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Raccogliendo Piume: Racconti dall'Aldilà
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Raccogliendo Piume: Racconti dall'Aldilà
E-book112 pagine1 ora

Raccogliendo Piume: Racconti dall'Aldilà

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Info su questo ebook

In Raccogliendo Piume, Daniela I. Norris mescola un’armoniosa narrazione di storie ed una scrupolosa consapevolezza  spirituale per portarci uno splendido ed inquietante insieme di racconti dall’aldilà. Una festa per cuore, mente ed anima, ogni storia ha una trama a strati che sboccia durante la lettura, ed ognuna starà con voi anche dopo che avrete girato pagina.

LinguaItaliano
Data di uscita18 nov 2016
ISBN9781507162743
Raccogliendo Piume: Racconti dall'Aldilà

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    Anteprima del libro

    Raccogliendo Piume - Daniela I. Norris

    Raccogliendo Piume:

    Racconti dall’Aldilà

    di

    Daniela I. Norris

    Una ragione per andare avanti

    ––––––––

    Abbiamo visto tempeste negli occhi degli altri pazienti. Ci fissavano con invidia mentre andavamo via quella grigia, miserabile mattina. Potevano vederci entrambi? Eravamo quelli che uscivano, mentre loro rimanevano indietro. O era il contrario? 

    "Au revoir, Olivier!" Disse il guardiano notturno, che stava bevendo il suo caffè nella guardiola delle infermiere. Il suo berretto scuro e di pelliccia sembrava un raro animale raggomitolato sulla sua testa, che mi guardava con i suoi piccoli occhi di bottone. Risposi allo sguardo. Il guardiano notturno mi guardò a sua volta e sorrise. Proprio non sapeva che l’animale peloso sulla sua testa aveva pensieri propri, e non erano pensieri felici.

    Fai attenzione, Olly, disse l’infermiera bionda che era appena arrivata per il turno del mattino.

    Avevo aspettato quel giorno per undici mesi, da quando ero stato ammesso al Saint Mande’s. Undici mesi di riflessioni, guardavo intorno a me e dentro me. Cos’ho trovato, cosa mi ha trovato? Le ombre scure che si nascondevano nella mia testa quando ero appena arrivato ora si nascondevano nel mio fegato, nei miei reni, nelle mie articolazioni e sotto la mia pelle. Si nascondevano dove gli altri non potevano vederle, ma io sapevo che c’erano. Si rifiutavano di lasciare il mio corpo; o forse ero io che mi rifiutavo di lasciarle andare.

    È stato un anno senza visitatori. Ho guardato la neve dell’inverno sciogliersi in fiumi di gocce di cioccolato bianco che mi seguivano ovunque. Stavo attento a non pestarle, per non interrompere il loro flusso. Poi gli alberi spogli hanno iniziato a sbocciare di splendore, scaldandosi con il freddo sole di aprile, con i suoi raggi pungenti come quelli di un cucciolo. Scaldava il retro del mio collo mentre stavo seduto sulla mia panchina preferita, ad aspettare ospiti che non arrivavano mai. Ho guardato gli altri passeggiare in giardino o bere un tè con biscotti con i propri visitatori al bar, che sembrava appartenere ad un’epoca diversa. Così facevano coloro che ci si sedevano, sorrisi gelidi sulle labbra, ragnatele tra i capelli.

    A dire la verità, non mi dispiaceva restare in disparte. Mi lasciavo andare alla calmante presenza che riempiva le grandi stanze, avvolgeva i muri bianchi e sfiorava gli alti soffitti con dei tocchi gentili. Potevo sentire il primo vento estivo fischiare le sue melodie malinconiche, accompagnate dal suono di un pianoforte in lontananza. Fischiavano a me, per me. Nessun altro sembrava sentirle. Whoosh, whoosh, avrebbero detto, ed io avrei risposto fischiando, ignorando le proteste sonore degli storni che avrebbero provato a distrarmi. 

    Avevo ovviamente le allucinazioni; erano le medicine che mi obbligavano a prendere. Avevano detto che mi avrebbero calmato, rilassato i nervi, alleviato le tensioni.

    Potevano avermi rilassato i nervi, ma avevano fatto qualcosa alla mia mente. Mi facevano vedere disegni su quei muri bianchi, si creavano forme, che cambiavano sempre, insinuandosi dentro e fuori, come la donna in La Carta da Parati Gialla di Charlotte Perkins Gilman. La mia, come la sua, era una temporanea depressione nervosa. Come lei, mi avevano prescritto ricostituenti, e camminate, ed aria, ed esercizio. E mi era stato vietato di lavorare finché non fossi tornato in salute. 

    Solo ora, che sono stato dichiarato in salute e mentalmente sano, perlomeno abbastanza sano per attraversare la strada, ho iniziato a preoccuparmi per il futuro. Farò nuovamente parte di una comunità. Si preoccuperanno per me? Mi sono preoccupato per loro quando ero un potente banchiere, mentre bevevo il mio caffè macchiato in una tazza di carta, superando le persone sedute sul marciapiede a cui sembrava che il mondo fosse crollato addosso? Avevo dato loro qualche spicciolo ogni tanto, con la sensazione di aver fatto la mia buona azione del giorno. Ma per la maggior parte del tempo passavo loro davanti senza dare loro un secondo pensiero, e se stavano pensando al perché fossero seduti lì, ho sempre immaginato che qualcosa non andasse in loro. Forse avevano perso la testa.

    Ho scoperto che la follia temporanea era invece una buona corazza contro difficoltà e responsabilità della vita – non che io fossi un uomo che evitava le responsabilità. Dopotutto, ho percorso la strada giusta per il successo, la stessa identica strada che i miei genitori avevano abilmente preparato per me: una grande école, un lavoro ben pagato, un matrimonio con una bellissima donna dalla pelle perfetta. E poi tutto è crollato quando se n’è andata. O forse sono state le settimane da sessanta ore lavorative che ho passato nel mio ufficio d’angolo a Place de Marché St. Honoré, perché nella mia vita precedente ero un banchiere presuntuoso di terza generazione, che indossava completi a righe e beveva champagne ghiacciato per firmare accordi multi milionari.

    Forse la colpa è della solitudine. Non avevo veri amici prima, e certamente nessun vero amico dopo. Ovviamente c’erano i miei colleghi che erano sempre contenti di uscire a bere dopo il lavoro. Posso ricordare notti in cui bevevamo fino alla perdita dei sensi e ci strisciavamo a casa nelle prime ore del mattino successivo. La trovavo in lacrime a letto, e poi il letto fu vuoto. Ho scoperto successivamente come un branco di dirigenti in salute, presuntuosi e vestiti a righe potessero diventare un mucchio di anime infelici. Coloro che non avevano nessuno da cui tornare, come me, stavano in giro di notte, o trovavano una partner occasionale. Non volevamo tornare in quattro muri vuoti. Quei muri erano sempre in qualche elegante parte della città, ma ciò non li faceva sembrare meno desolati.

    Quelli non erano amici. Bevevano la mia opportunità di essere felice con ghiaccio, con un ombrellino colorato. Mi presero per compassione quando diventai uno di loro, e poi mi girarono le spalle in cerca della loro felicità. Questo era prima: dopo fu anche peggio.

    Dopo il mio tentativo di suicidio c’erano solo sussurri intorno a me, nessuno abbastanza coraggioso da dirmi che stavo buttando la mia vita nella spazzatura.

    Sembravano aver dimenticato tutti la mia esistenza, ed il mio ufficio d’angolo venne dato ad un altro fenomeno che probabilmente sarebbe affondato in un percorso simile al mio.

    Non ricordo quando ho avuto un vero amico, se mai ne ho avuto uno. Ma poi mi sono accorto di lui, che mi guardava da dietro un albero in giardino, ed ho sentito che era diverso. Mi ha fatto sorridere ed ha portato interesse alla mia anima nel momento in cui niente sembrava fare differenza.

    Mi faceva sentire meno isolato; mi incoraggiava con un lieve sorriso o muovendo una mano. A volte sapevo che era vicino a me prima di girarmi e vederlo. Divenne parte della mia vita, così come la dozzina di piccole pillole rotonde che prendevo ogni mattina, il caffè annacquato e la mensa e le sessioni quotidiane di terapia con il dottor Gerard, lo psichiatra interno.

    Questo compagno, questo improbabile amico, era un giovane uomo con la mia stessa età; mi seguiva silenziosamente ovunque andassi. Non ha mai detto una parola; io non gli ho mai detto una parola. Era così tranquillo, discreto, nessun altro lo notava.

    Gironzolava spesso in giardino; lo potevo vedere attraverso le sbarre della mia finestra quando osservavo il prato meticoloso. Il giardino di Gilman era ‘delizioso, pieno di vialetti delimitati da vasi, e percorso da lunghi tralci di viti con sedie al di sotto’. Il mio era scrupoloso. Solo la vista di questo prato perfetto avrebbe potuto fare impazzire qualcuno, ma non importava a nessuno. Ai loro occhi, eravamo comunque tutti pazzi. Non importava loro quando camminavo lungo i vialetti diritti, di ghiaia, un piede dopo l’altro, con le

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