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Il viaggio dell'anima. L'arduo compito
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E-book309 pagine4 ore

Il viaggio dell'anima. L'arduo compito

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Info su questo ebook

Un avventuroso viaggio introspettivo tra la dimensione terrena, la dimensione spirituale e la dimensione cavalleresca. Due anime lontane nel tempo, ma unite dalla stessa essenza. Due uomini vissuti in epoche tanto lontane, legati dall'onore. La continua lotta tra bene e male, vissuta oggi tra gli intrighi dell'economia e nel medioevo tra spade, castelli e duelli, avrà i suoi nuovi protagonisti in Francesco, economista del ventunesimo secolo, e Sir Quagliart, cavaliere del dodicesimo secolo, la cui anima è ancora in viaggio. Attraverseremo il mondo, tra i suoi pericoli, gli ostacoli, i luoghi di ritrovo e quelli di ristoro. Incontreremo simboli, misteri e segreti antichi. Percorreremo tante avventure nel cammino dell’anima e proveremo a scoprire insieme la destinazione finale.Buon viaggio!
LinguaItaliano
Data di uscita6 mar 2023
ISBN9791221435061
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    Anteprima del libro

    Il viaggio dell'anima. L'arduo compito - Francesco Galardo

    CAPITOLO I

    Il viaggiatore

    Potremmo iniziare quest’avventura enunciando una definizione generale del protagonista del nostro romanzo: il viaggiatore è qualunque uomo nato, a cui è concessa la possibilità di percorrere la vita che ci è stata donata. Non potrà mai essere una descrizione esaustiva se non si entra nel merito di alcuni concetti. In primis, la netta distinzione tra chi è proiettato verso Dio e chi non crede in Lui. Il primo, consapevole di non appartenere a questo mondo materiale, non potrà limitarsi a viaggiare solo nella sua corporeità. Il secondo ha già deciso di accontentarsi di tornare polvere al termine del viaggio su questa terra, fregandosene di ciò che accadrà alla sua anima dopo la sua morte. Scelta legittima e non condannabile. Magari, la lettura di questo libro lo trasformerà in un viaggiatore più consapevole, nulla è impossibile a Dio!¹

    Sin dalla mia adolescenza, sono sempre rimasto affascinato dal nostro duplice rapporto col mondo. Da una parte, siamo terra, ma dall’altra, ne siamo completamente estranei, come sottolineato nel Vangelo e nell’Apocalisse da Giovanni l’Evangelista:² Viviamo nel mondo, ma non siamo del mondo; siamo stati scelti nel mondo, ma non siamo del mondo.

    Questa nostra estraneità alla corporeità terrena è alla base della ricerca del viaggiatore e della nostra somiglianza al Creatore.

    In questi anni di pandemia, il viaggiatore è stato brutalizzato, privato della sua vera essenza spirituale. Tutto il peggio è stato esaltato, spingendo l’umanità verso la più becera inumanità. A pandemia quasi finita, ci ritroviamo abbandonati, conviventi con l'egoismo e la cattiveria, entrambi figli della materialità che non ci appartiene. Persino la parola rispetto è stata cancellata dalle basilari regole civili e morali, così come la fede, relegata a una mera osservanza di regole, privata volontariamente di tutto ciò che è tradizionale a favore di un pericoloso progressismo traballante, privo dei pilastri della storia. La gerarchia della Chiesa sembra inerme, se non complice, di questa esaltazione del peggio.

    In una situazione così nefasta, chi è consapevole di vivere nel mondo, ma sa di non essere di questo mondo, ne soffre in modo tangibile. In un certo senso, stiamo vivendo l’essenza tradizionale delle Beatitudini³

    In effetti, più è alta la nostra sofferenza umana in questo mondo, tanto maggiore è la nostra voglia di estraneità da esso. Più rigettiamo questa involuzione civile, sociale e religiosa, tanto più ci isoliamo dai meccanismi materiali del mondo. Più è alta l'insoddisfazione terrena, tanto più il piccolo gregge si unisce e tende ad assomigliare a un poderoso uccello capace di spiccare il volo verso l’alto. Ci stiamo avvicinando alla profezia di papa Benedetto XVI che, nel brevissimo periodo, ha previsto la rinascita della Chiesa: sarà più piccola, più povera, quasi catacombale, ma anche più santa.

    Per essere i protagonisti di questa avventura dobbiamo accettare l’invito a dispiegare le nostre due ali: amore e fede, come un’aquila, simbolo di Giovanni. Dobbiamo spiccare il nostro volo per un viaggio il più possibile vicino a Dio. Dall’alto del cielo, capiremo meglio chi è il viaggiatore e qual è il luogo del viaggio dell’anima. Restando con i piedi sulla terra, saremo annebbiati dal mondo e il suo buio, travestito dalla materialità, ci farà perdere la strada per sempre, anzi per l’eternità.

    Spinti dalla brezza delle ali in volo, comprenderemo che si tratta di uno straordinario viaggio personale con un preciso inizio e una fine, entrambi intrinseci alla persona. Non dobbiamo spaventarci di viverlo nell’individualismo perché non deve essere confuso con la solitudine. Durante questo bellissimo cammino non siamo mai soli, ma affiancati dai nostri fratelli. In questa avventura, tracciata sui binari della fede e con la medesima destinazione finale, sono i nostri compagni di viaggio. Il salmo 132⁴, tra i più amati dai Templari, è una spettacolare esaltazione di questa fraternità in cammino. Per di più, ciascuno di noi vive il suo viaggio terreno con al fianco la propria anima che, in pura coscienza, segue il nostro cammino, nel bene e nel male.

    ☩ ☩ ☩

    Napoli – 2021

    Sono passati cinque mesi dallo strano incontro con il cavaliere venuto dal Medioevo. Al di là di sporadiche sensazioni e di sussurri notturni, non ho più avuto concrete visioni del Sir. Ho trascorso questi mesi leggendo sulle note del cellulare tutto ciò che mi aveva dettato, ma non ho mai ricevuto pressioni per il completamento dell’arduo compito. In sostanza, lo avevo quasi accantonato. Come un mero passatempo serale, avevo relegato la trascrizione delle note sulle pagine di una Moleskine. Sulla copertina, avevo scritto lo striminzito titolo il Sir. Povero stolto, non avevo capito nulla dell’importanza, sino a una tiepida mattina di maggio.

    ☩ ☩ ☩

    La mia quotidianità, fatta di impegni e di continue scadenze, mi ha afferrato di nuovo e mi ha fatto dimenticare quasi del tutto quella bizzarra e misteriosa notte. Il mio mondo, confinato in circa venti metri quadrati della stanza dello studio, oggi mi sta molto stretto. Non riesco a concentrarmi sul lavoro, il mio sguardo si infrange di continuo sulla parete rivolta a est, dove mostro con onore e fierezza le pergamene conquistate nel percorso cavalleresco. Si, conquistate, perché la cavalleria non è una stamperia di diplomi dove comprare gli attestati, ma è la sublime via che si conquista con l’azione e il sacrificio.

    Per qualche mistica energia, sento forte intorno a me la presenza del cavaliere apparso tra i miei sogni. L’aria della camera sembra essere dimezzata, come se fosse piena del fiato di due persone. Apro il balcone per respirare meglio e il tiepido calore di maggio mi invade donandomi la splendida sensazione di un abbraccio. Lo accetto volentieri e spero sia stato proprio il Sir a salutarmi fraternamente.

    Malgrado la continua invasione della quotidianità, provo a mettere a fuoco quanto accadde in quella fredda notte e ricordo l’arduo compito assegnatomi dall’uomo vestito in abito bianco. Senza sottintesi, mi chiese di aiutarlo a far approdare la sua anima nel porto sicuro del Regno, usando l’arma della penna al posto della spada.

    Oggi lui è con me, la dimensione del presente è del tutto annullata, sostituita da quella in cui mi ha immerso in pochi istanti. Spero mi assista ad aprire la cassapanca impolverata degli anni passati, quando avevo già ipotizzato di scrivere un libro sull’anima, nella sua accezione di essere una delle tre parti di un essere umano.

    Il suo sprono e la sua presenza mi aiuteranno a rimembrare gli eventi passati. Questa forte convinzione, mi induce a mollare le briglie del mio destriero per galoppare verso questa avventura moderna da vivere nel medioevo, così, rivolgendomi al crocifisso che troneggia nel mio ufficio, chiedo l’aiuto del Sir per iniziare.

    ☩ ☩ ☩

    Napoli – anni ‘80

    Come mi aveva promesso alla sua prima comparsa, il cavaliere mi spinge a ricordare quando ero un adolescente diviso tra le amicizie, le prime ragazze, lo studio, la pallavolo e la chiamata verso Dio. Sono passati circa quarant’anni da allora, ma credo di ricordare bene che nessuna delle mie cinque aree d’interesse prevalesse sulle altre. Riuscivo a gestire i miei tempi e le mie passioni come se avessi già un’efficientissima agenda elettronica moderna. Questa caratteristica di organizzatore degli spazi e dei tempi mi è rimasta, e il mio maestro sulla via cavalleresca cristiana templare mi prende in giro dicendomi che ho una precisione meneghina. Anche i clienti si sentono coccolati, forse troppo, dalla costante presenza dello studio nelle loro aziende, pur solo per la consueta mail riepilogativa che parte dall’ufficio con regolarità per ricordare le cose da fare.

    Rovistando il fondo dei ricordi riposti con ordine nella cassapanca del tempo andato, credo che il mio interesse per il concetto di essere umano tripartito abbia avuto una sorta di concepimento una sera di circa quarant’anni fa.

    Ero nella mia parrocchia, partecipavo con gli amici dell’oratorio a un incontro di catechesi tenuto da un padre francescano molto preparato e dall’indubbio carisma. Il relatore era accompagnato dal frate che gestiva il nostro gruppo giovani. Quella sera, l’argomento trattato era la somiglianza dell’uomo con Dio. Risuonano ancora nel mio cuore le affermazioni e le parole sagge di quel frate, oggi vivente nella gloria del Regno.

    Apprezzai molto quell’incontro e i suoi relatori. Confrontandoli con le altre esperienze, mi resi conto di quanto la Chiesa fosse in difficoltà per la mancanza di uomini e di donne in grado di farci davvero innamorare di Dio.

    Se già nei primi anni ’80 sentivo la penuria di guide spirituali, oggi ne provo una mancanza quasi assoluta, ma per grazia di Dio la Chiesa ha ancora santi preti, ottime guide e veri pastori. Sono rimasti davvero pochi, come le oasi nel deserto, ma ci sono.

    Spinto dal compito che mi è stato assegnato, proverò a riassumere quella magnifica serata per agevolare la condiscendenza del concetto spirituale di viaggiatore, partendo dalla certezza biblica che noi non siamo di questo mondo ma ci limitiamo ad attraversarlo in una brevissima parentesi temporale che chiamiamo vita. Le nostre sembianze umane svaniscono in un tempo infinitesimale rapportato all’eternità, ciò rende impossibile essere simili al Creatore nella nostra corporeità.

    ☩ ☩ ☩

    Un sussurro attraversa il mio orecchio sinistro. «Apri i tuoi ricordi e il tuo cuore… lascia che lo Spirito ti attraversi senza creargli ostacoli.» Sembra essere la voce del cavaliere, ha lo stesso tono e l’inconfondibile cadenza francese.

    Mi guardo in giro per individuare la bocca che ha proferito queste parole, ma non vedo altro se non il mio mondo materiale fatto di diplomi, computer e un mare di scartoffie ordinate nell’angolo alla destra della scrivania color noce. Percepisco la presenza del cavaliere e mi assale un’immensa sensazione di gioia, quasi protettiva dall’essere rimangiato dal mondo.

    Rivolgo lo sguardo verso il blasone conquistato con l’elevazione al grado di miles e al crocifisso di legno che lo sormonta, prego affinché sia il cuore a vincere, almeno per questa volta. Le mie preghiere sembrano essere state esaudite, mi tengono lontano dal mondo e mi concedono di tornare all’istante ai ricordi di quarant’anni fa.

    Diversi brani della Bibbia trattano della nostra somiglianza a Dio. Ricordo che il frate ne citò a iosa, io ne riporto solo alcuni per completezza argomentativa, senza voler scivolare nella teologia.

    (Gen. 1, 26-27) E Dio disse: ‘Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra.’ Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.

    (Gen. 5, 1-2) Quando Dio creò l'uomo, lo fece a somiglianza di Dio; maschio e femmina li creò, li benedisse e li chiamò uomini quando furono creati.

    Sin da adolescente, sono sempre stato vittima del mio grande difetto: interrompere l’interlocutore e inondarlo di innumerevoli domande, spesso inutili e superflue. Anche quella volta, mentre il frate citava a memoria i passi della Bibbia, lo bloccai bruscamente, forse troppo.

    «Ma… se l’essere umano si è evoluto dalla scimmia sino all’homo sapiens, con quale versione dovremmo somigliare a Dio?» Ricordo questa mia domanda, ero spocchioso, con gli occhi sgranati e smarriti in una scettica curiosità.

    L’altro frate, quello che accompagnava il relatore, mi rispose con un sorriso accondiscendente. «Ciccillo,» così mi chiamava quel sant’uomo «è presto, abbiamo appena iniziato, porta pazienza. Mamma tua mi ha detto che tu somigli molto a nonno Rafele detto pazienza, allora aspetta nu’ poco e puort pazienza.» Il suo dialetto meridionale, la grande somiglianza fisica e spirituale mi hanno sempre ricordato San Pio da Pietrelcina.

    Il suo lieve tono di rimprovero cessò all’istante, surclassato dall’immenso amore per il prossimo. Amava tutte le persone che frequentavano la parrocchia, in particolar modo noi ragazzi dell’oratorio, ancora oggi intitolato a lui. Oltre a essere un santo, era un uomo di vero cuore, innamorato della vita e della sua missione all’interno dell’ordine dei frati minori conventuali.

    La vita gli ha dato il peso di tante croci da portare e lo ha fatto sempre con estrema dignità. Neppure la perdita della vista ha bloccato il suo essere povero tra i poveri, santo tra le mura della parrocchia che ha voluto e realizzato con immensi sacrifici. Lo ricordo con amore, nell’oscurità della totale cecità, sfrecciare sicuro tra le navate della chiesa e i corridoi del grande convento, senza neppure l’ausilio di un bastone o di una guida. Conosceva ogni centimetro di quel tempio dedicato alla Vergine Immacolata, ancora oggi impregnato dei suoi respiri, dei suoi odori, dal suono dell’amato organo che accompagnava la sua graffiante voce. Da alcuni anni, grazie alla tenacia di chi l’ha amato in vita, impregnato del soffio delle sue ossa, tornate tra le mura della chiesa, dispensatrice d’amore verso il suo realizzatore.

    Nelle tranquille mura di quel convento francescano, ho trascorso la mia spensierata fanciullezza degli anni ’80 e ‘90. Sono passati oltre quarant’anni, ma mi rivedo ancora lì, seduto sulla panca della chiesa, con gli occhi fissi verso lo sguardo amorevole della Vergine.

    Nel classico saio francescano nero col cappuccio, chiuso dal cingolo bianco riportante i tre nodi delle professioni giurate, lasciò la parola al confratello che riprese la catechesi.

    Dopo diversi minuti, il frate interruppe il relatore.

    Guardandomi negli occhi, con il suo accento carnale mi disse: «Tu vuoi sapere dove possiamo ricercare questa somiglianza?».

    Risposi soltanto con un cenno della testa.

    «Iniziamo a dire che le scimmie non c’entrano nulla!» un ghigno malizioso creò una simpatica maschera sul suo volto. Il frate riprese subito a parlare, passando a uno sguardo più serio. «Per capire come somigliamo a Lui, devi comprendere che Dio è pura energia, è un’esplosione di energia, è la fonte inesauribile di energia… perché Dio è la più grande energia esistente, Dio è puro amore.»

    Eccoci consegnata la grande verità: Dio è amore, e da ciò tutto discende e dipende.

    ☩ ☩ ☩

    La voce sussurrata del cavaliere sospende di nuovo il rovistare nei miei ricordi. «All’inizio dei tempi, l’amore era in ogni cosa, in ogni luogo, in ogni microparticella materiale e spirituale. Il Creatore è onnipotente, è onnipresente, semplicemente Dio è.»

    In effetti, l’inizio dei tempi deve essere stato una vera esplosione di luce e di amore. Non credo esista un aggettivo inventato da uomo per descrivere tale magnificenza. Sarà per questo che Dio, prima d’incarnarsi nel figlio Gesù Cristo, si presentò ad Abramo e agli israeliti con il nome Io sono.

    Questo termine risuona da millenni nei cuori dei fedeli, anche se i cuori moderni hanno perso l’udito verso simili affermazioni di fede. Eppure, questa espressione è uno dei fondamenti per farci comprendere in che modo noi siamo simili a lui, e quale immenso dono abbiamo ricevuto, vivendo nella speranza di essere suoi figli.

    Se non attraversiamo la nostra vita terrena nella speranza di essere figli di Dio, non potremo mai essere dei viaggiatori consapevoli e il viaggio delle nostre anime potrebbe terminare bruscamente nei roventi inferi della Geenna.

    Per aforisma, la speranza è sempre l’ultima a morire, ma io credo che sia una meravigliosa espressione, sempre sottovalutata e troppo spesso dimenticata, appunto, relegandola alla fine. Come ci insegnano i fondamenti del catechismo cattolico, la speranza è vitale nel nostro viaggio verso Dio, perché insieme alla fede e alla carità, formano le tre virtù teologali, cioè che vengono da Dio e trattano di Dio.

    Nelle molteplici attività di presidio e custodia svolte come templari presso i numerosi templi del cattolicesimo, ogni domenica abbiamo il dono di prestare servizio nella spettacolare cattedrale medioevale di Napoli. In una delle sue omelie, Sua Eccellenza monsignor Domenico Battaglia, arcivescovo metropolita di Napoli, ha ripetuto diverse volte la meravigliosa affermazione: La speranza è il nostro tabernacolo. Il che è verità assoluta. Nella sublime e profetica visione di don Mimmo Battaglia, la speranza è lassù in alto, la speranza è Gesù Cristo vivo e presente nel suo tabernacolo, la speranza è principio oltre che fine. Insomma, la speranza è alfa e omega, è Dio.

    (Ap. 1,8) Io sono l'alfa e l'omega, dice il Signore Dio, colui che è, che era e che viene, l'onnipotente!

    ☩ ☩ ☩

    Dopo aver parlato dell’amore come pura energia di Dio, il relatore introdusse l’ultima e fondamentale incognita da approfondire; ci aiuterà a individuare il viaggiatore della nostra grande avventura. L’incognita è il tempo.

    «Per capirla al meglio,» disse il frate «possiamo affidarci a uno dei tantissimi aforismi scritti da Sant’Agostino riguardanti l’anima e il suo rapporto con il tempo.» Ci ripeté: «Il tempo non esiste, è solo una dimensione dell'anima. Il passato non esiste in quanto non è più, il futuro non esiste in quanto deve ancora essere, e il presente è solo un istante inesistente di separazione tra passato e futuro».

    Con piglio risolutivo, il frate affermò: «Per capire la nostra vera somiglianza a Dio, dobbiamo rapportare la durata della vita a quella dell’eternità». Lo disse gesticolando con le braccia per rappresentare la comparazione tra la vita e l’eternità. Partì col tipico segno del pizzico, stringendo la punta del pollice a quella dell’indice e del medio, per poi terminare col disegno di un enorme cerchio, rappresentante l’eternità.

    ☩ ☩ ☩

    «Esatto. Il frate ha ragione. La vita può essere lunghissima nel tempo conosciuto dalla corporeità umana, ma è una scintilla istantanea nell’eternità dell'anima.»

    Che strana sensazione, la voce del cavaliere torna a riecheggiare, stavolta non è un sussurro, sembra si possa sentire in tutta la stanza dove combatto nel mondo ogni giorno. Mi rivolgo al mio interlocutore come se fosse lì, seduto su di una delle due poltrone di pelle color granata che ho innanzi alla mia scrivania. Sono felice che il Sir sia tornato, mi sembra perfino di avere un normale dialogo con lui, la sua presenza mi piace molto, la trovo familiare e mi mette tranquillità. Mi dona un prezioso aiuto nello svolgimento dell’incarico da lui stesso ricevuto, oltre alla serenità simile all’abbraccio di una persona cara che si rivede dopo tantissimi anni.

    Come due vecchi amici, parliamo a lungo. In una dimensione senza tempo, in uno spazio senza materia, ha donato a questo uomo in viaggio, tante perle preziose sull’essenza dell’anima e la sua trasmigrazione. Come mi ha chiesto di fare, resteranno nel mio Graal.

    ☩ ☩ ☩

    Per identificare al meglio chi è il viaggiatore della nostra narrazione, dobbiamo inevitabilmente tornare al significato dell’affermazione del Sir: la vita è una scintilla istantanea. Pur essendo una realtà scritta dalla dottrina della Chiesa Cattolica, la pigrizia e la fede tiepida non ci fanno più leggere certi messaggi di Dio. L’umanità ha dimenticato che tutto è iniziato con la sacra scintilla, lo spirito della vitalità, il soffio dell’esistenza, il soffio dello spirito di Dio, come ci ha tramandato da millenni il libro della Genesi⁵ che descrive la nostra creazione.

    «Sir, ti riferisci al soffio della Ruah… il termine biblico traducibile solo al femminile?»

    «Sì. Intendo proprio la Ruah… La Sacra Scrittura⁶ abbonda di questa espressione per indicare lo spirito della vita, diverso dallo Spirito Santo.»

    ☩ ☩ ☩

    Mentre si avvicinava alla conclusione della sua catechesi, il frate mise sul tavolo tutto quanto ci aveva trasmesso in quelle ore. Come un esperto oratore di convegni di alta gamma, in pochi minuti riuscì a riassumere i principali concetti trattati, sino all’affermazione finale che è rimasta scolpita nel mio cuore. Immeritatamente provo a riassumerla, così come l’ho compresa e appuntata nell’angolo dei ricordi del mio cuore: la nostra somiglianza a Dio è da ricercare proprio in quel soffio dello spirito, è in noi, ma appartiene al Creatore. Nella sua essenza, la Ruah è la chiave di volta, ma non deve confondere il discernimento del credente. Gesù Cristo è figlio dell'Altissimo ed è la parte maschile di Dio che si è incarnata e si è fatta uomo per cancellare i nostri peccati come Salvator mundi; la Ruah, invece, è la parte femminile di Dio, non si è incarnata ma è rimasta spirito, è in noi e tornerà al Padre, sempre!

    Nella nostra essenza spirituale, in parte, siamo simili alla Ruah che è lo spirito vitale di Dio, mentre in quella materiale siamo simili alla polvere del suolo.

    ☩ ☩ ☩

    «In un certo senso, è come ha detto il frate, ma c’è tanto di più…» Il Sir mi parla con tono ansioso, come se avesse fretta di andare via. Ho la sensazione che la sedia alla mia sinistra abbia un sussulto, come se qualcuno si stesse alzando o sedendo.

    La voce riprende: «Per la mia anima è giunto il momento di unirsi allo Spirito del nostro Dio. Per questo ho bisogno del tuo aiuto».

    Ancora una volta, la voce sembra partire da un punto preciso della stanza, ma non riesco a individuarlo. «Sir, sono onorato della scelta, sento forte il peso di quanto mi stai chiedendo. Ti prego, aiutami ad aiutarti.» Consapevole della mia inadeguatezza nel completare da solo questo arduo compito, affido la missione all’intercessione della Madonna.

    Dialogo fraternamente col misterioso amico sugli argomenti legati alla missione, ma la materialità del mondo irrompe nella nostra dimensione. Mi distoglie con un semplice sms al cellulare. Inesorabilmente, la pellicola del film di questa piccola parte del viaggio si riavvolge nel vuoto totale della stanza. Come un moderno dispositivo elettronico che perde la connessione Wi-Fi, così il mio cuore si è disconnesso, distratto dalla mente. Questa realtà così indecifrabile si ferma per qualche minuto, ricado nel mio mondo quadrato in un profondo silenzio, senza più le tipiche sensazioni che provo in compagnia del Sir.

    Mi sento smarrito nel buio della materialità, ma una fioca luce caleidoscopica e improvvisa avvolge la poltroncina di sinistra, quella che aveva sussultato. Si forma un’immagine. Somiglia al cavaliere. Sembra sorridermi. Resto ammutolito.

    La sua voce, segnata dal classico groppo alla gola, mi confessa: «Ho fatto cose sbagliate nel corso della mia vita, pur avendo vissuto degnamente e in timor di Dio. Il viaggio della mia anima è all’ultimo crocevia, l’ultima trasmigrazione». Le sue dita si aprono, mi mostrano una sorta di biforcazione. «Una strada porta alla luce eterna, l’altra al buio profondo delle tenebre.» Con piglio diretto, conclude la sua frase. «Come scritto da San Luca⁷: dopo aver imboccato l’ultima via, non c’è alcuna possibilità di tornare dietro

    In questa realtà, fantastica e assurda allo tesso tempo, non sono affatto meravigliato dall’immagine che si è composta di fronte a me. Rispondo come se fosse tutto normale: «Non ho ben compreso Sir, come posso aiutarti a scegliere la via dell’ultimo incrocio? Dimmi cosa devo fare e lo farò!». Pur consapevole dei miei numerosissimi limiti, all'istante mi metto al suo servizio e offro il mio incondizionato aiuto.

    «È difficile scegliere. L’ultimo incrocio ha due vie: una dritta e asfaltata, l’altra buia e sterrata» si affretta a spiegarmi, mentre riappare la sua mano nel gesto delle dita aperte per disegnare una biforcazione.

    Il cavaliere avrà affrontato altri incroci prima di questo, come mai adesso trova difficoltà nella scelta? provo a darmi una spiegazione, ma non c’è. La mia povera natura umana e la mia vita profana non mi permettano ancora di comprendere, ma sono sicuro che farò tutto quanto è nelle mie possibilità per aiutare questo cavaliere.

    «Vedi, frater Francesco, dopo nove secoli di peregrinatio, l’anima si aspetta che la via dritta e asfaltata sia quella giusta. Dopo tanto tempo, spera che almeno l’ultimo tratto possa essere su di una via più agevole...»

    «Certo Sir, concordo con il tuo ragionamento.» Come sempre, mi accorgo troppo tardi di aver risposto con troppa fretta, interrompendo ancora una volta il cavaliere.

    «Aspetta, non è tutto. Allo stesso modo potrebbe essere giusta la via buia e sterrata… una prova del cavaliere che sceglie per l’ultima volta

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