Il delirio onirico del giovane Hitler
Di Dario Gumina
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Anteprima del libro
Il delirio onirico del giovane Hitler - Dario Gumina
Hitler
Dario Gumina
IL DELIRIO ONIRICO
DEL GIOVANE HITLER
PREFAZIONE
L’epoca in bianco e nero.
Quando ero bambino mi era capitato di notare, tra un gioco e l’altro, i miei genitori guardare delle trasmissioni televisive in cui si parlava di un grande conflitto che in passato aveva coinvolto il mondo intero. Una guerra, come mai ce n’erano state prima, in cui due immensi eserciti si erano fronteggiati causando milioni di morti e un dolore inenarrabile ancora persistente nei cuori di tanti. Dentro di me allora si era venuta a formare, poco alla volta, l’idea che prima della mia nascita c’era stata un’epoca in cui erano accaduti innominabili delitti contro l’umanità, così terribili da indurre gli adulti a non parlarne mai in presenza dei figli.
A testimonianza di tutto questo erano rimaste tante immagini. Erano filmati e fotografie in bianco e nero dai forti contrasti, i quali a volte venivano ingranditi a tal punto da sgranarsi, scomponendosi in tanti piccoli puntini. Si vedevano soldati puntare le armi contro bambini laceri e magrissimi, uomini ridotti in pelle e ossa eppure ancora incredibilmente in vita, aerei il cui urlo gelava il sangue nelle vene, quasi fossero giganteschi pterodattili preistorici e cataste di morti alte come case. Occhi sbarrati e bocche spalancate rivolte al cielo, verso il quale avevano indirizzato un ultimo silente grido la cui gigantesca forza d’urto aveva spazzato via i rimasugli di un dio incapace di combattere il male. Era l’epoca in bianco e nero, culminata in una gigantesca esplosione che aveva causato nell’atmosfera un’immensa nube a forma di fungo. Quarant’anni dopo ho deciso di scrivere questo libro.
I
QUANDO GLI DEI CADDERO SULLA TERRA.
Nel principio avevano conosciuto il fuoco e il ghiaccio nell’infinito, il fuoco e il ghiaccio eterni, poi precipitarono a capofitto e – a loro modo - dovettero compenetrare la condizione umana. Come un globo scagliato sulla Terra attraversarono gli strati dell’atmosfera, azzurra, lieve come una carezza, ma anche infuocata e assassina.
Provarono dolore, ma non solo. Spinti da una forza prodigiosa sentirono un caldo fiume viaggiare dentro di loro a velocità vertiginosa, era il sangue, esso per primo disegnò i loro corpi attraverso lo spazio nell’intreccio di vasi e capillari infinitesimi avvolti attorno al nulla ancora per un istante. Rivoli di un pensiero intento a partorire se stesso.
Poi all’improvviso una pulsazione, un battito possente ed è l’inizio del tempo frazionato, scandito, diviso e la nascita dell’istante annullò l’eternità che era in loro. Adesso erano sulla Terra.
L’eterno anticamente posseduto ora in immagini mentali tra lampi di energia chemio-elettrica sembrava avvolgerli ancora, prigioniero di una manciata di secondi. Lo sterminato brulichio di soli fiammeggianti, eventi cosmici di inimmaginabili dimensioni, come atomi nella mente. Moto cataclismatico, urlo dell’innumerevole di cui un tempo facevano parte.
Ebbe così inizio quella leggendaria età dell’oro in cui gli dei vivevano in mezzo agli uomini. Essi insegnarono all’umanità i fondamenti della scienza e della tecnica con i quali edificare monumenti tali da rendere grande la loro
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civiltà, ma gli impartirono anche i principi filosofici che gli consentirono di amministrare saggiamente quell’enorme patrimonio di conoscenza. Poi qualcosa, nel seno più profondo degli dei, cominciò a cambiare.
Con l’innocenza di un bambino giocavano con piccoli globi di energia rigirandoli tra le loro sottili dita, come quando accendevano e spegnevano le stelle, o volavano tra un atomo e l’altro tra gli spazi interatomici, mai paghi di baloccarsi con la struttura della materia e di plasmarla a loro piacimento. Erano come i petali dei fiori, come spighe mosse dal vento, polline scagliato a disperdersi negli spazi infiniti per ingravidare l’universo. Ma i bambini, si sa, non hanno senso morale così essi talvolta erano crudeli e la loro innocenza poteva esprimersi anche in modo distruttivo. Giocare con gli elementi e la loro energia, scatenare uragani, catastrofi naturali, organizzare grandi battute di caccia agli esseri umani, e sperimentare su di essi e sulla loro natura avendo come unico scopo il proprio diletto. Instillare nelle loro menti idee deliranti, come avrebbe fatto un chimico pazzo, rimestando nei suoi crogioli sostanze reattive per realizzare chissà quale folle disegno.
La decadenza degli dei
Adesso gli dei facevano paura, la purezza del loro essere era contaminata e l’unità di cui un tempo erano parte improvvisamente disgregata, come un mare di frammenti di vetro dipinto vestigia della bellezza che fu. Un tempo ampolle iridescenti di cristallo finissimo nelle quali turbinavano impazziti e giocosi gas ed energie, essenze ultime del mistero della materia pensante, distillati segreti di verità perdute. Adesso soltanto onde fragorose in oceani di schegge scintillanti impossibili da ricomporre, lavoro da
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stampatore impazzito alle prese con infiniti caratteri che urlano ciascuno a suo modo la stessa formula. Espressioni di quell’aureo disegno primigenio ormai irrimediabilmente frammentato in miliardi di tessere.
Vagavano inutilmente le loro mani, chiuse dai contorni netti della materia. Nella luce intessevano gesti vani nell’impossibilità di afferrare un bagliore indistinguibile dall’universo cui appartenevano prima di essere. Luce che adesso li sfiorava, infrangendosi sulla loro forma esterna regalandogli solo una tenera carezza in luogo dell’abbraccio eterno che una volta si scambiavano liberi da qualunque guscio, oltre ogni limite.
Durissima la materia, e doloroso il contatto con essa.
Granuli minuscoli ma compatti e irremovibili. Non più compenetrazione e comune universale sentire, ma forma chiusa in se stessa, scontro e incomunicabilità con differenti stati della materia, una volta aperta nei suoi spazi interatomici, invisibile ma onnipresente.
Vennero travolti dai sentimenti e dal desiderio di possesso. Tempo intessuto, ondulato in pieghe sottili e multiformi a guisa di una lunga veste leggera che delicatamente sfiorava il corpo di una splendida donna.
Dipinti i chiaroscuri sui suoi drappeggi intricati rivestivano le forme curve, armoniose e sode, invisibili ma non per questo meno reali, di questo corpo venerato e desiderato in egual misura da un turbamento profondo che si dispiega in un ventaglio di colori, rivoli spruzzati di un incontenibile moto dell’animo. Solo un colore avrebbero voluto essere, il nero e simili ad ombre scorrere tra le pieghe del tessuto come in canyon infiniti; e come dita delicate e frementi stringere a se questa sconfinata bellezza e -
nell’impossibilità di compenetrarla - possederla.
Così, pur di riunirsi all’immensità alla quale prima appartenevano, provarono il desiderio di darsi la morte. Il
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loro pensiero indugiava sull’eternità perduta incapace di comprenderla. Adesso era come un sogno o il ricordo di un sogno, eterea dolcissima ma da loro e dai loro limiti lontanissima. Era come il mare nel quale avrebbero voluto perdersi abbandonandosi tra le onde in quel piacere empio ed estremo che gli uomini chiamano il bacio della morte.
Globi minuscoli e caldi di saliva tra le rughe delle sue turgide labbra, prima di sprofondare nel nulla primigenio che li avrebbe tutti riuniti nell’infinito.
La sacra dimora degli dei
Un giorno, stremati dalle emozioni e dalle folli brame del sentire umano decisero di rifugiarsi sotto terra.
Qui, in un luogo segreto, immergendo le mani nel loro spirito immortale, costruirono una dimora fatta di pensiero, solidificato in giganteschi blocchi monolitici. Strane geometrie dalle forme compatte e levigate attraversate da crepacci senza fondo, quasi che alle ampie e luminose zone di conoscenza, espressa in principi ordinati, si contrapponessero le tenebre del cosmo con tutti i loro terrifici segreti. Il pensiero degli dei era simile a un insieme di fili sottilissimi tesi a misurare l’eternità, a guisa di infinite tele di ragno che si compenetravano. Ed era nell’inestricabile moltitudine di questi filamenti che viaggiava, velocissimo, quell’imperativo che avrebbe deciso il destino dell’umanità. Stabilirono di non avere contatti diretti con gli uomini, di non contaminarsi con le loro donne e di tenere per sempre celato il luogo della sacra dimora degli dei.
Ma alcuni uomini li avrebbero cercati perché ne percepivano la presenza e a costoro gli dei avrebbero donato una piccola parte di conoscenza e di potere con i quali dominare il mondo. Ma questi strani e coraggiosi individui, capaci di realizzare le loro fantasie oniriche e il cui sguardo
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sulla realtà sarebbe stato tale da contemplare il sovrannaturale, non avrebbero mai dovuto dimenticare un principio fondamentale: non ci si serve delle potenze, si servono.
Da allora, dopo innumerevoli generazioni i caratteri ereditari degli uomini si sarebbero intrecciati dando origine a milioni di esseri umani fino a quando, a causa di una probabilità infinitesima, avrebbe preso forma quella sequenza di eventi e di combinazioni genetiche tali da concepire un uomo che avrebbe saputo e potuto mettersi in contatto con gli dei.
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II
CENTINAIA DI MIGLIAIA DI ANNI DOPO
L’infanzia
Le tenebre, che affondarono nei suoi occhi e nelle piccole braccia magre quando nella culla fissava il soffitto sul quale si allungavano ombre deformi, raggiunsero in lui profondità inaccessibili lasciando un marchio che si sarebbe rivelato indelebile. Non di disperazione o di follia ma di inquietudine profonda. E lo stridere del granello di zucchero, tra i piccoli denti