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Omega. L'armata dei ribelli
Omega. L'armata dei ribelli
Omega. L'armata dei ribelli
E-book430 pagine5 ore

Omega. L'armata dei ribelli

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Info su questo ebook

In pochi anni, il sanguinario imperatore Zorks ha sottomesso con la forza gran parte dei regni liberi di Panteia. Nessuno sembra in grado di fermarlo, finché dall’Alzania emerge un eroe dal volto sfigurato, che accende la fiamma della ribellione. È l’inizio della resistenza.
In un mondo di intrighi di corte e tradimenti, un pugno di eroi partirà alla ricerca di alleati, combattendo epiche e cruente battaglie, ma soprattutto imparando a conoscersi nel profondo. Perché non esiste sacrificio, quando è compiuto per il bene più prezioso: la libertà.
LinguaItaliano
Data di uscita28 giu 2017
ISBN9788899768676
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    Anteprima del libro

    Omega. L'armata dei ribelli - Max Peronti

    Max Peronti

    Omega

    L’armata dei ribelli

    Epic fantasy

    I Edizione luglio 2017

    ©2017 Astro edizioni Srls, Roma

    www.astroedizioni.it

    info@astroedizioni.it

    ISBN: 978-88-99768-67-6

    Direzione editoriale:

    Francesca Costantino

    Progetto grafico:

    Elisabetta Di Pietro

    Editing:

    Stefano Mancini

    Copertina:

    Mauro Dal Bo

    Produzione digitale:

    Laura Platamone

    Tutti i diritti sono

    riservati, incluso

    il diritto di riproduzione,

    integrale e/o parziale

    in qualsiasi forma.

    Dedicato a chi non vuole

    smettere di sognare…

    1. Un vecchio nemico

    «Era seduto su quel che restava di un carro, proprio davanti a me, a una ventina di metri. Ormai era mio, non aveva scampo. Ho puntato la balestra e ho preso la mira. Ma proprio in quell’istante si è girato verso di me e mi ha guardato negli occhi…».

    Kurten s’interruppe e nella sala fu il silenzio.

    Recuperato il fiato riprese a parlare.

    «La freccia è partita veloce. Eppure… eppure lui è riuscito a evitarla».

    «Non è possibile!», il grido di Wurz squarciò il silenzio. «Hai sbagliato a prendere la mira! Nessuno può evitare un dardo scagliato da così vicino!».

    Kurten si alzò di scatto. Era infuriato.

    «Lui lo ha fatto! Comincio a credere che le leggende siano vere…».

    «Non dire idiozie e continua il tuo rapporto!», disse Zorks per interrompere sul nascere la discussione tra i due uomini.

    Annuì e riprese a parlare ancora affaticato.

    «I miei uomini hanno scagliato una pioggia di dardi e frecce, ma lui si era già messo al riparo dietro al carro. La situazione era comunque a noi favorevole: non eravamo riusciti a ucciderlo, ma lo avevamo costretto a rintanarsi tra noi e un profondo crepaccio. Era in trappola! Ho ordinato a dieci soldati tra i più esperti di avvicinarsi al lato destro del carro e ad altrettanti di aggirarlo sul lato sinistro. Peccato che una volta arrivati dietro il carro non hanno trovato nulla».

    «Com’è stato possibile?».

    «Deve essersi gettato nel vuoto. Abbiamo pensato che avesse preferito suicidarsi, piuttosto che rischiare di essere fatto prigioniero. Così abbiamo cercato il corpo tra le rocce in fondo al burrone, ma non ne abbiamo trovato traccia. Abbiamo scorto solo una roccia appuntita ancora grondante di sangue. Doveva essersi ferito su quella pietra per poi schiantarsi chissà dove. Convinti che fosse morto abbiamo preso la strada del ritorno…».

    Prese fiato e guardò gli altri quattro nella sala del trono. Poi con un’espressione triste riprese a parlare: «Abbiamo attraversato i desolati altopiani del Mayr ed è stato lì che abbiamo incontrato un avamposto abbandonato. All’interno c’era della carne secca ancora in buono stato e dell’ottimo vino rosso conservato in grandi botti di legno. La truppa premeva per passare lì la notte, per riposarsi e festeggiare la riuscita della missione. Io ho acconsentito di buon grado pur istituendo dei turni di guardia da tre aliquote ciascuna di sei soldati più un sergente, che si sono alternate per tutta la notte. Io stesso non ho preso parte ai festeggiamenti e mi sono preoccupato piuttosto di controllare che le sentinelle facessero il loro dovere. La notte è trascorsa rapida tra i canti e le risa finché tutti si sono addormentati…».

    Tacque di nuovo facendo un profondo respiro. Riprendere a parlare gli costò molta fatica.

    «Dei settantanove uomini che hanno partecipato alla festa, nessuno si è risvegliato l’indomani. Tra i superstiti si è cominciato a vociferare che lui ci avesse preceduto e avesse avvelenato il vino».

    «Idiozie!», sbottò ancora Wurz, mentre il primo e il secondo gran consigliere si guardavano increduli l’un l’altro.

    «Lo credevo anche io!» riprese, «finché su una roccia a circa cinque chilometri dalla guarnigione non abbiamo trovato un messaggio: La morte vi seguirà fino a Talak. Lì sarete al suo cospetto. Era… era scritto col sangue», confessò deglutendo. «Io e i pochi superstiti abbiamo viaggiato fino al punto in cui l’altopiano si apre a sud di una delle foreste maledette. A quel punto abbiamo dovuto decidere se percorrere la strada che attraversa l’altopiano e superare il ponte di Talak o deviare qualche chilometro a sud e attraversare la foresta maledetta. Sono riuscito a fatica a convincere i miei uomini a scegliere come via il ponte. Se lo avessimo incontrato avremmo potuto vendicare i nostri compagni uccisi. Forse… forse non ci credevo neppure io, ma… ma qualunque cosa era preferibile alla morte certa che avremmo trovato tra i foschi Alberi-Carnivori della foresta maledetta».

    Si concesse l’ennesima pausa e fissò Wurz. Solo a quel punto riprese il suo racconto.

    «Per prudenza abbiamo attraversato il ponte in formazione a testuggine. Ma è stato tutto inutile. Arrivati a metà ci ha colpito un enorme macigno, lanciato forse da una catapulta nascosta. Alcuni dei miei sono morti sul colpo, schiacciati o scaraventati nel burrone. Altri sono rimasti a terra feriti e storditi. Ed è stato allora che la pioggia di frecce ci ha sorpresi. È stata una strage. I pochi superstiti hanno cercato di mettersi in salvo tornando indietro, ma sono caduti trafitti uno dopo l’altro».

    «E tu come ti sei salvato?», gli chiese Zorks.

    «Mi sono buttato a terra e mi sono fatto scudo con il corpo dei soldati morti, finché la pioggia di frecce non è cessata. Ho aspettato immobile convinto che sarei morto di lì a poco, l’unica speranza che nutrivo era portare qualcuno con me al cospetto di Thaal. Pochi minuti dopo, però, lui è apparso dal nulla. Si è avvicinato calpestando con noncuranza i morti e finendo con un colpo di spada gli agonizzanti. E quando ho visto che era abbastanza vicino gli sono balzato addosso. Lui però ha evitato l’attacco e mi ha colpito alla gola con il taglio della mano facendomi cadere a terra. Allora ho cercato di colpirlo alle gambe. Ma lui ancora ha schivato il mio attacco e con un calcio mi ha disarmato. Poi mi ha colpito alla nuca… da quel momento in poi devo aver perso conoscenza, perché non ricordo altro».

    «Sei un inetto!», Wurz scattò andando su tutte le furie.

    Lui lo ignorò continuando imperterrito: «Mi sono risvegliato dopo non so quanto tempo, affamato, ma con le ferite quasi rimarginate. Davanti a me c’erano due uomini mal vestiti che impugnavano delle vecchie spade. Poi l’ho visto e l’ho sentito. Finché una goccia di sangue scorrerà nelle mie vene e un alito di vita sarà nel mio corpo, combatterò per la libertà del mio e di tutti i popoli che sono stati sottomessi dal principe dei Tiranni: Zorks. Riferisci al tuo signore che è inutile che continui a inviare sicari per eliminarmi. Se vuole la mia vita deve venire lui a prendersela. Io lo aspetto. Sono state queste le sue parole…».

    Notò Zorks accigliarsi, ma proseguì nel suo racconto.

    «Poi i due uomini mi hanno fatto bere a forza un qualche tipo di droga e sono sprofondato in un sonno senza sogni, finché ieri non mi sono risvegliato sulla riva del Biloif a pochi chilometri da qui».

    Uno degli uomini presenti nella sala fece per parlare, quando Zorks lo invitò a tacere con un cenno della mano e disse: «Bene Kurten, bene… Quindi ora non sappiamo più dove si trova Omega, ma sappiamo che ha un nuovo nascondiglio da qualche parte nell’Impero, che ha distrutto una centuria imperiale recuperando così armi ed equipaggiamento e che ha umiliato senza difficoltà uno dei miei ufficiali più fidati…».

    Sentì su di sé il suo sguardo e si affrettò a inginocchiarsi e abbassare la testa.

    «Vi chiedo perdono, maestà».

    Una lama saettò nell’aria. La testa dell’ufficiale rotolò sul pavimento tingendolo di rosso, mentre il corpo la seguì un istante dopo nella stessa direzione, quasi cercasse di ricongiungersi a essa.

    «Voi due potete andare, non mi servono altri suggerimenti sbagliati!», abbaiò in direzione dei due Gran Consiglieri che salutarono con un inchino e uscirono dalla sala. «Wurz, designa un sostituto per Kurten tra i tuoi ufficiali e convoca per domani una riunione con i comandanti della Prima, Seconda, Terza e Quarta armata imperiale», aggiunse mentre poggiava su un lato del trono la spada ancora insanguinata.

    «Subito!» Wurz si affrettò a obbedire. Uscì dalla stanza e si avviò seguendo il flusso dei suoi pensieri. Era riuscito a fare in modo che il primo e il secondo gran consigliere proponessero il comandante della terza coorte, Kurten, per quella missione impossibile alla testa di una centuria, riuscendo in quel modo a ottenere un duplice scopo: screditare gli altri due consiglieri e sbarazzarsi di Kurten. Ora era libero di mettere uno dei suoi uomini fidati al posto del defunto comandante. Aron De Gois era l’uomo giusto per quell’incarico, e non escludeva che un giorno sarebbe riuscito a fargli assegnare il comando di un’intera legione.

    Una voce lo distolse dalle sue riflessioni. Era Feder Dois il suo servo personale.

    «Perdonatemi se vi ho disturbato, mio signore. Ma desideravo informarvi che il vostro cavallo è sellato e i bagagli sono pronti, dovete solo dirmi quando avete intenzione di partire».

    «Stanotte stessa. Tornerò domani per la colazione, come al solito. Puoi andare a riposarti, non ho più bisogno di te per oggi».

    «Come desiderate, signore».

    «Aspetta! Hai messo nella mia sacca da viaggio tutto il necessario?».

    «Come al solito, mio signore».

    «Bene. A domani allora. E assicurati che nessuno si avvicini più del normale alla mia stanza. Se qualcuno mi cerca sai già cosa dire».

    «Certo signore: che siete molto stanco e non riceverete nessuno fino a domani dopo colazione. Se invece vi manda a chiamare l’Imperatore…».

    «…Dirai che mi hai visto uscire poco prima e ti ho detto che stavo andando in città a dar sfogo al mio vecchio vizio», concluse Wurz al posto suo.

    «Certo signore, è quello che dirò».

    «Sarà meglio per te».

    *

    Entrò nella Sala della Guerra. Wurz e tutti i presenti si alzarono e gli resero gli onori che gli spettavano quale Imperatore. Con un cenno li invitò a sedersi. Di sfuggita vide la sua immagine riflessa nello specchio e ne fu soddisfatto. I capelli rossi come il fuoco gli ricadevano morbidi sulle ampie spalle, e gli occhi verde smeraldo brillavano della solita luce intensa. Anche il naso aquilino e le sottili sopracciglia appuntite non contrastavano con i lineamenti spigolosi del viso, conferendogli un aspetto rapace.

    «È giunto il momento di stroncare qualunque forma di opposizione all’interno dell’Impero», disse andando subito al nocciolo della questione. Poi guardò i comandanti delle quattro armate imperiali. «Abbiamo la certezza che Omega sta riunendo sotto il suo comando alcuni gruppi di banditi, ex militari e disertori. Pare che quel folle abbia dato vita a un movimento rivoltoso organizzato. Questi vermi finora non ci hanno dato particolari problemi, ma ultimamente i loro attacchi alle nostre pattuglie sono triplicati e la loro propaganda sovversiva rischia di cominciare a far presa sugli alzaniani. Dobbiamo intervenire prima che il germe della rivoluzione inizi a propagarsi, stroncare questa resistenza sul nascere prima che diventi un pericolo reale».

    «Sappiamo dove si nascondono?», gli chiese Murdoz Koin, il comandante della Terza armata imperiale.

    «No, ma i nostri cacciatori imperiali sono riusciti a scoprire quale sarà il loro prossimo obiettivo: Alkum», rispose Wurz anticipandolo.

    «Vogliono conquistare Alkum?», chiese incredulo il generale Omar, detto la Bestia nera, comandante della Quarta armata imperiale.

    «Esatto, l’attacco dovrebbe avvenire tra circa un mese. Partirai immediatamente, troverai i ribelli, e li ucciderai dal primo all’ultimo. Non voglio errori», gli rispose Zorks con una certa soddisfazione, come se già pregustasse la vittoria.

    «Certamente maestà. Mi basteranno quattro coorti. E chiedo di poter agire senza scrupoli per i civili».

    Zorks sorrise al colossale guerriero dalla pelle scura. Non ti sei certo guadagnato il tuo soprannome per il colore della pelle o dei capelli.

    «Permesso accordato».

    «Grazie Imperatore, prenderò le quattro coorti della prima legione», gli rispose il guerriero, mentre una luce sinistra si faceva strada nei suoi occhi simili a due grandi gemme di onice.

    «Wurz, manda delle truppe di riserva a presidiare le aree controllate dalle coorti che partiranno per Alkum tra una settimana. Il Consiglio è sciolto, per ora. Tornate pure alle vostre mansioni», concluse. Poi, leggermente accigliato, rimase solo nella sala.

    A voce bassa tra sé e sé cominciò a parlare.

    «Dunque non sei morto, Omega… Non riuscirai a fermarmi… Non ci riuscirete né tu, né quell’accozzaglia di contadini che hai messo insieme!».

    2. Alkum

    «Di quanti uomini e armi disponiamo, Volor?», chiese Omega.

    «Sono 133 uomini e tutto il necessario per una centuria imperiale», rispose il giovane che lo superava in altezza di almeno una spanna.

    Omega si piegò per raccogliere un sassolino con cui iniziò a giocherellare.

    «Dite agli uomini di prepararsi, tra tre giorni attaccheremo la città di Alkum».

    L’altro annuì e corse a chiamare gli ufficiali.

    "I compagni inviati ad Alkum e nei villaggi vicini sono rientrati con le informazioni che mi servivano. È ora di passare all’azione", pensò rimasto solo nella sua stanza scavata in una caverna sotterranea.

    Si guardò intorno come per controllare che non ci fosse nessuno, poi si sedette su un vecchio pagliericcio buttato in un angolo e si tolse il mantello che ricadde sul pavimento. Pigramente si sfilò le vesti scolorite e dopo aver gettato da una parte anche gli stivali si alzò. Nella roccia dalla superficie simile a uno specchio vide la sua immagine riflessa. Si fermò a osservarla alcuni secondi: davanti a lui c’era un uomo abbastanza alto, con un torace ampio e un fisico muscoloso ma asciutto. Si sfilò anche la maschera che gli copriva il volto, mostrandosi alla nuda roccia vestito solo di se stesso.

    Nel riflesso della pietra apparve il viso di un uomo di circa trent’anni, con lineamenti forti e zigomi pronunciati. Ma sapeva che chiunque lo guardasse finiva sempre per fare caso solo a due dettagli: l’ustione che gli sfigurava la guancia destra e gli occhi, di un colore simile a quello del mare in tempesta. Occhi penetranti come la punta di una lancia, capaci di incutere timore e rispetto; ma anche occhi tristi, di una tristezza di difficile interpretazione a volte anche per lui.

    Si spostò verso un baule e ne estrasse degli abiti puliti. Li indossò e poi fece lo stesso con la sua armatura di pelle rinforzata e con un paio di guanti. Prese la spada e la fissò alla cintura. Sapeva che era un oggetto di grandissimo valore, con un’elsa d’oro arricchita da una pietra azzurra semitrasparente, al cui interno si poteva intravedere del fumo che assumeva forme sempre differenti, come una nuvola nel cielo. Infine raccolse una faretra con delle frecce dall’asta viola e l’impennaggio blu, un’altra un po’ più piccola con dei dardi dello stesso colore, una balestra e un arco di legno di tasso dalla corda dorata. Poi, prima di uscire, raccolse da terra la maschera e l’indossò. Fece lo stesso con il consunto mantello blu e alzò il cappuccio che gli copriva i capelli scuri, lasciando visibile al mondo solo gli occhi. Prima di uscire si accertò che il forziere stracolmo di pietre preziose fosse chiuso e incatenato alla roccia. Si fidava degli uomini del Fronte, ma un tesoro tanto grande andava comunque protetto. Era il frutto di anni di pericolose avventure nei meandri più sperduti di Panteia, e che aveva deciso di usare per finanziare il Fronte.

    La libertà si ottiene con oro e sangue, gli aveva detto Jak quando decisero di fondare il Fronte, e i fatti gli avevano dato ragione.

    Camminò lungo i corridoi rispondendo al saluto dei suoi seguaci alla maniera dei ribelli, portando la mano destra alla fronte con l’indice e il medio a formare una V.

    Raggiunse la stanza che usavano per discutere di questioni importanti e come previsto trovò Jak, Volor, Olav, Adgar, Cath e Manda che lo aspettavano seduti intorno a un tavolino circolare.

    Non appena si fu seduto guardò Adgar: «Quanti soldati dell’Imperatore ci sono nel distretto di Alkum?».

    «Due centurie», gli rispose l’anziano chierico.

    Si voltò e chiese a Manda: «Hai trovato il modo di farci entrare ad Alkum?».

    La donna dai capelli rossi gli rispose mentre accavallava in modo provocante le gambe nude.

    «Come a ogni Ottavo mese dell’anno, ad Alkum a partire da domani per quindici giorni, ci sarà il tradizionale mercato del grano. Non dovremo far altro che accodarci alla carovana di commercianti provenienti da Syra. Ho convinto il loro capo a prestarmi per alcuni giorni due carri con i quali potremo entrare. In ognuno di essi possono nascondersi una decina di uomini. Facendo così dovremmo impiegare pochi giorni a entrare tutti».

    «Non daremo nell’occhio?» le chiese la ragazza più giovane un po’ preoccupata.

    «Con tutta la confusione che ci sarà, nessuno si accorgerà di niente. Anche perché userò questa», rispose Manda posando un’ampolla dal liquido rosso sul tavolo.

    «Che cosa è?».

    «Una pozione che amplifica il fascino di una donna al punto da rendere gli uomini ‘inebetiti’ per alcuni minuti», rispose guardando stizzita con i suoi occhi verdi Adgar.

    «Come ti sei procurata una pozione così rara? Non credevo nemmeno ne esistessero più», disse lui non nascondendole la sua disapprovazione.

    «Questi non sono affari che ti riguardano. L’importante è che ce l’abbiamo e che ci farà entrare ad Alkum».

    «Molto bene», tagliò corto Omega. «Jak, hai la mappa della zona?», chiese.

    «Certo che ce l’ho! Con tanto di strade e sentieri», gli rispose il grosso guerriero accarezzandosi la folta barba nera.

    «Bene, allora dobbiamo solo finire di elaborare il piano per la conquista della città. Mettiamoci al lavoro!».

    Dopo molte ore di studio con i suoi compagni, quando gli sembrò che tutto fosse pronto, convocò un’assemblea generale nella piazza della Libertà. Avvolto nel suo mantello e con il viso coperto, parlò ai suoi seguaci.

    «Uomini e donne! So che molti di voi non sono dei guerrieri, ma in realtà non è così! Il solo essere qui oggi significa che in voi scorre lo stesso sangue dei vostri antenati. Antenati che hanno lottato per liberare questa terra dalle tante creature mostruose che infestavano le montagne, prime fra tutte i terribili troll. Che hanno lottato per costruire una nazione civile, dove ha sempre regnato la legge degli uomini e non delle belve. Antenati che oggi vi guardano e aspettano di vedervi liberare il suolo natio dal malvagio invasore, che aspettano di vedervi ricacciare Zorks nell’oltretomba assieme agli spiriti dannati», riprese fiato un istante, «ora tocca a voi… a noi lottare! E se anche le nostre braccia dovessero essere meno forti di quelle dell’invasore allora saranno la nostra tenacia, la nostra determinazione e il nostro coraggio a darci la vittoria. Io vi giuro che se combatterete al mio fianco come sa fare un alzaniano nessuno ci potrà fermare. Libereremo questa terra dall’Imperatore e gli stessi caduti in battaglia stretti nelle braccia di Skerkon, Ligonk o i suoi Figli, sorrideranno alle nostre gesta e ci daranno la forza per continuare fino alla vittoria finale. Alzania libera!».

    Un boato si alzò dalla folla e più di cento scintillanti spade si levarono al cielo. Soddisfatto lasciò la sala salutando, certo che tutti avrebbero iniziato a prepararsi per l’imminente battaglia.

    L’indomani i primi quaranta uomini capeggiati da Manda partirono a bordo di due carri e si accodarono alla carovana.

    "Entrare non sarà difficile", pensò sollevata quando vide che le guardie, rese amichevoli dal denaro elargito dal capo della carovana, come previsto non controllavano il contenuto dei carri. Una volta dentro Alkum attese il calare della notte, poi uscì con i due carri vuoti per rientrare con gli altri ribelli l’indomani.

    "Questa volta però non posso sfruttare il denaro di Oregor. Dovrò bere la pozione", si disse e giunta alle porte della città ne buttò giù un sorso. Sfoggiando un sorriso malizioso scese dal carro vestita solo con un corpetto di lino che esaltava il seno formoso e una gonna dallo spacco vertiginoso. Iniziò a parlare alle guardie in modo sensuale e con movenze provocanti. In breve non ebbe dubbi che gli occhi dei soldati fossero tutti puntati su di lei.

    "Bravi continuate a guardarmi… ancora un minuto… ecco l’ultimo carro che entra indisturbato, perfetto!".

    «Signori», disse fingendosi dispiaciuta, «purtroppo per me è giunto il momento di andare, è stato un piacere fare la vostra conoscenza».

    Si allontanò con disinvoltura e quando si voltò con aria vaga per controllare le guardie, scoprì con piacere che ancora la fissavano con aria sognante.

    "Non mi resta che fare lo stesso giochetto per i prossimi giorni. Non avrò problemi, le guardie alla porta cambiano ogni giorno".

    Nei giorni seguenti riuscì a far entrare in città tutti i ribelli senza destare sospetti. Il suo unico rammarico fu che non gli rimase neanche una goccia del prezioso elisir. Infine, in un pomeriggio battuto da un forte vento, Volor si trovò per caso poco distante dal luogo dove scoppiò una rissa nella piazza principale.

    Da poco distante osservò la scena: le guardie accorsero per riportare l’ordine. Gli uomini in trappola si inginocchiarono e alzarono le mani al cielo implorando pietà. E un attimo dopo, quelli che sembravano solo innocui spettatori, assalirono le guardie con lunghi coltelli, massacrandole. Fu a quel punto che nella piazza scoppiò il panico. E nel pieno della confusione gridò: «Alkum Libera! Alzania libera!», e si unì ai ribelli seguito da un pugno di uomini.

    Il caos richiamò nuove guardie. E fu l’inizio degli scontri.

    «Tirare!», ordinò secco, e i primi dardi scagliati dai suoi uomini abbatterono diversi soldati colti alla sprovvista. Poi a essi si aggiunsero le frecce scoccate dalle finestre. Felice osservò le guardie cadere una dopo l’altra.

    «Ritiriamoci!», fu l’ultimo ordine del comandante delle cimici prima di essere trafitto a morte, così come tutti gli altri soldati dell’Imperatore accorsi in strada. Di decine di giovani, non rimanevano che i corpi sanguinolenti sparsi ovunque sull’acciottolato polveroso.

    «Passiamo ora alla seconda parte del piano: alla guarnigione!», ordinò ai ribelli esaltato da questa prima vittoria.

    Lungo la via s’imbatterono in una ventina di guardie che cercarono di darsi alla fuga, ma invano. Davanti ai suoi occhi lungo la strada che conduceva alla guarnigione, sopra ogni tetto, dietro ogni angolo, c’era sempre qualche ribelle che bersagliava i nemici con dardi e frecce. Fu un’ennesima strage.

    *

    Manda passò accanto al comandante del drappello di guardie a presidio del portale della cittadina. Quando gli fu abbastanza vicina da essere notata, batté le lunghe ciglia in modo sensuale.

    «Per due monete d’argento posso deliziarvi con uno spettacolo che non dimenticherete», annunciò facendo cadere con noncuranza il mantello.

    «Tu comincia… Per il pagamento vedremo dopo», grugnì l’uomo palpandole il sedere.

    Si allontanò di un passo e sorridendo iniziò a slacciarsi la camicetta di lino, un bottone dopo l’altro, con le dita affusolate che si muovevano sensuali lungo il vestito. Bastò poco perché le guardie lasciassero i loro posti e la circondassero gridando commenti osceni.

    «Vai! Facci vedere il resto!», gridavano rapite dall’inaspettato spettacolo.

    «E ora il pezzo forte!», urlò iniziando a sciogliere i lacci della striscia di pelle che a stento le copriva il seno.

    Le guardie cominciarono a urlare ancora più forte

    "Bravi continuate così, godetevi pure l’ultimo spettacolo della vostra vita…". Sorrise nell’attimo in cui mostrò il seno in tutta la sua prorompente abbondanza. Un istante dopo Olav e i cinquanta ribelli che si erano avvicinati senza essere notati attaccarono. E fu una mattanza che si consumò in pochi secondi. Finito il combattimento, diede ordine di sbarrare le porte e fece posizionare alcuni uomini sulle torrette di guardia.

    «Olav, resta qui con i tuoi», ordinò secca al più giovane degli ufficiali del Fronte.

    «Gli altri con me, alla guarnigione, presto!», proseguì mentre si rivestiva con indifferenza sotto gli occhi sgranati dei suoi uomini.

    *

    Era l’imbrunire quando Volor con una trentina di uomini raggiunse la guarnigione che era già stata assediata dagli altri ribelli.

    «Manda!», esclamò il massiccio guerriero riconoscendola. «Il portale è stato chiuso?».

    «Naturalmente», gli rispose pavoneggiandosi.

    «Bene. Tra poco Jak pronuncerà un discorso in piazza, ci sono quasi tutti gli abitanti di Alkum più parecchi commercianti che chiedono con insistenza di poter lasciare la città».

    «E allora perché mi sembri preoccupato?».

    «Speravo in un maggior entusiasmo popolare, invece la gente ha paura di aiutarci. Tutto qua. Dicono che se non ce ne andiamo subito, Zorks tornerà qui con un grandissimo esercito e raderà al suolo la città uccidendoli tutti. Quanto a noi… dicono che faremo una fine anche peggiore».

    «Siamo nelle mani di Jak, allora», tagliò corto avviandosi in piazza.

    Jak emerse dalla folla pochi istanti dopo il suo arrivo, facendo un gesto per richiamare l’attenzione dei cittadini. Attese una manciata di secondi, poi iniziò a parlare quasi urlando.

    «Uomini e donne di Alkum, io sono Jak il Grosso, dovreste ricordarvi di me perché anch’io sono nato in questa città. E sono tornato, ora, per dirvi che questa è la nostra occasione! Stanotte altre forze del Fronte di liberazione di cui faccio parte attaccheranno i paesi limitrofi liberando l’intero distretto! Stanotte qui tornerà a sventolare la bandiera dell’Alzania Libera e insieme tra non molto scacceremo le cimici da tutta l’Alzania!».

    «Ci farete uccidere tutti!», si levò una voce di protesta dalla folla. «Anche se riuscirete a conquistare Alkum e i villaggi vicini, in breve un’armata imperiale sarà qui e sarà la fine!».

    Un rumoreggiare d’approvazione salì sempre più alto. Fu a quel punto che Omega, con il volto coperto e l’inseparabile mantello gli saltò accanto.

    «È questo dunque il leggendario coraggio delle genti d’Alzania, gli eredi di coloro che sconfissero i troll?», urlò a gran voce per sovrastare il caos crescente. «A quanto pare Zorks è riuscito a togliervi la voglia di essere liberi…».

    Nella piazza tornò il silenzio e quanti si stavano lamentando indietreggiarono di qualche passo.

    «Vergognatevi!», proseguì. «Preferite essere schiavi piuttosto che lottare per il vostro futuro e per quello dei vostri figli. Tirate fuori il coraggio alzaniano. Dimostrate che nelle vostre vene scorre lo stesso sangue dei leggendari Ammazza-troll o degli antichi cacciatori di tigri giganti. Possibile che solo Jak e pochi altri siano rimasti fedeli alle tradizioni guerriere di Alkum? Io non sono originario dell’Alzania eppure combatto per liberare questa terra, per sconfiggere il Tiranno. Dateci fiducia, lottiamo insieme e nessuno potrà sconfiggerci! E poi che cosa possono toglierci ancora?». Fece una breve pausa. Nessuno si mosse o reagì. «Preferite accettare le sordide leggi del Tiranno? Come concedere vostra moglie nel primo giorno di nozze al signore di turno o lavorare come schiavi per la metà del cibo necessario a sfamare i vostri figli? Siete felici di dover adulare il vostro oppressore in pubblico? No, io non credo! Gli uomini che oggi hanno liberato la città non sono soldati! Sono contadini, artigiani, sarti, e altro ancora… ma non sono soldati! Però sono ugualmente i più temibili tra i guerrieri e sapete perché? Perché sono alzaniani! Uomini d’onore che hanno di nuovo trovato la forza di credere nella vittoria. Uniamoci e liberiamo l’Alzania!».

    Il discorso parve sortire l’effetto che sperava, perché dalla piazza un gruppo di giovani rispose gridando: «Alzania libera!».

    Attese qualche secondo poi riportò il silenzio a gesti.

    «Chi è in grado di combattere vada davanti alla taverna del Teschio Verde. Lì riceverà istruzioni da Jak e dagli altri ufficiali. Tutti gli altri si chiudano in casa. Stanotte libereremo Alkum!».

    *

    Manda era impaziente. A capo di un centinaio di veterani del Fronte stava assediando la guarnigione cittadina; come gli aveva ordinato, Olav e i suoi presidiavano ancora il portale, mentre buona parte dei cittadini erano in piazza armati con bastoni e forconi in attesa della battaglia.

    Anche lei e i ribelli attendevano. Omega le aveva detto che avrebbe pensato lui ad aprirgli una via d’accesso nella guarnigione e che doveva solo aspettare il suo segnale.

    "Sono passate tre ore e di Omega nessuna traccia. Forse è in pericolo… Potrebbe aver bisogno del mio aiuto!". Al solo pensiero che potesse essergli accaduto qualcosa rabbrividì, stupendosi di se stessa.

    Sapeva di provare per lui qualcosa di più di un semplice sentimento di stima, ma credeva fosse solo amicizia, niente di più.

    Più pensava che Omega fosse in pericolo, più sentiva il suo cuore accelerare. Stava per esplodere quando sentì un tuono provenire dalla guarnigione. Si voltò di scatto, spaventata. Il ponte levatoio era stato abbassato e una freccia infuocata solcava il cielo.

    "Finalmente! È il segnale!".

    «All’attacco!», gridò.

    I ribelli reagirono all’unisono, riempiendo la notte con urla di battaglia correndo dietro di lei verso l’ingresso spalancato. Vide alcuni soldati nemici gettare a terra le armi e inginocchiarsi, nella speranza di essere fatti prigionieri; molti altri invece corsero a rintanarsi da qualche parte nella guarnigione. Il grosso, però, si preparò a combattere agli ordini di un uomo appena sopraggiunto.

    «Con me! Difendiamo l’entrata a tutti i costi!», gridò il guerriero

    «Per l’Imperatore, Per il comandante Marquez!». risposero i suoi seguendolo verso il ponte levatoio. E fu là che Marquez notò quattro cadaveri e un guerriero vicino a essi. Gli si lanciò contro e fintò un colpo alla testa per poi attaccare alle gambe. Il suo rapido fendente colse di sorpresa l’uomo che, raggiunto alla gamba, cadde in ginocchio.

    Levò la spada per finirlo, ma il ribelle si voltò di scatto trafiggendolo tra le costole. Poi estrasse la spada appena in tempo per parare l’attacco di uno dei tre soldati che stavano sopraggiungendo.

    "Non posso crederci… è Omega!".

    In ginocchio tossì osservando i suoi uomini combattere contro il capo dei ribelli del Fronte di liberazione, lo stesso il cui viso era affisso sui manifesti di ogni città dell’Impero.

    Cercò di rialzarsi, ma

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