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La donna del lago
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E-book244 pagine3 ore

La donna del lago

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Info su questo ebook

Perfetto per chi ama Malvaldi e Carrisi

Le indagini del commissario Festa

In un’afosa mattina di fine estate, il cadavere di una donna emerge dalle limacciose acque del lago, seminando lo sconcerto tra gli abitanti della tranquilla cittadina di Castel Gandolfo. La donna è molto conosciuta in paese, in quanto al centro di una vicenda amorosa che coinvolge l’ex marito, pittore in crisi, e un noto presentatore televisivo. Il caso viene assegnato a Lorenzo Festa, sostituto commissario giovane e ambizioso, che dovrà confrontarsi con personaggi poco avvezzi alla verità, nonché con il fumoso ambiente della politica e il mistero di un’antica setta. Tutto sembra parte dello stesso disegno, ma Festa sa bene che in un caso simile nulla può essere dato per scontato. L’ indagine, infatti, si rivela ben presto una discesa progressiva e implacabile verso gli inferi della follia umana. Il giovane commissario dovrà scandagliare gli antri più bui del vivere quotidiano, per scoprire quanto labile e a volte ingannevole possa essere il confine tra normalità e pazzia.

Il simbolo oscuro sul cadavere affiorato dal lago porta sulle tracce di una setta misteriosa…

«Una lettura intrigante, coinvolgente ed emotivamente spiazzante. Se nella vita non bisogna fidarsi delle apparenze, questo romanzo giallo conferma in toto questa tesi.»

«Chiuso il libro, qualcosa continua a scavarti dentro, come un tarlo, lasciandoti un retrogusto dolce e amaro.»

Valerio Marra
è nato nel 1985. Lavora e vive a Roma ed è laureato in Scienze per l'investigazione e la sicurezza presso l'Università degli studi di Perugia. È autore del thriller Le scottanti verità e dei romanzi L’eco del peccato e Anima bianca, dedicati alle indagini del commissario Festa. La donna del lago è il primo libro pubblicato dalla Newton Compton.
LinguaItaliano
Data di uscita25 feb 2019
ISBN9788822731265
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    Anteprima del libro

    La donna del lago - Valerio Marra

    Prologo

    Lo sguardo puntava verso l’alto.

    Le iridi azzurre ferme, vuote.

    Lui la fissava, sostenendola con le braccia appena sopra il livello del lago. Le acque limacciose le sfioravano la pelle, avvolgendola come una carezza.

    L’aria densa, come una nebbia rancida.

    Nessuno strepito. Nessun rumore.

    Un lampo in lontananza frantumò l’aria e una luce violacea si diffuse nel cielo. Il lago sembrava sostenerla. Un tavolo di metallo lucido, appena increspato.

    Una frazione di secondo, poi il buio li avvolse di nuovo.

    Lui serrò le labbra e le si accostò al viso, senza smettere di reggerla. Un bisbiglio.

    Una preghiera.

    La voce ridotta a un sibilo.

    Sfilò le braccia e rimase a guardarla.

    Un altro lampo e una luce livida a frantumare il cielo. Le ombre erano lumi danzanti sopra un altare. Il corpo rimase a galleggiare qualche istante, prima che gli spiriti del lago la trascinassero sotto l’acqua, portandosela nell’abisso.

    Poi tutto tornò buio.

    E fu silenzio.

    1

    Il sole del primo mattino le accarezzava il profilo, disegnando lunghe ombre sulla sabbia. Anna si asciugò il sudore dalla fronte e spinse più forte sulle gambe, aumentando l’andatura.

    Intorno a lei la nebbia si era diradata e la cittadina aveva iniziato ad animarsi, senza fretta. Le tapparelle delle finestre cominciavano a sollevarsi, mentre un vecchio camion della nettezza urbana ritirava i rifiuti dai cassonetti lungo la strada.

    La notte era trascorsa tranquilla, come ogni altra in quel luogo.

    Dalle cuffie dell’iPod Don’t cry dei Guns N’ Roses, ad alto volume, trasmetteva la carica necessaria per affrontare l’ultimo chilometro.

    Sempre lo stesso tragitto. Ogni giorno.

    Anna si alzava intorno alle sei e, dopo aver bevuto una tazza di caffellatte rigorosamente senza zucchero, indossava la tuta e usciva dal suo appartamento che affacciava direttamente su via Spiaggia del Lago. Da lì correva verso sud, passando per via dei Pescatori e, una volta giunta al cancello, faceva inversione, scendendo direttamente sulla riva del lago Albano.

    Era quello il momento che preferiva.

    Sul lago verde smeraldo si riverberavano i raggi del sole filtrati dalla montagna, e una brezza, pungente e salmastra, trascinava con sé il fresco profumo dell’estate.

    Anna guardò l’orologio al polso: le sette meno dieci.

    Era in perfetto orario.

    Mantenendo quell’andatura, sarebbe tornata a casa nel giro di quindici minuti. Dopo una doccia veloce, avrebbe fatto in tempo anche a rilassarsi un po’, prima di andare ad aprire il negozio.

    Continuò a correre e, sotto i suoi passi, la sabbia si sollevava in piccole nuvolette che mulinavano sospinte dal vento. Prima di risalire verso la strada, lanciò un’occhiata alla sua destra: tra i pattìni ormeggiati lungo una pedana in legno, notò un indumento che galleggiava. Strizzò gli occhi per mettere a fuoco: si trattava senz’altro di una giacca. Salì sulla pedana e, come un’equilibrista, avanzò a passi incerti verso il lago.

    La prima cosa che fece fu quella di guardarsi intorno, ma la spiaggia era deserta. Lungo la strada non si vedeva nemmeno più il camion della nettezza urbana.

    Poi abbassò di nuovo lo sguardo. E capì.

    Avrebbe voluto gridare, ma dalla bocca uscì solo un lamento. Il verso di un animale ferito. Boccheggiò, cercando di ingoiare più aria possibile.

    Quindi si voltò di scatto e iniziò a correre più veloce che poteva.

    2

    «Finalmente, l’anticiclone delle Azzorre è tornato sull’Italia, facendo innalzare le temperature e spazzando via la perturbazione Circe che, in questi giorni, ha causato maltempo in tutta la penisola!», annunciò, brioso, lo speaker della radio.

    Il sostituto commissario Lorenzo Festa, a bordo della sua Fiat Grande Punto, aveva già impegnato la corsia d’uscita 23 del Grande Raccordo Anulare quando, con un gesto naturale, accese la prima sigaretta della giornata. Le sventagliate d’aria tiepida che entravano dal finestrino gli scompigliavano i capelli. Col dorso della mano li scostò dagli occhi e tornò a guardare davanti a sé.

    D’estate, Roma sembrava riposare come una millenaria matrona addormentata. Senza la frenesia e il traffico insopportabile, si riusciva ad assaporarne la maestosità e a scorgerne i colori accesi.

    Festa si stava godendo la sua terza estate romana, guidando con gli occhi socchiusi e con un’espressione soddisfatta dipinta sul volto. Da quel momento, e per i prossimi venti giorni, avrebbe sostituito Mazzi a capo del commissariato di Albano Laziale. Il suo diretto superiore, lasciatosi alle spalle due matrimoni falliti, tre figli e altrettanti salati assegni di mantenimento che prosciugavano il suo conto in banca, aveva deciso di sposarsi per la terza volta.

    «Lorenzo, questa è la donna giusta. Me lo sento!», gli aveva confidato.

    In realtà, Festa sapeva bene che quelle rassicurazioni servivano più a convincere sé stesso che a fare conversazione ma, allo stesso tempo, non poteva biasimarlo. Il commissario Mazzi era un uomo innamorato dell’amore. Poco gli interessava che la sua nuova fiamma avesse venticinque anni di meno e che a stento parlasse l’italiano.

    «L’amore non ha età e io comunico con lei attraverso gli occhi», gli aveva detto con quel sorriso bambinesco che poco c’entrava col suo ruolo istituzionale. Probabilmente quel matrimonio sarebbe fallito ancor prima dei due precedenti, magari proprio con l’estenuante replica delle stesse trite modalità che avevano portato alla separazione di molte altre coppie. Tra cui i genitori di Festa.

    Per questo non si era mai sposato.

    Aveva trentasette anni, e sapeva di non essere indifferente alle donne. Fisico alto e slanciato, folti capelli corvini e un viso squadrato dove spiccavano due penetranti occhi a mandorla erano il suo biglietto da visita. Sapeva, a suo modo, di essere un uomo affascinante, eppure non aveva mai incontrato la persona giusta. O, più semplicemente, il matrimonio non faceva per lui. Solo una ragazza, dieci anni prima, lo aveva fatto illudere del contrario. Avevano iniziato a convivere ad Avellino, la sua città d’origine, ma, dopo qualche mese, lei lo aveva risvegliato con la peggiore delle notizie.

    «Lo sai, Lore’, inutile girarci intorno: siamo in crisi da troppo tempo», aveva esordito, sbattendo una mano sul tavolo della cucina.

    Lui aveva scosso la testa, incredulo. «Crisi?»

    «Sì. Non lo vedi? È finita, Lorenzo», aveva urlato, spalancando la porta di casa. «È finita!».

    Quella crisi, in verità, aveva un nome e cognome: si chiamava Alberto Grossi, ed era un cardiologo del San Giuseppe Moscati.

    Dopo Rosalba, nessuna donna gli aveva fatto più vibrare il cuore. Così, era ormai giunto a una conclusione: alcune persone erano fatte per il matrimonio, altre no. E lui apparteneva alla seconda categoria.

    L’autoradio, adesso, trasmetteva la replica di uno stupido scherzo telefonico. Festa cambiò stazione alla ricerca di un po’ di musica. Ormai in radio passavano più tempo a dire scemenze che a trasmettere belle canzoni.

    Lo squillo del cellulare di servizio interruppe i suoi pensieri.

    Tenendo appesa la sigaretta alle labbra, infilò l’auricolare e rispose.

    «Capo, abbiamo un problema!».

    Houston, pensò Festa con un sorriso. Eppure la voce dell’agente scelto Russo era davvero agitata. Cosa strana, per lui.

    «Miche’, che è successo?»

    «Hanno appena ritrovato un cadavere nel lago. Mi trovo già con la squadra sul posto, in via Spiaggia del Lago, proprio davanti alla galleria».

    «Sono appena uscito dal

    GRA

    . Dammi un quarto d’ora e arrivo». 

    Festa interruppe la comunicazione e tirò una lunga boccata alla sigaretta.

    Niente male per essere il primo giorno.

    3

    Quando Festa giunse su via Spiaggia del Lago, un gruppo di curiosi aveva già occupato il marciapiede. Gli agenti Di Salvo e Basile, nel frattempo, avevano formato un piccolo cordone e si impegnavano a tenere la folla lontana dal cadavere.

    Un adolescente, armato di cellulare, si era arrampicato su una panchina di marmo e provava a fotografare, senza ritegno, la macabra scena. Nel frattempo una signora sulla sessantina, con in testa un cappello bizzarro, stava parlando con una coetanea e formulava le più geniali congetture.

    «Suicidio, per forza!», ipotizzò, invece, con l’aria di chi la sapeva lunga, un anziano pescatore, masticando un bastoncino di liquirizia.

    Festa si era sempre chiesto cosa ci trovasse la gente di tanto eccitante nelle tragedie. Cosa portasse intere famiglie a radunarsi attorno a un cadavere, a immortalarlo e osservarlo per ore. Forse era solo un tentativo di esorcizzare la morte. Un modo per guardarla fissa negli occhi e sfidarla.

    Festa fece un cenno di saluto ai due agenti e si portò verso il lago, dove una squadra di sommozzatori, con l’ausilio di una carrucola, stava sollevando il corpo. Un lezzo salmastro spirava nell’aria. Avanzò, affondando le suole nella sabbia scura. Non appena vide il cadavere sgocciolante appeso al gancio, un cappio invisibile sembrò serrargli lo stomaco, provocandogli un senso di nausea. Distolse lo sguardo e affrettò i passi. L’acqua del lago si infrangeva sulle pietre, sfiorandogli le scarpe. Si fermò, le spalle irrigidite e un nodo in gola a spezzargli il fiato.

    «Buongiorno, capo!». La voce di Russo. Festa si voltò: l’agente scelto gli stava andando incontro. «I sub stanno recuperando il corpo, gli uomini della Scientifica hanno già scattato alcune istantanee e il medico legale sarà qui a momenti».

    «Bene. Chi ha trovato il cadavere?».

    Russo indicò una ragazza vestita con una tuta grigia, accovacciata su un lettino da mare.

    «Si chiama Anna Toscani. Ha detto che stava facendo footing sulla spiaggia. È ancora sotto shock». 

    «Va bene. Sentiamola».

    Anna Toscani se ne stava seduta sul lettino, coi gomiti poggiati sulle ginocchia e il volto coperto dalle mani. Quando i due poliziotti si avvicinarono, non ebbe alcuna reazione.

    «Buongiorno, signorina. Sono il sostituto commissario Festa e lui è l’agente scelto Russo», disse Festa, con tono rassicurante. «Dovremmo farle qualche domanda, se per lei non è un problema».

    «Buongiorno», rispose la ragazza, scostando le mani, ma restando a fissare il vuoto.

    «Come sta? Ha bisogno di qualcosa?»

    «No, grazie».

    «Allora», pronunciò Festa accomodandosi sul lettino, «mi vuole dire cos’è successo stamattina?».

    Anna doveva avere all’incirca venticinque anni. I capelli corti e tinti di rosso acceso, il corpo magro e tonico; le braccia ricoperte di tatuaggi la facevano sembrare una cantante metal. Con apparente distacco, si sporse in avanti e iniziò a parlare: «Ogni giorno mi sveglio molto presto per correre sul lungolago prima di andare al lavoro. Anche oggi è andata così. Stavo già tornando a casa, quando, in lontananza, mi è parso di vedere un… un indumento, forse un giubbotto. Galleggiava sul pelo dell’acqua. Così mi sono avvicinata e…». A quel punto sgranò gli occhi e sembrò tornare improvvisamente alla realtà. La voce, adesso, era più acuta e gli occhi, gonfi di lacrime, erano puntati nel vuoto con un’espressione di terrore. «Mi sono accorta che, in realtà, si trattava di un… di un…».

    Festa fece un gesto discreto con una mano. «Va bene così, signorina. Mi sa dire che ore erano, più o meno?»

    «Le sette meno dieci. Avevo appena guardato l’orologio».

    «Ha visto qualcuno aggirarsi per la spiaggia? O qualcosa di strano?».

    Lei scosse la testa. «No, non c’era nessuno… la strada era… era deserta».

    «Dunque non ha altro da dirci?»

    «No… non so altro».

    «Perfetto, ci è stata di grande aiuto». Il commissario si congedò gentilmente prima di rivolgersi all’agente scelto. «Russo, metti a verbale le dichiarazioni della signorina».

    L’agente, lieto di avere finalmente un compito preciso da svolgere, tirò fuori penna e blocchetto, e iniziò a scrivere.

    Festa, a quel punto, tornò verso il lago, dove la squadra dei sommozzatori aveva finito di recuperare il cadavere, proteggendolo con un telo dagli sguardi indiscreti dei passanti.

    «Commissario Festa!», tuonò una voce profonda alle sue spalle, facendolo voltare.

    L’uomo, vestito con un abito bianco e un papillon azzurro, sorrise affabile porgendogli la mano. «Salve, sono il medico legale Riccardo Boni. Il fortunato a cui oggi tocca questa zona…».

    Festa gli strizzò l’occhio e trattenne un sorriso. Il medico doveva avere un gusto particolare in quanto a vestiti e, forse, quell’abbigliamento assurdo era solo un modo per tenersi aggrappato alla parte migliore della sua vita. «Buongiorno, dottore. I sommozzatori hanno appena estratto il corpo, vuole dare uno sguardo?».

    Boni annuì e posò la borsa di cuoio sulla sabbia. Indossò i guanti e andò verso la salma. Con gesti delicati, provò a muovere il braccio della vittima, ma il cadavere, rigido, sembrava opporsi. Dava l’idea di un macchinario ossidato in attesa di essere oleato.

    «Si tratta di una donna», constatò. «Il raggrinzimento dell’epidermide e il colorito biancastro del palmo della mano dimostrano che è in acqua da qualche giorno. Però non abbastanza da andare in macerazione. Credo sia trascorsa meno di una settimana», stabilì, prendendo dalla borsa alcuni strumenti.

    Festa ascoltava, registrando ogni singola parola, sapendo quanto fossero importanti i primi rilievi.

    «Uhm. Il tanatoscopio rileva una temperatura molto bassa, causata dalla lunga permanenza in acqua. La salma è lunga 166 centimetri, di corporatura magra. Le palpebre sono semiaperte e si evidenzia la lieve presenza del velo di Winslow. Agli angoli degli occhi abbiamo le macchie scleroticali di Sommer di colore verde scuro». Fece un lungo sospiro prima di riprendere. «Commissario, il cadavere dovrebbe avere un’età compresa tra i trenta e i quarant’anni. Farò alcune analisi in laboratorio per verificare l’eccitabilità neuromuscolare e il test delle diatomee, sperando che, nei prossimi giorni, possa dirle il tutto con maggiore precisione. Per quanto riguarda l’identificazione, vista la permanenza in acqua, sarà difficile acquisire le impronte digitali. Farò comunque dei tentativi…».

    «La ringrazio. C’è dell’altro?»

    «Al momento no. Non appena la Scientifica avrà terminato con i rilievi, trasporteremo la salma in obitorio per l’autopsia».

    Festa fece un cenno col capo e si allontanò, osservando il panorama.

    Dopo quattro giorni di maltempo, il sole risplendeva nel cielo terso. Si generava un curioso effetto cromatico: baciato dai raggi, il lago appariva come un’unica piattaforma verdastra, increspata da piccole onde che danzavano sotto il vento di fine estate. Festa si accese l’ennesima sigaretta e guardò attentamente la strada, dove i passanti si erano accalcati come una platea strepitante in attesa del colpo di scena. 

    Pensò a quanto fossero fortunate le persone del posto a vivere in un luogo simile. Affacciarsi alla propria finestra e ritrovarsi davanti agli occhi quel panorama mozzafiato.

    Era quello che valeva la pena guardare, non il macabro spettacolo della morte.

    4

    Un’antica lampada d’ottone illuminava la camera da letto.

    Nel lieve bagliore si distinguevano a malapena il tappeto persiano e il letto in palissandro, con i comodini intarsiati e rifiniti con foglie d’oro.

    Mattia Trevisani si stava abbottonando la camicia di fronte allo specchio. Si voltò in tempo per vedere la donna che si metteva a sedere sul materasso. Si copriva il seno abbondante con le lenzuola. Vista così, sembrava una bambina, col viso protetto da un sottile velo di trucco. Si era raggomitolata in posizione fetale, e abbracciava un cuscino. Nessuna traccia, su quel viso bambinesco, della temibile donna di ghiaccio. Così la chiamavano negli uffici della società.

    La moglie del senatore Moretti.

    L’imprenditrice che gestiva un impero finanziario e dispensava consigli nei salotti della Roma bene dove, fra tartine al caviale e flûte di champagne, si discuteva di filosofia e politica. Dove si decideva della vita di migliaia di cittadini. Eppure lei, in quel momento, appariva innocente e amorevole come un’adolescente alla prima cotta.

    Mattia si voltò di nuovo in direzione dello specchio, e chiuse gli ultimi bottoni. Quindi si lisciò la camicia addosso con il palmo della mano. «Devo andare», disse, voltandosi verso di lei. «Tra poco inizia la diretta…».

    Lei non rispose, eppure qualcosa cambiò: in un istante, gli occhi innocenti avevano già lasciato il posto a uno sguardo vitreo e impalpabile. Ghiaccio. Senza dire una parola raccolse dal pavimento il reggiseno e lo indossò.

    Lui la

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