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Umberto Galimberti Ezio Mauro Fondata sulla corruzione
Umberto Galimberti Ezio Mauro Fondata sulla corruzione
Umberto Galimberti Ezio Mauro Fondata sulla corruzione
E-book1.045 pagine14 ore

Umberto Galimberti Ezio Mauro Fondata sulla corruzione

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La fiera dei sepolcri imbiancati. Non si è forse udito per anni l’ex timoniere della cosiddetta “macchina della conoscenza” Ezio Mauro strillare che “il giornale ha il comandamento delle notizie”? Eppure, sull’attività plagiatoria della “grande firma” Galimberti, l’ex dir. di Repubblica, notorio paladino della libertà d’informazione, non si è mai degnato di darne notizia ai lettori, benché già a maggio 2006 Galimberti abbia subito una “condanna per plagio”, proprio in merito a un articolo pubblicato su Repubblica, che dal 1995 il filosofo ladrone ha usato come un’oliata “macchina della frode”, pubblicando articoli frutto di plagi, e col consenso del dir. Ezio Mauro, ri-usati poi per fabbricare libri-frode, come per es.: I vizi capitali e i nuovi vizi, Le cose dell’amore, L’ospite inquietante, ecc. Eppure, a fronte della “Legge bavaglio”, non fu forse il dir. Mauro uno dei più pugnaci avversari, proclamando: “Ci lascino la libertà di informare i cittadini, altrimenti ce la conquisteremo”? [La Repubblica 24.05.2010], e però, lo stesso dir. Mauro non si fece scrupolo alcuno di “mettere il bavaglio” alla notizia che Galimberti è un ladrone e impostore, fregandosene che “la corruzione nell’ambito morale equivale a depravazione, immoralità, azioni contrarie al dovere” [C. Galli La Repubblica 27.02.2011], e disprezzando quindi deliberatamente il “suo dovere” d’informare i cittadini sull’attività fraudolenta della “grande firma” della Repubblica delle idee. E fu ancora il Mauro a predicare che il suo sarebbe un “giornalismo che aiuta a decifrare la realtà” [La Repubblica 19.09. 2008], benché ad aprile 2008, cioè quando Galimberti fu accusato di plagio, non scrisse una riga sulle ruberie della “grande firma”. E pure G. D’Avanzo, che per C. Galli sarebbe “un esempio di critica di ciò che ancora serve e servirà all’Italia: il coraggio di smascherare la menzogna e la passione per la realtà e per la verità” [La Repubblica 02.03.2012], non scrisse una riga sul ladrone, mentre col prof. Antonio Villani il D’Avanzo fu impietoso, definendolo: “un copione, un mago del plagio” [La Repubblica 28.09.1993]. E pure lo spiritoso Merlo, che non mancò di riportare che il prof. Villani “salì in cattedra con l’inganno. Smascherato poco tempo fa per un saggio, ora è accusato di aver costruito l’intera carriera sul plagio” [F. Merlo Corriere della Sera 13.06.1993], traslocato a La Repubblica, non scrisse una riga sul ladrone Galimberti, che salì in cattedra con la frode. E passato il timone de La Repubblica da Mauro a Calabresi, l’impostore Galimberti è tuttavia rimasto al suo posto, seguitando a farneticare che “l’unica vera riforma utile alla scuola sarebbe l’abolizione del ruolo, perché quando un professore non sa motivare gli studenti, non sa comunicare e tanto meno affascinare non si può lasciarlo in cattedra per anni e anni, con l’unico risultato di demotivare gli studenti e renderli estranei a quel potenziale educativo che è la cultura” [D 23.12.2017].
Dunque, il ladrone Galimberti seguita da Repubblica a insultare gli insegnanti, lui che in cattedra ci montò con la frode, costruendo “l’intera carriera sul plagio”.
LinguaItaliano
Data di uscita25 gen 2018
ISBN9788827557860
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    Umberto Galimberti Ezio Mauro Fondata sulla corruzione - Vincenzo Altieri

    TT

    Fondata sulla corruzione

    È che sono convinto (e sono convinto che sia vero) che viviamo sommersi da falsificazioni, dalla menzogna come strumento di potere e di manipolazione del consenso, dalla diffusione di false notizie come arma di destabilizzazione. Questo è il Diavolo».

    Umberto Eco [1]

    Se andiamo avanti con l’individualismo,

    con gli interessi personali, con la corruzione,

    con l’esonero dal rapporto con lo Stato,

    beh, allora qui non progettiamo un bel niente.

    Umberto Galimberti [2]

    Ma le bugie hanno le gambe corte,

    e il tempo dell’inganno è scaduto.

    Ezio Mauro[3]

    La corruzione è parziale e ingiusta, perché favorisce qualcuno.

    Carlo Galli [4]

    Ma la libertà di stampa non implica la licenza di mentire.

    Onora O’Neill [5]


    [1] U. Eco intervistato da A. Zaccuri, Eco: «Adoro il falso, ma cerco il vero», La Repubblica 21 dicembre 2012.

    [2] Galimberti: Combattere la corruzione e creare cultura, fonte Youtube, pubblicato il 03 giugno 2014 da Cooperazione.tv.

    [3] E. Mauro, La menzogna, La Repubblica 03 giugno 2010.

    [4] C. Galli, La parola Corruzione, La Repubblica 27 febbraio 2011.

    [5] O. O’Neill, Una questione di fiducia, p. 107, Edizione Vita e Pensiero, Milano 2003. 

    I

    Velo porta velo

    Così voi pure di fuori apparite agli altri giusti

    ma di dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità.

    Mt 23,28

    ​1. No al bavaglio

    L’indefesso combattente per la verità, il pugnace Ezio Mauro, che con la sinistra agitava la bandiera di una certa idea dell’Italia, [1] alla cui nobile causa sacrificò per vent’anni spirito, anima e core, mentre con la destra, impugnando un poderoso martello, non si stancava mai di vibrare ognora possenti colpi contro l’uso della menzogna come arte di governo, [2] dal 14 gennaio 2016 non è più al timone della cosiddetta macchina della conoscenza.

    Dunque, il capomacchinista Ezio Mauro, dopo un caldo ventennio di "successi editoriali e battaglie giornalistiche, insieme politiche e civili, di grande coraggio, che hanno garantito al giornale e al sito Repubblica.it il primato di lettori, di copie vendute, di contatti e utenti unici",[3] quindi, al sommo della gloria e dei successi di mercato, come ogni eroe che sente di aver compiuto la sua missione, abbandonò la guida di Repubblica, e ancorché fosse tirato per la giacca, perché desistesse dal suo proposito, non ci fu verso e modo d’indurlo a ritrattare la sua decisione.

    E a fronte della decisione irremovibile e pertinace di Mauro, un’autentica testa dura piemontese, sul cui capo teneva spiegata la bandiera inneggiante a largo ai giovani, e subito fuori i gerontocrati dalla stanzetta dei bottoni, l’Assemblea dei giornalisti di Repubblica non poté infine che ringraziarlo, sottolineando altresì la libertà e l’indipendenza che la sua direzione ha saputo garantire a ciascuno nel proprio lavoro, e inoltre celebrandolo per l’autorevolezza e l’autonomia che ha assicurato alla linea editoriale, anche in momenti politici di grande solitudine,[4] dunque un eroe a tutto tondo della libertà di stampa, che si è sempre battuto per la giustizia, appellandosi ognora alla legge uguale per tutti, nonché avversando corrotti e malfattori, e altresì contribuendo coi suoi fecondi, specchiati e notevoli ragionamenti ad alleviare l’infelicità della democrazia che attanaglia il cuore del Belpaese, ancora in affanno.

    Nella festa per i 40anni di Repubblica, chiamato sul palco a testimoniare sulla missione del giornalismo, l’ex direttore Ezio Mauro predicò:

    Il giornale ha il comandamento delle notizie, per forza e per fortuna, però deve cercare qualcosa di più, qualcosa di più sta nella triade: quello che bisogna sapere, quello che merita ricordare, e quello che resta da capire.[5]

    E della missione giornalistica del Mauro cosa bisogna sapere?, ecco:

    - innanzitutto, fu uno dei più strenui e decisi avversari della famigerata legge bavaglio, affinché non fosse neppure scalfito il diritto dei cittadini a essere informati, difatti, emblematico fu in merito uno dei titoli de La Repubblica:

    "È una battaglia di libertà. Rispetto per i cittadini".

    La foto dell’articolo mostra Mauro seduto accanto al giurista Rodotà sul palco del Teatro dell’Angelo a Roma, i quali parlottano tra di loro, mentre davanti ai due paladini di libertà e rispetto per i cittadini spicca il manifesto della protesta con l’eloquente e battagliera parola d’ordine:

    - "NO al bavaglio",

    perché, secondo il noto giurista Rodotà, il rischio è che i cittadini «vengano imbavagliati: privati delle informazioni, non avranno più la possibilità di valutare e controllare chi governa», quindi, per l’ex Garante della privacy, la legge bavaglio poteva condurre al ferale esito «di cancellare l’opinione pubblica che diventerebbe carne da sondaggio», perciò, dinanzi a siffatta macabra e disastrosa prospettiva, il pugnace Mauro gridò dal palco: Ci lascino la libertà di informare i cittadini, altrimenti ce la conquisteremo.[6]

    E mentre Mauro seguitava a tener viva l’attenzione contro la corruzione che inquina politica e affari, contro la famelica corruzione che si mangia il paese, chiamando i cittadini democratici alla mobilitazione generale per la salvezza del Paese, e parimenti avversando i cinici e disonesti manipolatori della realtà, con la sua autorevole voce l’eroico direttore di Repubblica tornò ad attaccare la legge bavaglio, ricordando agli addetti e ai responsabili dei mass-media il dovere di difendere la libertà di stampa, denunciando con inusitata foga:

    È altrettanto vergognoso, e incomprensibile, che non ci sia una mobilitazione generale di tutto il mondo dell’informazione, dalla stampa alla radio-televisione a Internet. Qui non è una questione di destra o sinistra, ma un problema di diritti fondamentali, del loro esercizio, del dovere di informare e del diritto di conoscere e sapere. È un tema di libertà, nel quale si mette in gioco quel soggetto fondamentale delle democrazie occidentali che è la pubblica opinione: ciò che distingue un regime da un sistema aperto, con un libero mercato del consenso basato sulla trasparenza e sull’accesso alla conoscenza e all’informazione.[7]

    A fronte di ciò, avendo come bussola la triade enunciata da Mauro sul palco di Rep40, e saputo che per lui il dovere di informare risponde al diritto di conoscere e sapere dei cittadini, pertanto è un tema di libertà, entro cui gioca le sue carte quel soggetto fondamentale delle democrazie occidentali che è la pubblica opinione, perciò giornali e mass-media non vanno imbavagliati, anzi, in quanto permettere a tutti i cittadini l’agevole e libero accesso alla conoscenza e all’informazione è indispensabile per il sano sviluppo di un libero mercato del consenso basato sulla trasparenza, allora, ciò detto, per noi resta da capire cosa volesse intendere l’ex direttore di Repubblica per libero mercato del consenso, forse che il consenso è una merce come altre?, dunque soggetta alla legge della domanda e dell’offerta, con listino prezzi e così via?, che la merce che si vende ha sempre ragione?, probabilmente sì, stando alle altre sue esternazioni su mercato politico, mercato della comunicazione, mercato della sicurezza, ecc., per cui quello che merita ricordare di Ezio Mauro è anche una cosiffatta concezione mercatofila del consenso, su cui torneremo.


    [1] E. Mauro, Una certa idea dell’Italia, La Repubblica 15 gennaio 2016.

    [2] E. Mauro, La menzogna, La Repubblica 03 giugno 2010.

    [3] Cambio di direzione a Repubblica, il comunicato del Cdr, La Repubblica 27-11- 2015.

    [4] Ibidem.

    [5] Rep40 - Mauro: Giornale strumento per capire mondo sempre più pericoloso, Rep tv 14 gennaio 2016.

    [6] È una battaglia di libertà. Rispetto per i cittadini, La Repubblica 24 maggio 2010.

    [7] E. Mauro, Il dovere di difendere la libertà di stampa, La Repubblica 19 maggio 2010. 

    II

    Il velo maculato

    Guardatevi dai falsi profeti,

    i quali vengono a voi in veste di pecora,

    ma dentro sono lupi rapaci.

    Mt7,15

    ​1. Caro Costanzo apra una botola

    Ezio Mauro, l’integerrimo paladino di libertà e giustizia, va elogiato pure per aver inventato il geniale brand grandi firme, tra cui spicca Umberto Galimberti, che nel 1995 fu corteggiato e se-dotto da Scalfari, che lo indusse a lasciare le pagine de Il Sole-24-Ore e a mettersi armi e bagagli al servizio della repubblica delle idee , e corse voce che per celebrare la conquista si stappò perfino dell’ottimo champagne.

    Perciò, quando "il 06 maggio 1996 fu richiamato a Repubblica, per sostituire Scalfari alla direzione, il condottiero Mauro si ritrovò così tra le sue fila anche il filosofo" e moralista Umberto Galimberti.

    Ci tocca tuttavia rilevare che chiamando Galimberti a Repubblica, senz’altro Scalfari non ricordava, o forse di proposito ignorò?, cosa aveva scritto nel 1989 il critico televisivo di Repubblica, quell’erudita e buon’anima di Beniamino Placido, che già allora forse intuì l’indole tutt’altro che onesta del filosofo, difatti il titolo dell’articolo del 21 marzo 1989 dedicato a Galimberti è eloquente:

    "Caro Costanzo apra una botola",

    come a dire: Costanzo, mi faccia il piacere, lo faccia sparire dal palco.

    E stando alla critica di Placido, il filosofo era un habitué del Costanzo Show, in quanto Umberto Galimberti allo show di Maurizio Costanzo c’è stato già quattordici volte. O ventuno. O ventotto. Ho perduto il conto,[1] un presenzialista della tivù, quindi, e però, chissà per quale balzana magia, nel 2007 la Dandini, rivolto all’ospite inquietante Galimberti, gli disse: so che non bazzica volentieri la televisione,[2] che dai fatti risultava però del tutto infondato.

    E c’è da credere che furono proprio gli atteggiamenti dissonanti e ipocriti del filosofo a irritare il critico televisivo, difatti il Placido rilevò:

    con il professor Galimberti, noialtri occidentali viviamo in un mondo deformato dalla televisione. Qual è lo scopo della nostra vita? Ascoltare i consigli per gli acquisti. Qualche lettore forse saprà che il Maurizio Costanzo Show è giustappunto uno spettacolo televisivo; sovente interrotto dalla pubblicità che Costanzo annuncia con il consueto eufemismo: Consigli per gli acquisti. Qualche lettore avrebbe forse già avvertito al posto del professor Galimberti un sospetto di contraddizione, venerdì sera. Ma come? Sto parlando male della televisione in televisione. Sto deplorando i consigli per gli acquisti fra un consiglio per gli acquisti e l’altro.[3]

    Forse qualche lettore perbene sì, avrebbe avvertito la contraddizione, ma di sicuro non lo psico-apatico Galimberti, che del resto nel 1989 era già un ladrone e impostore di lungo corso, il quale con le frodi era giunto all’insegnamento a Ca’ Foscari, alle comparsate in tivù, quindi alla notorietà, spacciando per farina del proprio sacco dei libri assemblati a plagi, parafrasi e argomentazioni cervellotiche, nonché impreziositi qua e là di rilucenti perle asinine.

    Dunque, prima che a Mauro fosse consegnato il timone di Repubblica, il critico televisivo dello stesso giornale, l’erudito Beniamino Placido, trattava il filosofo Galimberti alla stregua di un ciarlatano:

    Non ho letto i libri del professor Galimberti. Nemmeno l’ultimo, purtroppo. E dubito che troverò mai il tempo per farlo. Sospetto però che il professor Galimberti sia uno di quei professori che pensano di fare filosofia spezzettando le parole, e mettendo dei trattini fra una sillaba e l’altra. Una volta l’ho sentito improvvisare tutta una spiegazione etimologica della parola se-duzione. Che scritta così rivelerebbe non so quale misteriosa origine e significato. Venerdì sera l’ho sentito fare analoga operazione con la parola e-sistenza. Che così scritta risulterebbe derivare da ex-sisto: sto fuori, mi tengo in disparte. Chi vuole esistere davvero dovrebbe fare come il professor Galimberti: che si tiene fuori del mondo. Se ne sta in disparte. Vive in un eremitaggio. Salvo quelle non rare volte che va a chiacchierare in televisione. Ma lo fa giusto per sgranchirsi le gambe.[4]

    Chiunque legga la critica tivù di Placido del 1989, si renderà subito conto che il filosofo è messo in ridicolo, sbertucciato, ma ecco che, allorquando Galimberti assumerà il ruolo di grande firma di Repubblica, quello che in precedenza era trattato alla stregua di un ciarlatano, e lo si dileggiava, per effetto di chissà quale portentosa magia, verrà celebrato nella repubblica delle idee come un cosiddetto filosofo grandissimo, psicologo molto autorevole; e sebbene pescato ancora a rubare, e denunciato sulla stampa nazionale nel 2008, tutti i repubblichini guidati dal dir. Mauro, paladino della libertà d’informazione e del rispetto per i cittadini, non solo hanno taciuto, fregandosene del diritto dei cittadini a essere informati, ma seguitato altresì a spacciare l’impostore per una grande firma, e addirittura, udite, udite!, per Galimberti superstar,[5] rivestendolo con tante altre stupefacenti mascherine, tutte debitamente imbiancate, come si usa fare coi sepolcri.


    [1] B. Placido, Caro Costanzo apra una botola, La Repubblica 21 marzo 1989.

    [2] S. Dandini, Parla con me, Raitre 16.12.2007.

    [3] B. Placido, Caro Costanzo apra una botola, La Repubblica 21 marzo 1989.

    [4] Ibidem.

    [5] Marina Paglieri, Torino Spiritualità, Galimberti superstar folla per la lezione sulla morte di Dio, La Repubblica 01 ottobre 2011.

    III

    La trama svelata

    Il falso testimone non resterà impunito,

    chi diffonde menzogne non avrà scampo.

    Pr19,5

    ​1. Il moralista frodatore

    Dunque, il Fondatore riuscì a sottrarre il filosofo di nome a Il Sole-24-Ore , e così, benedetto da Scalfari, il 25 giugno 1995 Umberto Galimberti inizia la sua collaborazione con Repubblica, esordendo con un articolo dal titolo roboante:

    "NOVECENTO ATTENTATO ALLA MORALE".

    E in tal modo, predicando di morali (al plurale) e morale al singolare, nonché infine sottolineando che si può parlare di ‘responsabilità’ solo in presenza di una consapevolezza della propria azione e delle sue conseguenze,[1] il cosiddetto moralista iniziò il suo glorioso cammino al seguito di Scalfari, e l’anno seguente dietro Ezio Mauro, ma da autentico e inveterato filosofo amorale, aduso a plagi, imposture e frodi, Galimberti seguitò a fare quello che aveva sempre fatto, vale a dire: saccheggiare i libri altrui, assemblando poi gli articoloni con idee e pensieri rubati, e spacciandoli infine sulle pagine culturali di Repubblica come originali cogitazioni della sua abissale mente, ingannando così lettrici/ori.

    E giusto per rimarcare un eloquente esempio, il 13 dicembre 1995, il filosofo amorale pubblicò su La Repubblica l’articolo titolato:

    - Nostra Signora morte, così ti combattiamo,

    apponendo in calce la sua grande firma, quindi spacciando idee e pensieri in esso contenuti per suoi, ma i fatti certificano però altro scenario, poiché attestano che Galimberti fabbricò l’articolo plagiando Il teatro dell’immortalità di Zygmunt Bauman, pubblicato dal Mulino nel 1995 [cfr. Appendice A].

    E Zygmunt Bauman, il derubato dalla grande firma di Repubblica, è lo stesso sociologo e autore, insieme col dotto Ezio Mauro, di Babel, libro edito nel 2015, celebrando così la ricorrenza di un altro ventennio: il primo plagio di Galimberti a Bauman, uscito nel 1995 su la repubblichina delle idee.

    E in quanto a scenario babelico, va segnalato che sia l’inveterato ladrone che il derubato, cioè sia il predone Galimberti che la vittima Bauman, fino alla passata edizione 2016 del popolare Festivalfilosofia modenese, figuravano ambedue nella sfavillante e prestigiosa rosa dei big del pensiero mondiale, i quali, con erudite lectio magistralis, da anni ormai intrattenevano le folle su come curare l’infelicità della democrazia.


    [1] U. Galimberti, Novecento attentato alla morale, La Repubblica 25 giugno 1995.

    2. Sulle orme della sacra frode

    Così, a partire da Novecento attentato alla morale, e prendendo servizio nella repubblichina delle idee , Galimberti seguitò non solo a pubblicare su Repubblica articoli fabbricati coi plagi a idee e pensieri altrui, ma riusò poi sistematicamente questi stessi articoloni per costruire i cosiddetti suoi libri, come aveva già fatto in precedenza, per es., con Paesaggi dell’anima , libro montato con articoli zeppi di plagi, e altre sconce manipolazioni, usciti dal gennaio 1993 al giugno 1995 sul Supplemento Domenicale de «Il Sole-24 Ore», e subito poi riutilizzati previo consenso del Direttore Salvatore Carrubba.

    Quindi, la pratica amorale di confezionare libri con articoli frutto di precedenti plagi, Galimberti la professò anche quando prese a militare ne La Repubblica al servizio prima del Fondatore e subito poi del moralista piemontese Ezio Mauro, che in pubblico si atteggia ad acerrimo avversatore dei corrotti, e altresì a nemico giurato dei manipolatori della realtà.

    Difatti, del filosofo impostore, nel 2000 uscì un altro libro-frode denominato Orme del sacro. E nei Ringraziamenti l’impostore Galimberti precisa:

    I testi del presente volume, che in queste pagine ricevono una forma nuova, sono una rielaborazione di articoli che han­no per oggetto il sacro, originariamente apparsi sul supplemento domenicale del «Sole-24 Ore» negli anni 1993-1995 e su «Re­pubblica» negli anni 1995-2000. L’autore e l’editore ringraziano il direttore del «Sole-24 Ore» Ernesto Auci e il direttore di «Re­pubblica» Ezio Mauro che hanno consentito di raccoglierli in forma di libro.

    Orme del sacro è però una frode, poiché gli articoli usati per fabbricarlo sono inzeppati di plagi, parafrasi e manipolazioni cervellotiche, e ne abbiamo già dato eloquenti prove, documentando dei capitoli assemblati coi plagi di Galimberti a Pontalis [per es. cfr. Appendice B], Vitiello, Bataille, et al.

    ​3. La frode I vizi capitali e i nuovi vizi

    Nel 2003 uscì un altro libro-frode denominato I vizi capitali e i nuovi vizi , in cui, p. 14, Galimberti precisa:

    Per questo libro devo due ringraziamenti: uno a Ezio Mauro, direttore di «Repubblica», che nell’estate del 2001 mi ha spinto a scrivere i «vizi capitali» per offrire al lettore qualche riflessione sull’indole morale di ciascu­no di noi; l’altro a Paolo Mauri, responsabile delle pagi­ne culturali di «Repubblica», che nell’estate del 2002 ha avuto la bella idea di promuovere una ricerca sui «nuovi vizi», per consentire, a chi lo volesse, di avere una mag­giore consapevolezza di quali disagi soffre la società in cui viviamo.

    Dunque, I vizi capitali e i nuovi vizi è un libro fatto con articoli pubblicati già su La Repubblica, e com’è malcostume del ladrone Galimberti, gli articoli sono assemblati a plagi, parafrasi e altre argomentazioni cervellotiche.

    Così, nel 2001 fu Mauro a pungolare il filosofo di nome, affinché s’ingegnasse a trovare della materia per trattare di «vizi capitali», in modo da offrire al lettore qualche riflessione sull’indole morale di ciascu­no di noi, vale a dire per offrirla innanzitutto ai lettori della colta "community di Repubblica", perciò Galimberti, prono ai desiderata del suo direttore, subito s’industriò per soddisfarlo, e si mise all’opera, fabbricando:

    - Ira, la nostra faccia nascosta, La Repubblica 27 luglio 2001,

    coi plagi ad Arrabbiarsi, libro di Valentina D’Urso [cfr. Appendice C];

    - Noi, figli dell’accidia, La Repubblica 02 agosto 2001,

    coi plagi a Il Paradiso e la Noia di Carlo Maggini e Riccardo Dalle Luche, e saccheggiando Sei malattie dello spirito contemporaneo, libro di Costantin Noica, già succhiato in precedenza [cfr. Appendice D];

    - Invidia, La Repubblica 08 agosto 2001,

    coi plagi al Dizionario dei vizi e delle virtù, libro di Salvatore Natoli;

    - Superbia, La Repubblica 11 agosto 2001,

    copiando dal Dizionario dei vizi e delle virtù di Natoli [cfr. Appendice E];

    - AVARIZIA Così il denaro se la gode al posto di chi ce l’ha, La Repubblica 17 agosto 2001,

    coi plagi a Filosofia del denaro di Georg Simmel [cfr. Appendice F];

    - Gola, La Repubblica 26 agosto 2001,

    mungendo Mangio, dunque sono, libro di Gerard Apfeldorfer, e Briciole. Storie di un’anoressia, libro di Alessandra Arachi, che Galimberti aveva già spremuto in precedenza [cfr. Appendice G];

    - Lussuria, La Repubblica 03 settembre 2001,

    succhiando i corpora identificati di Christos Yannaras e Jean Baudrillard [cfr. Appendice H].

    I succitati articoli costruiti a plagi, con cui ha lucrato, e ancora seguita a lucrare l’impostore, sono andati poi a formare, previo consenso di Ezio Mauro, la parte prima de I vizi capitali e i nuovi vizi, cioè sono serviti a confezionare un’ulteriore frode a danno anche di lettrici e lettori esterni alla "community di Repubblica"; e questo libro-frode è altresì ancora spacciato dai parenti di Galimberti per sapienza offerta al lettore, affinché possa farsi qualche riflessione sull’indole morale di ciascuno di noi, perché sulle truffe e le imposture dello scellerato filosofo fu ed è tuttora tacitamente applicata nella repubblica delle idee la legge bavaglio.

    L’altro ringraziamento di Galimberti è per Paolo Mauri, responsabile delle pagi­ne culturali di «Repubblica», che nell’estate del 2002 ha avuto la bella idea di promuovere una ricerca sui «nuovi vizi», rivolgendosi poi al filosofo di nome, affinché all’idea desse sostanza, e il sapiente ladrone si mise subito all’opera per trafugare la materia adatta alla bisogna, fabbricando:

    - I vizi capitali di questo secolo, La Repubblica 08 agosto 2002,

    coi plagi a L’io minimo di Christopher Lasch, e L’uomo è antiquato, vol. II di Günter Anders, articolone che nella parte seconda del libro-frode I vizi capitali e i nuovi vizi andrà a formare il cap. 8 Consumismo [cfr. Appendice I].

    Si precisa altresì che nell’indice dei nomi e nella bibliografia del libro-frode I vizi capitali e i nuovi vizi non compare alcuna traccia di Christopher Lasch, per cui Galimberti spaccia per suoi i pensieri rubati a Lasch.

    - Ma il nudo stanca, La Repubblica 28 agosto 2002,

    coi plagi a L’uomo è antiquato, vol. II di Günter Anders, Lo scambio simbolico e la morte di Jean Baudrillard, Miti d’oggi di Roland Barthes, articolone che nella parte seconda del libro-frode I vizi capitali e i nuovi vizi andrà a formare il cap. 11. Sessomania [cfr. Appendice L].

    Ma pure gli altri «nuovi vizi» Galimberti li ha fabbricati a plagi, e indichiamo infine qui soltanto il vizio denominato dall’impostore Diniego, apparso prima in forma di articolone col titolo:

    - Non mi piace e non lo vedo, La Repubblica 05 settembre 2002,

    assemblato con plagi e manipolazioni a Stati di negazione di Stanley Cohen. E il ladrone Galimberti non si limitò a derubare Cohen, ma gli storpiò pure ricordi e pensieri [cfr. Appendice M].

    Poi, per rabberciare il cap. 13. Diniego de I vizi capitali e i nuovi vizi, oltre a riusare l’articolo Non mi piace e non lo vedo, il filosofo-vampiro tornò sul luogo dei delitti, succhiando altra linfa a Stati di negazione, cioè derubò ancora Stanley Cohen.

    E il Diniego, questo «nuovo vizio» capitale, per l’amorale Galimberti consiste nel negare, nelle forme più svariate e ipo­crite, l’esistenza di ciò che esiste e per giunta si cono­sce.[1]

    Dunque, tutti quelli che conoscono bene che Galimberti è un ignobile ladrone e impostore, a iniziare da Ezio Mauro e le grandi firme della repubblichina delle idee, però lo negano, fingendo non solo d’ignorare la mole di prove indubbie che lo certificano, ma accampando altresì dinanzi all’evidenza dei reati di plagio scuse e pretesti nelle forme più svariate e ipo­crite, peccano di Diniego, e pertanto, per il filosofo di nome, sono degli indegni viziosi, perché, invece di denunciare lo psico-apatico frodatore e falso intellettuale, affinché venga punito e messo nella condizione di non attossicare più menti e cuori, permettono piuttosto a Galimberti di continuare ancora a ingannare e truffare lettrici e lettori, innanzitutto gli ignari e creduli aderenti alla "community di Repubblica".


    [1] U. Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, p. 107, Feltrinelli Milano, aprile 2003.

    ​4. La frode Le cose dell’amore

    A ottobre 2004 il ladrone e impostore Galimberti sfornò un libro denominato Le cose dell’amore , informando gli acquirenti:

    Alcuni di questi capitoli sono stati anticipati su «Repubblica» nel­le estati del 2003 e del 2004. In particolare nel 2003 sono comparsi estratti dei capitoli relativi a: il desiderio, l’idealizzazione, l’odio, il tra­dimento e la follia; mentre, nel 2004, estratti dei capitoli relativi a: la seduzione, il pudore, la perversione, la solitudine, il denaro, il matri­monio e il linguaggio. Ringrazio il direttore di «Repubblica» Ezio Mauro per avermi concesso di recuperare questi testi e integrarli nel libro.

    Anche Le cose dell’amore è però un libro-frode, composto coi succitati articoli fabbricati a plagi, pubblicati su La Repubblica, e con altre ruberie, dunque Le cose dell’amore è un montaggio di pensieri plagiati, rabberci e parafrasi d’idee rubate, infiorato di ragionamenti cervellotici e rilucenti perle asinine, come documenta il nostro e-book Umberto Galimberti L’impostore glorioso, saggio edito nel 2016, e reperibile nelle librerie on-line.

    In Umberto Galimberti L’impostore glorioso è documentato in dettaglio che gli autori plagiati da Galimberti per fabbricare prima gli articoli su La Repubblica e poi la frode Le cose dell’amore sono oltre quaranta, dopodiché questo brigante e abietto impostore, sull’onda della propaganda dei parenti, che lo spacciavano, e ancora lo gabellano, per un profeta dell’amore, se n’è andato in giro a cianciare di cose dell’amore, ingannando le genti credule, perché non sanno.

    Dunque, con gli articoli assemblati a plagi usciti su La Repubblica, inglobati poi con altri plagi nel libro-frode Le cose dell’amore, il ladrone grande firma Galimberti ha frodato, e ancora continua a truffare, lettrici e lettori, innanzitutto quelli della colta "community di Repubblica".

    ​5. La frode L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani

    A ottobre 2007 il ladrone Galimberti pubblicò un altro libro-frode col pomposo titolo L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani , avvertendo:

    Alcuni brani di questo libro riproducono in parte articoli apparsi su «Repubblica» dal 1995 al 2007. Ringrazio il direttore di «Repubblica» Ezio Mauro per avermi concesso di recuperare questi testi e integrarli nel libro.

    Che nel succitato libro-frode ci siano solo alcuni brani di articoli apparsi su «Repubblica» dal 1995 al 2007 è falso, e la grande firma Galimberti, oltre a essere un ignobile ladrone, è inoltre un bugiardo patologico, come lo sono tutti gli impostori, perché L’ospite inquietante è libro fabbricato con plagi a gogo, sconce parafrasi, imposture e argomentazioni cervellotiche.

    In quanto al libro-frode su Il nichilismo e i giovani, siccome Galimberti aveva attirato la mia attenzione su di lui, per motivi che ho già scritto, comprai L’ospite inquietante, e nel leggerlo feci la prima scoperta: la grande firma di Repubblica aveva plagiato Il piacere e il male di Giulia Sissa, fabbricando l’articolo:

    - Il tossico parla in greco antico La Repubblica 09 agosto 2007,

    e poi riusò lo stesso articolo per il par. 1. Il nichilismo sotteso alla droga, cap. 6 La seduzione della droga, de L’ospite inquietante.

    A dicembre 2007 inviai alla prof.ssa Giulia Sissa, docente alla UCLA di Los Angeles, i plagi di Galimberti a Il piacere e il male.

    Lei mi rispose, ringraziandomi per la segnalazione, e soggiungendo che prima di agire, voleva avere ben chiaro tutto quanto aveva combinato Galimberti a suo danno. Dopodiché, mi telefonò ad aprile 2008, dicendomi che i plagi a lei inviati erano stati pubblicati su Il Giornale in un articolo scritto dal prof. Roberto Farneti, chiedendomi se lo avessi letto. Le risposi che avevo a casa Il Giornale in cui c’era l’articolo, ma che non l’avevo ancora letto, ma l’avrei poi fatto. Lei mi domandò se volevo scrivere anch’io qualcosa sulla vicenda, ma le risposi che al momento non era il caso, dato che era già uscito l’articolo del prof. Farneti, e anche perché stavo già scrivendo un libro su ruberie e imposture di Galimberti, avendo intanto scoperto altri plagi e imbrogli.

    Comunque, all’articolo del prof. Farneti, che denunciava i plagi di Galimberti a Sissa, seguirono commenti e opinioni di noti filosofi, tra cui il magister Severino, Gianni Vattimo et al., e il plagiatore grande firma de La Repubblica fu pure intervistato dal giornalista Matteo Sacchi.

    Tuttavia, benché le prove del plagio fossero inoppugnabili, Galimberti definì le accuse un polverone dei giornali, e così, fingendo di esserne una vittima, cercò di volgere la scellerata vicenda a suo favore, tentando di manipolare i fatti, come si è documentato in alcuni capitoli de Il filosofo di Monziglia o dell’impostore Umberto Galimberti, saggio finito a giugno 2009 ed edito in formato e-book nel 2016, quindi reperibile nelle librerie on-line. Ne Il filosofo di Monziglia è provato in modo indubbio che L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani è un’abietta e colossale frode, nonché un libro che ingiuria e danneggia innanzitutto i giovani.

    Quindi, a fronte del cosiddetto polverone dei giornali, pure il direttore Ezio Mauro seppe che l’articolo Il tossico parla in greco antico, uscito su Repubblica il 09 agosto 2007, la grande firma Galimberti lo aveva fabbricato a plagi.

    E oltre ai plagi a Sissa, ad aprile 2008 furono altresì denunciati plagi ai filosofi Natoli e Zingari, e il giornalista Matteo Sacchi scoprì addirittura che Galimberti era già stato condannato per plagio nel 2006:

    "Un caso che vanta già un’ordinanza emessa in da­ta 30/5/2006 che, relativamente al raffronto tra Nell’immagina­rio cromatico e un articolo di Umberto Galimberti intitolato La stinta metropoli che spegne le emozioni (pubblicato su Re­pubblica il 15 gennaio 2006 e poi apparso anche sul sito del quotidiano), recita così (pag. 3 riga 18): «Nella fattispecie, dal raffronto dei due testi ed in parti­colare delle pagine dalla 17 alla 23 del volume della ricorrente (Alida Cresti, ndr) emerge chia­ramente che il Galimberti nel proprio articolo ha riprodotto e riportato pedisse­quamente interi brani del libro della Cresti, a volte in­vertendo semplice­mente l’ordine del­le parole, appro­priandosi così di fronte al pubblico di espressioni nar­rative e concetti, frutto dell’attività creativa dell’autri­ce, in lesione del di­ritto morale di pa­ternità dell’opera oltreché economi­co di distribuzione e pubblicazione della medesima». L’ordinanza vieta a Galimberti e al gruppo editoriale l’Espresso ogni nuovo utilizzo dell’articolo anche in via telema­tica."[1]

    Ora, quantunque non fosse stata resa pubblica, nondimeno Ezio Mauro sapeva della condanna comminata nel 2006 a Galimberti per aver plagiato Alida Cresti, perciò nel 2008, quando furono denunciati i plagi a Giulia Sissa et al., il direttore Mauro sapeva altresì che la grande firma era un vizioso, e ladrone recidivo, in quanto aduso a derubare idee e pensieri dai libri altrui, coi quali fabbricava poi gli articoli che diffondeva su La Repubblica.

    E a fronte delle imposture e ruberie della grande firma, l’onesto Ezio Mauro applicò forse contro il ladro Galimberti qualche provvedimento disciplinare, come stabilito dal Codice Etico del Gruppo Repubblica-Espresso?, no, perché i fatti attestano che ha invece applicato la legge bavaglio all’interno della repubblica delle idee, difatti, le penne dei repubblichini non hanno mai versato alcuna goccia d’inchiostro per informare lettrici e lettori della "community di Repubblica sulle malefatte di Galimberti, mentre in un altro precedente e clamoroso caso di plagio, alcune delle cosiddette grandi firme" si comportarono da impietosi fustigatori del plagiatore, di cui si darà poi resoconto dettagliato.

    Perciò, l’unica cosa che successe fu che per qualche mese Galimberti sospese di fabbricare articoli per Repubblica, mentre però il ladrone seguitò a tenere la sua rubrica su D La Repubblica delle Donne, e a essere invitato in tivù da amici e parenti, benché il cosiddetto polverone dei giornali, che accusava Galimberti di plagio, fosse ancora per aria, perciò lo si vide ad Anno Zero l’08 maggio 2008, in figura d’inquietante ospite a opinare su La peggio gioventù; fu poi chiamato il 06 giugno 2008 dall’onesto Augias a Enigma, in veste di gradito ospite per opinare su Le Sette Sataniche, il Diavolo tra noi, e la menzogna, con cui si spacciò in tivù l’amorale ladrone Galimberti per un moralista perbene, non è forse il marchio del diavolo?

    E cosa degna di nota fu la comparsata di Galimberti ancora ad Anno zero il 17 dicembre 2009, trasmissione dall’eloquente titolo: I Mandanti, in cui il conduttore Michele Santoro ebbe lo stomaco di pontificare: Considero Galimberti uno degli uomini più intelligenti che sono in questo paese.

    Al che si scrisse all’onesto giornalista Michele Santoro:

    "Certo, un giudizio come il suo va altresì commisurato all’intelligenza di chi lo esprime, nonché alla dirittura morale, e devo dire, egr. Santoro, che nella fattispecie lei ha dato prova di non esserne particolarmente dotato."

    E nell’e-mail del 22 dicembre 2009, si dimostrò al giornalista Michele Santoro non solo che il suo giudizio era infondato, ma altresì che quanto opinò ad Anno zero Galimberti difettava proprio di intelligenza, pertanto viene da chiedersi: chi furono I Mandanti che raccomandarono il ladrone?

    E il moralista Michele Santoro ha seguitato a portare Galimberti in tivù, come fece, per esempio, il 02 febbraio 2017, nella trasmissione dal titolo «Babyricchi», in onda su RaiDue, in cui spacciò l’impostore per uno che ci aiuta a pensare.

    Ma torniamo ora alla tragicomica: "Galimberti si è sospeso da Repubblica, per chiederci: ma è vero quanto i parenti del plagiatore cercarono di gabellare agli ignari e creduli lettrici/ori e telespettatori, ossia l’immagine di un Galimberti quale filosofo umile e onesto", il quale se ne stava mogio, avvilito e solo nell’angolino di casa a detergersi le copiose lacrimucce causategli dal polverone dei giornali, sollevatosi per i suoi plagi non fatti apposta a Giulia Sissa et al., e tormentato da atroci sensi di colpa per il male provocato, ma però a sua insaputa?, no, è falso!, perché da inveterato impostore qual è, il ladrone Galimberti si diede piuttosto un gran daffare per fabbricare un’altra delle sue spregevoli truffe a danno di lettrici e lettori, e fece altresì in modo che il pacco fosse pronto per le strenne natalizie.


    [1] M. Sacchi, Il Giornale 22 aprile 2008.

    ​6. La frode I miti del nostro tempo

    Difatti, a novembre 2009, la Feltrinelli lanciò nelle librerie il libro-frode dal rintronante titolo: I miti del nostro tempo di Umberto Galimberti, e il cosiddetto filosofo umile e onesto ancora una volta avvisa lettrici e lettori:

    Alcuni brani di questo libro riproducono, opportunamente rielaborati, articoli apparsi su «Repubblica» dal 1995 al 2008. Ringrazio il direttore di «Repubblica» Ezio Mauro per avermi concesso di recuperare questi testi e integrarli nel libro.

    Però anche gli articoli usati per assemblare I miti del nostro tempo, e apparsi su «Repubblica» dal 1995 al 2008", sono fabbricati a plagi, come i seguenti esempi:

    - Nel gioco dell’apparire e sparire nasce l’acuto desiderio dell’altro, La Repubblica 27 luglio 2004.

    - Quando l’abito diventa simbolo, La Repubblica 20 agosto 2005.

    Questi articoli Galimberti li ha assemblati coi plagi a Il sistema della moda e Miti d’oggi di Roland Barthes [cfr. Appendice N].

    E dopo previo consenso di Ezio Mauro, con questi articoli plagiati, insieme ad altra cospicua materia copiata, il ladrone Galimberti ha rabberciato il cap. 6. Il mito della moda del libro-frode I miti del nostro tempo.

    - La mente fantastica del viaggiatore, La Repubblica 26 luglio 2000.

    Questo articolo Galimberti l’ha assemblato coi plagi a I viaggiatori folli di Ian Hacking [cfr. Appendice O].

    E dopo previo consenso di Ezio Mauro, con questo articolo plagiato, il ladrone Galimberti ha fabbricato il par. 1. Le vie errabonde della psichiatria, del cap. 9. Il mito della follia del libro-frode I miti del nostro tempo.

    Insomma, I miti del nostro tempo è un altro libro-frode, e laddove Galimberti dichiara: Alcuni brani di questo libro riproducono, opportunamente rielaborati, articoli apparsi su «Repubblica» dal 1995 al 2008, i fatti tuttavia certificano che, oltre agli articoli plagiati, e quasi sempre interamente riportati nei vari capitoli, la rielaborazione galimbertese è consistita nel rimpinguarli con altra materia copiata, nonché a ingrassarli mediante ragionamenti cervellotici e altre abiette imposture.

    Dunque, ancorché il notorio moralista piemontese Ezio Mauro sapesse della condanna per plagio inflitta a Galimberti a maggio 2006, nonché dei plagi a Sissa et al. denunciati sulla stampa nel 2008, quindi del vizio della grande firma di fabbricare articoli con pensieri e idee rubate dai libri altrui, e pubblicati poi su La Repubblica, concesse tuttavia al ladrone di riusare ancora questi articoli, mentre una qualsiasi persona, con un pochino di sale in zucca, e sinceramente morigerata, avrebbe come minimo sospettato che pure questi articoli il brigante Galimberti li avesse fabbricati a plagi.

    Ma è oramai risaputo: Ezio Mauro è un devoto mercatofilo, quindi ciò che per lui conta, e considera prioritario, è innanzitutto il profitto, perciò se le frodi della grande firma è merce che si vende, importa forse che la fonte sia autentica?

    E difatti, nel lirico canto in onore e lode dell’impostore e ladrone Galimberti, Carlo Feltrinelli ha scritto:

    "[…] il viandante che è in lui ha saputo scorgere in tempi recenti quanto quel corpo a lungo rimosso avesse preso il sopravvento, diventando esso stesso simulacro dell’anima. Penso ad alcune pagine sui miti della giovinezza, della bellezza, dell’efficienza che ci ha regalato negli ultimi anni. Non a caso ne ha parlato in uno dei suoi libri più letti nel nostro paese, I miti del nostro tempo."[1]

    Dunque, la frode I miti del nostro tempo è uno dei suoi libri più letti nel nostro paese, quindi l’editore e il truffatore Galimberti ne hanno ricavato dalla vendita enormi profitti, ma previo consenso del dir. Ezio Mauro, che ha permesso il riuso degli articoli dell’impostore pubblicati su La Repubblica, e già fabbricati a plagi. Del resto, si sa, i nostri sono tempi di sinergie

    Nondimeno, Carlo Feltrinelli ha elogiato il viandante amorale, perché ci ha regalato, quindi donate pure a lui, alcune pagine sui miti della giovinezza, della bellezza, dell’efficienza, perciò l’avrebbe così onorato per aver regalato agli acquirenti de I miti del nostro tempo delle perle di saggezza?

    In quanto al mito della giovinezza, Galimberti l’ha fabbricato anche coi plagi a James Hillman, e di cui si dà qui solo un esempio:

    1. Galimberti, I tristi prigionieri di lifting e diete, La Repubblica 30.07.2005:

    Nel suo disperato tentativo di opporsi all' intelligenza della natura, che vuole l’inesorabile declino degli individui, chi non accetta la vecchiaia è costretto a stare continuamente all' erta per cogliere di giorno in giorno il minimo segno di declino. Ipocondria, ossessività, ansia e depressione diventano le malefiche compagne di viaggio dei suoi giorni, mentre suoi feticci diventano la bilancia, la dieta, la palestra, la profumeria, lo specchio.

    1. Galimberti, I miti del nostro tempo, novembre 2009, p. 45:

    Nel disperato tentativo di opporsi all’intelligenza della natu­ra, che, per la sopravvivenza della specie, vuole l’inesorabile de­clino degli individui, chi non accetta la vecchiaia è costretto a sta­re continuamene all’erta per cogliere di giorno in giorno il mi­nimo segno di declino. Ansia, ipocondria e depressione diventa­no le malefiche compagne di viaggio dei suoi giorni, mentre sue ossessioni sono lo specchio, la bilancia, la dieta la palestra, la profumeria [...].

    1. Hillman, La forza del carattere, Adelphi 2000, pp. 98-99:

    [...] perché ci stiamo opponendo all’innata intelligenza della natura umana [...]. Se penso che la mia fisiologia sia la mia intima «natura», starò all’erta per cogliere di giorno in giorno il minimo segno di declino. A farmi durare saranno le note, malefiche ancelle: Ipocondria, Ossessività, Ansia e Depressione. Miei compagni e feticci saranno la bi­lancia, la dieta, lo specchio e il WC.

    - plagio e manipolazione alla galimbertese.

    E sempre con riferimento a I miti del nostro tempo, si segnala il cap. 15. Il mito del terrorismo, fabbricato da Galimberti a plagi e imposture, e si dà di seguito un esempio eloquente del disonesto modus operandi del ladrone.

    Alcuni mesi dopo il crollo delle Torri gemelle, Galimberti pubblicò su La Repubblica del 16 febbraio 2002 l’articolo La quarta guerra mondiale, fabbricato per circa il 90% con plagi alla lettera, e gli studiosi vampirizzati sono Benjamin Barber e Jean Baudrillard [cfr. Appendice P].

    E anche La quarta guerra mondiale è tra gli articoli apparsi su «Repubblica» dal 1995 al 2008, e che il direttore di «Repubblica» Ezio Mauro ha concesso di recuperare al predone per integrarlo nel libro-frode I miti del nostro tempo, fabbricando con esso i parr. 1. La mondializzazione, e 2. La sfida simbolica, del cap. 15. Il mito del terrorismo.

    Si osserva che, siccome nel 2008 Galimberti fu denunciato sulla stampa per i plagi a Giulia Sissa et al., nel riportare La quarta guerra mondiale nel libro-frode pubblicato nel 2009, ha messo tra virgolette gran parte di quanto nell’articolo è invece plagiato alla lettera, però non tutto, pertanto c’è materia plagiata che, non essendo tra virgolette, induce gli ignari lettrici e lettori ad attribuirla falsamente al vizioso ladrone.

    E a proposito di articoli fabbricati a plagi e mutati poi in libri, si è su ricordato che i nostri sono tempi di sinergie, perciò vale anche il processo inverso, come da decenni mostra il brigante e grande firma di Repubblica, difatti, l’articolo La quarta guerra mondiale del 2002, fabbricato coi plagi a Baudrillard e Barber, dopo essere stato riusato ne I miti del nostro tempo nel 2009, alcuni plagi in esso contenuti sono riapparsi ancora il 23 gennaio 2016 su D La Repubblica delle Donne, e riutilizzati da Galimberti per assemblare la risposta alla gentile Stefania Maffei e al dolce Paolo Cinque, col rintronante titolo: Il terrorismo è il virus del mondo globalizzato.

    E passiamo ora a dare qualche esemplificazione delle frodi.

    1. Galimberti, La quarta guerra mondiale, La Repubblica 16.02.2002:

    In un articolo apparso su Repubblica il 19 gennaio, Barber scriveva che la Jihad potrebbe crescere a dismisura e riflettere una metastasi patologica di giustificato malcontento circa gli effetti di un arrogante materialismo laico che minaccia l’integrità delle tradizioni culturali indigene, mal equipaggiate a difendersi dall’aggressività dei mercati in un mondo di libero commercio.

    1. Galimberti, I miti del nostro tempo, novembre 2009, p. 316:

    Questo concetto era già presente nel­le considerazioni del consigliere di Clinton, Benjamin Barber (n. 6) che prevedeva un possibile conflitto tra globalizzazione econo­mica e fondamentalismo religioso, nel senso che la jihad po­trebbe crescere a dismisura e riflettere una metastasi patologi­ca di giustificato malcontento circa gli effetti di un arrogante materialismo laico che minaccia l’integrità delle tradizioni cul­turali indigene, mal equipaggiate a difendersi dall’aggressività dei mercati in un mondo di libero commercio.

    1. Galimberti, Il terrorismo è il virus del mondo globalizzato, D La Repubblica delle Donne, n. 972, 23 gennaio 2016:

    Questo concetto era già presente al consigliere di Clinton Benjamin Barber, che fin dal 1995, nel suo saggio Jihad vs. McWorld, prevedeva un possibile conflitto tra globalizzazione economica e fondamentalismo religioso, dovuto agli effetti di un arrogante materialismo laico che minaccia l'integrità delle tradizioni culturali.

    1. Benjamin Barber, Il McMondo e i no global dopo l’attacco dell’11 settembre, in La Repubblica, 29 gennaio 2002:

    In questa prospettiva la Jihad potrebbe crescere a dismisura e riflettere (tra l’altro) una metastasi patologica di giustificato malcontento circa gli effetti di un arrogante materialismo laico […] dagli esiti distruttivi circa l’integrità delle tradizioni culturali indigene, mal equipaggiate a difendersi dall’aggressività dei mercati in un mondo di libero commercio.

    - Diamo ora una sbrogliata alle manipolazioni del brigante.

    Ne La quarta guerra mondiale del 2002, il ladrone Galimberti nomina un articolo apparso su Repubblica il 19 gennaio di Barber, e quanto poi fa seguire è copiato alla lettera in questo articolo del politologo statunitense, dopodiché, previo consenso del dir. Ezio Mauro, nel riportarlo ne I miti del nostro tempo, Galimberti non rinvia più all’articolo di Barber apparso su Repubblica, bensì, con la nota n. 6, l’impostore rimanda al libro:

    -"B. Barber, Jihad vs. McWorld, Times Books, New York 1995",

    E fa lo stesso nella risposta su D ai gentili Stefania e Paolo.

    Pertanto, lettrici e lettori sono indotti a credere che Galimberti avrebbe letto il libro di Barber in lingua originale, cioè in inglese, da cui avrebbe poi tratto il riassunto del passo da lui tradotto e citato ne I miti del nostro tempo, e riportato poi a gennaio 2016 in D, ma ciò è falso, e Galimberti è ladro e impostore, perché ha così di proposito ingannato lettrici e lettori della community di Repubblica, e non solo, poiché l’imbroglione l’ha copiato dall’articolo di Barber apparso su Repubblica il 29 gennaio 2002, dunque l’ha plagiato dallo stesso quotidiano che spaccia il lestofante per una grande firma, mentre in realtà è solo un grande brigante e frodatore.

    2. Galimberti, La quarta guerra mondiale, La Repubblica 16.02.2002:

    A questo punto non dovremmo forse chiederci come mai quando vediamo che la religione colonizza qualunque altro campo della vita umana la chiamiamo teocrazia e sentiamo puzza di tirannia, e quando vediamo che la politica colonizza ogni altro campo della vita umana la chiamiamo assolutismo e tremiamo alla prospettiva del totalitarismo, mentre se vediamo che le relazioni di mercato e il consumismo commerciale tentano di colonizzare ogni altro campo della vita umana li chiamiamo libertà e celebriamo il loro trionfo?

    2. Galimberti, I miti del nostro tempo, novembre 2009, p. 316:

    A questo punto, conclude Barber, non dovremmo forse chie­derci come mai quando vediamo che la religione colonizza qua­lunque altro campo della vita umana la chiamiamo teocrazia e sentiamo puzza di tirannia, e quando vediamo che la politica co­lonizza ogni altro campo della vita umana la chiamiamo assolu­tismo e tremiamo alla prospettiva del totalitarismo, mentre se ve­diamo che le relazioni di mercato e il consumismo commerciale tentano di colonizzare ogni altro campo della vita umana li chia­miamo libertà e ne celebriamo il trionfo?

    2. Galimberti, Il terrorismo è il virus del mondo globalizzato, D La Repubblica delle Donne, n. 972, 23 gennaio 2016:

    A questo punto, concludeva Barber, non dovremmo forse chiederci come mai quando vediamo che la religione colonizza ogni altro campo della vita umana la chiamiamo teocrazia e sentiamo puzza di tirannia, quando vediamo che la politica colonizza ogni altro campo della vita umana la chiamiamo assolutismo e tremiamo alla prospettiva del totalitarismo, mentre se vediamo che le relazioni di mercato e il consumismo commerciale tentano di colonizzare ogni altro campo della vita umana li chiamiamo libertà e ne celebriamo il loro trionfo?

    2. Benjamin Barber, Il McMondo e i no global dopo l’attacco dell’11 settembre, in La Repubblica, 29 gennaio 2002:

    Considerando i costi sia del terrorismo fondamentalista che del combatterlo, non dovremmo forse chiederci come mai quando vediamo che la religione colonizza qualunque altro campo della vita umana la chiamiamo teocrazia e sentiamo puzza di tirannia e quando vediamo che la politica colonizza ogni altro campo della vita umana la chiamiamo assolutismo e tremiamo alla prospettiva del totalitarismo, ma quando vediamo che le relazioni di mercato e il consumismo commerciale tentano di colonizzare ogni altro campo della vita umana li chiamiamo libertà e celebriamo il loro trionfo?

    b) plagio letterale, e altresì, com’è evidente, nel passo succitato de La quarta guerra mondiale non c’è alcun riferimento a Barber, perciò chi legge è indotto falsamente a credere che sia Galimberti a porre la questione non dovremmo forse chiederci, ma ciò è falso.

    Poi, nello stesso passo riportato ne I miti del nostro tempo, Galimberti intesse l’impudente foglia di fico:

    - "A questo punto, conclude Barber",

    ma l’indecente espediente non serve però a camuffare l’imbroglio del ladrone, perché, come su documentato, quanto fa seguire Galimberti è un plagio alla lettera del pensiero di Barber, dato che il passo copiato al politologo non è virgolettato, perciò l’impostore lo spaccia come fosse una sua argomentazione-riassuntiva, ma ciò è indubbiamente falso, e la foglia di fico: conclude Barber, non riesce a mascherare ciò che è un evidente furto, su cui però l’impostore ha lucrato, e ancora lucra, come dimostra il riporto dello stesso passo plagiato a Barber su D del 23 gennaio 2016.

    Dunque, pure nella risposta su D, Galimberti cita prima il saggio Jihad vs. McWorld e poi A questo punto, concludeva Barber, inducendo così i gentili Stefania e Paolo a credere che quanto la grande firma fa seguire sia un riassunto che avrebbe ricavato dalla lettura di Jihad vs. McWorld, ma ciò è un’impostura, perché lui l’ha copiato alla lettera dall’articolo di Benjamin Barber, Il McMondo e i no global dopo l’attacco dell’11 settembre, uscito su Repubblica il 29 gennaio 2002, articolo di Barber già saccheggiato da Galimberti per fabbricare La quarta guerra mondiale, e riusato poi ne I miti del nostro tempo.

    È perciò ovvio che la grande firma ha infinocchiato apposta i dolci Stefania Maffei e Paolo Cinque, nonché lettrici/lettori della community di Repubblica, perché li ha indotti a credere di aver scritto la sua risposta in base alle questioni da loro sollecitate, mentre invece si è limitato a riportare su D La Repubblica delle Donne quanto già scritto ne La quarta guerra mondiale nel 2002, e poi ne I miti del nostro tempo nel 2009, dopo aver copiato tali passi nell’articolo di Benjamin Barber.

    Insomma, la fasulla grande firma della repubblichina delle idee si riconferma per quello che è: un furfante che non si fa scrupolo d’imbrogliare e prendere per i fondelli lettrici/lettori della community di Repubblica, come fece con gli ignari e creduli Stefania Maffei e Paolo Cinque, pertanto, Galimberti superstar lo è, sì, ma superstar della truffa.

    A fronte di ciò, nonostante La Repubblica venisse spacciata da Ezio Mauro per macchina della conoscenza, per il ladrone Galimberti sarebbe piuttosto un’oliata macchina della frode.

    E infine, in merito al supposto mito del terrorismo, si rinvia all’Appendice Q, in cui è documentato che l’articolo I perché nascosti del terrorismo di U. Galimberti, uscito su La Repubblica del 20 giugno 2003, è stato fabbricato dal ladrone coi plagi a Power Inferno di Jean Baudrillard.

    Quindi, checché ne pensi e predichi il devoto Carlo Feltrinelli, sta di fatto che quanto Galimberti ci ha regalato con I miti del nostro tempo è soltanto un altro libro-frode, e che sull’onda della propaganda di amici e parenti sia stato uno dei suoi libri più letti nel nostro paese, ciò sta a indicare unicamente che la truffa e l’inganno è andato a segno, frodando lettrici e lettori del Belpaese;


    [1] Carlo Feltrinelli, Ritorno ad Atene, p. 602, Carocci editore, 2012 Roma. Ma anche Il corpo di Galimberti è un libro-frode, come si certificherà in un prossimo saggio. 

    ​7. Dalle orme germina un’altra sacra frode

    Quantunque avesse lasciato Ca’ Foscari e fosse pertanto in quiescenza, la macchina della frode non andò tuttavia in pensione, perché nel novembre 2012 fu strombazzata la ripubblicazione in rielaborata veste di un altro libro-frode dal pomposo e tronfio titolo: Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto , e Galimberti lo presenta intonando la solita solfa:

    "Questo libro riprende Orme del sacro, scritto nel Duemila in occasione dell’anno giubilare. Di quel libro, che rielaborava articoli che avevano per oggetto il sacro, originariamente apparsi sul supplemento domenicale de «Il Sole-24 Ore» negli anni 1993-1995 e su «la Repubblica» negli anni 1995-2000, l’attuale conserva la titolatura dei capitoli, ma ne amplia in gran parte i contenuti e ne aggiunge di nuovi che si sono resi necessari per giustificare la tesi che qui abbiamo succintamente riassunto. Orme del sacro era dedicato a Eugenio Scalfari, a cui rinnovo la dedica per stima e affetto."

    Dunque, Cristianesimo ripropone Orme del sacro e quindi anche i plagi e le imposture con cui Galimberti lo aveva fabbricato, tra cui il saccheggio a Pontalis [cfr. Appendice B], Vitiello, Bataille, Baget Bozzo et al., dedicandolo ancora al fondatore de La Repubblica Eugenio Scalfari, cioè all’uomo che andò alla ricerca della morale perduta, ma non gli riuscì però di trovarla, altrimenti si presume che il Fondatore avrebbe certo avuto da ridire sulle iterate truffe della grande firma de La Repubblica.

    In quanto a Orme del sacro,[1] si è già documentato interi capitoli fabbricati a plagi, e riportati poi in Cristianesimo, ma a questi libri-frode, zeppi di pensieri e idee rapinati, nonché parafrasi, imposture e ragionamenti cervellotici, si dedicherà un apposito saggio, che avrà come protagonisti il cantore de La vita autentica Vito Mancuso e quel vecchio signore d’altri tempi Corrado Augias.


    [1] Alcuni capitoli di Orme del sacro fabbricati da Galimberti a plagi, e altre spregevoli imposture, sono stati già pubblicati pure nel nostro saggio Umberto Galimberti Cristianesimo vilipeso, libro in formato e-book, reperibile nelle librerie on-line.   

    IV

    Lo smemorato di Dronero

    Di spergiuri, di frodi e d’inganni ha piena la bocca,

    sotto la sua lingua sono iniquità e soprusi.

    Sal 9-10, 28

    ​1. Lo spudorato infinocchiatore

    Sporto da una torretta della repubblichina delle idee , Ezio Mauro gridò:

    Onestà non significa soltanto non rubare, ma fare ciò che è giusto e utile al Paese.[1]

    Dimentico però del suo accorato grido a fare ciò che è giusto e utile al Paese, quindi a pugnare ognora contro ladroni, corrotti e impostori, Ezio Mauro convocò a "Next, la Repubblica degli innovatori di Milano il notorio e inveterato ladrone Galimberti, consentendogli di predicare una non lettera ai giovani innovatori".

    Anche l’esordio milanese di Next iniziò come di consueto col taglio del nastro, gli abbracci e i baci, e poi il discorso d’apertura di Carlo De Benedetti, che così chiuse il suo illuminato Saluto alla città:

    Noi pensiamo che l’Italia sia in arretrato rispetto alla comprensione che l’importanza dell’innovazione proprio nel pubblico, nella sensibilità della popolazione. Questo è uno degli scopi, per carità, non è che pensiamo che tocchi a noi modificare l’Italia, ma certamente è compito, io penso, laterale di un giornale, quello di promuovere il futuro delle prossime generazioni.[2]

    E per svolgere al meglio il compito di un giornale, che sarebbe pure quello di promuovere il futuro delle prossime generazioni, fu chiamato ad aprire la danza dell’innovazione l’impostore grande firma de La Repubblica.

    Quindi alla voce del filosofo ingiusto, disonesto e amorale furono affidati i primi pensieri di fiducia e speranza per il domani destinati ai giovani convenuti, perché, sentenziò Galimberti, «non è possibile abbandonarsi alla rassegnazione, il futuro non si deve attendere, si fa».[3]

    Dunque, per Galimberti il futuro si fa, però non da solo, ma bisogna piuttosto dargli una mano, anzi due, ch’è meglio, e lui lo sa bene per averlo esperito, infatti, il giovane Umberto si abbandonò forse alla rassegnazione?, no!; si pose forse a sedere su una panca ad attendere il futuro?, no!; ma si diede al contrario un gran daffare per fabbricarselo, guardandosi subito attorno per trovare il bandolo adatto da cui iniziare a tessere la sua tela, e lo individuò nella comoda e lucrosa pratica di trafugare in privato idee e pensieri ad altri studiosi, così, saccheggiando i libri altrui, l’amorale ladrone realizzò Heidegger, Jaspers e il tramonto dell’Occidente (Marietti 1975), il primo capolavoro inzeppato di plagi, parafrasi e ragionamenti cervellotici, col quale ingannò innanzi a tutti Emanuele Severino, il cantore degli Eterni, che nella Presentazione ha lodato la supposta abissale mente del suo ex allievo, scrivendo che questo libro-frode sarebbe un saggio stimo­lante, e certo lo è per andar di corpo, nonché di largo respiro,[4] e lo è sicuramente per chi si tiene alla larga da una cosiffatta impostura.

    E benché Heidegger, Jaspers e il tramonto dell’Occidente sia una truffa, come dimostrano i cospicui saccheggi finora certificati di Galimberti ai filosofi Herbert Marcuse, Massimo Cacciari, Gianni Vattimo e Eugen Fink, tuttavia per Severino questo libro-frode sarebbe la prima parte del risultato maturo di questo processo di elaborazione, che consente a Galimberti di affrontare il tema, estrema­mente impegnativo, dell’interpretazione che Jaspers e Hei­degger hanno dato della storia del pensiero occidentale.[5]

    Perciò, sospinto dal saggio stimo­lante, nel 1976 Severino chiamò a Venezia l’ex allievo, e all’Ateneo di Ca’ Foscari l’impostore diventa professore incaricato di antropologia culturale presso la neonata Facoltà di Lettere e filosofia, e così, ricorrendo alle ruberie e all’imbroglio, il giovane Umberto iniziò a salire il primo gradino, a dimostrazione che il futuro si fa.

    Intanto, però, seppur oberato da doppio incarico: filosofia al Liceo Ginnasio Zucchi di Monza e antropologia culturale a Venezia, il turpe ma intraprendente giovanotto si dava nottetempo ancora un gran daffare, passando alla seconda parte del cosiddetto processo di elaborazione, per affrontare il tema, estrema­mente impegnativo, dell’interpretazione che Jaspers e Hei­degger hanno dato della storia del pensiero occidentale,[6] e così nel 1977 l’Editore Mursia pubblicò Linguaggio e civiltà di Umberto Galimberti, che a tutt’oggi su Google libri viene spacciato per un’Analisi del linguaggio occidentale in Heidegger e Jaspers.

    Quindi, mentre Galimberti viaggiava con la sua abissale mente tra Monza e Venezia, insegnando filosofia al Liceo Ginnasio e antropologia culturale a Ca’ Foscari, trovò comunque tempo e agio per elaborare un’Analisi del linguaggio occidentale in Heidegger e Jaspers, il che risulta davvero prodigioso, inducendo così a credere che il giovane Umberto fosse allora un supergenio, tuttavia, pure qui imbroglio ci cova, dato che Linguaggio e civiltà è un altro libro-frode.

    Difatti, per esempio, il giovane Galimberti avrà pure analizzato il linguaggio occidentale in Heidegger, ma l’ha fatto però derubando le analisi a Essere, storia e linguaggio in Heidegger di Gianni Vattimo, Edizioni di Filosofia, Torino 1963, e non solo Umberto ha saccheggiato il torinese, ma gli ha altresì deturpato il pensiero, sfregiandolo con delle cervellotiche parafrasi, nel tentativo di camuffare le sue nefande rapine.

    E così, ricorrendo a plagi, imbrogli e imposture, il giovane Umberto cominciò a salire il secondo gradino, a dimostrazione che il futuro si fa.


    [1] E. Mauro, Non solo spread, La Repubblica 20 ottobre 2012.

    [2] «De Benedetti: Repubblica simbolo dell’innovazione. In prima fila nel futuro», Reptv 29 marzo 2014.

    [3] Gloria Bagnarol, Next, la Repubblica degli innovatori, La Repubblica 30 marzo 2014.

    [4] E. Severino, Presentazione di Heidegger – Jaspers e il tramonto dell’Occidente di U. Galimberti, p. 5, Marietti Torino 1975.

    [5] Ibidem.

    [6] Ibidem.   

    ​2. Filosofare è copiare

    Si apre qui un siparietto:

    Per ironia della storia, Gianni Vattimo è il medesimo filosofo che nel 2008, allorché Galimberti fu denunciato dal prof. Roberto Farneti su Il Giornale per i plagi a Giulia Sissa, scese in campo a favore del ladrone, come attesta l’occhiello del Corriere della Sera: Il padre del pensiero debole difende il collega accusato di plagio, sintetizzando poi così le argomentazioni deboli del torinese: Vattimo: «Che torto ha Galimberti? Filosofare è copiare».[1]

    E difatti Galimberti è da 45anni, se non di più, che filosofa copiando altri filosofi, tra cui anche il padre del pensiero debole, e Vattimo, pur essendo stato informato dei plagi subìti dal collega, non ci risulta abbia obiettato alcunché, del resto per lui «Che torto ha Galimberti? Filosofare è copiare».

    Eppure, in un’intervista a La Stampa, dal titolo emblematico:

    Gianni Vattimo: «I miei ottant’anni da estremista»,

    benché talvolta, se gli gira la testa, perché ha l’artrosi cervicale, non possa andare ai comizi, a fare le marce, nondimeno ammise: Sì, l’unica figura che mi piace oggi è la figura di uno che rompe le palle,[2] però al collega ladrone che l’ha rapinato, Vattimo le palle non gliele rompe, anzi, forse perché Galimberti ce le ha protette e corazzate?, perciò il torinese teme di far azione vana, sprecando inutilmente le sue forze, sperpero che alla sua età non può certo permettersi?, può darsi; perciò è meglio per Vattimo ignorare quanto sa, perché così, pur peccando di diniego, può tuttavia evitare il rischio di poter nuocere alla sua autostima di ottantenne con la pancia piena, ma i cui anni ha sempre vissuto da estremista.

    E infine, per chi avesse qualche ulteriore dubbio sul pensatore debole, al quale però solo idealmente piace rompere le palle, di sicuro gli si scioglierebbe, non appena leggesse sulla home del sito di Vattimo la seguente perla sapienziale:

    Se c’è qualche cosa che vi appare evidente, diffidatene, è sicuramente una balla. Di tutto potete essere certi tranne delle vostre certezze più radicate.

    Che pensare allora, che per il filosofo Vattimo i certi, evidenti e inoppugnabili plagi di Galimberti a Essere, storia e linguaggio in Heidegger appaiono forse a lui come una balla?

    Può darsi. E quindi, se a Vattimo i plagi appaiono una balla, perché dovrebbe assumersi la briga di rompere le palle al collega Galimberti?

    E sul ciglio abissale di questa tragicomica questione si cali il velario.


    [1] Pierluigi Panza, Vattimo: «Che torto ha Galimberti? Filosofare è copiare», Corriere della Sera 23 aprile 2008.

    [2] Gianni Vattimo, intervistato da Maurizio Ansalto: Gianni Vattimo: «I miei ottant’anni da estremista», La Stampa 03 gennaio 2016.

    ​3. L’indefesso succhiatore distonico

    Nel 1978 Galimberti lasciò il Liceo Ginnasio Zucchi di Monza, tenendosi l’incarico all’Ateneo veneziano, probabilmente perché le imprese brigantesche di Umbertino abbisognavano di più tempo, difatti, l’inveterato ladrone, chiamato a Milano nel 2014 a predicare la non lettera ai giovani innovatori, ammonendoli che «il futuro non si deve attendere, si fa»", [1] seguitò a saccheggiare i libri altrui, e nel 1979 la Feltrinelli pubblicò Psichiatria e fenomenologia , un altro libro-frode assemblato a plagi, sconce parafrasi, ragionamenti cervellotici e perle asinine, di cui si sono fornite ampie, puntuali e dettagliate prove nel nostro saggio Umberto Galimberti Eugenio Borgna Un Luminare miope , e-book reperibile nelle librerie on-line.

    E così, ancora una volta, ricorrendo a rapine, imbrogli e imposture, l’allora non più giovane Umberto balzò sul terzo gradino, a dimostrazione che il futuro si fa.

    Tuttavia, ossessionato dall’idea che il futuro si fa, nonché divorato dalla sua insaziabile ambizione, Galimberti nottetempo riprese a vampirizzare i corpora altrui, e nel 1983 la Feltrinelli pubblicò un altro libro-frode dal pomposo titolo: Il corpo: una colossale truffa intellettuale che ha però incamerato enormi profitti.

    Carlo Feltrinelli, nel canto in onore del 70° genetliaco di Galimberti, ha trillato che Il corpo già allora, cioè a partire dal 1983 si rivelò un testo fondamentale, una gigantesca ricognizione sul tema del corpo, capace di rileggere l’intera storia della filosofia dal lato del suo rimosso.[2]

    Ora, ribadiamo che Il corpo è sì un testo fondamentale, ma per lo studio della frode filosofica, quindi, se c’è qualcosa di rimosso dalla codina intellighenzia italica è proprio l’evidenza che Galimberti è un impostore, un ladrone aduso da decenni a violentare la proprietà intellettuale altrui…

    E così,

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