Diario di un'estinzione: Coscienza
Di Black Queen
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Cristo morì sulla croce per salvarci. Per caso era il turno dell’umanità? Era tempo di restituire il favore, di sacrificare i corpi terreni, d’incontrare il creatore e purificare le anime?
Domande senza risposta, enigmi irrisolti dominarono la mente di Abril.
Non lo videro arrivare.
I dogmi, le credenze, lo stato infinito di superiorità che caratterizzava la maggior parte della razza umana, i poteri politici, le religioni con i loro milioni di fedeli uniti in una vana preghiera universale, il potere di acquisto di pochi che dava loro l'autorità d'impadronirsi di qualunque cosa o persona sulla faccia della Terra; assolutamente niente, poteva fermare l'invasione, l'annientamento di milioni di esseri umani senza distinzione di etnia, colore o religione, all'estinzione del nostro io.
Migliaia di anni di evoluzione. Tanto spargimento di sangue. Esseri umani, che avevano imparato a essere forgiati, schiavizzati, dominati... dittature, leggi, paura, oppressione, libertà utopica, democrazia, sogni, parole distinte che ricoprivano lo stesso lupo. Tanto dolore, tanto sforzo per placare quella spregevole genetica autodistruttiva. Alla fine...
Non lo videro arrivare.
Diario di un' estinzione: la coscienza, rivela la fine di una saga che è già stata letta da migliaia di lettori.
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Anteprima del libro
Diario di un'estinzione - Black Queen
Astronave della federazione Last Frontier
396 dopo la ritirata
Cristo morì sulla croce per salvarci. Per caso era il turno dell’umanità? Era tempo di restituire il favore, di sacrificare i corpi terreni, d’incontrare il creatore e purificare le anime?
Domande senza risposta, enigmi irrisolti dominarono la mente di Abril.
Non lo videro arrivare.
I dogmi, le credenze, lo stato infinito di superiorità che caratterizzava la maggior parte della razza umana, i poteri politici, le religioni con i loro milioni di fedeli uniti in una vana preghiera universale, il potere di acquisto di pochi che dava loro l'autorità d'impadronirsi di qualunque cosa o persona sulla faccia della Terra; assolutamente niente, poteva fermare l'invasione, l'annientamento di milioni di esseri umani senza distinzione di etnia, colore o religione, all'estinzione del nostro io.
Migliaia di anni di evoluzione. Tanto spargimento di sangue. Esseri umani, che avevano imparato a essere forgiati, schiavizzati, dominati... dittature, leggi, paura, oppressione, libertà utopica, democrazia, sogni, parole distinte che ricoprivano lo stesso lupo. Tanto dolore, tanto sforzo per placare quella spregevole genetica autodistruttiva. Alla fine...
Non lo videro arrivare.
Le pareti grigie s’illuminarono. Abril era nel bel mezzo della stanza ermetica dieci per dieci. Impugnava un coltello per mano, con le lame affilate verso la parte interna degli avambracci.
Smith e gli altri studenti della scuola di sopravvivenza osservavano da una cabina di vetro da diversi metri di altezza, proprio sopra, colei, un giorno non molto lontano, li avrebbe portati a riconquistare il loro mondo.
«Sono pronta» sussurrò Abril.
La luce si attenuò, creando un’atmosfera tetra e angosciante. Non sembrò turbarla. Chiuse gli occhi e inspirò profondamente fino a riempire i polmoni. Aguzzò l'udito mentre inclinava la testa nella direzione di un tintinnio che si sentiva in lontananza: le catene arrugginite che sostenevano un'insegna di legno, impresse alcune lettere bianche in rilievo le quali recitavano Ostello, stridevano ogni volta che si dondolavano ed esercitavano resistenza a un vento caldo che proveniva da ovest.
Metallo contro metallo.
Sabbia contro cristallo.
Abril respirò il biossido di carbonio e aprì gli occhi. I suoi pori unsero la pelle di un sudore acido. Non era la paura che provocava tale reazione, ma il grado di umidità nell'ambiente.
I veicoli parcheggiati alla destra della carreggiata a senso unico da qualche tempo avevano perso il loro splendore: lo smalto si screpolava come sabbia punita dal cocente sole del deserto e la vernice s’increspava sull'alluminio. I vecchi lampioni sopportavano ancora il passaggio del tempo indeterminato, e all'interno dei loro opachi globuli di vetro scintillavano le lampadine in un'intermittenza da brivido. Gli edifici limitrofi alla strada erano stati inghiottiti dalla sterpaglia e infiniti rampicanti li abbracciavano come se madre natura restituisse i successi dell'umanità in un luogo dal quale non sarebbero dovuti mai uscire.
Abril sbatté le palpebre, un paio di volte di fila, ma subito si rese conto che non era lei il problema. Le sue retine non captavano in pratica i colori vividi in condizioni normali, il paesaggio in sostanza sputava toni sgranati come in una di quelle foto antiche. Tuttavia, ella si distingueva con un’intensa tonalità di colori che emanava un piccolo fascio di luce intorno a lei.
Alla fine dei blocchi abitativi, si elevava un'atipica costruzione di legno in mezzo all'asfalto, il cemento consumato degli edifici e le automobili inghiottite dalla ruggine. Sembrava uscita dal racconto di una fiaba: le sue piacevoli sfumature brunastre del legno, la lucentezza della vernice applicata di recente, e la sensazione di freschezza che invitava a sdraiarsi su un prato che costeggiava un sentiero di pietra. Memorie vaghe, vuote e prive di significato si delineano sulla corteccia e si confondono nel vuoto.
Lo scenario produttore di sensazioni positive, al contempo angosciante, aumentò la sua facilità di portarla verso il lato oscuro. A sinistra di Abril, si udiva un rumore a bassa frequenza, accompagnato da un'ondulazione orizzontale al terzo piano dell'edificio di cemento e di struttura granulata. Un altro rumore di nuovo provocò un movimento ondulatorio, anche se questa volta in verticale. Sembrava una disfunzione asincrona, ma, poi, il cielo si tinse di rosso sangue, sfumando la sua intensità machiavellica in toni arancioni mentre si dissolveva all'orizzonte.
Odore di morte, disperazione, carne bruciata. Caddero sottili frammenti di pelle umana. Essi ondeggiavano su di lei in una danza sottile, ironica, come se volessero parlarle un linguaggio strano nel quale affioravano domande sistematiche: Vuoi essere uno dei nostri?
Sai che potrai volare come noi?
I frammenti bruciati che si susseguivano scivolavano sotto la densa oscurità.
«Interessante. Questo è tutto? —mormorò Abril mentre alzava la testa per esclamare a pieni polmoni— Non hai niente di meglio da offrirmi, Smith?!»
Avanzò, lentamente, verso il centro della strada, disegnando sul volto un sorriso schizofrenico. Uno dei suoi sensi elevati al suo massimo esponente la mise sulla difensiva. L'odore di morte impregnava le sue narici, a ogni passo i frammenti di pelle scricchiolavano sotto i suoi piedi e le sue domande affogarono. Uno spettacolo sinistro per la performance finale. Una scarica di fulmini si unì alla festa, cedendo il posto a una pioggerellina di gocce di sangue, salate, viscose. Gli edifici bruciavano, e il grigio granulato delle loro pareti cominciava ad assumere un colore arancione che sbiadì in lingue di fuoco sotto il sangue intenso che il cielo infernale continuava a vomitare.
Abril piegò i gomiti e alzò le braccia. Era pronta per l'ultimo round. Brandiva ancora i coltelli, la lama verso gli avambracci interni, con la stessa grazia di un maestro samurai, anche se il suo sguardo assetato di sangue e di vendetta era lontano dal codice e indottrinamento di quelli che un tempo furono quegli affascinanti guerrieri.
Grugniti nella notte, cantici affamati, brama di carne, cacofonie di oltretomba rimbalzavano tra il metallo: tutto si mescolava in un sentimento di potere, dominazione, distruzione... Estinzione.
Le vetrine dei negozi, i finestrini delle automobili e le finestre degli edifici residenziali esplosero in mille pezzi. Abril si trattenne. Non aveva sentito alcun rumore, sebbene avesse ottenuto uno spettacolo visivo adattato alla situazione: i milioni di piccolissimi frammenti si fermarono in aria, intrappolati in una pausa infinita nel centro della strada, assorbendo il colore arancione delle fiamme che crepitavano e continuavano a consumare le viscere degli edifici. Affascinante e grottesca rappresentazione che per nulla la intimidiva. Non aveva perso tempo come la stragrande maggioranza, come tutti quelli che erano stati salvati il giorno dell'occupazione extraterrestre e continuavano ancora a piangere, lamentandosi della perdita dei propri cari. Non lei. A ventiquattro ore dall'entrata nella Last Frontier, e nonostante il rifiuto della nonna Ana e Smith, cercò il sostegno dei migliori militari e mercenari senza scrupoli nati per uccidere, e che stavano per insegnarle l'arte della guerra. L'azione sconsiderata di Abril creò una grande incertezza al comando degli ultimi esseri umani nel sistema solare. Sebbene ci fossero lunghi incontri e deliberazioni, non poterono fermare il desiderio di riconquista di un'adolescente che in fin dei conti, nella sua mente l'unico obiettivo primario ed egoista era quello di trovare sua madre, viva o trasformata.
La strategia del capitano Guzmán era abbastanza chiara: avevano perso ogni speranza di riconquistare il pianeta, almeno per il momento. Salvaguardare quel poco che rimaneva della razza umana, era nelle loro mani, e finché stavano nella Last Frontier — una struttura spaziale autonoma — erano al sicuro. Tutto il resto era un'utopia, una missione suicida. Tuttavia, quello stadio di conforto che il capitano pretese di stabilire, non fermò l'ansia di giustizia di centinaia di adolescenti che si unirono alla causa di Abril. Ognuno di loro (con le proprie motivazioni, religioni disparate, razza, cultura e diversa posizione sociale) si unì a una stessa causa: eliminare tracce di Oscuri dalla faccia della Terra. Una battaglia persa prima di iniziare e che l'alto comando non approvava, ma non fece nulla per ostacolare la sua realizzazione: non aveva nulla da perdere se non un centinaio di adolescenti incontrollati che si stavano dirigendo verso una morte prematura e molto da guadagnare se, finalmente, quei guerrieri avessero raggiunto il loro obiettivo. Lì si trovò Abril, di fronte a quei guerrieri che la seguirono. In maniera spontanea e naturale seppe contenere l'ira, la rabbia e la vendetta in una società speciale: si fecero chiamare i Dissidenti. Trecento giorni di duro allenamento servirono per educare quei sentimenti distruttivi, accecanti e incontrollabili in potenti armi letali che avrebbero utilizzato contro quegli odiati Oscuri. Prima di atterrare di nuovo sulla Terra, la leader doveva superare l'ultima prova.
Abril fissò lo sguardo alla fine della strada, sulla casa dai colori vivaci. Sembrava l'obiettivo essenziale di quella cornice antagonista. Una profonda solitudine s’impadronì dello scenario claustrofobico. L'assoluto silenzio perforò il plesso solare della ragazza. L'ansia affiorò, accapponando la pelle. Un'interruzione senza tempo rallentò la presunta realtà: poté vedere in dettaglio la trasformazione chimica delle fiamme consumare la materia, come si sfumavano i vivaci colori rossastri e il loro stadio cangiante per il passaggio della poca luce che circolava a scapito del suo sistema visivo. Poi, un acuto suono tagliente e affilato come il coltello di un macellaio, la costrinse a chiudere le palpebre e a sforzarsi a non cadere in ginocchio.
Altro sangue schizzava dal cielo scuro.
Abril aprì gli occhi. A un paio di metri dalla sua posizione, un'adolescente stava allattando al seno il suo neonato. Si poteva sentire perfettamente come le labbra carnose del neonato succhiavano dal capezzolo il latte, mentre le sue manine danzavano nell'aria in modo asincrono. La madre sorrise indifferente a ciò che la circondava; fino a quando smise di farlo. Socchiuse gli occhi mentre sollevava la parte superiore del labbro destro, abbozzando una smorfia di apprensione. Il neonato inclinò la testa, inchiodò i suoi occhi