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Magia tra i ghiacci: Harmony Bianca
Magia tra i ghiacci: Harmony Bianca
Magia tra i ghiacci: Harmony Bianca
E-book184 pagine2 ore

Magia tra i ghiacci: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Dottori sotto le stelle 2/2
Due dottori in cerca del'avventura - e dell'amore - sotto il cielo luminoso dell'Antartide.

Per la dottoressa Lia Monterrosa, arrivata al centro ricerche in Antartide per entrare a far parte dello staff medico, trovarsi davanti il suo ex fidanzato è un vero shock! Lavorando insieme in uno spazio così ristretto è quasi impossibile per lei ignorare la sensualità e il carisma di Weston MacIntyre, così come continuare a relegare in un angolo della mente il fatto che lui l'abbia lasciata praticamente all'altare. Tuttavia Lia sa che deve fare tutto il possibile per proteggere il proprio cuore, soprattutto perché l'attrazione tra loro è ancora potente come la luce delle stelle più luminose del Polo.
LinguaItaliano
Data di uscita21 dic 2020
ISBN9788830522763
Magia tra i ghiacci: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Magia tra i ghiacci - Amalie Berlin

    successivo.

    1

    La dottoressa Lia Monterrosa non pensava di aver ereditato granché dello spirito avventuroso e marinaro dei suoi antenati portoghesi. Eppure se la cavava abbastanza bene.

    Nessuno dei suoi compagni di viaggio sembrava più scattante e brioso di lei dopo quella lunga e sfiancante traversata. Tutti erano saliti a bordo della nave con solo qualche bagaglio, e adesso, stanchi e sfiniti, stavano percorrendo i corridoi immacolati della nuovissima stazione antartica dove avrebbero vissuto per i prossimi mesi invernali.

    Aveva sentito dire che i motivi che spingevano le persone a recarsi in quel posto erano dei più diversi. C'era chi cercava un'esperienza unica nella vita e chi riteneva che recludersi per otto mesi con cinquanta estranei attorno fosse l'unico modo per svolgere al meglio il proprio lavoro. In fondo anche a suo avviso quello era un lato positivo del viaggio: essere circondata da sconosciuti la faceva star bene. Nessuno si sarebbe fatto delle aspettative su di lei, e lei non avrebbe dovuto mostrarsi la persona più forte del pianeta e nemmeno la più docile ed educata.

    Del resto era venuta per cercare il suo ex fidanzato.

    Voleva sapere da lui per quale motivo l'aveva lasciata. Che cosa era successo nei quattro giorni che era stata via per tornare a casa sua in Portogallo. Che cosa lo aveva spinto a decidere che non l'amava più e che non voleva più sposarla. E perché era sparito improvvisamente mentre lei denunciava la scomparsa di suo padre alla Polícia Judiciária.

    Non un messaggio. Non un post-it con due parole di addio appeso allo specchio del bagno. Aveva semplicemente smesso di rispondere alle sue telefonate, e tre giorni prima delle nozze, quando lei era riuscita a far ritorno a Londra, aveva lasciato l'appartamento e il lavoro e disdetto il contratto telefonico. L'aveva scaricata di punto in bianco, lasciandole come ricordo il magnifico anello che avevano disegnato insieme. Oltre a una voragine nel cuore.

    Ma finalmente quel giorno lo avrebbe rivisto e avrebbe scritto la parola fine a mesi e mesi di tortura. Se il destino fosse stato dalla sua parte, forse avrebbe avuto delle risposte. Non sarebbe stata più costretta a dirsi un sacco di psicoballe per consolarsi.

    In quel preciso istante sentì lo stomaco contrarsi dal nervosismo. Era una sensazione a cui avrebbe dovuto essere immune ormai, e che invece riusciva ancora a strapparle il controllo degli arti inferiori. I piedi appesantiti dagli scarponi le strisciarono sul pavimento, ma non cadde... Mantenere l'equilibrio era un po' più facile che contenere il tremore delle mani in sala operatoria. In quest'ultimo caso anche un lieve movimento sbagliato poteva segnare la fine di una vita.

    «Dottoressa Monterrosa, è nel Pod C» le disse la guida, scuotendola dai suoi pensieri. Poi l'uomo le indicò il corridoio davanti a loro.

    «Siamo alla fine dell'estate, perciò siete stati sistemati dove c'era posto» aggiunse un attimo dopo.

    Lei era l'unica ad avere la camera nel Pod C che, nel giro di una settimana, quando sarebbero partiti tutti – compresi Jordan e Zeke – sarebbe diventato una sorta di città deserta. A quel punto avrebbe potuto scegliere la stanza che preferiva. Ma a quel punto anche West sarebbe partito...

    Lia fece per chiedere quale fosse la camera che le avevano assegnato, ma, stanca com'era, non riuscì che a biascicare qualche parola confusa, così la guida gliela indicò.

    «Ultima porta a sinistra, in fondo al corridoio.»

    Con un gemito sommesso, Lia riprese in mano le sue borse e varcò la soglia. La luce nel corridoio in cui si ritrovò era più soffusa, probabilmente perché il luogo era progettato per dormire anche nei giorni estivi in cui era chiaro ventiquattr'ore al giorno. Ebbe tre secondi per guardarsi intorno prima che la porta si richiudesse e la luce proveniente dal corridoio si dissolvesse. Tutto quello che vedeva era beige. Le pareti, la moquette, il mobilio. Solo le porte erano bianche. Attese un istante che la vista si abituasse per muoversi senza rischiare di sbattere contro alle pareti o a qualcuno in corridoio. Il dottor Weston MacIntyre non avrebbe mai immaginato che cosa stava per abbattersi su di lui. Lei era in vantaggio e avrebbe sfruttato quell'opportunità. Probabilmente lui si aspettava di vederla arrivare con il lanciafiamme, e in effetti una reazione simile avrebbe avuto il suo fascino: l'avrebbe aiutata a riempire la voragine che aveva in fondo al cuore e tutte le emozioni più ruvide che vi si erano riversate dentro.

    Anche Jordan sapeva che stava arrivando. Era stata la sua migliore amica – nonché vecchia compagna d'università e testimone di nozze mancata – a chiamarla il giorno in cui aveva visto West alla Stazione Fletcher. Ed era stata sempre lei a cui si era rivolta Lia per fermare la macchina dell'organizzazione del matrimonio quando ormai non c'era più speranza.

    Aveva avuto diversi mesi per prepararsi a quell'incontro, per imprimersi ogni parola e ogni mossa nella testa, per comporre le migliori battute taglienti e fare l'elenco delle emozioni che era riuscita a non sentire durante la sua mancanza. Ma adesso che il momento era arrivato, l'idea di dirgli tutte quelle cose le gelava il sangue. O era colpa dei dieci gradi sotto lo zero che l'avevano accolta allo sbarco?

    In fin dei conti, aveva attraversato mezzo mondo per venirlo a cercare. Non poteva in tutta sincerità sostenere di non averne sentito la mancanza. Di non essersi preoccupata. Ma era meglio fingere. Le bugie erano sempre di grande conforto.

    Svoltò l'angolo nel corridoio e continuò a camminare. A metà strada, quando ormai la vista aveva ripreso a funzionare, individuò una figura alta, robusta, con un berretto di maglia nero e una folta barba altrettanto scura. Era davanti alle ultime due porte, le chiavi in mano, e guardava nella sua direzione.

    Lia percorse ancora un paio di metri e di nuovo avvertì un groppo allo stomaco. Questa volta, quando sentì di non avere più il controllo degli arti, l'unica cosa che la salvò dall'umiliazione fu la lieve stabilità offerta dalla valigia che aveva accanto.

    West.

    Il suo fidanzato.

    No, il suo ex fidanzato.

    L'uomo sempre immacolato e tirato a lucido, adesso appariva molto più trasandato.

    Il tempo parve rallentare di colpo, e la distanza che le restava da percorrere in quel corridoio le sembrò molto più lunga dei mille chilometri che aveva fatto per arrivare fino a lì.

    Invece di decidere come affrontarlo, ripensò a tutte le volte in cui gli era andata incontro.

    Si erano conosciuti all'ospedale di Londra quando lui, neurochirurgo appena arrivato, aveva chiesto di poter avere un assistente. Quelli dell'amministrazione gli avevano detto di scegliere tra gli specializzandi. E così West aveva scelto lei. Si ricordò dello sguardo vivace che le aveva rivolto quando l'aveva vista avvicinarsi dopo essere stata chiamata col cercapersone. Come diavolo aveva fatto a mostrarsi indifferente al suo fascino per tre giorni di fila prima di chiedergli di uscire.

    Semplice. La Lia di Londra faceva quelle cose. La Lia di Londra non aveva paura. Almeno apparentemente. Perché tutti si aspettavano che fosse così.

    Sollevò lo sguardo e lo fissò negli occhi, cercando di ignorare la vagonata di ricordi che la stava investendo. Quante chiese avevano visitato prima di trovare quella giusta per le loro nozze? Tante, forse troppe.

    Il tempo accelerò velocemente. Sentì il cuore stringersi in una morsa di ghiaccio, poi iniziare a ballare una chula intorno allo sterno, così veloce che avrebbe dovuto silenziare il segnale acustico del suo orologio da fitness se la batteria non si fosse già scaricata durante la navigazione. E anche lo stomaco, che per tutta la durata del viaggio non aveva fatto altro che sobbalzare e precipitare in caduta libera, adesso era gelido e cavo. Ebbe un conato di vomito.

    Lui non parlò e non distolse lo sguardo. C'era un'intensità particolare nei suoi occhi, ma non era amore. Forse un luccichio, se non fosse stato per quel pallore mortale che notò avvicinandosi.

    Non era pronta.

    Ma non poteva tacere.

    Era arrivata fin lì per dirgli delle cose. Per sapere delle cose. Per togliersi il peso dell'anello che portava all'anulare sinistro, simbolo del tradimento e della perdita.

    Un improvviso senso di sollievo le immobilizzò la lingua. Ma in quel sollievo c'era anche rimpianto, tradimento.

    Se fosse riuscita a dormire durante il viaggio, adesso sarebbe stata in grado di pensare, di distogliere lo sguardo dai suoi occhi. Non avrebbe di certo sentito il rimbombo che le pulsava nelle orecchie e che le fece temere per un istante di essere sul punto di impazzire. Nello spazio morto dentro il petto avrebbe sentito qualcos'altro, oltre il proprio respiro, rumoroso e pesante.

    La Lia che lui conosceva avrebbe parlato. Forse lo avrebbe preso a schiaffi. Avrebbe preteso delle risposte. Qualcosa.

    Ma non era più così.

    Mentre i secondi passavano, lo stupore di lui si trasformò in qualcosa di più duro, e lei abbandonò quella ricerca affannosa di parole per aspettare che lui dicesse qualcosa. Voleva vedere la collera lampeggiargli negli occhi e l'amarezza trasformare quella bocca che aveva adorato baciare in uno squarcio tra i peli del viso.

    Ma neanche West parlò. Nessuno dei due lo fece. E a quel punto capì di non aver più alcun significato per lui. Era come un'estranea.

    Aprì la bocca, ma prima che potesse pronunciare un suono, lui avanzò nella sua direzione, il portamento eretto, lo sguardo deciso.

    Le passò accanto come se non ci fosse, e in silenzio percorse il corridoio. Era arrabbiato. Molto arrabbiato.

    Era arrivata dall'altro capo del mondo per lui, ma in quel momento era come se tutte le energie l'avessero abbandonata. Chiuse gli occhi e inspirò lentamente.

    Nei ricordi che aveva di West, lei gli andava sempre incontro: nei corridoi, lungo le navate delle chiese, sulla scala dell'ospedale. Non era abituata a vederlo andare via così. Quella era l'unica delicatezza che le aveva concesso... Non lo aveva visto arrivare... Non lo vedeva andare via.

    Dio, quanto era stata stupida.

    Avrebbe potuto scegliere un'altra delle numerose stazioni in Antartide dove nessuno la conosceva. Sarebbe potuta stare tranquilla, senza pressioni, e prepararsi alla nuova vita che la stava aspettando.

    E invece era venuta lì.

    Chinò il capo, strinse forte gli occhi e cominciò a vedere dietro le palpebre girandole di colori e ombre di luce che le impedivano di rivivere cose che evidentemente ormai non avrebbe mai più vissuto con lui.

    Non doveva sorprendersi. Era chiaro che West non aveva voglia di parlarle. Lei era la personificazione del passato e lui aveva sempre detestato parlare del passato. Solo il futuro gli interessava. E Lia non ne faceva più parte. Era solo una piccola finestra di tempo ciò che avevano da passare insieme, ed erano i prossimi dieci giorni.

    Probabilmente in quel breve periodo lui le avrebbe parlato, si disse. Del resto avrebbero dovuto lavorare fianco a fianco. E allora cercò di immaginare che cosa avrebbe detto lei, che cosa desiderava veramente che lui sapesse, non solo ciò che il suo cuore ferito voleva gridargli in faccia.

    Prima però doveva dormire un po'. Poi avrebbe trovato le parole.

    Quello era l'aspetto più positivo di essere tornata la Lia di sempre. A casa, in Portogallo, era stata Ophelia, e le ci era voluto del tempo per abituarsi al cambiamento. Ma si sarebbe ricordata velocemente come essere la vecchia Lia, quella che aveva sempre delle opinioni su tutto e sapeva condividerle con chiunque. Forse, rimanere lì in Antartico per otto mesi, senza avere addosso gli sguardi giudicanti delle altre persone, le avrebbe permesso di capire chi fosse veramente.

    Sì, dormire l'avrebbe aiutata. Anche la vicinanza della sua migliore amica le avrebbe dato una mano a ritrovare la Lia londinese, la versione di se stessa che preferiva alla triste e giudiziosa bambina che era stata.

    «Lia?»

    Non aveva sentito nessuno avvicinarsi, ma udire il proprio nome pronunciato dalle labbra della sua migliore amica la costrinse a riaprire gli occhi. Di nuovo vide un lampo di collera nello sguardo di qualcuno a cui voleva bene, ma questa volta non era rivolto a lei.

    «Cosa ti ha detto?» chiese Jordan, abbracciandola con energia e costringendola a dimenticare per un istante tutto ciò che le aveva impedito di parlare.

    «Niente» mormorò, reagendo con scarso entusiasmo alla stretta dell'amica. «Non ha detto niente.»

    Quando Jordan si ritrasse, l'espressione che aveva sul viso era ancora più severa. «E tu? Gli hai detto che è l'uomo più miserabile del mondo e che speri che il surriscaldamento terrestre gli disintegri il suo cuore di ghiaccio? Sarebbe l'unico aspetto positivo di questo fenomeno.»

    Jordan era molto più brava di lei a ferire con le parole.

    Lia scrollò il capo. «Non ho detto niente neanch'io. Non pensavo di vederlo così presto.»

    «Volevo avvisarti. Avevo organizzato tutto in modo che West non potesse sfuggirti.»

    «Questa è la sua stanza?»

    Jordan annuì, ma l'occhiata che lanciò verso la porta svelò tutta la sua esitazione. «Forse non avrei dovuto dirti che era qui.»

    La preoccupazione nella sua voce l'aiutò a fare chiarezza.

    «Figurati... Ho scelto io di venire. Fa molto freddo, ma mi abituerò. Devo solo capire che cosa dire prima che...»

    «Hai un po' di tempo per farlo» la interruppe Jordan.

    Dieci giorni. Se l'era ripetuto almeno diecimila volte durante il viaggio. «Pensavo di lasciare giù i bagagli e andare subito in ambulatorio.»

    «E invece te lo sei trovato davanti?» Jordan le tolse di mano i borsoni

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