nutriva grandi progetti. Il sogno stava prendendo forma!

         Tutti, e dico tutti, eravamo entusiasti di gareggiare, di poterci misurare con gli altri; eccetto uno, che affermava di non aver alcuna intenzione di fare gare, e senza motivazione apparente. Infatti non gareggiò, ricordo anzi che il pomeriggio seguente i suoi genitori vennero a parlare con l’allenatore. Vi fu una discussione breve e pacata, una stretta di mano, poi quel mio amico ci salutò e salì in macchina per tornare a casa prima del previsto.

         Non lo rividi più.

         Eravamo amici, mi mancherai, pensai. Ma andremo alle Olimpiadi anche per te! giurai su me stesso.

         Passò un anno. Avevamo iniziato ad allenarci seriamente, in prospettiva delle gare. Eravamo nella piena età adolescenziale, con tutti i suoi pregi e difetti connessi. C’era chi faceva velocità, chi saltava o lanciava, chi invece percorreva un sacco di chilometri per aumentare la propria resistenza. Avevamo persino un saltatore d’asta, che era un armadio da quanto era muscoloso, e non prometteva affatto male. Io invece, modestamente il preferito dell’allenatore (forse perché ero, senza vantarmi, giuro, nettamente il più forte?), facevo fin da allora preparazione specifica per gli ottocento metri. Longilineo, gambe secche ma rapide, corsa elegante, ero più resistente dell’altro mezzofondista, e arrivavo davanti persino ai velocisti nelle prove dei cento o duecento metri. Ricordo benissimo che già alla prima gara feci il crono per qualificarmi ai Campionati nazionali. Il mio allenatore allora mi sussurrò: Adesso noi andiamo là e tu li batti tutti.

         Nell'estate di quell'annata, però, un fatto terribile!, il mio amico saltatore, quello forte, ci chiama uno ad uno al telefono, in lacrime: Ragazzi, ho una brutta notizia: sono stato bocciato! E quindi feci io, incredulo questo significa che...? Non lo so! Sono disperato, io… non lo so proprio! e scoppiò a piangere. Ammetto che piansi anch'io per lui, intuendo quel che stava per succedere.

         Mi mancò molto.

         Gli dedicai la vittoria ai nazionali.

         Ma, nemmeno il tempo di esultare, che un’altra svolta inaspettata era alle porte. Verso la fine di agosto, uno dei nostri velocisti arrivò al campo tutto impettito (avevo detto che eravamo nella fase dell’adolescenza), consegnandoci dei biglietti con su scritti nomi strani: Ci siete sabato sera alla festa? Mettetevi in lista con me, si paga la metà. E si balla fino al mattino.

         Eh ma veramente la mattina dopo c’è gara e… rispondemmo noi.

         Ma che vuoi che sia! insistette lui. Avanti, vi ho già messo in lista senza chiedervelo perché sapevo di poter contare su di voi. Siete i miei amici, dai, non posso far figure!

         Alla fine andammo giusto per farlo contento. Rimanemmo tutta la sera appoggiati al muro, quasi fossimo pezzi di arredamento. Nel frattempo lo osservavamo scolarsi degli alcolici, uno dopo l’altro, con faccia schifata. Come poteva l’atletica, che avrebbe dovuto essere la sua vita, perdere così tanto interesse? Mistero.

         La settimana dopo venne solo due volte ad allenarsi. Il mese dopo una volta sola. Poi basta.

         Un anno dopo. Avevo notato qualcosa di strano in un mio compagno, che qualche volta veniva all'allenamento in ritardo, altre volte non veniva proprio, e senza avvisare per giunta. Inoltre, le rare occasioni in cui si usciva a mangiare una pizza, lui non c’era mai. Alla fine scoprimmo il motivo: una ragazza. Noi tutti gli andammo contro. L’amicizia per noi era non avere segreti, quindi pretendemmo le sue scuse, che però non arrivarono. Disse che eravamo dei poveracci, a pensare solo a correre. Noi gli rispondemmo che lui era stato un miserabile a comportarsi in quel modo, e con gli amici d’infanzia, poi! Lui rispose che non gli importava.

         E scomparve.

         Tempo dopo, ricevetti una notizia fantastica: venni reclutato in un gruppo sportivo militare, divenendo un atleta professionista, con tanto di stipendio fisso. Erano anni che attendevo tale evento, ero davvero al settimo cielo! Ora vi aspetto! Tocca a voi: e così insieme faremo grandi cose. Ci tengo a ribadire che questo non è un punto di arrivo, anzi tutt'altro! dissi ai miei amici, felice che i miei sforzi fossero stati ripagati.

         Ma non avevo fatto i conti con la vita. Adesso avevamo quasi vent'anni, e mentre io continuavo a migliorare anno dopo anno, il resto del gruppo arrancava. Fu così che i miei vecchi amici, poco alla volta, ancora oggi mi piange il cuore a ripensarci, mi abbandonarono. Si spensero placidamente, adagiando le scarpe in mezzo alla pista fiorita, presero con sé la borsa e scapparono dalla porta sul retro, gettando al vento la divisa sportiva e indossando abiti grigi da lavoro. Non ci stavano più dietro, stavano impazzendo, adesso la loro scelta di allenarsi non era più un divertimento, ma una fatica immane, che cozzava contro la scogliera del mondo: e così sparirono, in punta di piedi uscirono di scena, dicendo addio alla giovinezza e alla gloria.

    Rimanemmo al campo soltanto in due: io e un altro atleta, uno che si allenava a volte anche all'alba per poi andare al lavoro, uscire dopo otto ore e doppiare con me alla sera. Era un cagnaccio, tollerava carichi di fatica improponibili, il più testardo fin dai tempi dell’infanzia. Continuammo a solcare le corsie assieme, giorno dopo giorno, sempre io e lui, e basta. Entrambi atleti di livello nazionale, il nostro allenatore stravedeva per noi.

         Purtroppo però il mio amico, che aveva tutte le carte in regola per diventare professionista, venne bocciato al concorso, per motivi misteriosi. Decise allora di licenziarsi dal vecchio impiego, trovò un lavoretto part time, provò ad allenarsi un’altra stagione ad alti livelli, ma capì molto in fretta che non sarebbe riuscito a reggere certi ritmi. Senza un buono stipendio, e con troppe spese da sostenere, non si andava lontano.

         E poi aveva il limite dell’età, adesso i gruppi militari volevano nuove leve, e, strano a dirsi, nell'atletica bastano ventitré anni per essere considerato un ferrovecchio.

        Lo vedevo confuso, si capiva che nutriva nell'animo una grossa tristezza. Un giorno mi invitò fuori a cena e mi fece intendere che di lì a poco avrebbe smesso, non me lo disse espressamente, quasi gli veniva da piangere. Ma quel viso stanco e quegli occhi lucidi e malinconici esprimevano la verità: doveva sopravvivere, e la corsa non gli avrebbe dato da mangiare. Allora lo abbracciai come fosse un fratello:

         Caro amico, mi mancherai, grazie di tutto. Ora le nostre strade si dividono, ma io continuerò nel mio sogno. Sarà difficile entrare nel campo di allenamento della mia infanzia da solo, ma devo tenere duro, almeno io. Ti auguro buon viaggio, e non voltarti mai durante il cammino.

         E adesso io sono sempre qua. Ma non so ancora per quanto: dopo stagioni e stagioni di fatiche immani, sangue sulla pista e sacrifici dolorosi, il mio interminabile viaggio sta per approdare al tanto atteso traguardo. Anche stasera il sole è tramontato sull'amato campo di atletica, e, dopo aver concluso la mia oretta di corsa, sto facendo stretching; in giro non vi è un’anima viva, non un cane, siamo rimasti soltanto in tre: io, il mio allenatore e una trave pencolante. Tutt'intorno, ombre misteriose e corsie deserte. Domando: C’è qualcuno?, ma non ottengo risposta. Infatti nessun bambino in città corre più. E le bellissime atlete non ci sono: dopo aver iniziato l’università se ne sono andate per sempre.

         Perché tali considerazioni? Perché stasera soffia il vento, è una sottile brezza tropicale proveniente dai mari del sud, che ricorda molto le palme da cocco e le spiagge bianche di Copacabana. Guardando sul calendario mi accorgo infatti che le Olimpiadi sono alle porte, manca veramente pochissimo ormai. Dal canto mio sono consapevole di aver dato l’anima in tutti questi anni, affinché giungessi all'Appuntamento al culmine delle forze. Io e il mio allenatore abbiamo programmato ogni singola seduta di allenamento avendo come unico obiettivo quel favoloso evento.

         L’Olimpiade, il sogno di ogni sportivo… ma riuscirò a qualificarmi?

         A volte, quando so che dovrò svolgere un lavoro atletico

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