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Il brigante “Fitulecchia”
Il brigante “Fitulecchia”
Il brigante “Fitulecchia”
E-book176 pagine2 ore

Il brigante “Fitulecchia”

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Info su questo ebook

Negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia, si sviluppa il brigantaggio, un fenomeno di massa che vede il compiersi di atti criminali e banditeschi, ma anche, almeno nei primi anni, soprattutto di indipendenza e filoborbonici, che si sono svolti perlopiù tra il 1860 e il 1870 nel Meridione d’Italia. Rapine e saccheggi ad opera di banditi avvenivano già in periodi precedenti, ma fu proprio in questi anni che si assistette alla loro maggiore diffusione. In queste pagine sarà la figura del brigante “Fitulecchia” a guidarci alla scoperta del brigantaggio, la cui vita fantastica si basa anche sui ricordi e sul favoleggiare degli anziani di paese che avevano sentito raccontare dai loro ascendenti, che avevano incontrato in prima persona questi personaggi e che poi, nella fantasia, diventano anche una sorta di romantici eroi.
Il brigantaggio del Sud Italia non è stato infatti esclusivamente un fenomeno criminale, ma anche una sorta di resistenza popolare all’esercito e ai funzionari piemontesi “invasori e oppressori”. E così man mano si delinea non solo la storia del brigante “Fitulecchia”, ma anche il ritratto storico del Sud dell’Italia di allora. La “guerra del brigantaggio” è stata la guerra civile più numerosa e sanguinosa accaduta in Italia.
LinguaItaliano
Data di uscita2 ago 2016
ISBN9788856778816
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    Anteprima del libro

    Il brigante “Fitulecchia” - Vincenzo De Vito

    cop_IlbriganteLQ.jpg

    Vincenzo De Vito

    Il brigante Fitulecchia

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2016 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-7881-6

    I edizione elettronica luglio 2016

    In ricordo di mio padre Gustavo Giovanni (medico)

    E mi è caro pensare che quel tuo frequente intercalare

    «Ora!... Ora!... Ora!»

    era un’inconscia premonizione di felice beata eternità

    Parva sed apta mihi

    Prefazione

    Questa mia composizione di narrativa è un’opera di non grandi pretese, rivolta ai giovani e a quanti sono anche attenti alla nostra storia nazionale.

    La vicenda si svolge nel periodo del cosiddetto brigantaggio meridionale, subito dopo l’unificazione d’Italia, dal 1861 fino al 1866. Avviene a Sala Consilina (la cittadina campana dove sono cresciuto fino ai miei sedici anni) e dintorni del Vallo di Diano.

    La trama è incentrata sulla figura de il Brigante Fitulecchia, un personaggio di mia fantasia, nel ricordo anche di quanto da ragazzo avevo sentito raccontare e fors’anche favoleggiare dagli anziani del paese e del circondario sui briganti, romantici eroi. In essa vi ho anche trasposto a quegli anni figure dei miei antenati e anche nomi e personaggi del passato di Sala.

    Il fenomeno del brigantaggio era fiorito nel Sud subito dopo la costituzione del Regno d’Italia sotto i Piemontesi, sia come reazione alla miseria, sia per la delusione della mancata riforma agraria, sia come opposizione (prevalentemente dei contadini, dei pastori, insomma della classe rurale) alla leva obbligatoria e alle elevata tassazione imposta sul pane e sul sale, sia anche come ultimo sprazzo borbonico. Istintivo ed elementare, il brigantaggio meridionale assunse assai spesso aspetti romantici, che lo distinguevano nei fatti, nei modi e negli obiettivi dalla mafia, dalla camorra dalla ’ndrangheta di carattere invece e già allora soprattutto fraudolente. La elementarità psicologica dei briganti e/o la coscienza di una missione sacra da compiere li portava a forme di culto ai limiti della superstizione, come croci e medagliette di madonne e santi sul cappello e sulla casacca.

    Il brigantaggio del Sud non è stato un fenomeno criminale, ma, prevalentemente, una resistenza popolare all’esercito e ai funzionari piemontesi invasori e oppressori. In esso, volendo, si intravede il pensiero ribelle odierno dei no-global contro la cultura omogeneizzante e globale delle attuali multinazionali. E, per l’epoca, è spiegato dalla logica e dal significato complessivo del processo storico, attraverso cui il Mezzogiorno cessò la sua esistenza di nazione sociale e politica indipendente e subì lo stato civile indotto e imposto da Torino, poi da Firenze e quindi da Roma.

    Oggi diversi storici moderni italiani e stranieri, del Sud e non solo del Sud e per il Sud, sono impegnati a riscrivere le vicende dell’Unità d’Italia falsate, a suo tempo e per lungo tempo, dagli storici sabaudi. Si rivaluta, tra gli altri, il Regno delle Due Sicilie (a suo tempo, ad esempio, potenza marinara seconda solo al Regno Unito): non è revisionismo, non è nostalgia, ma solo un ritorno alla realtà storica. Il Risorgimento italiano viene rivisitato non solo dalla parte dei Borboni, ma anche dei Lorena, degli Asburgo, del Papa, etc. e dei loro governi.

    Al Sud e non solo al Sud ci si adopera con pubblicazioni, convegni, mostre, studi e seminari per accertare la più obiettiva verità storica del Meridione d’Italia: sui Normanni, sugli Svevi, sugli Angioini, su Gioacchino Murat e anche sui Borboni.

    Il giudizio di questa tradizione di studi sulle condizioni del Mezzogiorno nell’800 – ha scritto Giuseppe Galasso – non risulta invalidato da risultati sensazionali di studi recenti, revisionistici o non revisionistici che siano. Ma risulta, invece, fortemente arricchito il quadro delle nostre conoscenze di quel periodo e di quella realtà nel Mezzogiorno; e di ciò bisogna essere grati ai molti studiosi che se ne sono occupati e se ne occupano. I giudizi di Davis sull’imprenditoria del Mezzogiorno di allora, e Pescosolido sull’agricoltura e le manufatture coeve, di Scirocco sulla vita politica e amministrativa, per fare qualche esempio, confermano che qui non si tratta di riconoscere i torti dei vincitori e le ragioni dei vinti. Qui si tratta di capire la logica e il significato complessivo del processo storico per cui il Mezzogiorno dovette cessare il suo esistere politico indipendente.

    Molti ritengono, infatti, che il Mezzogiorno dopo il 1861 non ricevette nello Stato unitario, né localmente né in sede nazionale, l’attenzione politica, sociale e civile che gli spettava di diritto, a causa dei tanti torti dei vincitori (Piemontesi) e contro le molte ragioni dei vinti (Meridionali).

    Che progressisti questi Borboni!. Ritengo che si dirà un giorno molto prossimo, ma ahimé distante da quella erronea e faziosa storia risorgimentale che mi ammannirono da giovane, ai tempi del mio liceo: proprio quella e soltanto quella dei vincitori.

    Capitolo 1

    Da pastore a brigante

    Di buon mattino i due carabinieri si inerpicavano per l’aspro sentiero che, da sopra il paese, conduceva al pianoro di pascolo estivo che cominciava oltre il picco su cui svettavano le rovine del diroccato maniero. Esso, nel suo pieno splendore, era stato l’ultima difesa dei baroni che si erano ribellati a Federico II. Durante l’assedio subì molti danni, ma per la sua formidabile struttura, oltre che per la buona posizione, oppose valida resistenza ed anche in seguito conservò il suo ruolo di fortezza. In conseguenza di altri assedi, oltre che di terremoti, frequenti nel Vallo di Diano, il castello fu molto danneggiato. Infine appartenne alla famiglia dei principi di San Severino, ma all’epoca della nostra storia entro i ruderi di cinque recinti era in piedi solo l’originaria cappella, chiesetta appunto detta della Madonna di Castello, contornata dalle rovine del complesso che certamente era stato molto ampio.

    I due erano partiti all’alba per ordine del maresciallo comandante ed erano a circa metà strada della loro prevista destinazione. Il sole ormai cominciava a scaldare e l’aria a diventare più pesante; quindi i due carabinieri erano sudati sotto le loro pesanti divise d’ordinanza e accaldati per l’erta salita. Si soffermarono su uno stretto slargo per tirare un po’ il fiato. Era di luglio ed essisi liberarono dei moschetti d’ordinanza che portavano a tracolla e la relativa cintura aveva provocato un evidente solco di sudore sulle loro camicie della divisa estiva e ristettero inizialmente silenti in sosta a riprendere il fiato.

    Se face già accussi cauro e nun su manco le otto ri matina, figuramuse cche sarà a miezzujournu cu la ’calandrella’!. Esclamò il carabiniere semplice verso il brigadiere frattanto che si detergeva il sudore dalla fronte, dopo essersi tolto il cappello d’ordinanza di feltro spesso.

    Il servizio è servizio! – commentò il brigadiere – E va svolto con qualunque tempo e a qualunque costo!. Aggiunse il graduato con la sua cadenza settentrionale e con il tono del superiore in carica.

    ’Nci fosse mai un servizio, comme dite vuie, brigatié – borbottò il carabiniere semplice – ca nun capita na cumandata faticosa: ’nsomma o quannu face cauru o quannu chiove o nivica o mena vientu!.

    Il nostro motto è: ’usi obbedir tacendo e tacendo morir!’ – rispose il brigadiere – Perciò tu te tasi e marcia!. E ripresero affiancati e in silenzio l’ardua salita verso la chiesetta.

    Ristettero di nuovo quando giunsero sul piazzale della chiesetta; questa volta sostarono in silenzio, perché impegnati ad esplorare il vasto e ampio pianoro retrostante la montagnola del maniero e profondo almeno un paio di chilometri, al termine del quale iniziava il vasto bosco di Brienza.

    Lu vi’ là lu gregge – disse il carabiniere semplice, indicando al brigadiere una macchia biancastra che si distingueva contro il verde, proprio sul limitare nord-ovest dell’ampio pianoro sottostante.

    Bene – disse il brigadiere – dobbiamo ora percorrere l’intera spianata e poi, solo a missione ultimata, faremo colazione. E si incamminarono per raggiungere il gregge.

    Arrivarono al limitare del pianoro proprio dove il grande gregge pascolava; il pastore appoggiato alla sua paroccola sostava su un basso rialzo da cui sorvegliava tutto il pascolo e non diede a vedere che si era accorto del procedere proprio verso di lui dei due carabinieri.

    Sei tu Michele Casale? – domandò ad alta voce il brigadiere quando stimò che il pastore poteva già sentirlo. Questi per tutta risposta emise un modulato ed acuto fischio, chiaramente di richiamo per il cane, che corse subito verso il padrone, ma non si scompose a rispondere.

    Sei tu Casale Michele? – ripeté un po’ stizzito e perentorio il brigadiere, usando di proposito la formula poliziesca di anteporre il cognome al nome, quando i due carabinieri erano giunti a pochi passi dal pastore.

    Si songh’io – rispose il pastore – Pe’ servirvi, brigatié, io so’ proprio Michele Casale".

    Michele Casale, soprannominato Fitulecchia?. Ribadì di nuovo l’appuntato.

    Sine! – disse laconico il pastore – Cche vulite da me? Pecché site venuti fino ’ngopp’a lu pasculu a cercamme?.

    Ho qui un ordine di comparizione in caserma per te, firmato dal maresciallo, nostro comandante – ribadì il brigadiere. – Siccome ci risulta che sai leggere e scrivere, insomma che non sei analfabeta, puoi leggere da te stesso che ti dobbiamo tradurre con noi in caserma subito. Concluse il brigadiere, ormai dipresso al pastore, porgendogli l’ordine di comparizione coatta.

    Il pastore non si scompose; prese il foglio dell’ordinanza esibitogli dal brigadiere e lesse con attenzione. C’era scritto essenzialmente: Il ricercato Casale Michele, soprannominato ’Fitulecchia’ venga tradotto dalle forze dell’ordine presso la caserma dei Carabinieri di Sala Consilina, dato che sono circa tre mesi che non si è presentato al Distretto Militare di Salerno per il servizio di leva obbligatorio, altrimenti, come già risulta renitente, verrà considerato disertore.

    L’ordine di comparizione e traduzione risultava firmato dal Delegato Regio e dal Maresciallo Comandante dei Carabinieri di Sala Consilina.

    Non ne sapevo niente ri dove’ fa’ lu serviziu militari. Mentì Michele.

    Non è possibile! – ribatté il brigadiere. – Gli elenchi dei chiamati al servizio militare sono esposti nelle affissioni al pubblico del municipio; siccome sai leggere e scrivere, non puoi dire che non l’hai letto. Inoltre hai già compiuto venti anni e quindi dovresti sapere che ti tocca la ferma militare. Sei troppo istruito per non sapere che questo dovere ti tocca e non credo che vuoi essere poi considerato disertore, con quel che segue... minacciò il brigadiere, che nel frattempo si era messo più a suo agio e, senza berretto, si asciugava il sudore dalla fronte e dalla nuca e poi si sventagliava il viso con il suo fazzoletto.

    Il pastore per prendere tempo fece finta di leggere di nuovo l’ordinanza di traduzione e comparizione; poi, restituendola al brigadiere, che gestualmente gliela richiedeva indietro, finalmente disse: I so’ nu’ faticatore: nun tengo tiempo di andare a leggere l’elenchi a lu municipio e poi lu miu compleanno nunn’ è sicuro, pecchè don Ciccio m’iscrisse a lu comune ccu la data prisunta ri nascita; nun so’ si me spiego. ’Nsomnma i’ nu lu sacciu si c’ho diciannove o vent’anni. Pirciò dite al vostro marisciallo ca io mo’ so ’mpignatu su la parola, e la parola è parola , ccu’ li patruni de li pecure pe’ tutta la staggione.

    Ma cosa credi, Michele Casale? – replicò il brigadiere. – A noi carabinieri, il fatto che stavi ’ngoppa a ’sti cuozzi, come dite qui, ce l’ha detto proprio il tuo protettore don Ciccio, il parroco di Santo Stefano giù a Sala e l’arciprete ci ha pure detto che la tua data di nascita presunta è da intendersi certamente come data sicura. Insomma tu hai già venti anni, perché don Ciccio dice che, dopo che ti prese, in capo ad altri due mesi eri già svezzato. Io so’ sposato e padre e so’ che i bambini si svezzano a cinque o sei mesi al massimo. Quindi sei ampiamente ventenne, rispetto alla data con cui ti segnò don Ciccio al Comune. Poi facendo una pausa soggiunse perentorio: Ora lascia tutto e vieni con noi o con le buone o con le cattive!. Concluse definitivamente il brigadiere, facendo tintinnare le manette; contemporaneamente il carabiniere semplice, indietro di tre passi fece l’atto di sfilare il fucile che portava a tracolla.

    Stai fermo tu ccu lu muschetto: nun senti ca lu cane mio già ti mugula pecchè ti punta? Appena sfoderi lu muschettu ti azzanna prima a li stinchi e, si nun abbasta, ti zompa a lu cannaruozzo! disse con tono minaccioso e perentorio al carabiniere semplice il pastore e, quando vide che questi desistette dallo sfilare il moschetto d’ordinanza, si rivolse con tono più supplice al brigadiere: A vossia, brigatié, dico con cortesia e preghiera: se po fa’ ca io vengu a fa lu serviziu militare a la fine ’re la staggione: quanno firnisco l’obbliganza ri pastore ca tengo ccu li patruni ri li pecure. ’Nsomma verso la fine re la vendemmia. E con noncuranza mise la mano destra in tasca; fino ad allora era sempre rimasto appoggiato al suo bastone, la paroccola appunto, com’è chiamata in dialetto dai pastori il nodoso bastone che non solo è d’appoggio, ma è anche fatta da un manico arrotondato. I pastori sono abilissimi a tirare la loro paroccola anche a venti passi per farsi ubbidire da una pecora giovane e ancora non assuefatta e obbediente all’addestrato cane-pastore.

    Il brigadiere si accorse della mossa del pastore e nel frattempo, fingendo di tergersi il sudore dal collo, aveva fatto un cenno d’intesa al carabiniere semplice, facendogli capire che non doveva ancora imbracciare l’arma e quindi concluse categorico: "Mio caro Casale Michele o vieni con noi

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