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Paura sull'Enza
Paura sull'Enza
Paura sull'Enza
E-book166 pagine1 ora

Paura sull'Enza

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Info su questo ebook

Mentre da alcuni giorni sono partiti i lavori per la costruzione dell'imponente diga di Vetto, sulle rive del torrente Enza accadono fatti davvero inquietanti.

Con una cadenza temporale impressionante, scompaiono nel nulla ben tre bambini. Al loro posto, a monito, una chiara scritta fatta con il sangue e il fantoccio di un Krampus, la famosa creatura mostruosa, icona macabra della tradizione altoatesina, gettano nello scompiglio gli investigatori che ad ogni nuovo sequestro sembrano brancolare sempre di più nel buio.

C'è già chi ipotizza che in questa vicenda ci sia la fredda regia calcolatrice di un possibile serial killer, anche se nessun corpo viene per fortuna rinvenuto.

Ad affiancare le indagini, si ritroverà quasi per caso, Andrea Pocher, giornalista di cronaca nera della Voce dell'Enza, quotidiano fiore all'occhiello delle province di Reggio Emilia e Parma, che assieme ad un improvvisato team di collaboratori, cercherà di condurre le ricerche verso una soluzione positiva.

Ma dovrà fare in fretta.

L'Enza non perdona.

E ben presto le sue acque potrebbero tingersi di un altro colore.

Quello rosso del sangue.
LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2019
ISBN9788831644532
Paura sull'Enza

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    Anteprima del libro

    Paura sull'Enza - Denis Busani

    Ingersoll

    Prefazione

    Paura sull’Enza è il quarto lavoro dell’Autore. Dopo la trilogia ambientata nelle Terre Matildiche, Il segreto di Canossa, La profezia di Canossa e Nella trappola di Canossa, opere in cui ha formulato una vera e propria dichiarazione d’amore per la terra in cui è cresciuto e vive, siamo di fronte ad una pietra miliare della sua esperienza letteraria.

    Ancora una volta sono le colline reggiane l’ambientazione del racconto, ma stavolta con un punto di osservazione più distante che gli consente di vedere la zona nel suo insieme. Il filo conduttore è lo scorrere del torrente Enza da Lagastrello sino al suo ingresso in pianura.

    Forse proprio per questa nuova scenografia Il suo amore per la propria area geografica, pur riproposto e confermato a più fasi, rientra in un suo alveo ben definito per lasciare spazio ad una narrazione accattivante sempre più protesa ai ritmi del giallo, presentando pagine ricche di vera e propria suspense.

    Anche in questo racconto l’Autore riesce a far coesistere leggende, dati storici reali, licenze narrative e trama in una sapiente miscellanea utile a supportare la storia ben articolata e mai banale.

    Lo stile di scrittura, piacevole e scorrevole, conferma la semplicità espressiva che da sempre costituisce l’apprezzabile marchio di fabbrica delle sue opere

    Nell’epoca degli spoiler non andrò ad addentrarmi nella trama e nei suoi personaggi. Da giallista mi è chiaro che proporre descrizioni dei personaggi o di punti salienti della trama può realizzarsi in sgradevoli spunti atti ad individuare il finale o, quantomeno, a rovinare la graduale evoluzione della narrazione.

    Mi fa invece piacere soffermarmi sull’Autore e sulla amicizia e collaborazione che ci legano ormai da anni.

    Fu una cara amica comune a presentarci regalandoci vicendevolmente le nostre opere prime.

    Da lì la nostra conoscenza, fondata sulla passione delle parole, delle frasi, del leggere e dello scrivere, ha subito varcato la soglia della confidenza per trasformarsi in vere e proprie collaborazioni sfociate in attività di presentazioni, di editing, di scambi e opportunità.

    Spesso delle amicizie che contano si arriva quasi a dimenticare l’origine. Nel nostro caso però non potrà mai essere così.

    Quando si tratta di passioni il resto passa doverosamente in secondo piano e, in questo, lo scrivere non è secondo a null’altro.

    Eugenio Pattacini

    Prologo

    20 dicembre 1909

    Il guardiano della diga si destò di soprassalto dal dormiveglia, avvertendo un forte rumore provenire dall’esterno.

    Imprecò ripetutamente, maledicendo se stesso per la sua negligenza al lavoro, e, mentre con una mano si adoperava a dare vigore ad una lampada ad acetilene, con l’altra deterse la condensa dal vetro della piccola finestra del capanno.

    Alcune goccioline d’acqua presero a scendere zigzagando veloci verso lo stipite di legno dell’infisso.

    Oltre, il buio della notte faticava a cedere spazio a quella mattina invernale.

    Erano quasi le sei.

    Sentendo scricchiolare le articolazioni delle ginocchia, che lo sorreggevano da quasi sessant’anni, si alzò dalla sua postazione, determinato ad andare a controllare la natura di quel rumore.

    Quando fece per muoversi però, si bloccò quasi subito urtando una bottiglia di acquavite, che rotolando via dai suoi piedi, vuotò sulle assi del pavimento il suo misero contenuto.

    Pensò che quel vizio presto o tardi gli avrebbe presentato il conto.

    Una volta fuori,  il clima particolarmente rigido gli diede il benvenuto facendogli rimpiangere il tepore del capanno.

    Per quel poco che riusciva a distinguere, le nuvole basse in cielo erano ancora cariche di pioggia e neve.

    Da circa tre giorni infatti non smetteva di piovere e l’invaso di Lagastrello veniva costantemente messo alla prova da una portata d’acqua che fino a quel momento non aveva avuto precedenti.

    I livelli idrometrici erano oramai giunti alla soglia massima.

    Il telegramma inviato da lui la sera precedente alle autorità di gestione non aveva ancora sortito una risposta, e questo non sapeva se interpretarlo in maniera positiva o negativa.

    Forse stavano aspettando che facesse giorno per fare il punto della situazione.

    Dal canto suo sapeva di aver messo in atto ogni procedura di contenimento dell’emergenza.

    Aveva aperto uno ad uno gli oltre dieci scarichi di superficie e quello di fondo, comandato dagli argani posti sulla torre centrale.

    Per il resto…

    Alzando il bavero del pastrano, decise per un giro di ronda sul camminamento del terrapieno.

    In totale quattrocentottanta passi tra andata e ritorno.

    Si mosse cauto, sorreggendo con una mano la lampada, e, mentre dal cielo un’infinità di gocce d’acqua ghiacciata gli sferzavano il viso, raggiunse in breve tempo il centro della diga.

    Lì il rumore era decisamente assordante e alle orecchie ben allenate del guardiano non lasciò alcun dubbio.

    Sotto ai suoi piedi, nel buio opprimente di quello strapiombo costruito dall’uomo, si stava aprendo un falla.

    Una falla enorme.

    Imprecò nuovamente, ma questa volta rivolgendosi alla natura che sentiva essersi fatta tutto ad un tratto ostile.

    Disperato cercò poi di tornare al capanno per telegrafare la gravità della cosa e far sì che venissero allertati i paesi giù a valle.

    Non fece in tempo.

    Capitolo 1

    30 giugno 1982

    Lagastrello

    Ore 11

    Ivano attraversò a bordo della sua Alfa Giulia color senape, il lungo ponte a fianco della diga di Lagastrello, trattenendo il fiato.

    In apnea.

    Non soffriva di vertigini, o almeno non pensava di soffrirne fino a quel momento, tuttavia mentre procedeva attraverso quella lingua di asfalto lunga quasi duecento metri, sentiva una sensazione di stordimento che faticava a contenere.

    Sotto di lui, sulla sinistra, un invaso artificiale di centinaia di migliaia di metri cubi d'acqua rifletteva la luce del sole di quella fresca mattina d'estate, mentre a destra, uno strapiombo mozzafiato, si apriva a ventaglio, come primo avamposto sulla valle del torrente Enza.

    Stratosferico!! Guarda Serena... Sul sedile posteriore, Matteo, dieci anni appena compiuti, commentò estasiato quel panorama.

    Sì, non male...

    Non male? A me pare incredibile! Sua sorella di due anni più grande, alzò appena lo sguardo da un giornalino, con aria piccata.

    Serena, non concentrarti troppo a leggere che poi lo sai come va a finire... S’intromise la madre , volgendosi di tre quarti per fissare la figlia.

    Blahh!! E’ così che finisce...

    Scemo! La ragazzina colpì con un secco pugno la spalla del fratello, risentita. Sei proprio scemo!

    Ehi, ehi, ragazzi. Ivano scalò una marcia rallentando la corsa. Tra non molto arriveremo, vi conviene preparare gli zainetti invece di stare lì a litigare. Difatti, dopo aver superato il ponte, svoltarono a sinistra e in breve tempo giunsero in prossimità di una piazzola sterrata, dove altre vetture erano posteggiate in maniera disordinata.

    Ivano accostò la Giulia a fianco di una Fiat 850 abarth rossa e scese per primo dall’abitacolo, respirando a pieni polmoni.

    Finalmente erano arrivati a destinazione.

    Alla meta della loro gita domenicale.

    Avevano impiegato circa un paio d’ore, da quando erano partiti dalla loro casa alla periferia di Reggio Emilia, ma sicuramente, pensò, ne era  valsa la pena.

    Qualche ora al fresco della montagna, lontano dalla cappa opprimente della città, avrebbe giovato a tutta la famiglia restituendole un po’ di benessere.

    Ivano mosse qualche passo verso il margine della piazzola, scrutando attraverso il fitto fogliame dei faggi, le limpide acque di colore verde-azzurro del lago Paduli.

    Infine si girò e con animo sereno si avvicinò nuovamente alla sua auto, pronto a reimmergersi nel normale ménage famigliare, che sempre riusciva a trasmettergli un clima di complicità e pienezza.

    Forza ragazzi... Disse quindi rivolto ai figli. Se ci sbrighiamo siamo ancora in tempo ad accaparrarci l’angolo più esclusivo per il nostro pic-nic.

    Posso portare il bastone per le vipere?

    Vipere? Con tutto il trambusto che ci sarà qua oggi, mi sa che se ne staranno ben lontane. L’importante però Matteo che non lo usi a importunare tua sorella, promesso?

    Promesso! Raccolsero dal baule le ultime cose, poi lentamente si diressero verso una mulattiera che scendeva dolce fino a lambire le sponde del lago.

    Giunti lì dinanzi, sistemarono una tovaglia a quadretti direttamente sul prato e si prodigarono ad imbastire il loro pic-nic.

    La mattina scorse via placida e il pranzo di mezzogiorno venne consumato come il migliore dei rituali.

    A fine pasto, mentre Ivano e sua moglie Lucia si concedevano un po’ di riposo all’ombra di un castagno, i due ragazzi presero a pianificare, ognuno a proprio modo, gli svaghi di quella giornata in montagna.

    Serena, i cui dodici anni cominciavano a premere con veemenza sul tasto dell’adolescenza, mal sopportava la compagnia asfissiante del fratello, ancora concentrato in giochi a suo vedere troppo infantili. Così decise di perdersi nel suo passatempo preferito: la musica.

    Calzò le cuffie auricolari e con gesti meccanici azionò il suo Walkman rosa confetto.

    Subito le note di ‘Siamo solo noi’ di Vasco Rossi la immerse in un limbo di sensazioni contrastanti.

    Sognò ad occhi aperti i contorni del viso di Gabriele, un ragazzo di un anno più grande, che, nonostante i suoi continui segnali, non se la filava per niente.

    Poi ripensò alla festa in un paese della collina reggiana di alcune sere prima, dove per poco non si era sfiorata una tragedia.

    Infatti lei, che assieme ad un paio di compagne di classe era stata invitata da alcuni amici in comune per un party all’interno di una villa, aveva assistito suo malgrado a una scena drammatica.

    Gli invitati, una trentina in tutto, si trovavano perlopiù attorno al perimetro di una splendida piscina, illuminata da diversi lampioni che diffondevano una suadente luce

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