Discorsi sull’Europa. Dal manifesto di Ventotene al Trattato di Lisbona e alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo
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Anteprima del libro
Discorsi sull’Europa. Dal manifesto di Ventotene al Trattato di Lisbona e alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo - Ubaldo Villani-Lubelli
© goWare con FIRSTonline
Aprile 2014, prima edizione digitale
ISBN 978-88-6797-174-9
Redazione: Giacomo Fontani
Copertina: Lorenzo Puliti
Sviluppo ePub: Elisa Baglioni
goWare è una startup fiorentina specializzata in digital publishing
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Presentazione
L’Europa è in grave pericolo: la crisi economica da un lato e i movimenti contro l’euro dall’altro hanno stretto in una morsa soffocante il più grande esperimento sociale e politico dell’ultimo secolo. Può l’Europa salvarsi? Sì, se ritorna a Ventotene, cioè agli ideali e alle motivazioni delle origini.
È quello che cerca di affermare questa raccolta di discorsi sull’Europa che inizia proprio con il Manifesto di Ventotene
per arrivare fino al discorso di Matteo Renzi al congresso dei socialisti europei. Sono presentati anche testi inediti per il pubblico italiano, come la lettera di Helmut Schmidt a Hans Tietmeyer dal significativo titolo La Bundesbank: nessuno Stato nello Stato
e il discorso del 29 agosto 2012 di Mario Draghi, presidente della BCE: Siamo pronti a fare tutto il necessario per salvare l’euro
. Veri e propri milestone nella costruzione dell’Europa, contrappuntati da interventi di grandi sostenitori della causa europea come Giorgio Napolitano, Martin Schulz e François Hollande. Il lettore trova anche il testo integrale del Trattato di Lisbona e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
L’introduzione di Pier Virgilio Dastoli, presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo chiarisce bene gli intenti di questa pubblicazione. Un ebook imperdibile per chi ha a cuore la causa europea e per chi, ahimè, la combatte.
Gli autori
Ubaldo Villani-Lubelli, classe 1978, è ricercatore, giornalista free-lance e blogger esperto di politica e cultura tedesche. Laureato in Filosofia, ha conseguito un dottorato di ricerca in Filosofia tedesca tardomedievale. Ha lavorato e insegnato all’Università di Colonia e ha numerose esperienze di studio all’estero (USA, Francia e Germania). Scrive per diverse testate cartacee e online tra cui Longitude
, Limesonline
, SuccedeOggi
e Il Borghese
. Cura il blog Potsdamer Platz
.
Oltre a numerose pubblicazioni scientifiche in italiano, inglese e tedesco ha già pubblicato per goWare Enigma #merkel e Piratenpartei. Attualmente è assegnista di ricerca in Storia delle istituzioni politiche e parlamentari alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università del Salento, consigliere di amministrazione dell’Istituto di culture mediterranee della Provincia di Lecce e componente del gruppo (Ri)Generazione Politica.
Pier Virgilio Dastoli, già assistente di Altiero Spinelli, presiede il Consiglio italiano del movimento europeo. Ha ricoperto vari ruoli nelle istituzioni europee tra cui dal 2003 al 2009 quello di direttore della rappresentanza in Italia della Commissione europea. È stato presente nelle organizzazioni europeiste e federaliste dove è stato segretario generale del Movimento Europeo Internazionale dal 1995 al 2002. Ha scritto numerosi saggi e articoli sull’Europa.
Introduzione
Pier Virgilio Dastoli
Nell’anno dedicato alle ottave elezioni europee, a partire dalle prime nel giugno 1979, e alla dodicesima presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea, dall’entrata in vigore dei trattati di Roma il 1° gennaio 1958, è prezioso questo dossier dedicato all’Europa delle idee e alle idee d’Europa: quelle maturate negli anni bui del fascismo e del nazismo grazie a chi vedeva la luce che si sarebbe infine fatta strada con la vittoria della pace e della democrazia, e quelle successivamente consacrate ai modelli d’integrazione europea, concepiti e consolidati in decenni della nostra storia continentale.
Il cemento, che rende irreversibile il processo di unificazione del continente e che lo consolida in un’unica costruzione con fondamenta ideali e strutture architettoniche in una continua opera di aggiornamento, è dato dal contributo di donne e uomini, di movimenti e di istituzioni che hanno dedicato il loro ingegno e la loro capacità di azione per la realizzazione del sogno di una sovranità condivisa e della rinuncia al principio di Filippo il Bello: Rex est imperator in regno suo
.
Fra gli architetti della costruzione europea, un posto preminente spetta ad Altiero Spinelli, uomo di una sola causa
ha scritto di lui Giorgio Napolitano, e al Manifesto di Ventotene da lui concepito negli anni del confino fascista insieme al radical-liberale Ernesto Rossi e al socialista ebreo Eugenio Colorni. Di quel manifesto – ciclostilato a Roma e diffuso clandestinamente prima in Italia e poi in Svizzera e Francia, dove raggiunse Albert Camus e i militanti della rivista Combat – lo stesso Spinelli ammise più tardi l’errore di valutazione sull’incapacità degli Stati nazionali di risorgere con spirito conservatore dalle macerie della guerra. Il pensiero e l’azione, in un connubio straordinario, intorno a cui Spinelli aveva a lungo meditato in carcere hanno consentito tuttavia al Manifesto di mantenere intatta nei decenni la sua capacità di ispirazione nutrita da tre principi essenziali: la lotta per l’unificazione del continente quale compito per le generazioni uscite dalla guerra, e non per un’imprecisata generazione futura; il ruolo strategico di movimenti di opinione che oggi si definirebbero della società civile e che si sono consolidati intorno all’Unione europea dei Federalisti e al Movimento europeo; la divisione dei partiti fra innovatori e immobilisti, sapendo che le tre culture politiche europee (i cristiani universalisti, i liberali cosmopoliti e i socialisti internazionalisti) erano nate transnazionali nel XIX secolo e si erano solo successivamente chiuse ciascuna all’interno degli Stati nei partiti nazionali.
Dal pensiero essenziale
di Altiero Spinelli – qualifica, ancora una volta, di Giorgio Napolitano – nascono la battaglia per l’unione politica, irrinunciabile condizione della Comunità europea di difesa, la mobilitazione dei cittadini nel Congresso del popolo europeo, i laboratori intellettuali de Il Mulino e dello IAI animati soprattutto da giovani ricercatori, l’uso sapiente e innovativo della Commissione europea per concepire politiche a garanzia di beni comuni, la costituzione europea
del 1984 innestata in modo incompleto nelle cinque revisioni dei trattati di Roma: Atto unico, Maastricht, Amsterdam, Nizza e Lisbona.
Insieme a Spinelli vale la pena di ricordare l’ispiratore
Jean Monnet, che già ad Algeri nel 1943 aveva messo i primi mattoni della futura costruzione comunitaria.
Spinelli e Monnet sono stati gli animatori delle due principali scuole di pensiero che costituiscono le fondamenta della casa comune europea (il modello federalista e il modello funzionalista) riassumendo nelle loro opere e nelle loro azioni le idee che hanno permesso al nostro continente di dare spazio a un sistema di relazioni fra gli Stati che innova, rispetto a quello della divisione in artificiali nazioni instaurato con la pace di Westfalia del 1648 e che si è imposto per trecento anni.
Vale la pena di ricordare che Spinelli era stato un attento osservatore del fenomeno delle nazioni e della loro influenza sulla dimensione identitaria dei cittadini, sulla nascita di spazi all’interno dei quali c’è stato un tempo in cui si sono sviluppati i diritti e la democrazia, essendo tuttavia cosciente che dalle nazioni sono nati i nazionalismi che hanno provocato le tragedie del secolo scorso.
Gli Stati Uniti d’America sono nati da colonie britanniche senza identità nazionali e si sono fondati progressivamente su una comune coscienza sintetizzata nel motto costituzionale We, the People
e sulla componente sociologica del melting pot.
I futuri Stati Uniti d’Europa non elimineranno le identità nazionali ma saranno lo strumento costituzionale, la più grande concezione architettonica concepita dagli uomini nel XX secolo per superare nella dimensione federale il principio della sovranità assoluta e per superare nell’idea dell’Europa unita l’esclusività del principio nazionale.
Sappiamo che, oltre a Spinelli e Monnet, l’Europa delle idee e le idee d’Europa si sono giovate dell’apporto dei padri fondatori uniti in un virtuale pantheon pluralista dove – insieme all’ex comunista Spinelli e al laico Monnet – troviamo i cattolici Schuman, Adenauer e De Gasperi con il socialista Spaak e il liberale Gaetano Martino. Non dobbiamo tuttavia dimenticare il ruolo delle donne, a cominciare proprio da Ursula Hirschmann – prima Colorni e poi Spinelli – e il suo movimento Femmes pour l’Europe, idealmente unita a Sophie Schoell e il gruppo della Rosa Bianca, Hannah Arendt, Simone Weil e Maria Zambrano nella difesa dei valori fondanti della costruzione europea.
Come sappiamo, il principio della parità fra uomo e donne è ora consacrato nell’articolo 2 del Trattato di Lisbona fra i valori caratterizzanti delle società europee.
Il quadro dell’Europa delle idee e delle idee d’Europa è poi arricchito dalla dialettica ancora attuale fra libertà creativa e valori religiosi, dalla concezione dei diritti nello stesso tempo universali, inviolabili e interdipendenti e dalla dimensione della solidarietà che si è tradotta in un modello sociale unico al mondo.
All’interno di questo quadro, si colloca il ruolo dell’Italia nell’ambito di una visione europea che si è progressivamente appannata a causa della crisi e delle scelte sbagliate dei governi nazionali, concentrate su politiche di rigore unilaterali e prive del necessario gradualismo.
Alla vigilia delle elezioni europee e del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione, appare necessario e urgente un aggiornamento dei motivi della scelta europea del nostro Paese, un’analisi degli obiettivi che abbiamo raggiunto e di quelli che abbiamo mancato, una maggiore consapevolezza del nostro contributo all’Europa delle idee e alle idee d’Europa e della nostra influenza sul processo di integrazione comunitaria.
Il dossier ci offre opportunamente una bussola, in particolare attraverso gli interventi del presidente Napolitano, forse il più spinelliano dei politici italiani.
Nel ricostruire lo Stato unitario travolto da vent’anni di fascismo e dalla tragica guerra condotta a fianco di Hitler, la società politica italiana aveva percepito immediatamente il mutamento avvenuto nelle relazioni internazionali, dove la questione centrale non era solo la scelta fra indipendenza nazionale e interdipendenza internazionale ma soprattutto la coincidenza fra dimensione politica statuale e dimensioni politiche internazionali, con la scelta atlantica ed europea imposta dal mutamento nelle relazioni internazionali.
L’Europa, o meglio i vincoli esterni derivanti dalla dimensione europea sono stati considerati a lungo come la premessa indispensabile per il consolidamento dello Stato travolto dal fascismo e dalla guerra e come la bussola (oggi si direbbe il navigatore
) necessaria per pilotare anche l’Italia sul cammino delle riforme.
Pur nelle mutate condizioni internazionali ed europee, il cammino scelto dall’Italia nell’immediato dopoguerra resta ancora valido e attuale nella prospettiva ineludibile di riprendere la via indicata dai padri fondatori.
Pier Virgilio Dastoli
Benvenuto al lettore
Ubaldo Villani-Lubelli
L’idea di Europa va rilanciata. È necessario uno slancio ideale che non guardi esclusivamente al presente. L’idea di Europa va rilanciata guardando al futuro, provando ad immaginare come sarà la società nei prossimi decenni, ma essendo anche ben consapevoli di ciò che il progetto europeo ha rappresentato negli ultimi decenni. L’Unione Europea, pur con tutte le sue contraddizioni è una serie di principi che hanno permesso la realizzazione della democrazia e dello stato liberale. Europa vuol dire libertà, democrazia, stato di diritto e legalità. Eppure questi valori sono oggi dati per scontati. Se è vero che dalla fine della seconda guerra mondiale l’Europa non ha mai vissuto un periodo di pace così lungo, è altresì vero che oggi molti cittadini europei non percepiscono più l’utilità e il vantaggio dell’unità europea. Prevale il malessere nei confronti dell’Euro. Proprio la moneta unica, da elemento di unione è diventato fattore di divisione. La crisi degli ultimi anni non ha fatto altro che evidenziare le indubbie differenze sociali, culturali, politiche ed economiche degli Stati membri trasformando l’Europa in un campo di battaglia con presunti virtuosi del nord e presunti peccatori del sud, formiche del nord e cicale del sud. Secondo le tradizionali dinamiche delle guerre, i popoli, anche nell’Europa di oggi, si stanno dividendo sulla base di forme più o meno mascherate di nazionalismo.
Il processo di unificazione monetaria è stato certamente imposto dall’alto e concluso senza un reale e diffuso consenso popolare, tanto che l’Unione Europea è vista come un enorme colosso burocratico distante dai cittadini. L’Euro è così diventato facile bersaglio e causa di tutti i mali. Ma in un contesto apparentemente desolante, nuova energia vitale è arrivata dall’Ucraina con le recenti manifestazioni popolari a favore di un avvicinamento dell’Ucraina all’Unione Europea. A pochi mesi dalle elezioni europee l’esempio offerto dai cittadini ucraini è la dimostrazione che l’Europa ha ancora una straordinaria forza di attrazione.
I discorsi qui pubblicati rappresentano un interessante spaccato della lunga discussione intorno all’Euro e all’Europa. L’intento è di sensibilizzare rispetto ad un progetto che ha bisogno dell’ultimo e decisivo sforzo collettivo per essere completato perché l’Europa non è la causa, ma la soluzione dei nostri problemi. A lungo abbiamo pensato che una volta introdotta la moneta unica il lavoro fosse finito e che tutto, quasi come per magia, sarebbe andato per il meglio. Non è naturalmente così. Vi diamo il benvenuto con le parole di Martin Schulz, Presidente del Parlamento Europeo.
L’Unione europea è un progetto a lunga scadenza, che ha sempre generato dividendi a lunga scadenza – e quindi merita una prospettiva a lunga scadenza, proiettata oltre la politica spicciola, oltre i risultati dei sondaggi, oltre le consultazioni elettorali. Tutte le conquiste dell’Unione europea sono state a lunga scadenza: la Comunità del carbone e dell’acciaio, la Comunità economica europea, l’adesione delle giovani democrazie, l’euro, l’allargamento a Est. Senza dubbio ci troviamo nella peggiore crisi dalla fondazione in poi. Ma un aspetto della crisi è dato anche dal fatto che per noi molte di queste conquiste sono diventate ovvie: poter viaggiare, lavorare e vivere liberamente nel continente più ricco del mondo, con un tenore di vita e la protezione dei diritti fondamentali che in altre parti del mondo possono essere soltanto sognati.
L’Europa è antica e futuro a un tempo. Ha ricevuto il suo nome venticinque secoli fa, eppure si trova ancora allo stato di progetto. Saprà, la vecchia Europa, rispondere alle sfide del mondo moderno? La sua età sarà fonte di solidità o causa di debolezza? Le sue eredità la renderanno capace o incapace di affermarsi nella modernità?
Jacques Le Goff, L’Europa medievale e il mondo moderno, Laterza 2004
Per un’Europa libera e unita
Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni
Manifesto europeista redatto durante il confino di Ventotene
(Testo del 22 gennaio 1944)
Altiero Spinelli
Prefazione
I presenti scritti sono stati concepiti e redatti nell’isola di Ventotene, negli anni 1941 e 1942. In quell’ambiente d’eccezione, fra le maglie di una rigidissima disciplina, attraverso un’informazione che con mille accorgimenti si cercava di rendere il più possibile completa, nella tristezza dell’inerzia forzata e nell’ansia della prossima liberazione, andava maturando in alcune menti un processo di ripensamento di tutti i problemi che avevano costituito il motivo stesso dell’azione compiuta e dell’atteggiamento preso nella lotta.
La lontananza dalla vita politica concreta permetteva uno sguardo più distaccato, e consigliava di rivedere le posizioni tradizionali, ricercando i motivi degli insuccessi passati non tanto in errori tecnici di tattica parlamentare o rivoluzionaria, o in una generica immaturità
della situazione, quanto in insufficienze dell’impostazione generale, e nell’aver impegnato la lotta lungo le consuete linee di frattura, con troppo scarsa attenzione al nuovo che veniva modificando la realtà.
Preparandosi a combattere con efficienza la grande battaglia che si profilava per il prossimo avvenire, si sentiva il bisogno non semplicemente di correggere gli errori del passato, ma di rienunciare i termini dei problemi politici con mente sgombra da preconcetti dottrinari o da miti di partito.
Fu così che si fece strada, nella mente di alcuni, l’idea centrale che la contraddizione essenziale, responsabile delle crisi, delle guerre, delle miserie e degli sfruttamenti che travagliano la nostra società, è l’esistenza di Stati sovrani, geograficamente, economicamente, militarmente individuati, consideranti gli altri Stati come concorrenti e potenziali nemici, viventi gli uni rispetto agli altri in una situazione di perpetuo bellum omnium contra omnes.
I motivi per cui questa idea, di per sé non nuova, assumeva un aspetto di novità nelle condizioni e nell’occasione in cui veniva pensata, sono vari.
1) Anzitutto, la soluzione internazionalista, che figura nel programma di tutti i partiti politici progressisti, viene da essi considerata, in un certo senso, come una conseguenza necessaria e quasi automatica del raggiungimento dei fini che ciascuno di essi si propone. I democratici ritengono che l’instaurazione, nell’ambito di ciascun Paese, del regime da essi propugnato, condurrebbe sicuramente alla formazione di quella coscienza unitaria che, superando le frontiere nel campo culturale e morale, costituirebbe la premessa che essi ritengono indispensabile a una libera unione di popoli anche nel campo politico ed economico. E i socialisti, dal canto loro, pensano che l’instaurazione di regimi di dittatura del proletariato nei vari Stati, condurrebbe di per sé a uno Stato internazionale collettivista.
Ora, un’analisi del concetto moderno di Stato e dell’insieme di interessi e di sentimenti che a esso sono legati, mostra chiaramente che, benché le analogie di regime interno possano facilitare i rapporti di amicizia e di collaborazione fra Stato e Stato, non è affatto detto che portino automaticamente e neppure progressivamente alla unificazione, finché esistano interessi e sentimenti collettivi legati al mantenimento di un’unità chiusa all’interno delle frontiere. Sappiamo per esperienza che sentimenti sciovinistici e interessi protezionistici possono facilmente condurre all’urto