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Destino Inatteso
Destino Inatteso
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E-book215 pagine2 ore

Destino Inatteso

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Info su questo ebook

Il racconto si dipana tra le regioni del Maghreb, l’Italia ed il Medio Oriente, in un contesto attuale. L’assetto politico internazionale è governato da forti tensioni tra i paesi “tradizionalmente” Islamici e i paesi “Occidentali”. L’ISIS rivendica un serie di attentati in Algeria, mentre l’Iran tenta di dare impulso allo sviluppo del nucleare, contro le aspettative dell’ONU e del resto del mondo.
Algeri (Algeria)– Per una coppia d’italiani, la città si trasforma inaspettatamente da residenza ideale e amata, in luogo ostile da cui allontanarsi rapidamente.
Hagelloch (Germania) – Nicholas Wharz, un bimbo di appena dieci anni e suo padre Alexander, scompaiono in circostanze misteriose.
Milano (Italia) – La vita di un uomo viene scossa da incontri ed eventi inaspettati, dalla sua scelta e dal suo operato dipenderà la sorte di alcune persone in pericolo di vita.
Andimeshk (Iran) - Una raffineria in una desolata zona a sud dell’Iran, importante crocevia per il commercio del greggio e passaggio obbligato per lo sbocco sul golfo persico, è anche un luogo dove viene custodito un segreto che mette a repentaglio la vita di persone innocenti.
Tutto ha un nesso, tutto è chiaro infine, gli è stato chiesto di agire, di recuperare ad ogni costo le informazioni necessarie. E’ così che Nino si ritroverà catapultato in un mondo che pensava essere distante anni luce e che invece è diventato la sua pericolosa realtà.
LinguaItaliano
EditoreTom Avito
Data di uscita5 mar 2017
ISBN9788826035307
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    Anteprima del libro

    Destino Inatteso - Tom Avito

    dell'autore

    DESTINO INATTESO

    Tom Avito

    Ad Antonio, uomo di sensibilità infinita, padre esemplare, costante ispirazione della mia vita e parte del mio essere.

    Tom Avito

    Prologo

    Algeri, 01/07/2009

    Ore 09.00 a.m.

    Un fragoroso boato mi sorprese alle spalle, tentai di voltarmi ma un’energia dalla potenza spaventosa mi sollevò e mi scaraventò in avanti. L’onda d’urto mi strapazzò come un fuscello, impotente caddi rovinosamente sull’asfalto e persi conoscenza.

    La forza terrificante dell’espansione dei gas di detonazione mi sfondò un timpano e il tremendo impatto con il suolo mi procurò profonde escoriazioni sugli arti.

    Mi risvegliai sul lettino dell’ambulanza, senza rendermi conto di quanto tempo fosse trascorso. L’ipnotico ripetersi del suono della sirena mi rimbombava nella testa, sembrava fossi rinchiuso all’interno della cassa di risonanza di un enorme strumento acustico.

    Cercai invano di ricordare, tutto mi risultava confuso e contorto, sprazzi di memorie certe s'intrecciavano a creazioni surreali, rendendo indecifrabile la vera realtà.

    Avevo gli avambracci e le ginocchia che bruciavano come fuoco vivo per le abrasioni, il dolore m'impedì di abbandonarmi all’oblio e svenire nuovamente.

    Mustapha Hospital, iniziai a ricordare. La nebbia che offuscava la mia mente si diradava, era Giovedì e mi stavo recando in ufficio, quando quel boato terrificante mi aveva colto di sorpresa.

    Capitolo 1

    Algeri, 18/07/2009

    Ore 02.30 a.m.

    Il rimpatrio

    L’instancabile frinire delle cicale copriva il silenzio e la quiete della calda notte estiva. Il dolce stridio, anziché cullare la sua mente e concedere al suo corpo di abbandonarsi definitivamente alla stanchezza, lo angosciava come la colonna sonora di un incubo divenuto la sua inaccettabile realtà.

    Nino era disteso accanto a Sara, arrovellandosi la mente su come quell'insostenibile situazione potesse essersi generata in così breve tempo. Gli eventi degli ultimi giorni avevano alzato il livello di tensione in Algeria come non accadeva dai tempi del colpo di stato del 1992 e la presenza corposa di stranieri, soprattutto europei, non contribuiva di certo a calmare gli animi degli integralisti più radicali. Nelle ultime settimane si era soffermato spesso a pensare come sarebbe cambiata la sua vita lontano dall’Africa, come la sua esistenza sarebbe stata totalmente stravolta, le sue certezze, le sue abitudini, le sue fraterne amicizie. Lui, nato nel cuore del Maghreb, vissuto negli spazi sconfinati del deserto e nutrito a cous-cous ed a hraimi [1] , costretto a scappare come un disonesto fuorilegge dalla terra che lo aveva adottato? Purtroppo stava accadendo, suo malgrado questa era la strada che gli si prospettava. Come se volesse trovare conferma della pericolosità del momento, si toccò le escoriazioni ormai rimarginate, ricordi lasciati dall’attentato di qualche settimana prima.

    Il senso di responsabilità che nutriva per l’incolumità di Sara, gli imponeva di imboccare la via meno pericolosa e prudente. Il momento era giunto, quello che aveva sperato di evitare, quella che era stata solo un’ipotesi, divenne realtà.

    Era rimasto a lungo insonne, si sedette lentamente sul bordo del letto, poggiò i piedi sul pavimento fresco, almeno così gli parve rispetto al crogiolo del letto e rimase per qualche secondo fermo a godere di quella sensazione. Si alzò e si diresse verso la porta spalancata del terrazzo che guardava fino al mare. Per un attimo la sua mente volò via dai pensieri che lo assillavano, ricordando i tempi sereni della sua adolescenza, gli amici che lasciò a Tripoli per trasferirsi a Tunisi e ancora quelli che salutò in questa città, per spostarsi nei sobborghi di Algeri. Li ricordava perfettamente uno ad uno, i loro soprannomi, le loro voci, il loro modo di ridere. Il passare inesorabile degli anni aveva scremato queste sue vecchie amicizie, lasciandogli ormai contatti solo con i più intimi ma la sua vita sarebbe sempre rimasta permeata da quei legami, in una simbiosi apparentemente indissolubile. Gli scappò un sorriso ripensando ai tempi passati, era scalzo, leggermente chinato in avanti e appoggiato con i gomiti alla ringhiera nera di ferro battuto, con lo sguardo perso verso l’orizzonte blu scuro della notte che confondeva il mare con il cielo.

    Gli attentati rivendicati dall’ISIS si erano susseguiti con frequenza sempre maggiore, l’efferatezza con cui venivano compiuti era un’escalation continua che presagiva al peggio. Dopo l’auto bomba esplosa in centro città, per la quale riportava ancora i postumi di varie ammaccature, un cargo italiano ormeggiato in porto, era stato oggetto dell’ultimo attentato. Un commando durante la notte era salito a bordo della Levante, nove terroristi armati di AKS47, un modello alleggerito del tradizionale kalashnikov, avevano sopraffatto i due marinai di guardia sul ponte, avevano giustiziato gli altri tredici membri dell’equipaggio, decapitato i corpi del comandante, del secondo e del capo macchina. Le loro teste erano state macabramente esposte con delle funi, alla paratia esterna della nave. Le immagini raccapriccianti riportate dai media erano ancora fisse nella mente di Nino. I visi delle tre teste penzolanti, con i loro sguardi ancora bloccati in espressioni di puro terrore, misto a incredulità ed impotenza, ritornavano involontariamente e si materializzavano tra le sue sinapsi senza preavviso.

    Quello che era accaduto, lo aveva scosso particolarmente, sia per la crudeltà esercitata, sia perché era stato attuato contro dei connazionali. Tutto sembrava molto più vero, tangibile e vicino, faceva sentire ancor più lui e Sara sua moglie, dei potenziali bersagli. La decisione di abbandonare la loro città, la loro terra, era stata dolorosa ma saggia e obbligata.

    Albeggiava, i colori iniziavano a rischiarare il cielo con un pallido rosa e un tenue azzurro, la luce creata traspariva attraverso le sue palpebre chiuse solo da poche ore. Mentre i suoni soffici della realtà cominciavano a essere percepiti sempre più nitidamente, le labbra di Sara sfiorarono le sue.

    Nino, dobbiamo andare.

    Rimase qualche secondo disteso su letto con lo sguardo fisso verso le pale del ventilatore da soffitto che ancora ruotavano, smuovendo dolcemente l’aria densa della stanza.

    Sembra impossibile, non ha senso tutto quello che sta accadendo. Rispose sconfortato.

    Ne abbiamo già parlato a lungo. Per favore. Replicò Sara.

    Dobbiamo scappare, abbandonare il luogo dove viviamo da anni, dove abbiamo amicizie consolidate, dove stimiamo tante persone e dove siamo stimati, per l’assurdo comportamento di pochi idioti! Intanto le mani strizzarono con forza il cuscino, adagiato sotto il capo.

    E’ vero Nino, è tutto inconcepibile ma è così.

    E’ duro da accettare Sara, questa è anche la nostra casa, siamo stati adottati da questa terra 30 anni fa! La nostra vita l’abbiamo passata in questi luoghi, tra queste persone. Adesso? Cosa è cambiato? Siamo forse diventati dei disonesti criminali?

    Si alzò, indossava solo un paio di boxer bianchi con quadri blu, il suo fisico era in perfetta forma, la carnagione brunita e cotta dal sole estivo si accostava perfettamente ai capelli corvini appena mossi. Le prime luci dell’alba avevano lasciato il posto all’azzurro intenso di una splendida mattinata estiva. A piedi nudi si diresse verso la porta aperta del terrazzo, appena varcò la soglia una lieve, fresca brezza marina accarezzò il suo corpo per un ultimo affettuoso abbraccio, i pori della sua epidermide si strinsero drizzando i peli nella più classica delle cuti anserine. Così il suo corpo volontariamente rispose all’abbraccio d’addio che l’estate Algerina gli donò.

    Gli ultimi tre giorni passati ad Algeri per gli Avito furono vissuti in un’atmosfera irreale, come protagonisti di un destino amaro in una città amata che dopo averli ospitati per anni, adesso li stava discriminando e allontanando come persone indesiderate. Erano ormai pronti ad abbandonare la loro casa, il loro nido dei tempi spensierati e il loro rifugio negli ultimi mesi di angosce. Sara prese la caffettiera ancora tiepida, rimasta sul top della cucina, era carica di fondi di caffè, la aprì, la sciacquò e mentre la ripose nel pensile come se dovesse essere pronta ad un altro uso, udì il marito alzare il cordless dalla sua base e comporre un numero. Due squilli e alcuni secondi di profondo silenzio, poi Nino capì che dall’altro capo della linea Amir aspettava che qualcuno parlasse.

    Amir Hashi abitava al 4° piano di una recente palazzina tinteggiata di bianco, in Avenue Merabet Athmane, accanto all’Hotel El Djezair. Caro amico e collega, aveva avuto da poco la possibilità di trasferirsi in quella parte centrale e tranquilla della città, ritenuta da tutti una delle zone più belle e signorili. Residenza di professionisti e uomini d’affari, oltretutto molto comoda e vicina alla centralissima sede della Swiss Exploration, per la quale lavoravano. Gli Avito abitavano nella stessa strada esattamente di fronte al palazzo di Amir, in un piccolo appartamento appena ristrutturato.

    Ciao testone. Esordì Nino.

    Stiamo partendo Amir, l’aereo è alle 09.30, mi raccomando, riguardati amico.

    Mi spiace. Davvero, mi spiace molto! Rispose Amir.

    Lo so. Aspettiamo sempre il tuo invito per quel famoso cous-cous che non abbiamo più avuto il piacere di gustare. Un abbraccio anche da Sara, è di là che sistema le ultime cose in cucina, come se dovessimo ritornare fra un’ora. Le donne, chi le potrà mai capire fino in fondo?

    Amir era commosso ancor più di Nino, si sentiva in parte colpevole per quello che stava accadendo nel suo paese, per come stava forse perdendo un amico fidato che aveva unicamente la colpa di non essere né arabo, né mussulmano.

    Ciao fratello, Allah vi protegga! Siete parte della mia famiglia e rimarrete sempre tali, anche se d’ora in poi ci allontanerà qualche migliaio di chilometri in più. Vi aspetto per il cous-cous!. La voce di Amir era palesemente alterata, tentava di non lasciar trasparire il momento di forte emozione. Segno e conferma che quell’indissolubile legame d’amicizia che esisteva da molti anni, andava oltre ogni religione, colore o costume. Era semplicemente molto più profondo, quasi genetico, un legame che non poteva essere né comprato, né disgregato con ideologie mentitrici o differenze ipocrite.

    La forte spinta sui sedili si avvertì dopo un breve rullaggio dei motori. L’accelerazione dell’Airbus 320 della Swiss Air fu graduale e potente, il muso dell’aereo s'impennò lento, lasciando il suolo africano sotto il sole cocente di quella splendida mattinata. Si udì il rumore soffocato dei motori idraulici che spingevano il carrello all’interno dell’apposito vano, una lieve virata verso nord e dal finestrino si scorse la costa Algerina e le sue bianche spiagge allontanarsi rapida.


    [1] a hraimi - Piatto tipico della cucina di Tripoli. Pesce in salsa piccante.

    Capitolo 2

    Milano, 05/11/2011

    Ore 08.00 a.m.

    Nebbia

    Non mi abituerò mai a questa città e a questo clima di merda! Imprecò Nino.

    Cosa? Scusa ma non sento. Lei era alle prese con il latte da riscaldare e le fette di pane integrale da inserire nel tostapane, la luce fioca e plumbea che filtrava dall’ampia vetrata lasciava trasparire le sue forme attraverso la mise da notte.

    Niente, non ti preoccupare. Pensavo a voce alta. Esco per una corsetta, farò colazione più tardi.

    Ok amore. Rispose Sara, continuando a spalmare il burro sulle fette di pane.

    "Tornerò fra un'ora, pensavo di portarti in centro per un boccone e poi al Museo Diocesano per la mostra su Gli occhi di Caravaggio, oggi è l’ultimo giorno disponibile. Cosa ne pensi del programma?"

    Perfetto! Una doccia veloce e poi appena il tempo di preparami.

    Appena il tempo? A Caravaggio sarebbe sufficiente per ridipingere uno dei suoi capolavori!

    Che simpatico! A volte restaurare è ben più delicato che creare, caro mio. Cogliendo il tono ironico, rispose Sara.

    L’abbigliamento invernale in tessuto tecnico si rivelò insufficiente, il freddo pungente di quella mattina penetrava come l’acqua tra le maglie di una rete da pesca. Una flebile ma inesorabile pioggerellina cominciava a cadere dal cielo grigiastro, poggiandosi sui suoi corti capelli neri, scivolandogli piano sul viso.

    Il parco a due passi da casa dove correva abitualmente, era quasi deserto e i sentieri sterrati tagliavano il verde dei prati come giganteschi pezzi di un unico puzzle. S'intravedevano in lontananza solo i colori fosforescenti degli impermeabili d'irriducibili runners, muoversi ritmicamente.

    Riuscì a rompere al meglio il fiato dopo un paio di km, non sentiva più il freddo penetrargli nei polmoni ad ogni inspirazione, il cuore pompava infaticabile e ne sentiva i battiti fino all’altezza della vena temporale. Il marmo di cui sembravano forgiate le gambe nei primi metri sembrò sciogliersi lentamente, mentre il GPS vocale gli comunicò attraverso gli auricolari che aveva appena raggiunto il quinto chilometro. Il ritmo era sensibilmente aumentato, gli sembrava di muoversi d’inerzia, in questa condizione il suo corpo sapeva come dosare le energie. Il pensiero si discostò dalla gestione della fatica fisica di quel momento e scivolò verso le responsabilità che gli sarebbero piombate addosso per il suo nuovo incarico.

    Affidatogli solo pochi giorni prima, direttamente dal Vice president Steve Helson della sezione East Area, l’accordo per lo sfruttamento dei pozzi di Naft Shahr rappresentava un traguardo importante, forse unico, per la sua crescita professionale. Conosceva Helson dai tempi dell’Algeria, era una persona per cui nutriva molta stima, un duro e come al solito era riuscito ad essere molto persuasivo. Gestire i rapporti con la compagnia petrolifera di stato Iraniana e occuparsi dell’organizzazione di tutto l’apparato logistico della SE per la gestione del greggio, dal punto di estrazione alla nuova raffineria di Andimeshk e poi al porto di Bandar Abbas, sarebbe stato un compito di grande responsabilità e di elevatissimo ritorno economico.

    L’impegno lo avrebbe tenuto lontano da casa, non rimaneva altro che affrontare il problema con Sara, che in questo caso temeva ben più di Helson.

    Dopo aver pranzato in un ristorantino in centro città, si diressero verso il museo che ospitava la mostra dedicata all’immenso genio di Caravaggio. Trascorsero l’intero pomeriggio ammirando estasiati, uno ad uno i sessantadue dipinti che illustravano il contesto artistico in cui il Caravaggio si trovava a operare nei primi anni di studio, attraverso opere anche del Tiziano, del Tintoretto e di altri maestri dell’epoca.

    Appagati da quel pomeriggio d'immersione totale nella pittura dei maestri del 500 italiano, rientrarono sazi d’arte verso casa, incolonnandosi nel traffico perenne della circonvallazione interna.

    Helson mi ha offerto un incarico importante giovedì scorso, devo dargli una risposta entro la prossima settimana. Esordì Nino, interrompendo quel silenzio immaginario creatosi mentre erano in auto fermi ad un semaforo, quasi ipnotizzati dalle luci rosse degli stop delle vetture che li precedevano, velate dai chiari fumi dei gas di scarico.

    Benissimo! Esplose entusiasta Sara, come se lui le avesse appena confidato la realizzazione di un suo sogno recondito.

    Di cosa si tratta? continuò.

    Un importante business in Iran, lo sfruttamento di un grande giacimento petrolifero, Helson vuole che me ne occupi io.

    Mi sembra che tu sia propenso ad accettare da come ne parli. Rispose Sara con un pizzico di rassegnazione.

    L’occasione è unica, professionalmente rappresenta una crescita rilevante e l’impegno non dovrebbe essere poi così proibitivo.

    Mi rendo conto. Disse Sara, non volendo ostacolare un passo così importante.

    "Spero solo che sia per poco tempo. Averti tra le mie braccia ogni sera prima di addormentarmi è una necessità di cui non posso privarmi

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