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Viaggiando nelle Terre Romene. Italiani ed europei nei principati (secc. XVI-XIX)
Viaggiando nelle Terre Romene. Italiani ed europei nei principati (secc. XVI-XIX)
Viaggiando nelle Terre Romene. Italiani ed europei nei principati (secc. XVI-XIX)
E-book216 pagine9 ore

Viaggiando nelle Terre Romene. Italiani ed europei nei principati (secc. XVI-XIX)

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I legami tra viaggio e storia sono molteplici e mutevoli, cambiano secondo le realtà visitate e gli usi dei tempi, secondo le caratteristiche e il bagaglio culturale del viaggiatore, della sua personalità e delle contingenze che lo portano a recarsi lontano dai propri luoghi. Il viaggio, tuttavia, è un’occasione per conoscere e acquisire esperienza e dunque diventa elemento costitutivo dell’identità di ciascuno, sia per gli stimoli nuovi suscitati direttamente dall’itinerario, sia in seguito nel corso di un’intera vita, quando i ricordi fanno riemergere le emozioni vissute. E’ una pratica diffusa già dal più lontano passato, poiché l’uomo ha sempre sentito il bisogno di esplorare nuovi territori, attirato dall’aspettativa di nuove risorse e dal desiderio di cambiamento, per dare una risposta alla propria inquietudine e per riempire il vuoto del mondo interiore alla ricerca di una maggiore completezza.
LinguaItaliano
Data di uscita18 lug 2014
ISBN9788878535336
Viaggiando nelle Terre Romene. Italiani ed europei nei principati (secc. XVI-XIX)

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    Viaggiando nelle Terre Romene. Italiani ed europei nei principati (secc. XVI-XIX) - Giuseppe Motta

    persone

    INTRODUZIONE

    Gaetano Platania

    1.

    Nella premessa al volume Viaggi di Moscovia (Viterbo nel 1658), si legge che viaggiare è «una delle più alte felicità che possono accadere all’uomo, al genere della cui definizione deve, secondo Aristotele, aggiungersi la differenza di civile e politico, il veder varie genti e terre straniere, e l’osservare e penetrar curiosamente i costumi e le maniere di ciascheduna. E stimo ancora contrario ad un genio eroico il trattenersi continuamente, a guisa di lumaca, ovvero madre di famiglia, dentro il guscio nativo o casa propria»1. Vagabondare per il mondo diviene, dunque, pratica importante e arricchente, esperienza che non può certamente dispiacere alla volontà dell’Altissimo se, sottolinea ancora l’estensore, è Dio stesso che ha voluto che l’uomo si appaghi delle cose belle create sulla terra:

    […] parmi che le aggradisca, mentre, secondo i dettami delle Sacre lettere, ha l’eterno Dio avuto particolar cura e riguardo a’ viaggiatori. Egli, come gran padre di famiglia, architettò fin da principio questa grande e bellissima fabbrica del mondo per uso e comodità dell’uomo, dandogli particolarmente la terra come casa e giardino di piaceri, abbellito secondo la diversità de’ luoghi di vari frutti e delizie delle quali avendolo constituito padrone, volle che dalle medesime egli cavasse il conoscimento di chi le fece, e si rivolgesse a lodarlo. Ora se così è. In che modo potrà l’uomo, riflettendo su l’ammirabil composizione et armonia dell’universo, e su la bellezza delle cose particolari, non rendere incessanti lodi alla beneficenza di Dio, e non prorompere insieme con Davide nel Salmo 103 in questi concenti di giubilo? Quam magnificata sunt opera tua Domine? Omnia in sapientia fecisti. Impleta est terra possessione tua2.

    Anche per Vincenzo Giustiniani, marchese di Bassano (XVII secolo), viaggiare era sinonimo di conoscenza, apprendimento, possibilità di incontrare l’altro3. È apprendistato importante e arricchente, è esperienza che diventa azione pedagogica oltre che per se stessi, soprattutto per gli altri, perché il già vissuto, il già praticato, è qualche cosa da trasmettere a chi, per motivi diversi, resta obbligato a vivere nel luogo di nascita. Ne consegue, scriveva ancora Giustiniani, che era (ma lo è ancora oggi) necessario osservare con attenzione le cose notabili e degne del paese che si sta visitando, per non cadere, una volta rientrato in patria, nel «gran rimorso» e nel rimpianto di non averlo fatto:

    […] si potrà narrare quanto ha veduto et operato, e molte cose affatto ignote a quelli che non ne sono mai partiti e quel che più importa per restar bene informati di tutto quello che è necessario alla prudenza fondata in parte sopra l’esperienza, come ho detto e disse meglio Omero allegato ad Orazio qui mores homnium multorum videt et urbes4.

    Azione pedagogica, dunque. Un concetto già sottolineato da Francis Bacon5, per il quale peregrinare fa parte dell’esperienza acquisita dagli adulti, mentre per i giovani, è parte integrante della propria educazione; in altre parole, una cassaforte per il loro futuro6. Verità fatta propria dal principe Marc’Antonio Borghese, uno dei tanti viaggiatori della storia, primogenito della nobilissima casata romana, il quale, all’età di 21 anni, sollecitato dallo stesso genitore, partiva da Roma il 18 marzo 1682 con l’intenzione di visitare il resto della penisola e le capitali europee:

    Mercordì 18 di marzo intesi che il Signor Don Marc’Antonio Borghese in età d’anni 21 primogenito del Signor Prencipe era partito da Roma per starne assente due anni e vedere l’Italia, la Germania, la Spagna, l’Olanda e forsi il Portogallo e la Francia, con comitiva di nove persone tra le quali, come per aio, il Signor Giovanni Antonio Fiduccia da Monte Pulciano, pratico assai di viaggi ed al presente Mastro di Camera del Signor Cardinal Sacchetti. E che il Prencipe suo padre gli avesse detto che si facesse onore che spendesse quanto voleva e che vedesse quelli paesi che gli piacesse7.

    Un viaggio sentimentale, educativo, formativo, istruttivo. Certamente un viaggio esclusivo, per ricchi, se la prima raccomandazione dell’anziano genitore era stata quella «che spendesse quanto voleva e che vedesse quelli paesi che gli piacesse»8. Un invito ad affacciarsi sul palcoscenico del mondo, una sollecitazione a saper convivere con usi e costumi differenti, con idee e strutture politico-amministrative contrarie alle proprie: in altre parole a maturarsi nel confronto, a crescere, a farsi conoscere ed apprezzare9, ma anche, a divertirsi. Insomma, spostarsi per exercise profitable, per dirla alla Michel de Montaigne10.

    2.

    La ricerca che qui presentiamo, attento e curato lavoro di Giuseppe Motta, brillante giovane studioso dell’Europa centro-orientale e, in particolare, della Romania in età moderna e contemporanea11, coglie in pieno lo spirito della collana che vuole riservare sia alla tematica del viaggio, sia a quella della storia uno spazio preciso, non in alternativa, ma complementare.

    Un lavoro, quello di Giuseppe Motta, nuovo nel suo genere, e per certi versi tutto da esplorare, dal momento che ricostruisce antichi legami che si sono persi nell’oblio del passato.

    L’autore, infatti, si è soffermato ad analizzare la storia di un’area geo-politica spesso dimenticata dai libri scolastici e/o poco frequentata nelle stesse aule universitarie italiane. Focalizzando la sua attenzione alla Romania, Giuseppe Motta, ha volutamente e giustamente sorvolato sui fin troppo noti legami che da secoli hanno unito all’Europa continentale, all’Italia e, in particolare a Roma, la Rzeczpospolita, quel grande regno che tra Cinque e Seicento si estendeva per un vastissimo raggio12, così come non ha voluto concentrare i suoi interessi sui motivi che hanno spinto diversi viaggiatori a portarsi sulle rive del Volga e costatare personalmente quei luoghi che nell’immaginario collettivo occidentale erano divenuti per alcuni fiabeschi, per altri orribili. Luoghi, in altre parole, dove «errano gli orsi, dove la neve si estende su tutto il territorio, dove la gente si nutre di carne ed anche si mangiano tra loro»13; terre governate dallo zar, un tiranno al pari del Gran Signore de’ Mahomettani14, che sottoponeva a condizioni infelici e a schiavitù inaccettabili i propri sudditi. Era questa l’opinione di Ercole Zani, un bolognese amante del viaggio, che recatosi nella lontanissima e quasi inesplorata Moscovia15, non poteva fare a meno di annotare, come d’altronde tanti altri suoi predecessori,la miserabile schiavitù nella quale questi popoli erano costretti a vivere:

    Io stimo altrettanto più infelice e miserabile la schiavitù loro, quanto che essi non la conoscono. Il naturale perverso, la pessima educazione e la bassezza in cui son nuditi, obliga il governo e i loro sovrani a trattarli come le bestie. Egli è impossibile che s’addestrino alle fatiche se non si adoprano i flagelli e i bastoni. Non se ne querelano, né se ne dolgono mentre vi hanno col callo indurite le membra16.

    3.

    Il lavoro di Giuseppe Motta non ripercorre, dunque, aspetti già in parte conosciuti. Al contrario, questo più che promettente giovane studioso guarda ai meno noti legami intercorsi tra la Romania con il resto dell’Europa continentale, ma anche ai legami tra la stessa regione con i principati confinanti. Temi senza dubbio poco studiati dalla storiografia occidentale, soprattutto quando si tratta di viaggiatori che si sono spinti fino a quei lontanissimi confini per poi raggiungere Costantinopoli, centro importantissimo come lo era stato già in passato Bisanzio17.

    Motta ricostruisce pertanto questi legami attraverso le vicende e gli scritti lasciati da alcuni viaggiatori che, per motivi diversi, siano esse state ragioni personali sia politiche, hanno intrapreso, sorta di eroi, il lungo cammino attraversando impervie strade e ostacoli di ogni genere, difficoltosi sentieri e pericolosissimi passi di montagna, seguendo antichi tracciati o inagurando nuovi itinerari, come nel caso dei polacchi Otwinowski e Bzicki, pur di visitare la capitale dell’infedele ottomano. Una carrellata di nomi che spinge anche il più distratto lettore a fermarsi a meditare e a fantasticare di luoghi lontani, di bizzarri costumi, differenti usi, per poi riflettere sulle ragioni che nel passato, così come ancora oggi, hanno indotto l’uomo a sentire irrefrenabile il moto dell’andare per il mondo18.

    Le ragioni del viaggiare, scrive giustamente Motta, «sono spesso il connubio fra le motivazioni personali e le occasioni che a tali suggestioni danno il giusto impulso». Osservazione pertinente, che mi spinge a riflettere sul fatto che «si viaggia per scoprire cosa si nasconde oltre i confini della propria quotidianità»; anzi, soprattutto si viaggia per «la pratica necessità di aprire a nuovi rapporti economici, sociali, politici e culturali, oltre al desiderio di andare verso i luoghi della fede»19.

    Prof. Gaetano Platania

    Università degli Studi della Tuscia (VT)

    I. Il viaggio e i viaggiatori

    1.1 L’idea del viaggio

    I legami tra viaggio e storia sono molteplici e mutevoli, cambiano secondo le realtà visitate e gli usi dei tempi, secondo le caratteristiche e il bagaglio culturale del viaggiatore, della sua personalità e delle contingenze che lo portano a recarsi lontano dai propri luoghi. Il viaggio, tuttavia, è un’occasione per conoscere e acquisire esperienza e dunque diventa elemento costitutivo dell’identità di ciascuno, sia per gli stimoli nuovi suscitati direttamente dall’itinerario, sia in seguito nel corso di un’intera vita, quando i ricordi fanno riemergere le emozioni vissute. È una pratica diffusa già dal più lontano passato, poiché l’uomo ha sempre sentito il bisogno di esplorare nuovi territori, attirato dall’aspettativa di nuove risorse e dal desiderio di cambiamento, per dare una risposta alla propria inquietudine e per riempire il vuoto del mondo interiore alla ricerca di una maggiore completezza. Il viaggio così diventa il frutto dell’intreccio fra la realtà dei luoghi e l’immaginario del visitatore, il quale spesso prende coscienza di sé proprio quando conosce l’altro, quando raggiunge gli obiettivi che lo hanno spinto a partire e riesce a rispondere alle domande che si era posto. Il meccanismo che si innesca attraverso l’esperienza del viaggio diventa spesso una sorta di fuga, un allontanamento da quanto ha segnato l’esistenza di ciascuno, una ricerca del nuovo, desiderato e talvolta anche temuto. Per gli antichi l’andare per terre lontane e inesplorate costituiva inevitabile manifestazione del fato, che si accaniva contro l’uomo attraverso la punizione del viaggio come esilio e le avversità che il viaggiatore inevitabilmente doveva affrontare lo rendevano più forte, facendone un eroe al suo ritorno nella propria comunità. Fin dalle vicende raccontate nei miti dell’assiro Gilgamesh e dell’omerico Ulisse, il vagare ha sempre implicato rischi e pericoli, ha rappresentato una sfida alle difficoltà e ai dolori che accompagnano l’esistenza umana, ma ha anche contribuito alla conoscenza di sé, delle proprie capacità di affrontare l’ignoto e di superare i timori più profondi. Strabone sottolineava come gli eroi più saggi furono quelli che visitarono molti luoghi e vagarono per il mondo poiché così facendo ne coglievano le diversità, esaltandone la libertà.

    La tipologia di viaggio che emerge fino al medioevo e anche oltre, è quella del pellegrinaggio, esperienza dal più alto significato religioso che sceglie luoghi, simboli di un percorso penitenziale che riflettono più il cielo che la terra, acquistando la valenza di meta spirituale da raggiungere nella propria esistenza terrena, in funzione di un’altra vita. L’itinerario non è solo geografico ma soprattutto interiore, cammino espiatorio che conduce ai centri della fede come Roma, Gerusalemme, Santiago de Compostela. Pur mantenendosi viva la tradizione del pellegrinaggio religioso, nel corso dell’età moderna, tra Rinascimento e Illuminismo, matura il viaggio di conoscenza che troverà la sua massima espressione nel Grand Tour. Il viaggio diventa erudito, implica la ricerca di fonti e costituisce una sorta di peregrinatio academica, iniziazione culturale grazie alla quale si formano i giovani nobili inglesi, francesi e tedeschi che sempre più frequentemente si recano a visitare i luoghi della cultura classica. Viaggiare è ritenuto essenziale ai fini dell’istruzione e della formazione dell’intellettuale, che ricerca a Roma, Venezia e Firenze l’essenza della cultura e l’eccitazione per l’unicità di un’esperienza che segna una tappa importante nella carriera di qualsiasi artista. L’Italia, luogo della cultura classica, ospita giovani rampolli, futuri diplomatici e dirigenti che, sovente accompagnati da un tutore, trovano un paese diverso da quello dei libri di storia, spesso dipinto in modo immaginifico o stereotipato. L’itinerario classico, che predilige l’Italia alla turbolenta Grecia, si arricchisce sempre più e se inizialmente si concentra nella classicità delle grandi città come Roma, viene poi ampliato con soggiorni nelle campagne e nei borghi della Toscana, nella caotica e meridionale Napoli e in seguito si spinge fino a Paestum, dopo la bonifica del territorio paludoso e boschivo¹. In queste località i viaggiatori trovano le romantiche rovine che rievocano e testimoniano l’antica civiltà, in una cornice naturale ove l’azzurro del cielo si unisce alle mille sfumature del mare. Il Grand Tour dunque si configura quale viaggio didattico che affina gusto e capacità di osservazione, curiosità e spirito di avventura, qualità che valorizzano il percorso intrapreso per visitare i luoghi della storia e della cultura classica. Il piacere del viaggiatore è quello di conoscere i paesi che visita, soffermandosi sulle loro caratteristiche naturali e cercando di penetrare nella natura più profonda delle loro realtà. La percezione del paesaggio diventa così essenza fondamentale del viaggio, punto di incontro tra fisicità e astrattezza dei luoghi, suscita emozioni durevoli e induce a conservarne il ricordo nella descrizione e nella rappresentazione dei luoghi visitati tramite diari, corrispondenze, disegni, dipinti, a cui si aggiungono l’attenzione per i dettagli, i riferimenti a governi, leggi, società, l’interesse per le consuetudini e i prodotti locali, come materie prime, vini, tessuti. Un altro tema di rilievo è costituito dagli scambi commerciali e dalle rotte privilegiate di merci e di uomini che in ogni epoca si muovono alla ricerca di nuove piazze per i loro prodotti e di nuovi beni per soddisfare una domanda crescente da parte di consumatori sempre più esigenti. Nel corso del tempo, l’importanza del commercio in ogni società si amplia a dismisura, abbracciando una varietà sempre maggiore di merci offerte sia nei grandi mercati nazionali ed esteri, che in quelli locali. Lo sviluppo economico sa sfruttare ogni piccola nicchia commerciale, utilizzando lo scambio fra aree di produzione e centri di consumo di dimensione diversa, crescendo sempre più fra continente europeo, mercati americani e asiatici, città commerciali e finanziarie. Il percorso dei viaggiatori spesso si incrocia e si sovrappone a quello dei mercanti che si spostano lungo gli itinerari complessi dei traffici internazionali per acquistare merci dai luoghi di provenienza o per venderne altre in maniera capillare e diffusa. La rete organizzativa degli scambi commerciali consente a molti paesi come l’Italia di esportare beni pregiati, merci di lusso, artigianati d’arte, accanto a quelle di altri, come Francia, Inghilterra e Paesi Bassi, costruendo un’infinita occasione di incontri che fungono da mediazione². Ugualmente, i viaggiatori svolgono questo ruolo di contatto fra paesi diversi, diffondendo le conoscenze acquisite e riportando in patria informazioni su usi e costumi dei luoghi visitati. È un processo lento e graduale ma costante, che nell’arco dei secoli si riempe di nuovi contenuti e utilizza nuovi strumenti - l’automobile e il treno, la macchina fotografica… - ma che nella sua sostanza risponde all’esigenza di ogni individuo di evadere dal proprio mondo alla ricerca di luoghi in grado di suscitare emozioni, per compiere il proprio processo di maturazione.

    Oltre a quanti organizzano delle vere e proprie spedizioni scientifiche, anche gli altri viaggiatori, soprattutto i più accorti, prima di partire si preparano informandosi sulle caratteristiche generali del paese che devono visitare per coglierne meglio gli aspetti prevalenti, e dunque la storia, l’arte, la cultura o anche la semplice configurazione territoriale. Di frequente apprendono la lingua per comprendere meglio opere letterarie, poetiche e filosofiche, nonché per formare un piccolo vocabolario necessario alla vita quotidiana da turista³. Nei viaggi di ogni secolo, tuttavia, si può spesso individuare una meta preferenziale; dai pellegrinaggi dell’età medievale, in cui gli uomini sono spinti dai loro bisogni spirituali in un viaggio nei luoghi della fede, agli interessi materiali, che col passare degli anni emergono sempre di più. Alle mete tradizionali si aggiungono così nuove destinazioni indicate dal processo di laicizzazione delle società, in cui la modernizzazione indirizza verso nuovi obiettivi di lavoro e di guadagno, ma anche di svago, come le grandi esposizioni universali, i luoghi termali e le località che gradualmente vengono invase dal primo turismo. Se ancora per tutta l’età moderna la direzione del viaggio è da nord a sud, dall’Europa settentrionale all’Italia, a Roma, Gerusalemme e a Santiago de Compostela, a partire dall’Ottocento l’itinerario può essere diverso, invertendo questa direzione geografica e simbolica, anche perchè le ripetute guerre di Napoleone

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