Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Dove eravamo rimasti?
Dove eravamo rimasti?
Dove eravamo rimasti?
E-book231 pagine3 ore

Dove eravamo rimasti?

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Una galleria di ricordi, di esperienze vissute in gioventù, di riflessioni sui costumi passati e sulle abitudini di vita. Sullo sfondo Roma, la sua magia unica, un quartiere tra tutti, con i suoi visi conosciuti e i suoi luoghi celebri. In Dove eravamo rimasti? c’è un intero mondo raccontato, che Claudio Pulicati miscela come un “barman esperto della parola”, servendo di volta in volta ai lettori storie sulla musica, sul ballo, sulla passione per le figurine, sui giochi di strada, sugli scioglilingua, e naturalmente sull’amore. L’ultima parte poi è un tributo ai piatti tipici della cucina romana (casalinghi e non solo da “osteria”), dagli antipasti alle pastasciutte, dai secondi ai dolci, con tanto di ricettario, note storiche e poesie dei maggiori interpreti della tradizione popolare romanesca. Considerazioni serie e battute di spirito si alternano in un libro piacevole da leggere, che può essere sfogliato volendo anche per argomenti, e che stupirà ogni volta per la sua energia.
LinguaItaliano
Data di uscita6 ott 2016
ISBN9788856779790
Dove eravamo rimasti?

Correlato a Dove eravamo rimasti?

Ebook correlati

Vita famigliare per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Dove eravamo rimasti?

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Dove eravamo rimasti? - Claudio Pulicati

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2016 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-7979-0

    I edizione elettronica settembre 2016

    Questa nuova raccolta di pensieri e aneddoti della mia vita

    è dedicata a coloro che non ci sono più.

    Ai miei genitori Edoardo e Maria che, oltre darmi la vita,

    mi hanno accompagnato nella mia crescita di uomo e persona retta

    e alle mie adorate nonne Beatrice e Ines.

    Premessa – Eccomi care lettrici e cari lettori a proporvi la mia seconda opera, che non vuole essere il seguito della mia prima Sì... come è diversa, oggi, la vita, ma l’eventuale completamento della stessa. Il titolo, oltre che significare la continuità di un discorso, è un mio omaggio al compianto Enzo Tortora, il quale, ad ogni puntata del programma televisivo Portobello, iniziava la trasmissione con Dove eravamo rimasti?. L’idea di proporre un’altra opera di saggistica memorialistica (dopo l’apprezzamento della critica e dei lettori manifestatosi mediante premi e recensioni che mi hanno spronato a continuare "su questa strada" e che mi hanno dato la consapevolezza che ero sulla via giusta), è maturata anche dopo aver letto la recensione della sig.ra Luisa (su IBS) e del mio amico fiorentino Giulio, il quale mi chiedeva, in una mail: "perché citare quelli e non altri ricordi?". Spero sentitamente di esserci riuscito ancora.

    A tutti voi... l’ardua sentenza!

    Buona lettura,

    Claudio

    Oggi è una splendida giornata – Sì... oggi è una splendida giornata. Avete presente quelle giornate quando non è ancora primavera o estate e l’aria è così frizzantina e pulita (cosa ormai inusuale ai nostri tempi) che inspirandola ti riempie i polmoni ed il cervello lasciandoti quella sensazione unica di benessere che ti fa pensare o ricordare, ad occhi socchiusi, a quelle cose positive che ognuno di noi racchiude in un angolo del cuore e nella mente e che sono parte integrante ed indelebile del nostro patrimonio di affetti ed esperienze? Ecco, oggi, ad occhi chiusi, davanti a me riaffiorano immagini senza tempo o dimensione, momenti di vita felici: il sorriso di mia madre Maria e la sua dolcezza unica; la pacatezza e la signorilità di mio padre Edoardo; l’affettuosità delle mie nonne Ines e Beatrice ed il loro gusto nel viziarmi; la sapienza ed esperienza dei miei nonni Domenico detto Gigi e Augusto (i cuccioli di casa a quel tempo ascoltavano ed imparavano dalle esperienze di vita quotidiana vissuta e facevano propri anche i consigli che i nonni, che io ho sempre definito, alle soglie della mia maturità il nostro internet, ti davano a completamento dell’educazione familiare), la bontà di mio fratello Alessandro e in ultimo ma non per ultimo il primo vagito di mio figlio Andrea. Sì... oggi è una splendida giornata e fronte sole, seduto al bar, sorseggiando un caffè voglio far spaziare la mia mente, nell’oceano della mia memoria, ricercando e facendo riaffiorare altri momenti vissuti che hanno fatto parte della mia vita, senza nostalgie struggenti ma consapevole che senza quei momenti o quelle esperienze non sarei diventato l’uomo che sono.

    Dove eravamo rimasti? – Se vi hanno insegnato a salutare quando entravate in un ambiente o incontravate altre persone, se vi hanno insegnato a dare del lei agli adulti come forma di rispetto, se vi hanno insegnato che negli autobus, tram o metro il posto si lasciava alle donne incinte, alle persone anziane e in generale a quelli più grandi di voi, se vi hanno insegnato che i beni comuni vanno rispettati più dei propri e che l’onestà è un valore e non un difetto, se vi hanno insegnato che il rispetto mostrato è rispetto guadagnato... come avete fatto a sopravvivere? Se siete cresciuti con il cibo fatto in casa, se siete nati in un’epoca in cui le cose rotte si aggiustavano e non si buttavano via, se avete giocato per strada per ore, se non avevate i vestitini firmati... come avete fatto a sopravvivere? Se la vostra casa non era a prova di bambini, vi punivano quando vi comportavate male e uno scappellotto ogni tanto l’avete preso, se avete avuto una tv in bianco e nero e per cambiare dal primo al secondo canale dovevate alzarvi... come avete fatto a sopravvivere? Se avevate i negozi chiusi la domenica e avete bevuto l’acqua del rubinetto e della fontanella, se non conoscevate a 6 anni l’Inglese e non avevate il telefonino a 9 anni ma sapevate bene cos’era l’educazione e dopo "Carosello" si andava a letto... anche voi... come avete fatto a sopravvivere?

    La memoria è nell’anima – Se, come diceva Umberto Eco, la memoria è nell’anima eccomi qui di nuovo ad interrogare la mia e a continuare a descrivere come era la vita negli anni ’50, ’60 e ’70 (non necessariamente in ordine cronologico), fino ad arrivare ai giorni nostri, sfogliando l’album dei ricordi, in gran parte in bianco e nero, ma che vivo ancora ben nitidi e non ingialliti dal tempo. Io sono nato nel 1952, a Roma, in tempo di pace (la Seconda Guerra Mondiale era terminata da oltre 7 anni e tutte le persone guardavano con nuova fiducia al loro avvenire). I miei genitori appartenenti a famiglie della borghesia romana, si erano sposati per amore e la loro unione fu piena, intensa e vera secondo i dettami del matrimonio "fino a che morte non vi separi. Crescendo ho respirato giorno dopo giorno questa atmosfera di amore, di rispetto, di discrezione, pacatezza e rinnovato benessere e ho avuto il dono immenso di crescere e maturare in parallelo con la vita dei miei 4 nonni. Nascere negli anni ’50 è significato vivere giorno dopo giorno ed assaporare anche in modo inconscio tutti i cambiamenti e le innovazioni in tutti i campi, che si sono succedute prima lentamente poi man mano sempre più con un ritmo impressionante fino ad arrivare alla globalizzazione. Fenomeni che hanno avuto bisogno di decenni per consolidarsi e che oggi si manifestano con una rapidità tale che ci inducono a mettere da parte convinzioni e convenzioni. Come detto sono nato in una famiglia dove amore, armonia ed educazione si respiravano ogni giorno e soprattutto si respiravano gli ideali di liberalismo in cui sia mamma che papà credevano fermamente. Credevano, nel modo più puro, nell’uguaglianza di tutti gli esseri umani a prescindere dal sesso, dalla razza, dall’appartenenza etnica e religiosa. Ripudiavano la violenza, la guerra ed il terrorismo come strumenti per risolvere le contese tra gli uomini. Il loro sogno: un mondo basato sulla solidarietà, sul rispetto reciproco, sul dialogo. Io sono cresciuto con questi principi ed insegnamenti. Mi diceva mia Mamma, c’e un detto romano: Fattela co’ chi è mejo de te e pagaje er caffè; ma con questo non vuol dire che il figlio o la figlia di un netturbino o di un operaio non siano migliori di te; sta e te capirlo, sentirlo dentro. Chi come me è stato educato con questi valori liberali, non è mai stato bigotto o settario, mai fondamentalista, mai accecato da una sola ideologia. Io ne ho passate di tutti i colori (e tante ne ho pure fatte), ho combattuto tante battaglie con la vita vincendole e perdendole. Ho visto il boom economico e la floridezza di un popolo ormai risorto dalle ceneri della guerra, che dopo la Vespa e la Lambretta viaggiava in 500 (la prima autovettura destinata alle fasce sociali meno abbienti), con la 600 (l’utilitaria per eccellenza alla portata della piccola borghesia), con la 1100 (papà comprò nel 1960 quella bicolore crema e marrone), l’Alfa Romeo e la Lancia (per i ricchi e benestanti) e dove resisteva ancora il modello di donna maggiorata tanto in voga nei ’50. Ho ascoltato tanto la radio e ho sempre amato la televisione, che in quegli anni era entrata nelle nostre case. Ho vissuto la Revolution Culturale, che epocalmente ha abbracciato tutto quello che poteva abbracciare e che ha cambiato radicalmente il nostro costume quotidiano. Ho vissuto, ai tempi della scuola, il ’68 senza mai schierarmi palesemente (anche se avevo le mie simpatie e avevo amici e amiche attivisti di entrambe le parti), non perché fossi un vigliacco, ma perché non sono mai stato violento e non ho mai sposato le cause ideologiche e i teoremi politici settari e fanatici sia di sinistra che di destra. Ho visto la strategia della tensione, le lotte sindacali e per il divorzio e la dolce vita romana (io considero tale, non avendo vissuto quella dei ’60, quella degli anni ’70 e quella fino alla metà degli anni ’80). Ho visto il crollo del Muro di Berlino e la fine di quell’equilibrio che teneva in piedi, fino allora, la politica europea e mondiale. Ho vissuto la nascita dell’Europa e dell’Euro come moneta unica e la morte della mia adorata Lira; le stagioni dei professori, i cosiddetti tecnici, di cui io ho una mia tesi. Quando sento parlare di professori, dei tecnici al governo del Paese, ho sempre avuto la sensazione di un brivido alla schiena. Io sono sempre stato favorevole ai maestri. Il maestro insegna... maestro di scuola, di musica, d’arte, di scherma o di altro sport, di vita. Il professore applica e non guarda in faccia a nessuno... a nessuno! Io la penso così! Fino ad arrivare ai nostri giorni dove tutti i politici si dichiarano liberali o meglio liberal chic. La parola liberalismo" è stata, in questi ultimi tempi, oggetto di vanto da tutti quelli che liberali non sono mai stati. Fa sorridere che oggi gli ex comunisti, ex democristiani e gli ex estremisti di destra e di sinistra che negli anni passati disprezzavano il liberalismo, in nome delle loro ideologie oggi se ne vantano e ne fanno l’arma principale della loro politica. Pensate a tutti coloro ai quali arrivavano rubli e ordini politici dal Cremlino, oggi hanno la pretesa e prosopopea di spiegarci quali sono i fondamentali della democrazia cambiandoci anche la Costituzione. Come tutti quei bigotti cattolici, figli o nipoti di coloro che erano schierati compatti contro il divorzio, oggi fanno patti sottobanco e votano il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

    Per me la salvaguardia dei diritti di libertà di ogni individuo di esprimersi e manifestare la propria opinione in ogni campo è stato e sarà sempre, uno dei primi principi d’insegnamento liberale come dettato dai miei cari e amati genitori.

    Gli Anni Settanta – Come sintetizzare il decennio che ha visto cambiare il Paese in poco tempo? Dalla fine del boom economico, ai movimenti operai e alle lotte sindacali, al divorzio, alle femministe al grido di "Io sono mia", nasce una nuova Italia che ha voglia di ulteriori novità, divertimento, libertà sessuale e di trasgressione. Esplosa alla fine dei ’60 si consolida la creatività e la musica della coppia Mogol–Battisti, si balla in discoteca al ritmo della Disco Music, l’austerity manda tutti a piedi e in bicicletta, nasce lo Statuto dei Lavoratori e mentre Raffaella Carrà fa scandalo in tv con il Tuca Tuca, fioccano i primi volantini delle Brigate Rosse, le bombe della strategia della tensione, il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro, si inasprisce l’odio tra esponenti di estrema sinistra e estrema destra (secondo la teoria degli opposti estremisti e vittime delle opposte ideologie). A tal riguardo, mio malgrado, sono stato protagonista anche se indirettamente di un evento che ha fatto storia nel panorama politico romano di quegli anni: l’attentato alla famiglia Mattei, ricordato dagli storici come il Rogo di Primavalle. Mia madre Maria nel 1973, all’età di 41 anni, fu ricoverata più volte in diverse strutture ospedaliere perché affetta da una malattia allora ancora semisconosciuta per malati della sua fascia di età: l’artrite reumatoide che colpiva, a quel tempo e fino ad allora, esclusivamente persone in età avanzata. Trovò la prima risoluzione al suo problema di salute al Policlinico Gemelli nel reparto Ortopedia (con una operazione al ginocchio effettuata dal primario prof. Fineschi, uno dei massimi esponenti nel settore ortopedia e luminare indiscusso) dove divideva la stanza a pagamento, al nono piano del Policlinico, denominato reparto solventi, con una simpatica signora di Isola Liri anche lei di nome Maria. Nella notte del 16 aprile di quell’anno a Primavalle, quartiere nord–ovest di Roma, alcuni aderenti all’organizzazione extraparlamentare di sinistra Potere Operaio versarono benzina sotto la porta dell’appartamento abitato dalla famiglia Mattei composta da Mario, capofamiglia, dalla moglie Anna Maria e dai 6 figli, al terzo piano delle case popolari di via Bernardo di Bibbiena. Mattei era allora il Segretario della Sezione Giarabub del Movimento Sociale Italiano–Destra Nazionale (MSI–DN) a Primavalle. Divampò un incendio che distrusse rapidamente l’intero appartamento. La signora Anna Maria e i due figli più piccoli, Antonella di 9 anni e Giampaolo di soli 3 anni, riuscirono a fuggire dalla porta principale. Altre due figlie, Lucia di 15 anni, aiutata dal padre Mario si calò nel balconcino del secondo piano. Silvia, 19 anni, anche lei tentò di calarsi sul balconcino ma cadde nel vuoto. Da morte certa fu salvata dai tiranti d’acciaio sottostanti, usati per stendere la biancheria lavata, nel cortile del condominio, riportando gravi fratture multiple. Invece ben altra sorte ebbero gli altri 2 figli, Virgilio di 22 anni e il fratellino Stefano di 8 anni, che morirono carbonizzati non riuscendo a gettarsi dalla finestra. Il dramma avvenne davanti ad una folla che si era ammassata nei pressi dell’abitazione e che assistette inerme e paralizzata alla progressiva morte di Virgilio, rimasto appoggiato al davanzale e di Stefano, scivolato all’indietro dopo che il fratello maggiore, che lo teneva con sé, perse le forze. La violenza politica aveva fatto altre due vittime (tanto per far comprendere, i livelli di odio di classe a coloro che non hanno vissuto questo periodo, gli attentatori lasciarono sul selciato una rivendicazione della loro azione scrivendo: "Brigata Tanas – guerra di classe – Morte ai fascisti – la sede del MSI e i Mattei colpiti dalla giustizia proletaria").

    Silvia fu trasportata al Pronto Soccorso del Policlinico Gemelli, operata e ingessata d’urgenza per le citate gravi fratture multiple che la caduta le aveva procurato. Per mancanza di posto, il reparto era al completo, fu chiesto a mia madre e alla signora Maria, di poter ospitare, per il ricovero, la Mattei nella loro stanza. Ovviamente dettero il loro immediato assenso. La stanza fu piantonata da due carabinieri, con ingresso riservato, previa identificazione, solo ai familiari delle altre due signore ricoverate nella stanza.

    Quando occupò il letto che avevano aggiunto proveniente dalla sala operatoria e gessi, sembrava, poverina, una caricatura da cartoon: era ingessata dal collo alle caviglie. Mi colpì immediatamente la sua dolcezza, la sua maturità e la lucidità nel raccontare il gravissimo episodio del quale era stata protagonista e testimone diretta, malgrado la sua giovane età. Ovviamente non era conoscenza e non seppe per tutto il periodo di ricovero della morte dei fratelli. Fu oggetto di ogni affettuosità, in primis da parte della sua famiglia, del personale medico e infermieristico, di mia mamma e della signora Maria, di noi tutti e del mondo politico che come in una processione itinerante presenziarono con visite spontanee o istituzionali considerata la gravita dell’accaduto. Le spontanee ovviamente furono quelle degli esponenti del MSI–DN. Il segretario del partito Giorgio Almirante con i suoi più stretti collaboratori risultò presente ogni giorno. Fu sempre molto vicino a Silvia, manifestando nei suoi teneri atteggiamenti una sicurezza disinvolta, una compostezza e autocontrollo sinonimo del suo naturale aplomb. Un vero signore. Tra le istituzionali ci furono le viste del Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, anche lui grande oratore e comunicatore affettuoso, accompagnato dal Ministro degli Interni Mariano Rumor, dal Ministro di Grazia e Giustizia Guido

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1