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Blues delle risaie d'autunno: Il nuovo dell'agenzia Sambuco & Dell'Oro
Blues delle risaie d'autunno: Il nuovo dell'agenzia Sambuco & Dell'Oro
Blues delle risaie d'autunno: Il nuovo dell'agenzia Sambuco & Dell'Oro
E-book228 pagine3 ore

Blues delle risaie d'autunno: Il nuovo dell'agenzia Sambuco & Dell'Oro

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Info su questo ebook

“... non si poteva neppure escludere che sul suo taccuino fossero scritti altri nomi, e questo sospetto ormai aleggiava minaccioso sulla pianura, tra le prime nebbie autunnali, nelle case e nei bar dei paesi, creando quel clima di affascinante terrore che caratterizza ogni giallo che si rispetti. Ma qui non si trattava di un romanzo, un film o una fiction TV”. Mentre Sambuco attraversa un momento molto particolare della sua vita, segnato da un nuovo lutto, una donna viene assassinata in una cascina: di lei qualcuno dice che era una prostituta, altri persino una strega. Gli abitanti dei paesi che circondano il casolare dove è avvenuto il delitto, sono curiosi e preoccupati. In giro non si parla d’altro. Chi può essere l’assassino che ha infierito sul suo corpo fino a renderla irriconoscibile? Perché tanto accanimento? Quali segreti nascondeva questa donna sensuale e, soprattutto, con chi li condivideva, tra le risaie della pianura ormai pronte per il taglio? Il primo tra i sospettati è un ragazzo di colore, Otis, che vive alla cascina della Lupa con Felicino Gatti, il vecchio amico di Sambuco: il giorno precedente il delitto era stato visto in compagnia della vittima. Convinto della sua innocenza, Felicino Gatti, chiede al detective di indagare. Nel frattempo, ecco un altro caso per Sambuco & Dell’Oro: un ragazzo di Ferrara si presenta nell’Agenzia di Borgo Ticino e denuncia la scomparsa di sua madre che, secondo una lettera anonima, si trova proprio a Pavia. Intanto, all’insaputa di tutti, un assassino, o un angelo vendicatore, qualcuno che conosce molti segreti e coltiva un ideale di purezza e verità prepara la sua vendetta.

Alessandro Reali è nato a Pavia il 4 febbraio 1966. Per Fratelli Frilli Editori ha già pubblicato Fitte nebbie. La prima indagine di Sambuco & Dell’Oro (2012 III ed.), La morte scherza sul Ticino. La seconda indagine di Sambuco & Dell’Oro (2013 II ed.), Risaia crudele. Quei giorni dell’inverno del ’45 (2014), Sambuco e il segreto di viale Loreto. La nuova indagine di Sambuco & Dell’Oro (2014), Ritorno a Pavia. Un altro Natale per Sambuco & Dell’Oro (2015), La Bestia di Sannazzaro. Lomellina, inverno di guerra 1917 (2016), Ultima notte in Oltrepò (2016), Il fantasma di San Michele (2017), Pavia sporca estate (2018), La ragazza che sorrideva sempre (2019) e La matta di Milano (2020). Per Ticinum Editore ha pubblicato la raccolta di racconti Il diavolo del Ticino (2017).
LinguaItaliano
Data di uscita22 nov 2020
ISBN9788869434907
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    Blues delle risaie d'autunno - Alessandro Reali

    UNO

    I muscoli neri del ragazzo luccicavano nella luce color porpora del tramonto. L’odore acre della risaia pronta per il taglio gli penetrava le narici. La roggia scura era una cantilena, nascosta dalle robinie su cui s’appollaiavano gli ultimi uccelli della sera.

    Lo chiamavano Otis. Era originario della Guinea Bissau ed era giunto in Italia su un barcone, dopo essere rimasto tre settimane in un campo di detenzione libico dove veniva picchiato regolarmente e aveva patito la fame e la sete. Adesso questo sembrava non contare più nulla. Adesso era importante solo la donna che aveva conosciuto e che si era mostrata gentile con lui.

    Era andato alla cascina insieme al signor Lucio, il muratore di Alagna per cui lavorava occasionalmente. La cascina si chiamava La Pernice, era grande, una parte sana abitata e una diroccata, coi muri scrostati e i vetri rotti, e distava pochi chilometri da Valeggio. La signora si chiamava Ines: era bella, tonda come una pesca matura e, sode pesche mature, erano pure i seni che le sbocciavano dal vestito color rosso fuoco, mentre il sedere era tondo e sporgente come un’enorme melanzana.

    Quando Otis aveva finito di sistemare il portico gli aveva portato un bicchiere di vino Moscato, dolce e freddo. Le galline zampettavano intorno, curiose, mentre il gatto magro ammiccava al sole.

    Lui aveva bevuto senza levarle gli occhi di dosso.

    Lei allora aveva sorriso chiedendogli: Perché sei venuto in Italia?.

    Volevo stare meglio, come tutti. Magari diventare calciatore. Amo il Milan, lo seguo sempre. Poi mi sono rotto il tendine, qui, e non ho più giocato aveva risposto indicando il tendine d’Achille del piede destro.

    Ascolta, a me non importa nulla, anzi, tu mi piaci, Otis, ma alla maggior parte di noi scoccia avervi tra i piedi, lo sai, vero? Magari non te lo dicono in faccia, però è così.

    Stava per risponderle che lui era onesto, non rubava e non spacciava, faceva qualsiasi tipo di lavoro, aiutava il muratore, spazzava il letame nelle stalle e dava da mangiare ai maiali dei Monfasani di Tromello, ma in quel momento il signor Lucio era spuntato in fondo alla corte e, brusco, gli aveva detto di spicciarsi, perché lui non aveva tempo da perdere con le chiacchiere.

    Allora Ines si era avvicinata e gli aveva fatto una carezza, sussurrando all’orecchio: Quello è soltanto geloso, non aver paura, can che abbaia non morde. Torna quando vuoi che ci divertiamo.

    Il signor Lucio aveva ghignato e sputato per terra, con disgusto. Tornando verso la cascina della Lupa, sul furgone, gli aveva detto: "Otis, stai attento, ho visto come ti guardava la Ines, sai?

    È proprio bella, Lucio aveva risposto il ragazzo, nel suo italiano cadenzato alla portoghese.

    Sì, è bella, ma è un serpente a sonagli, qui lo sappiamo tutti. È una strega, viene da una famiglia di zingari. Tanti anni fa l’avrebbero bruciata viva, con buona ragione. La conosci la storia di Gioele, suo marito? L’hanno trovato in Terdoppio dopo un mese ch’era sparito. I lucci e i ratti gli avevano mangiato il naso. È stato identificato per l’anello e la catenina. Dicono che sia scivolato in qualche punto falciando la riva e poi la corrente lo abbia portato via. Io dico che si era buttato per disperazione. Oppure lei stessa l’aveva maledetto, perché è in affari col Demonio, che gli fa sempre certi servizi contro le persone che le stanno intorno, quando lei decide che è venuto il momento di sbarazzarsene. Vuoi fare anche tu quella fine? Prima di conoscerla, Gioele, era diverso, molto più sereno. Andavamo a pescare le carpe e le tinche nei canali. Certe sere riempivamo le cavagne d’anguille. Per quel che ne so io non era mai stato con una femmina, ma un bel giorno se l’è portata qui, a casa sua, e sono iniziate le sfortune. Era diventato matto e poi, va be’, è una storia lunga che a te non interessa. Stai soltanto lontano da lei, hai capito? Altrimenti passerai dei guai, sicuro.

    E il signor Denis?.

    Suo fratello? È venuto da Canelli, in Piemonte, dopo la morte di Gioele. Evidentemente aveva paura a stare sola, quella cagna in calore. Lui non parla mai con nessuno, è una bestia. Evita pure lui: è un tipo molto pericoloso. Ogni tanto spariscono, se ne vanno via insieme e la cascina resta chiusa, oppure stanno serrati dentro a fare i loro comodi. Qualcuno dice che siano amanti... Tra fratelli! Peggio delle bestie. Io capisco che tu hai voglia di una donna, sei giovane, ben messo, sano: ma se non te l’ha detto Felice Gatti, te lo dico io. Quelli come te non raccolgono troppe simpatie, in giro. Siete gli usurpatori giunti qui a rubare i soldi ai poveri italiani. Se sapessero che te la fai con una come la Ines, ti ritroveresti tutti contro e avresti finito di dormire sonni tranquilli. Insomma, molti si arrabbierebbero con te... ma alla fine, cosa sto qui a parlare, non lo so manco io, sono problemi tuoi e di quel matto del Gatti, però ti do un consiglio: per il tuo bene, sta lontano dalla cascina e da chi ci abita, altrimenti... Ora ti porto dal tuo amico e poi vado a bermi un bicchiere dal Beppe. Te lo dico francamente, non mi piace farmi vedere in giro con te, dopo il lavoro, senza offesa eh? concluse il muratore con un ghigno sprezzante.

    Così, fregandosene delle raccomandazioni di Lucio, giudicandole esagerate e dettate dall’invidia, quella sera Otis era tornato alla casa di Ines in bicicletta.

    Aveva detto a Felice Gatti che avrebbe fatto un giro lungo il canale, invece, pedalando sulle rive polverose, si era diretto alla Pernice.

    Rimuginava in preda a una smania che non passava, nonostante fosse andato due volte in bagno a smorzare l’eccitazione. Non riusciva a calmarsi. I pensieri finivano tutti lì... Sentiva il corpo acceso da un fuoco che partiva dal cervello, un fuoco che forgiava i muscoli e incendiava la fantasia. Forse non avrebbe avuto il coraggio di chiamarla, farsi vedere, addirittura toccarla. Però voleva starle vicino, lì, nei pressi della cascina, come il cane che aspetta l’ora per abbaiare inutilmente alla luna.

    Gli piacevano i colori intensi del tramonto. Non erano proprio come quelli di Bissau, il porto sul golfo dov’era nato, però gli regalavano una nostalgia positiva e, allora, provava a raccontarsi, cercando di essere convincente, che in fondo in fondo gli era andata bene: era scampato alla prigionia in Libia, aveva resistito alle percosse, attraversato il mare e poi vagabondato qua e là in Italia, prima di ritrovarsi, grazie a don Siro Pignatti, nella cascina di Felice Gatti, quell’uomo grande e grosso, un po’ matto ma gentile e generoso.

    Gli piaceva anche la terra calda sotto la pelle: era come un fermento; nel tramonto d’ottobre aveva un odore buono di risaia, mentre il sole a occidente incendiava un mare sterminato, biondo e asciutto, su cui volteggiavano le cornacchie in attesa del crepuscolo.

    Pensava a queste cose, lì acquattato tra l’erba alta, ma soprattutto pensava alla bocca di Ines, alle sue cosce robuste, ai seni che mal sopportavano il vestito striminzito e al sedere, grande e burroso.

    Quando, finalmente, vide il furgone del signor Denis che lasciava la corte, i battiti del cuore accelerarono...

    DUE

    Da quando era rimasta vedova la signora Ines viveva nella cascina della Pernice col fratello. Diceva di avere cinquant’anni, ma forse mentiva. Era grassoccia e volgare. Si tingeva i capelli di rosso ramato e se ne fregava delle malelingue che la definivano una puttana e una strega, capace di compiere malefici e organizzare orge. Alcuni, commentando nei bar dei paesi vicini, non escludevano affatto che, alla morte del marito, non avesse pianto sul serio neppure una lacrima, anzi: di lì a breve avrebbe intascato l’eredità e l’assicurazione e continuato a fare i suoi sporchi comodi con gli amanti che, occasionalmente, qualcuno raccontava avere visto varcare il decrepito arco d’ingresso della Pernice.

    Altri insinuavano che, sempre invasata di voglia, se la facesse col fratello, quel Denis dalla folta barba e la berretta di lana nera, puzzolente come un caprone, con addosso lo stesso maglione lercio estate e inverno. Un tipo che non dava confidenza a nessuno, tanto che si diceva in giro, per canzonarlo, che fosse muto; giunto dal Piemonte in soccorso della sorella quando questa era rimasta vedova, lavorava la terra e girava col motocarro raccogliendo ferrivecchi e spaccando la legna che poi caricava sul cassone. Era sospettoso, diffidente e falso come tutti gli zingari, dicevano, anche se pochi avevano sentito la sua voce né mai saputo con certezza se fosse davvero uno zingaro, dato che era, come Ines, un furèst, uno che veniva da fuori.

    Dopo l’ennesimo bicchiere di vino, Denis si alzò da tavola e, senza dire una parola, si avviò verso la porta. L’aria era umida, il gatto scarno miagolò sotto al portico. Attraversò la corte rischiarata dalla di luna, sputò in terra e raggiunse il motocarro, seguito dallo sguardo dolciastro della sorella, immobile dietro la tenda. Accese il motore del vecchio trabiccolo, già appartenuto a Gioele, e rombando s’inoltrò sul viottolo oscuro tra due file di pioppi.

    Otis prese coraggio e lasciò il suo nascondiglio, come un animale furtivo incerto sul da farsi per catturare la preda prescelta.

    Il crepuscolo, adesso, tingeva la campagna di blu.

    Si avvicinò alla casa e, timoroso, si avviò verso la porta.

    Bussò.

    Ines aprì e, nel vederlo, si lasciò andare in una sonora risata.

    Lo sapevo che saresti venuto, bello.

    Odorava di sudore, vino rosso e fumo di sigaretta.

    Lo prese per mano e lo invitò ad entrare. Spense la TV e lo fece accomodare sul divano.

    Sono contenta. Mi sento sempre tanto sola, sai?.

    .

    A cosa pensi?.

    A te.

    Ti ho guardato a lungo, oggi, mentre lavoravi con Lucio. Hai un corpo perfetto, giovane e forte, mi piace la tua pelle perché brilla, al sole disse Ines accarezzandogli il braccio, scivolando con lo sguardo verso la patta gonfia, tra le cosce muscolose vestite di jeans.

    Non riesco a pensare ad altro ma... Lucio dice che sei una strega e devo starti lontano, altrimenti finirò nei guai.

    La donna sorrise, poi disse.

    Sì, proprio una strega. Non ti ha detto che sono anche una puttana?.

    No.

    Peccato.

    Lo sei?.

    Ines sorrise.

    Un po’... dipende.

    Il ragazzo mostrò i denti, bianchissimi.

    Hai paura di me? chiese Ines.

    No.

    Vuoi bere?.

    .

    Si alzò e prese due bicchieri e versò una bella dose di vino rosso dalla bottiglia al centro della tavola ancora apparecchiata, con i resti del salame, del pane e del formaggio.

    Salute disse avvicinandosi sempre di più.

    Mi piaci tanto disse Otis, posando il bicchiere.

    Lo so. Anche tu... mi guardavi in un certo modo, oggi, come se avessi voglia di spogliarmi tutta nuda. Sai, la vita qui non è facile. Son tutti buoni solo a far pettegolezzi. Sul mio conto se ne dicono troppe, sempre per invidia, ma tutto il mondo è paese e tu, bello, da me non hai proprio niente da temere, anzi... Mio fratello è buono, un gran lavoratore, ma è così stupido, e io mi annoio... a me non importa se sei nero, quando vuoi puoi venire a trovarmi, così ci divertiamo. Mi piacciono i ragazzi come te, capito?.

    Sono mesi che non tocco una donna e tu, tu sei così bella, Ines.

    Sta’ zitto, adesso, per carità. Sta’ zitto e alzati!.

    Il ragazzo si alzò.

    Lei restò seduta, con gli occhi accesi all’altezza della cintura. Gliela slacciò e fece scivolare i calzoni fino alle caviglie. Un sorriso perfido le segnò il viso, come una scudisciata improvvisa. Lui chiuse gli occhi e, quando percepì il calore umido della sua bocca si morse il labbro inferiore e gettò indietro il capo fitto di capelli crespi.

    Dopo aver fatto l’amore terminarono la bottiglia di vino guardando in televisione un programma dove cantavano canzoni popolari e ballavano. Otis non era abituato a bere; gli girava la testa e sentiva uno strano ronzio nelle orecchie. Andò in bagnò, vomitò e si lavò la faccia con l’acqua gelata.

    Vieni, ti metto a letto disse Ines poco dopo.

    Se torna tuo fratello?.

    Non credo torni presto. E poi non importa, è abituato.

    Dormì un sonno agitato, pieno di voci, di odori e colori. Le strade accese di Bissau. I giorni del carnevale con la musica, i santi dei portoghesi e gli spiriti degli antenati. I corpi unti di olio di palma e le collane di conchiglie tra i capelli, suo padre e sua madre che lo portavano al parco verde e poi sul mare giallo scuro. Il legno del guardiano libico che gli sferzava le gambe e il coltello del soldato che gli tracciava la carne dei polsi e l’odore di feci e piscio sul barcone tra i bambini che piangevano e le donne con le labbra secche. L’odore che mutò in quello decisamente acido del corpo candido di Ines, così diverso dal suo, nero e tonico. Quell’odore di pelle bianca, di seni rosa, di peluria fradicia alla cui fonte, rossa e carnosa, si era saziato come un poppante.

    Gli scoppiava la testa. Perché aveva bevuto così tanto, lui che non beveva mai, nemmeno con Felice Gatti, che teneva sempre una bottiglia pronta in frigorifero? Allungò una mano di fianco cercando il corpo della donna. Non c’era nessuno. Dov’era finita, Ines? Forse il fratello era tornato e lei aveva dovuto inventare una scusa per giustificare la sua presenza. Con uno sforzo tremendo si alzò e indossò la maglietta e i jeans. Aveva freddo. Aprì la porta, attraversò il corridoio e lentamente socchiuse l’uscio della cucina. La luce era accesa e Ines stava stesa sul pavimento. Un coltello era ficcato nella pancia e lei teneva le mani intrecciate attorno alla lama. La vestaglia aperta mostrava il sesso scuro sporco di sangue. Com’era possibile? Si avvicinò, toccò il sangue sul ventre, cercò di guardarla e vide l’orrore di quello che era stato un viso, completamente tumefatto dai colpi ricevuti: una bestia si era accanita con ferocia fino a renderla irriconoscibile, senza occhi, naso e bocca.

    Non sono stato io, Ines... non sono stato io disse.

    La donna, naturalmente, non si mosse e non rispose.

    Otis varcò la porta e corse fuori, nell’aria fredda della notte. Il cervello gli martellava il cranio e il cuore il petto. Raggiunse la bicicletta e pedalò alla massima velocità verso la cascina della Lupa, pensando a cosa avrebbe raccontato al suo amico Felice, e la parola amico, come una carezza calda, lo rincuorò un poco.

    TRE

    Sambuco versò una generosa dose di Laphroaig, quindi disse, rivolto ad Anna Salimbene che sedeva di fronte a lui.

    È successo così in fretta e adesso è come se una parte di me fosse morta con lei. Tanti anni fa era successo con il mio piccolo, e ora... anche se tutto si era sgretolato da un pezzo, io, sono così spaesato... Sembrano frasi fatte, Anna, luoghi comuni, ma è proprio così.

    Sedeva nella poltrona del suo ufficio in Borgo Ticino. Era la prima volta che ci metteva piede dal giorno della morte di sua moglie.

    Un mese esatto...

    Erano stati al mare, dopo moltissimi anni che non facevano vacanze, e tutto sembrava andare per il meglio. Il loro non era più un rapporto d’amore, lo sapeva. Lui aveva avuto una relazione con Marzia¹, la cognata del conte di Oramala di Fortunago e, da circa sei mesi, qualcosa di significativo era successo con Valeria², avvenente studiosa d’arte che conosceva dai tempi della scuola.

    A Diano Marina, lui e sua moglie, avevano passeggiato a lungo, soprattutto al mattino e al tramonto, quando il mare si accende dei colori più belli e la brezza salmastra riempie i polmoni.

    La sera, Sambuco, beveva una bottiglia di vino bianco, Pigato o Vermentino, fumava la pipa e rifletteva: con il passare degli anni assomigliava sempre più

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