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Se io fossi solo io ma forse sono qualcun altro
Se io fossi solo io ma forse sono qualcun altro
Se io fossi solo io ma forse sono qualcun altro
E-book182 pagine2 ore

Se io fossi solo io ma forse sono qualcun altro

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Info su questo ebook

La vita è sinonimo di continua evoluzione e noi progrediamo con essa, ci sono dei momenti, dei punti, in cui ciò che eravamo non è più e ciò in cui ci trasformiamo da un senso nuovo alla parola esistenza ma non tutti hanno il coraggio di cogliere quel momento, agire in quel punto preciso dello spazio e del tempo. Invito i gentili lettori a scoprire se il protagonista di questo romanzo riuscirà nell'impresa più grande, vivere.
LinguaItaliano
Data di uscita23 giu 2017
ISBN9788826459400
Se io fossi solo io ma forse sono qualcun altro

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    Anteprima del libro

    Se io fossi solo io ma forse sono qualcun altro - Mario Carbone

    altro

    Ci sono persone che pur non condividendo con noi un punto nello spazio fisico riescono a donarci tanto di se da infonderci il coraggio di essere noi stessi, a loro, agli amici che ci sono sempre con il pensiero dedico questo sforzo d'immaginazione sperando che un giorno le nostre orbite possano approssimarsi.

    Introduzione

    La musica citata nel seguente racconto può essere ascoltata gratuitamente su Spotify, ho creato appositamente una playlist per permettere, a chi fosse interessato, di usufruirne legalmente basta seguire il link

    http://open.spotify.com/user/1180898015/playlist/76OU0ZN7rFJPBDzXi5RlZj

    mi permetto inoltre di consigliare l'acquisto dei brani di vostro gradimento, diamo la possibilità a chi ci regala ore di cultura ed intrattenimento di vivere della propria arte.

    Grazie di tutto, buona lettura e buon ascolto.

    Mario Carbone

    Capitolo 1

    il mio vecchio io

    - Vorrei scrivere un libro, è da tanto che ci penso ma non mi decido mai ad iniziare

    - Perché

    - Perché ho paura

    - Paura di cosa

    - Di tante cose

    - Per esempio

    - Di non finirlo, di raccontare cose che potrebbero far arrabbiare qualcuno, di dedicarci tanto tempo da dimenticare tutto il resto e far vivere dei personaggi che mi allontanino dalle persone reali

    - Ma se tutti la pensassero come te nessuno scriverebbe più un libro

    - Ma io non sono gli altri

    - Pensi di essere diverso dalle altre persone? Ti ritieni superiore alla massa?

    - No, al contrario, mi reputo un puntino nell’universo

    - Ammettendo che iniziassi a scrivere un libro di cosa ti piacerebbe scrivere, quali sono gli argomenti che tratteresti, hai una storia in mente o ti siederesti su una sedia con un foglio in mano ad aspettare l’ispirazione?

    Un tonfo sordo si udì distintamente fuori dalla porta, uno di quei suoni che hanno la stranissima proprietà di essere allo stesso tempo cupi ma profondi abbastanza da essere udibili a parecchi metri di distanza, come se il nostro udito riconoscesse quali suoni sono importanti e quali cancellare istantaneamente dalla gamma dei percepibili. Ci alzammo all’unisono dalle comode poltrone su cui eravamo seduti a chiacchierare ed una volta aperta la porta del mio appartamento, al quarto piano di un palazzo nel centro di Roma, vedemmo una donna a terra, sembrava svenuta, non c’era sangue ne ematomi evidenti sul capo. Era riversa bocconi, non era possibile scorgerne il volto, nascosta da una cascata di capelli biondi che partendo dalla nuca erano riversi all’ingiù coprendone il viso, i capelli brillavano lucenti sembravano appartenere ad una donna giovane ed in salute anche se naturalmente era sempre possibile che fossero solo capelli trattati in maniera da ingannare lo sguardo. Guardai Annibale, il mio amico che odiava il suo nome e diceva sempre che non capiva come fosse stato possibile che i suoi genitori avessero scelto per lui un nome di battesimo tanto orribile e che un giorno o l’altro sarebbe andato all’anagrafe per farselo cambiare ma che aspettava che tutti e due i suoi genitori fossero dipartiti per non dargli questo dispiacere. Mentre il mio sguardo cercava il suo anche lui mi guardava scuotendo il capo. Mi chinai sulla donna e scostando i capelli dal volto le misi una mano sotto le narici per vedere se ancora respirasse, un flusso d’aria fuoriusciva dal setto nasale ad intervalli regolari, per lo meno è viva, pensai tra me e me mentre mi accingevo ad ulteriori verifiche, poggiai la mia mano sulla sua fronte, terribilmente calda era in preda ad una febbre altissima, sentivo il sudore sulla fronte in gocce perfettamente distinguibili segno che forse era svenuta per mancanza di sali minerali. Provai a prenderla in braccio facendo scorrere quello destro sotto il collo ed il rimanente sotto le cosce ma naturalmente un po’ per il peso morto e un po’ perché era rivolta faccia in giù mi resi conto che così non avrei mai potuto spostarla. Chiesi ad Annibale di aiutarmi a girarla, la presi dalle spalle mentre lui dalle gambe. Nell’atto di girarla la gonna finì sotto la suola della scarpa destra di Annibale per cui anche se a pochi centimetri dal pavimento la donna cadde rovinosamente al suolo ma almeno ora era in posizione supina, non urtò con la testa perché io le tenevo le braccia sotto le ascelle per cui solo il suo di dietro emise il suono tipico di chi cade col sedere a terra con un tonfo sordo. Annibale tentò di scusarsi per la goffaggine ma dopo qualche secondo visto che la donna non dava segni di essersi svegliata dal suo letargo la sollevammo di nuovo, io sempre da sotto le braccia seguendo la linea delle ascelle ed Annibale per le gambe. La lunga gonna strascicava a terra mentre la portavamo dentro l’appartamento frusciando come facevano i vestiti delle donne di una volta quando andavano a messa la domenica tutte in ghingheri e con gonne lunghissime il cui crinoline provocava il caratteristico rumore che i napoletani chiamavano struscio.

    La sistemammo sul divano, capo sul bracciolo e gambe in aria sul supporto opposto, il divano troppo corto per essere usato come letto in questo caso risultò comodo sia perché ci permise di adagiarla senza ulteriori scossoni sia perché fungeva da sostegno per la cervicale e le gambe, obbligate dal bracciolo a rimanere sollevate, facevano defluire il sangue verso la parte centrale del corpo.

    Cristina, così  avevo deciso di chiamarla per ora perché ciò che non ha nome, per me, non è reale mentre quella donna sul mio divano era oggettivamente reale, iniziò a lamentarsi sommessamente. Anche se era un lamento, quasi una forma di leggero delirio, lo presi come un buon segno, era viva, addirittura apriva bocca anche se solamente per articolare un leggero gemito. Mi appropinquai alla cucina, misi del ghiaccio in un panno pulito e lo appoggiai gentilmente sulla fronte imperlata di sudore della donna febbricitante.

    Con il termometro nell'incavo dell'ascella, aspettai pazientemente i canonici cinque minuti,  a volte il tempo sembra cambiare, sembra espandersi e contrarsi solo per farci dispetto, io ho sempre avuto l'impressione che le costanti fossero l'invenzione di un matematico pazzo il quale evidentemente non aveva mai vissuto nel mondo reale, quello nel quale quando siamo tristi il tempo non passa mai, lo stesso in cui la felicità dura un battito di ciglia.

    Quaranta e due fu il responso del supporto indicatore medico.

    Esclamò Annibale

    - Un febbrone da cavallo

    - Termine medico precisissimo

    - C'è poco da scherzare,  che facciamo ora chiamiamo una ambulanza?

    - Propongo di darle una tachipirina per abbassare la febbre e se tra un'ora non si sarà ristabilita un po' chiameremo l'ambulanza

    Annibale annuendo accese la televisione per sentire le ultime notizie al telegiornale, era un patito dei telegiornali li guardava a qualsiasi ora del giorno e della notte mentre io prediligevo informarmi via Web, la Repubblica ed il Fatto Quotidiano erano tra i link da me più cliccati, la capacità di capire con una breve occhiata se un articolo mi interessava ed all'interno dello stesso riuscire a selezionare al volo le righe con i concetti più importanti mi faceva preferire di gran lunga il computer alla televisione.

    Il tempo passava con la calma riservata solo a chi  non ha niente di più importante da fare, sentivo Cristina respirare in maniera più regolare, l’affanno stava lentamente lasciando il posto ad un riposo ristoratore, era chiaro che la febbre diminuiva per la medicina che le avevo somministrato ma per esserne sicuro mi avvicinai e le misi la mano sulla fronte, il sudore le aveva fatto espellere le tossine accumulate ed ora la temperatura era sicuramente minore di prima, per sicurezza le inserii il termometro di nuovo sotto l’ascella. Ripensai a quando mia madre da piccolo mi metteva il termometro all’inguine ma era una operazione che certo non potevo svolgere in questo caso ma il pensiero mi scosse leggermente, in effetti nella concitazione del momento avevo solo buttato un veloce sguardo sulla donna che giaceva dolente sul divano del mio salotto, rapito dalla gravità del momento non avevo notato le sue aggraziate fattezze. Con il passare del tempo e con il diminuire della febbre iniziai a notare la sua pelle bianca come latte, il suo viso tondeggiante, il nasino delicato, le labbra che sembravano disegnate con una matita tale era la perfezione del loro contorno, le guance che facevano affiorare qualche piccolo puntino rosso che pur fievole risaltava sulla pelle candida, gli occhi chiusi non mi permettevano distinguerne il colore, il corpo era esile, non era né bassa né alta direi che a occhio e croce si attestava sul metro settanta e qualcosa, con i tacchi deve apparire alta pensai, poi i miei occhi percorsero il suo corpo al contrario, prima avevo iniziato dal viso ora iniziai dalle gambe risalendo. Si vedevano i piedi poiché per agevolare la ripresa e farla respirare meglio Annibale le aveva tolto le scarpe quando l'avevamo adagiata sul divano. Piedi proporzionati alla sua altezza con dita ben divise e simmetriche tra i due piedi, si capiva che erano curati ma non vi era accenno di smalto, piedi adeguati al corpo quindi non piccolissimi ma graziosi e che si intonavano alle caviglie, i polpacci esibivano una pelle liscia e vellutata ma il colore così bianco mi impressionò non ero abituato a carnagioni così chiare, io che mi sono sentito dare della mozzarella per via del colore della mia pelle ero a disagio nel constatare l’esistenza di una tonalità così chiara. Senza che la mia mente desse un ordine preciso al mio corpo mi accorsi che con il dorso dell’indice della mano destra stavo accarezzando quel pallido pezzo di epidermide ma quando la mente prese il sopravvento sul corpo ritirai subito la mano vergognandomene. Gli occhi ripresero la loro lenta risalita ed arrivarono a quella parte che comprende le cosce fino al bacino, non è che le vedessi veramente a causa della gonna che schermava le sue nudità ma non la mia fantasia che era sicura di intravedere dei fianchi ben torniti e senza una smagliatura di quel colore lattiginoso che avevo notato sui polpacci. Risalendo ancora notai il busto che si alzava ed abbassava  ad un ritmo regolare a causa della respirazione escluso quando dalla bocca risuonava un lamento, a questo punto sempre più rado a dire la verità, quando i miei occhi indugiarono sul seno il respiro mi si fermò, avevo l’impressione di essere in apnea in un mare di pensieri disdicevoli, il solo vedere espandersi e contrarsi il suo torace mi emozionò tanto che, inconsce, due lacrime caddero scivolando calde sulle guance, una lacrima arrivò fino alle labbra lasciando un gusto salino in bocca, questo è l’Olimpo pensai, il monte che qualsiasi umano vorrebbe scalare per raggiungere gli Dei. Per pudore continuai la risalita spostando gli occhi da quel punto peccaminoso fino raggiungere il collo che mostrava una grinza per la posizione innaturale dovuta al bracciolo troppo alto ed al fatto che il viso era rivolto verso il punto ove ero seduto, giusto di fronte. I suoi occhi si aprirono proprio mentre il mio sguardo risaliva fino a lì dove finisce il naso ed inizia la fronte. Due smeraldi su un fondo bianco latte con due puntini neri al centro, verdi come può essere l’acqua del mare che bagna una spiaggia di sabbia bianca, verde come una foglia bagnata di rugiada al mattino, come un campo di felci ai tropici.

    Non riuscivo a separarmi da quello sguardo come un magnete che mi attraeva a se con una forza invisibile all’occhio umano ma ugualmente reale. Di norma non riesco a sostenere la vista delle persone a lungo per l'imbarazzo ma era come se mi fossi perso in un bosco, un bosco verde, lussureggiante di piante che divenivano sempre più intricate facendomi perdere il sentiero, era come se cercassi di tornare indietro ma il bosco si tramutasse in una pericolosa foresta dove è tanto difficile proseguire come tornare indietro per il cammino già percorso.

    Alla fine riuscì a tornare alla realtà ma ebbi l’impressione che se avessi continuato a vagare in quel mare avrei potuto anche perdermi per sempre.

    - Come ti senti riuscii ad articolare solo queste poche parole senza peraltro rendermi davvero conto se avessi pronunciato qualcosa di realmente sensato.

    Rimasi ad aspettare una risposta in silenzio, come unico sottofondo lo stridio della televisione che Annibale ascoltava nella sala accanto.

    Furono secondi, poi minuti alla fine credo che ne sia passata una decina se non più aspettando una risposta alla mia domanda che tardava ad arrivare. Mentre i suoi occhi si muovevano a destra e sinistra in un chiaro segno che stava tentando di capire dove si trovava io decisi di ripetere la domanda ma proprio mentre stavo per aprire la

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