Il faro
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Horror - romanzo breve (105 pagine) - Un viaggio inaspettato tra gli orrori di H. P. Lovecraft
Rinunceremmo a un incarico di sei mesi in una splendida e deserta isola tropicale, al termine del quale saremmo ricchi? Solo uno stupido lo farebbe. Ma prima di accettare, faremmo meglio ad assicurarci che quel posto sia davvero… deserto.
Filippo Semplici, nasce il 21 settembre 1976. Lavora come impiegato e ama scrivere. I generi che preferisce sono horror, fantascienza, thriller e tutto quello che in qualche modo lo allontana dalla realtà, che vive sulla pelle tutti i giorni e che a lungo andare annoia.
Esordisce nel 1999 con il racconto Il cucciolo, pubblicato da Fanucci e selezionato da Valerio Evangelisti. Nel 2006 pubblica il romanzo breve Senza paura per Tabula Fati. Pubblica inoltre numerosi racconti per la rivista Inchiostro e siti web. Nel 2009 è il momento de Il giorno dei morti, romanzo edito da Edizioni Esordienti Ebook. Nel 2015 pubblica il racconto Best Seller nell'antologia Esecranda 2015. Nel 2016 è finalista al torneo Io scrittore edito da GeMs, con il romanzo Il paese, e sempre nello stesso anno vince il secondo premio del Premio Letterario Terni Horror Festival con il romanzo Il faro, selezionato da Tullio Dobner.
Il 5 settembre 2017 è uscito il suo ultimo romanzo, Ti guarderò morire, edito da Delos Digital.
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Anteprima del libro
Il faro - Filippo Semplici
9788825403114
Alla mia famiglia
e a tutto quello che sta sopportando,
per colpa di questo maledetto vizio di scrivere
Viviamo su una placida isola di ignoranza,
in mezzo ai neri mari dell'infinito,
ed era destino che non dovessimo
andare lontano.
H.P. Lovecraft
Capitolo I
Un bel sogno
31 agosto 2015 (lunedì)
Se c’è una cosa che ho imparato dalla vita è che i sogni non si avverano mai. Magari quelli degli altri, ma non i miei. Eppure oggi, se sono qui con Giulia, Marco e Luna, significa che qualcosa sta cambiando. Finalmente. Dopo tutti i brutti momenti che abbiamo passato.
Sento le loro voci mentre corrono sulla spiaggia. Forse è questa la felicità, vedere la propria famiglia che se la spassa senza preoccupazioni, lontano dalla gente e dai guai. Vorrei che questo momento si congelasse in eterno, con me che scrivo nella stanza inondata dal sole, e loro che ridono felici al di là del vetro di questa finestra.
Fin da piccolo ho sempre avuto l’abitudine di tenere un diario, con la speranza che un giorno avrei riletto le sue pagine e ricordato con un sorriso i momenti più belli, ma poi il destino mi ha fatto dimenticare questa meravigliosa abitudine. Arriva un giorno in cui non puoi più occuparti delle storie che scrivi sulla carta, perché devi preoccuparti di quelle che la vita scrive sulla tua pelle.
Mi chiamo Tommaso Righi e Giulia è la mia compagna. Marco è nostro figlio, ha otto anni, capelli biondi e un sacco di lentiggini, ed è davvero un bambino speciale. Luna è la nostra cagnetta, un meticcio di quattro anni, dall’aria vispa e simpatica. Viviamo a Firenze, ma adesso ci troviamo qui, in quest’avventura, così lontani da casa.
Sto scrivendo queste pagine perché oggi è l’inizio di una nuova vita e voglio documentarla, giorno per giorno, come facevo ai vecchi tempi. Dopotutto penso di essere ancora in grado di tenere in mano una penna!
L’elicottero della Base militare ci ha scaricati sull’isola sei ore fa, alle due del pomeriggio. Ci hanno lasciato un sacco di provviste: casse d’acqua, carne congelata, cereali, legumi, frutta, pasta, non so, devo ancora fare un inventario, ma il cibo pare non essere un problema. Il pilota, Stevenson, é un tipo simpatico e la sua divisa sembra appena uscita di lavanderia. É l’unico che parla un po’ di italiano, anche se con una pronuncia piuttosto buffa. Somiglia al classico prototipo di soldato americano: alto, robusto, faccia squadrata, capelli a spazzola e Ray Ban. Ha sempre qualcosa in bocca da masticare. Durante il volo ci ha chiesto più volte se stavamo bene. Solo Luna ha guaito ogni tanto, mentre Marco è rimasto con le mani incollate al finestrino a guardare l’oceano di sotto. L’elicottero è atterrato sulla spiaggia sollevando una nuvola di sabbia, e Giulia ha lanciato un grido al momento dell’impatto. Stevenson ci ha chiesto per l’ennesima volta se andava tutto bene. Quando ho posato i piedi a terra, ero tentato di strofinarmi gli occhi e darmi un pizzicotto. Non credevo a quello che avevo davanti.
L’isola è un paradiso terrestre.
La prima cosa che ho visto sono state le palme. Ondeggiavano al vento come a darci il benvenuto. Al di là, una foresta tropicale a richiamare antiche voglie di libertà. Nonostante sia bellissima, l’isola è molto piccola, quasi uno scoglio nel mare, ma già sento di amarla. Amo ogni suo granello di sabbia.
È stata soprannominata Conchiglia, per via della sua forma. Da quel che vedo, direi che la spiaggia si estende a sud-ovest per un centinaio di metri, prima di terminare bruscamente e lasciare il posto a grossi scogli che si inabissano. La parte est invece è ricoperta di vegetazione fino ai piedi di un piccolo promontorio roccioso, che penso determini la fine della terraferma. La nostra casa è a nord, ai margini della vegetazione, mentre a ovest c’è l’oceano aperto.
Altri due uomini ci hanno aiutati a scaricare i bagagli, mentre Luna si è subito precipitata in acqua. Ho visto Giulia portarsi le mani alla bocca per poi asciugarsi qualcosa agli angoli degli occhi. Era felice, come me. Se volevamo goderci insieme quella felicità però, dovevamo sistemare le valige e liquidare in fretta i militari. Sono stati molto gentili. Non hanno permesso che toccassimo niente, hanno trasportato tutto loro, dalla spiaggia alla casa. É stato allora che ho alzato gli occhi a osservare il faro. Per la prima volta. Che emozione. Il mio nuovo lavoro, per sei mesi.
È molto alto e ricoperto di mattoni bianchi e rossi che lo rendono simile alle illustrazioni sui libri e sulle cartoline.
La nostra casa si trova ai piedi della costruzione, dove la sabbia si abbandona a una muraglia di scogli che fa da corazza all’isola e prosegue fino a scomparire oltre il versante nord. Una seconda fila di pietre si allunga a creare una breve passerella che conduce verso le acque più profonde. Se apriamo la finestra del salone abbiamo davanti l’oceano. L’abitazione è abbastanza grande: c’è un’ampia cucina, un salotto, due camere, un bagno, uno sgabuzzino e una rampa di scale che porta in cantina. Dispone anche di una veranda attrezzata con dondolo e un paio di sdraio, sul lato che guarda il faro. Per noi, abituati al monolocale di un condominio, questa casa è una reggia, e se tutto andrà bene, al ritorno avremo così tanti soldi che qualcosa dovrà cambiare.
I militari hanno impiegato un’ora per scaricare tutto, poi sono tornati all’elicottero salutandoci con un cenno. Solo Stevenson, con il suo sorriso e la faccia pulita, ci ha stretto la mano e ci ha augurato buon lavoro. Mi ha chiesto se desideravo essere accompagnato all’interno del faro, prima di ripartire. Ho risposto di no; voglio pregustare quel momento come una lenta scoperta, allo stesso modo in cui un ragazzino scarta il regalo di compleanno tanto atteso. Si è stretto nelle spalle. Torneremo lunedì prossimo, ha detto.
Si è congedato e si è diretto al veicolo. Un attimo dopo l’elicottero è scomparso all’orizzonte.
Io e Giulia ci siamo guardati.
Finalmente soli.
L’ho baciata con tanta passione, come non facevo da tempo. L’isola, con la sua calma, la sua quiete innaturale, mi fa sentire più giovane. Il sangue mi ribolle nelle vene e l’energia sembra moltiplicarsi. Dobbiamo ancora disfare le valigie, ma abbiamo pensato… chi se ne frega! Per una volta nella vita non c’è niente a rincorrerci. Prendiamola comoda. Così abbiamo mollato tutto per terra e ce ne siamo andati fuori, sulla spiaggia. Luna correva sulla sabbia mentre si scuoteva l’acqua di dosso. Marco era seduto a ridere di lei mentre tirava di nuovo il ramo da farle prendere. Giulia ha scalciato lontano i tacchi, si è fatta scivolare la gonna e si è sbottonata la camicetta, che ha abbandonato a penzolare su un ramo. Io l’ho seguita, imitandola e lanciando tutto in aria. Il bello era proprio questo. Una sensazione di libertà mai provata prima, la libertà di non dover render conto a nessuno, di lasciare i jeans sulla spiaggia per tutta la notte, tanto nessuno li avrebbe presi. La libertà di essere liberi dalle regole della società.
Abbiamo fatto il bagno tutti insieme. Ho montato Marco sulle spalle e ho finto di lasciarlo cadere mentre Giulia lo afferrava svelta da dietro. Ci siamo divertiti come matti.
Quest’isola sembra un ricostituente naturale per la mia famiglia. Sono trascorse sole poche ore, ma è già un’altra vita.
Ora sono qui in camera, con le valigie sparse sul pavimento, la finestra aperta e un meraviglioso tramonto appena fuori.
Domani inizierò il mio lavoro al faro.
Per oggi è prevista solo baldoria!
E sia!
1 settembre 2015 (martedì)
Primo vero giorno sull’isola.
Il caldo è stato opprimente, ma d’altronde ci troviamo lungo l’equatore ed è normale un clima così torrido, com’è normale aspettarsi acquazzoni improvvisi. Il tasso di umidità è molto elevato e si suda perfino a stare seduti sulla sdraio. Per fortuna abbiamo il condizionatore. Che lusso! A casa non avremmo mai potuto permettercelo, e ricordo alcune estati così roventi, a soffocare tra le mura di casa, che ti veniva voglia di buttarti dalla finestra per provare un po’ di fresco sulla pelle.
Conchiglia, mi hanno spiegato i militari, si trova pressappoco in linea d’aria con l’arcipelago delle Galapagos, solo nel bel mezzo del Pacifico. Un puntino nel mare. Non è segnata su nessuna carta nautica, non ancora perlomeno, ed è per questo che il mio lavoro al faro assume una caratteristica tanto importante. Devo assicurarmi che non sorgano complicazioni, che la sua luce resti un punto di riferimento incessante per le navi di passaggio. In altre parole devo essere il suo angelo custode. Essendo un tratto di oceano molto transitato, mi viene richiesto il massimo impegno.
All’alba ero già sveglio, a guardare fuori dalla finestra. Non voglio perdermi nulla della permanenza in questo posto. Giulia stava ancora dormendo e Marco lo sentivo russare dall’altra stanza. Luna era con lui, accucciata a terra come al solito. Il caldo durante la notte è stato intenso e abbiamo tenuto le finestre aperte.
Ieri sera, dopo aver sistemato le nostre cose, abbiamo acceso un falò sulla spiaggia e cucinato carne alla griglia. Nonostante fossimo a pezzi a causa del fuso orario, non ci siamo arresi alla stanchezza, neanche Marco, che sembrava sul punto di crollare a ogni momento. Non possiamo lamentarci del modo in cui ci hanno trattati. Abbiamo forno a microonde, affettatrice, macchinetta per il caffé, un congelatore giù in cantina, una discreta riserva di vini e impianto di aria condizionata. La corrente elettrica arriva grazie a un generatore situato all’esterno, e forse è questa l’unica seccatura, se così la vogliamo chiamare. Non dobbiamo sprecare energia, altrimenti rischiamo di restare senza, anche se contiamo su almeno due dozzine di stagne di gasolio, e il serbatoio del generatore pieno fino all’orlo. Dopotutto la maggior parte della corrente verrà consumata