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L. SS. Adolf Hitler: la terza indagine del maresciallo Gatti
L. SS. Adolf Hitler: la terza indagine del maresciallo Gatti
L. SS. Adolf Hitler: la terza indagine del maresciallo Gatti
E-book139 pagine1 ora

L. SS. Adolf Hitler: la terza indagine del maresciallo Gatti

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Info su questo ebook

La terza appassionante indagine del maresciallo Gatti. L’arrivo dei tedeschi sul lago Maggiore, l’Hotel Meina e la bella Marta.

Stresa 1943

L. SS. Adolf Hitler.

L’armistizio, firmato dal Maresciallo Badoglio, l’otto settembre, con gli Alleati, segna, per l’Italia, l’inizio del momento più difficile e controverso del secolo scorso.

L’arrivo, sulle sponde del Lago Maggiore, della divisione corazzata tedesca denominata “Laibstandarte-SS Adolf Hitler” proveniente dal fronte Russo, con compiti militari, polizieschi e politici, getta nel panico gli abitanti di Stresa.   

L’eccidio di Meina, dove perdono la vita sedici persone, di origine ebrea, è storicamente accertato come il primo, eseguito dai soldati tedeschi, sul suolo Italiano.   

Luca Gatti, maresciallo dei carabinieri, dovrà ingaggiare una dura battaglia contro il tempo. Sarà costretto a far ricorso a tutte le proprie capacità investigative,  per tentare di salvare le persone che più gli stanno a cuore.

Riuscirà a scegliere tra Fascisti e Partigiani tra uomini “giusti” e traditori di chi potrà fidarsi? Due uniche  certezze lo potranno aiutare. La Fede in Dio e l’amore per Marta.
LinguaItaliano
Data di uscita30 nov 2015
ISBN9788892524101
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    Anteprima del libro

    L. SS. Adolf Hitler - Alberto Salina

    Einstein).

    1

    Domenica 25 Luglio 1943 ore 18.00

    Il maresciallo Gatti camminava veloce tra gli stretti vicoli che dal centro di Stresa portano, in leggera discesa, al lungolago.

    «Dimissioni!!! Non ci posso credere!!! Il Duce si è dimesso!!!». Mormorava, incredulo, continuando a rileggere la prima pagina de La Stampa che aveva tra le mani. La notizia lo aveva sconvolto. Nella mente del maresciallo riaffioravano i ricordi degli incontri avuti, prima a Stresa, durante la Conferenza e poi a Roma, nella sala del Mappamondo, con Mussolini. Arrivato, ansimante, sul sagrato della chiesa, vide Don Piero parlottare con un uomo davanti al portone principale. Discutevano animatamente tanto che quasi non si accorsero dell’arrivo del carabiniere. «Ciao Luca. Che ci fai qui?» disse il vecchio prete interrompendo la discussione. Il maresciallo guardò i due uomini e solo allora riconobbe Giuseppe Lenghi, un settantenne avvocato di origine ebraica, amico di Don Piero, che da qualche anno si era stabilito in una bella villa, appena sopra Stresa, in compagnia della figlia. «Avete Saputo? Il Duce si è dimesso!!! Il comando lo ha preso Badoglio!!!» disse il carabiniere, allargando il giornale e mostrando loro la prima pagina. I due uomini annuirono e l’avvocato rispose con un grande sorriso: «Certo che abbiamo saputo. Finalmente!! Finalmente lo hanno messo dove doveva stare!!! In galera!!! Lui e i suoi scagnozzi!!!».

    Il maresciallo, che si aspettava quelle parole, restò per un attimo in silenzio e poi rispose: «Comprendo la sua gioia, avvocato. Ma non si sa dove sia il Duce in questo momento. So bene che a causa delle leggi raziali Lei ha dovuto interrompere il lavoro, la sua vita e scappare da Milano per rifugiarsi qui. Ma adesso? Che succederà?».

    L’anziano uomo guardò prima Luca e poi Don Piero. Con le lacrime agli occhi dall’emozione, rispose: «Non lo so cosa succederà. Io posso solo sperare che il Maresciallo Badoglio, con l’aiuto del Re, trovi una soluzione per arrivare ad un armistizio. Che tolga queste odiose leggi razziali. Sono un insulto alla dignità dell’uomo. Io spero che ci aiuti a ricostruire una Nazione dove potremo vivere in pace e nel rispetto di tutti!!!»

    A quelle parole, Luca provò un groppo alla gola. Non poteva non sentirsi in colpa. Aver permesso che uomini liberi, come l’avvocato, fossero umiliati fino al punto di essere messi nelle condizioni di dover scappare, vivendo ai margini della Società, per il solo fatto di essere Ebrei provocava, in lui, un forte rimorso di coscienza.

    Pensò a Marta. La sua Marta di cui, da quasi tre anni, non aveva notizie. La donna gli mancava davvero troppo. Era arrivato a scriverle una lettera quasi tutte le sere, prima di addormentarsi. Le faceva poi recapitare, una volta a settimana, attraverso il solito metodo dei Padri Rosminiani che insegnavano nelle scuole, di lingua Italiana, in Svizzera. Sperava che ogni tanto lei ci tornasse e che le potesse leggere. Ma non aveva mai avuto, almeno fino a quel momento, risposta.

    Il maresciallo non desisteva. Avrebbe scritto per tutta la vita, se fosse stato necessario e prima o poi, il suo cuore ne era sicuro, Marta avrebbe risposto. Mentre questi pensieri affollavano la mente di Luca e i due anziani uomini stavano in silenzio arrivò di corsa il Podestà, con la divisa stracciata e un occhio tumefatto, gridando terrorizzato: «Stanno arrivando!!! Stanno arrivando!!!».

    I tre uomini si guardarono perplessi: «Stanno arrivando? Stanno arrivando chi?».

    2

    Domenica 25 Luglio 1943 ore 18.15

    Una cinquantina di persone urlanti, armate di bastoni, mazze e picconi sopraggiunsero pochi secondi dopo. Don Piero ordinò con un gesto, al Podestà, di entrare in Chiesa mentre, stringendosi al fianco del Maresciallo, si girò verso il gruppo di scalmanati: «Fermi!!! Ma siete pazzi? Cosa pensate di fare?» A quelle parole la folla ammutolì.

    «Don Piero, consegnaci quel bastardo! Lo voglio strozzare qui adesso con le mie mani!». Disse Cesarone Rossi, il più grosso ed il più arrabbiato della folla. «Sono dieci anni che devo pagare per usare la mia bottega, per lavorare. Mi ha preso tutto quel bastardo. Lui, il Ricino e quella banda di ladri dei neri. Si sono fatti i soldi sulla pelle della povera gente. Mi hanno minacciato. Mi hanno derubato. Mi hanno anche fatto bere mezza bottiglia di olio di ricino mentre loro sghignazzavano davanti ai miei figli e io pensavo di morire!!! Bastardi!!! Spostatevi Don!!! Lo andiamo a prendere!!!»

    La folla vociante fece per muoversi ma Don Piero alzò il braccio e il Maresciallo estrasse la pistola: «Qui non entra nessuno. Questa è terra consacrata. La violenza non è ammessa e tu Luca metti via quell’arma. Non serve!!!» Il vecchio prete fece una lunga pausa poi riprese con voce autorevole: «Il Podestà si è comportato male. Lui e i suoi compari. Tutti lo sappiamo. Ma non è così che ci si fa giustizia. Linciando le persone. Qui c’è il Maresciallo Gatti. Vi do la mia parola che il Podestà sarà arrestato e avrà un giusto processo. Ma la legge va rispettata. Sempre!!! Altrimenti vi comporterete come loro. E non sarete migliori di loro!!!»

    A quelle parole la tensione, fino a quel momento altissima, parve leggermente diminuire. Cesarone rispose: «Don Piero! Maresciallo! Se le cose non andranno come avete detto e il Podestà non verrà arrestato, processato e condannato, vi vengo a prendere e vi appendo alla forca al posto suo. Lo giuro!! Lo giuro sulla testa dei miei cinque figli!!» Terminata la frase si girò e, seguito da tutto il gruppo, si diresse verso il lungolago. Arrivati davanti al Municipio, si avventarono con ferocia contro il busto di Mussolini, posizionato davanti all’ingresso. Alcuni si arrampicarono sulle finestre per demolire anche i fasci littori che sporgevano dalla facciata.

    Il maresciallo, sopraggiunto qualche minuto dopo, ebbe l’istinto di fermare quel delirio. Si rese conto immediatamente che non sarebbe stato possibile. Gli occhi e i gesti di quelle persone sprigionavano odio. Un odio incontrollabile che, se non avesse trovato un rapido sfogo contro quei simboli, si sarebbe riversato contro chiunque si fosse, in qualche modo, opposto. In pochi minuti, di cieca violenza, tutto era distrutto. Il monumento, la facciata, alcune panchine in pietra. In un batter d’occhio le persone sparirono. Corsero tutti via in cerca di altri fascisti o di altri monumenti e simboli su cui sfogare quella violenta rabbia.

    Luca restò in silenzio al centro della piccola piazza deserta e devastata. Fu raggiunto quasi subito da Don Piero e dall’Avvocato. Il silenzio era tetro, assoluto. I tre uomini guardavano il monumento del Duce decapitato. La facciata dell’edificio semi-distrutta. Il Maresciallo raccolse da terra ciò che restava del naso di Mussolini e, porgendolo all’avvocato, disse: «Che il buon Dio abbia pietà di noi e di quello che potrà accadere a questa Nazione e a questa gente». Don Piero non poté trattenere le lacrime. Il vecchio Parroco unì le mani e cominciò a recitare il Padre Nostro. Luca ed alcune persone, sbucate come fantasmi dalle case intorno alla piazza, fecero lo stesso. Solo l’avvocato restò in silenzio, con lo sguardo duro, rigirando tra le dita ciò che restava del naso del Duce.

    Il Maresciallo alzò lo sguardo verso il lago blu e, per la prima volta dopo molto tempo, si rese conto di che sapore potesse avere la paura. L’unica speranza, l’unica consolazione per il suo cuore furono l’immagine degli occhi di Marta ed il suo dolce sorriso che d’improvviso gli apparvero nella mente.

    3

    Giovedì 29 Luglio 1943 ore 8.00

    Stefano Airoldi aprì il telegramma proveniente direttamente dal Ministero dell’Interno. Così almeno recitava la scritta del mittente. Era indirizzato al Maresciallo Comandante della caserma di Stresa ma spiccava una scritta, Urgentissimo, che convinse Airoldi a leggere, malgrado l’assenza di Luca.

    Destinatario: Maresciallo Luca Gatti Comandante della Caserma di Stresa.

    Testo: In data 27 luglio arrivata a Meina, proveniente da Roma, presso Villa di Marchese Armando Boggiano Famiglia Petacci. Stop

    Confermare presenza di: Francesco Saverio Petacci, Giuseppina Persighetti, Maria Petacci, Marcello Petacci, Claretta Petacci. Stop

    Organizzare: servizio di vigilanza e vietare con la massima severità eventuali spostamenti. Stop.

    Comunicare: entro e non oltre ore 18.00 odierni i presenti appartenenti alla famiglia. Stop.

    Seguiranno ordini. Stop.

    Firmato: S.E. Maresciallo Badoglio Capo del Governo.

    Stefano, alla lettura della firma, rischiò uno svenimento e mancò poco dal cadere dalla sedia. «Minchia!!! Devo avvisare immediatamente Luca!!!» Pensò tra sé. Si alzò di scatto, con il telegramma in mano, aprì la porta e si scontrò violentemente con il maresciallo Gatti che stava proprio in quel momento entrando, finendo ambedue per terra.

    «Stefano!!! Ma che cazzo fai!!! Mi vuoi ammazzare???» Airoldi, rialzatosi prontamente, prese il braccio di Luca e lo aiutò a rimettersi in piedi. Senza dire una parola, gli porse il telegramma. Il maresciallo lo lesse due volte con attenzione. Alla fine lo posò sulla scrivania e si avvicinò alla finestra, guardando il lago, in silenzio. La giornata era magnifica. «Stefano!!! Tu sai chi sono queste persone?» chiese senza voltarsi. L’attendente si schiarì la voce e, dopo una breve pausa di riflessione, rispose: «Ma sì. Più o meno. Il Marchese Armando Boggiano lo conosco. Sono anni che ha acquistato una villa a Meina. Sua moglie Maria detta Myriam è un’attrice di cinema molto famosa e anche molto bella. Tutti qui sul lago li conoscono. Gli altri immagino siano i parenti di Myriam. Ma quello che non capisco è

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