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A boghe a boghe: Ricerche sulla poesia cantata in Sardegna
A boghe a boghe: Ricerche sulla poesia cantata in Sardegna
A boghe a boghe: Ricerche sulla poesia cantata in Sardegna
E-book415 pagine4 ore

A boghe a boghe: Ricerche sulla poesia cantata in Sardegna

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Info su questo ebook

Il volume raccoglie una serie di studi su diverse espressioni di poesia sarda cantata realizzati dall’Autore nell’arco di tempo che va dal 2000 al 2012. I campi e i generi indagati – con diversi metodi di indagine, livelli di approfondimento e finalità – sono vari: la poesia improvvisata dell’area campidanese, i canti per l’infanzia, i canti religiosi, il canto a chitarra, ecc.
In ognuno di questi campi la cultura orale della Sardegna ha permesso la maturazione di forme di poesia e di canto di straordinaria varietà e di notevole spessore. Solo in tempi relativamente recenti tali repertori hanno attirato un’attenzione adeguata da parte degli studiosi e un approfondimento analitico, in particolare per quanto riguarda la comprensione delle forme musicali e gli usi della voce cantata.
I contributi raccolti in questo volume si inseriscono in questo quadro e offrono alcuni scorci su aspetti che in varia maniera sono riconducibili al tema dell’oralità e della caratterizzazione, culturalmente definita, delle forme espressive.

La voce è un bene culturale, così come lo sono tutti i prodotti della creatività umana.
In Sardegna, come in ogni altra parte della terra in cui il mondo dell’oralità non è stato cancellato o soffocato da quello della scrittura, la poesia si è espressa anche (e si direbbe principalmente) in forma orale e cantata. Eppure, è solo in tempi recenti, e in maniera ancora del tutto parziale, che questo mondo di voci intonate è divenuto oggetto di indagine da parte degli studiosi. Si tratta di voci così culturalmente connotate, particolari e riconoscibili da far guadagnare alla Sardegna che le ha fatte maturare un posto del tutto speciale nell’area mediterranea.
Queste voci, insieme con la poesia che esse veicolano, sono oggetto della rassegna di studi che l’Autore qui propone, a segnare una tappa intermedia nel suo personale percorso di ricerca nelle tradizioni cantate dell’Isola.
LinguaItaliano
EditoreCondaghes
Data di uscita5 dic 2020
ISBN9788873567929
A boghe a boghe: Ricerche sulla poesia cantata in Sardegna

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    A boghe a boghe - Paolo Bravi

    cop_a-boghe_a-boghe.jpg

    Paolo Bravi

    A boghe a boghe

    Ricerche sulla poesia cantata in Sardegna

    ISBN 978-88-7356-792-9

    Immagine625_fmt

    Condaghes

    Indice

    Introduzione

    Parte I – Poesia e oralità

    Il caso Corradino

    La tabula delle rime

    Cantare Mereu

    Parte II – Voci e strumenti

    Vibrato sardo

    Il dominio del Re

    Parte III – Gioco e preghiera

    Strutture formali nella musica e nel testo dei duru-duru

    I canti dell’anima

    Parte IV – Cantadoris e improvvisatori

    Attori e discorso

    Forme metriche

    Poetica e stile

    Cantadas in Campidanu

    Agonie, morti, risurrezioni

    Bibliografia

    Riferimenti delle figure

    L'Autore

    La collana Pósidos

    Colophon

    Introduzione

    Antico e nuovo

    Negli intenti e nella costruzione, il presente volume rappresenta un punto di mediazione fra antico e nuovo. Lo è sotto diversi punti di vista.

    In primo luogo, lo è perché mette insieme due modi di operare con diversa ‘profondità’ storica, guardando in parte indietro e in parte in avanti. Da un lato, fa ricorso a una pratica con un’onorata storia alle spalle, quella di costruire un libro come raccolta, più o meno debitamente articolata, di saggi che sono l’esito di indagini in parte separate e che avevano visto la luce in precedenza in sedi diverse. Dall’altro lato, è frutto di ricerche che mettono in atto, in alcuni fra i contributi qui presentati, percorsi innovativi per quanto riguarda le tecniche e gli strumenti adottati.

    In secondo luogo, lo è da un punto di vista cronologico. I contributi sono infatti apparsi nell’arco di una dozzina di anni – fra il 2000 e il 2012 – e rappresentano in questo senso una dimostrazione dell’evoluzione che il percorso di ricerca di chi scrive ha avuto nel corso di questi anni, sia sotto il profilo degli ambiti e dei temi di ricerca, sia sotto quello delle metodologie di analisi e delle strategie di elaborazione dei dati e dei testi.

    In terzo luogo, lo è nel rapporto fra il taglio dei contributi, che, almeno in alcuni casi, mira all’originalità, e la struttura di riferimento in cui essi sono collocati. Da un lato, il volume incornicia i contributi all’interno di diadi concettuali di origine lontana e di facile accesso – Poesia e oralità, Voci e strumenti, Gioco e preghiera, "Cantadoris e improvvisatori" – che, pur nella loro genericità, servono a dare forma a una collezione di testi che hanno approcci e oggetti di studio diversi. Dall’altro lato, offre contributi su temi originali, che gettano qualche luce su questioni finora trascurate nell’ambito degli studi sulla poesia cantata e sulla musica tradizionale in Sardegna.

    In quarto luogo, infine, lo è perché prende in considerazione – seppur con un taglio specifico, e senza far ricorso agli strumenti propri e al rigore metodologico dell’indagine storica – aspetti del passato della poesia cantata in Sardegna e aspetti del fare musica dei nostri giorni.

    Poesie sarde cantate

    I lavori raccolti hanno soggetto, taglio, vocazione, registro diversi e perfino disparati, ma condividono due importanti fattori, la comune territorializzazione e la forma cantata dei repertori esaminati.

    Per quanto riguarda il primo punto, un distinguo è immediatamente necessario. Benché l’ambito geografico delle espressioni prese in esame sia chiaramente delineato dai confini naturali dell’isola di Sardegna, la diffusione è in vari casi circoscritta ad aree particolari. È il caso, per esempio, della poesia a mutetus longus e a versus cui sono dedicati la maggioranza dei contributi presenti nel volume, praticata esclusivamente nell’area meridionale dell’Isola. Così è anche per le forme linguistiche utilizzate, che fanno riferimento a koinè sub-regionali (fra i casi in esame prevalentemente il sardo-campidanese) e in alcuni casi a varietà locali. Si tratta, cioè, di espressioni di poesia, di canto, di musica per le quali l’aggettivo sardo è senz’altro giustificato e appropriato, ma richiede ulteriori e più fini dettagli se si vogliono evitare confusioni, approssimazioni e scivolate.

    Per quanto riguarda il secondo punto, è necessario sottolinea­re che dietro una notevole eterogeneità degli approcci, dei metodi e dei fini nei testi raccolti vi è una matrice comune. È utile esplicitarla non per inseguire un improbabile reductio ad unum nel profilo dei vari contributi o per coltivare il sogno di un’unitarietà di metodo di fatto insussistente – peraltro, la pluralità delle prospettive e l’interdisciplinarietà sono ai miei occhi un valore aggiunto e non un limite – ma per spiegare il fondamento di un punto di osservazione e di un modus operandi che hanno un’autorevole storia alle spalle e – credo – una sostanziale e tuttora viva ragion d’essere. La chiave di lettura che lega le ricerche e che si può leggere, in filigrana, nei diversi lavori qui raccolti sta nel vedere le espressioni che chiamiamo poesia cantata come fenomeni in cui la dimensione fonica ha un rilievo non secondario (e in vari casi di spicco), in cui il lato performativo richiede metodi di analisi specifici, e in cui la forma orale non è solo una manifestazione esteriore o un mero veicolo con funzione strumentale, ma un elemento fondante capace di orientare la definizione delle estetiche e degli stili.

    Etnografia, analisi e scrittura

    Dietro i saggi qui riuniti, compreso quelli in cui più a fondo si è cercato di spingere l’analisi formale, c’è una pratica di ricerca sul campo di lunga durata. Se ne possono scorgere delle tracce nell’uso della trascrizione di frammenti di interviste fatte ai poeti, ai cantori, ai musicisti e agli appassionati di questi generi, cresciuto progressivamente nei contributi più recenti. Dando la parola ai protagonisti, non si è inteso focalizzare l’aspetto (inevitabilmente) dialogico dell’indagine sul campo, ma rappresentare simbolicamente – pur manifestandola nel concreto degli scambi verbali reali – la dimensione etnografica della ricerca, l’interazione con voci di individui spesso di grande spessore, la polifonia dei punti di vista soggettivi.

    In questo senso, i lavori qui raccolti sono l’espressione di un percorso in fieri nell’elaborazione e nell’applicazione di un metodo di ricerca basato sull’interazione fra il piano dell’etnografia e quello dell’analisi formale dei documenti. Il metodo si basa su un’assunzione di fondo, e cioè sull’idea che la comprensione di molti aspetti relativi alle espressioni, ai sistemi e alle culture musicali si ottenga in via privilegiata attraverso l’interazione fra i due modi di fare ricerca, adottando una prospettiva sull’oggetto che altrove ho chiamato bifocale (Bravi 2012c), e indica come via maestra un percorso, per così dire, circolare fra etnografia e analisi. Ciò che si ottiene attraverso il lavoro sul campo (registrazioni, interviste, osservazioni, documenti, sondaggi ecc.) si chiarisce, si verifica e si approfondisce attraverso l’analisi e viceversa, ma è utile che vi siano fasi della ricerca successive nelle quali si torna al piano di partenza, con nuove e più approfondite domande. Il percorso ideale che ispira le ricerche qui presentate ha dunque un movimento a spirale, nel senso che assume che ogni passaggio, nel pendolarismo fra fieldwork e analisi, permetta un innalzamento di livello nella comprensione del fenomeno indagato.

    Il metodo così delineato rappresenta più un ideale che non un protocollo indispensabile nella ricerca etnomusicologica. Indica una prospettiva di cui, pragmaticamente, vedo i benefici e le potenzialità, ma non costituisce un dogma. Non sempre è possibile o necessariamente utile ricorrere alle conoscenze e al punto di vista dei cantori da un lato, o alle ricerche e alle analisi formali dall’altro, per capire più a fondo i fenomeni che osserviamo. In casi diversi, l’uno o l’altro dei due corni della ricerca sembra ragionevolmente offrire migliori prospettive. Tuttavia, in termini generali l’opzione preferenziale, ossia quella che offre maggiore solidità alle interpretazioni e maggiore perspicuità ai giudizi, è quella che passa attraverso il doppio canale nell’attività di ricerca e nell’interazione fra i livelli sul piano dei risultati.

    C’è poi un altro lato positivo nel praticare la ricerca etnomusicologica con questo tipo di approccio, che è quello di scansare due possibili pericoli, di segno opposto ma con conseguenze parimenti nefaste. Evita, cioè, il rischio di appiattirsi sul già noto (agli altri) o quello di impantanarsi nei gineprai dei punti di vista discordanti, con poche possibilità di offrire nuovi e significativi apporti rispetto alle conoscenze (o ai luoghi comuni e alle opinioni a volte viziate) guadagnabili sul campo grazie alla disponibilità dei nostri esperti interlocutori. Ma evita anche di lasciare il ricercatore imprigionato nei laboratori, alienato dal flusso reale – e vitale! – del fare musica e anche potenziale vittima di abbagli e cantonate, sempre incombenti per chi non entra in prima persona nel vivo di una pratica e di una cultura musicale.

    Struttura della collezione

    I saggi qui raccolti rappresentano lavori presentati in sedi diverse, talvolta difficilmente rintracciabili. I contributi sono riportati con alcune correzioni, tagli, riformulazioni e integrazioni (o reintegrazioni di parti originariamente espunte per varie ragioni), ma senza alcuna pretesa di fornire né una rivisitazione sostanziale dei testi originari né un loro aggiornamento bibliografico. L’ordine dei contributi non si basa su quello cronologico di pubblicazione. Per ragioni di chiarezza espositiva, di sintesi e di coerenza interna del volume si è scelto di raggrupparli sulla base di linee tematiche, e si è scelto di rivedere e uniformare la struttura dei contributi – articolazione in paragrafi, note, bibliografia ecc. –, come pure, entro certi limiti, i criteri relativi alla scrittura e all’aspetto tipografico.

    Per le stesse ragioni, gli stessi titoli dei contributi sono stati in molti casi ridotti e semplificati rispetto agli originali. Ciascun contributo, pertanto, riporta come annotazione preliminare (in aggiunta rispetto alle note presenti nei testi originali), un riferimento contrassegnato dal simbolo posto a fianco del titolo che segnala (ove necessario) il titolo originario, contiene il richiamo bibliografico al testo di origine e altre informazioni a esso pertinenti.

    Poesia e oralità

    I primi due saggi della parte del volume denominata Poesia e oralità manifestano sia il riferimento a un comune paradigma di interpretazione del fenomeno della poesia sia una medesima sceneggiatura nella stesura dei testi. Inoltre, entrambi hanno a che fare con la poesia improvvisata campidanese, che è stato il principale campo delle mie ricerche negli ultimi dieci anni.

    Il saggio Il caso Corradino offre un’analisi e un’interpretazione di un fenomeno significativo (o almeno curioso), ossia la presenza cospicua della figura storica di Corradino di Svevia come soggetto poetico nella poesia improvvisata campidanese. Vista come un’anomalia sotto il profilo della storia e dei suoi parametri di peso, la vicenda trova una spiegazione alla luce della prospettiva oralistica progressivamente delineata e raffinata nel corso del Novecento da studiosi come Milman Parry, Albert Lord, Eric A. Havelock, Walter J. Ong, Ruth Finnegan, Paul Zumthor, John Miles Foley¹.

    Il saggio "La tabula delle rime" si serve del medesimo paradigma teorico per offrire una possibile spiegazione a un’innovazione nella struttura metrica del mutetu, la cosiddetta règula poètica, che ha segnato le sorti della poesia improvvisata campidanese a partire dai primi del Novecento.

    Il terzo contributo, Cantare Mereu, è dedicato all’uso dei testi del noto poeta tonarese Peppino Mereu in diversi generi di canto sardo, con particolare riferimento al suo testo più noto, la poesia A Nanni Sulis da tanti in Sardegna meglio conosciuta come Nanneddu meu. La collocazione del testo nell’ambito della sezione è legata al fatto che esso documenta una pratica comune nel mondo del canto tradizionale, ossia l’assunzione e l’uso di testi poetici scritti e d’autore noto nell’ambito di generi – come, nel caso specifico, il canto a tenore dell’area centrale dell’Isola – che si sviluppano in forme musicali e in contesti per altri versi prevalentemente o totalmente estranei alla dimensione della scrittura.

    Voce e strumenti

    La seconda parte del volume contiene due saggi. Il primo è dedicato al Vibrato sardo e contiene l’analisi di un ornamento della voce particolare che si osserva in vari generi di canto tradizionale dell’Isola e che ha caratteristiche diverse rispetto al vibrato presente, per esempio, nel canto lirico. Il lavoro qui proposto affronta un corpus di esempi tratti da una gara poetica a mutetus longus attraverso una metodologia innovativa nell’ambito degli studi sul canto sardo.

    Il saggio Il dominio del Re discute aspetti relativi alla struttura acustica dell’accordo più comune nell’armonia nella musica tradizionale sarda, ossia l’accordo identificato sulla chitarra sarda come Re. Nella sua disposizione intervallare T/3a/5a/10a, questo accordo di quattro suoni costituisce la struttura armonica fondamentale in buona parte della polifonia vocale isolana. Il saggio prende le mosse da questa osservazione per presentare una chiave di lettura acustica – che non pretende di essere né esclusiva né onnicomprensiva – per l’interpretazione della musica isolana.

    Gioco e preghiera

    I Duru-duru sono filastrocche intonate (spesso ai confini fra parlato e canto, ma con una formalizzazione testuale e ritmica sempre in evidenza) la cui destinazione d’uso originaria è il gioco ritmico fatto con i bambini sulle ginocchia. Il testo qui presentato prende in esame alcune registrazioni e ne offre un’analisi di tipo testuale e metrico-musicale.

    I canti dell’anima è dedicato a un ambito diverso. Si passa – per dirla con ironia un po’ sciatta – dalla casa alla chiesa, e da un livello di com-partecipazione e di coinvolgimento affettivo che riguarda il gioco in famiglia a uno che coinvolge la preghiera della comunità. Il testo offre una presentazione, per linee essenziali e con finalità divulgative, dei principali repertori di canto religioso presenti in Sardegna. La distinzione cruciale, in questo caso, è quella fra le forme ‘riservate’, a numerus clausus, praticate da gruppi stabili di cantori di livello semi-professionistico e le forme ‘inclusive’ in cui tutto il popolo è invitato a partecipare.

    Cantadoris e improvvisatori

    L’ultima parte del volume raccoglie una serie di testi che hanno segnato nel corso degli anni il cammino del mio lavoro sulla poesia improvvisata campidanese, oggetto di un dottorato di ricerca presso l’Università di Siena, tutors i proff. Giulio Angioni e Ignazio Macchiarella, concluso nel 2008. Tali studi hanno portato alla realizzazione di un volume pubblicato a cura dell’ISRE di Nuoro (Bravi 2010).

    I lavori qui presentati hanno ricevuto tagli consistenti, per evitare quelle ridondanze che sono inevitabili nel presentare in momenti diversi saggi incentrati su un medesimo repertorio. In una certa misura, alcune di queste ripetizioni rimangono ancora, ma si è cercato di offrire un insieme coerente di contributi in grado di delineare i caratteri centrali di un genere particolare di poesia cantata e nello stesso tempo utili a illustrare i passaggi attraverso cui ho sviluppato una riflessione personale sulla materia. Alcuni dei punti di vista che si trovano qui espressi sono, secondo la mia stessa riflessione attuale, se non del tutto superati, almeno integrati all’interno di una visione più approfondita e in un’interpretazione più solida. Ma credo sia utile riportarli, anche come traccia cronologicamente definita di un processo di maturazione che ha fatto seguito al progredire della ricerca sul campo, degli studi e delle analisi.

    I saggi focalizzano aspetti diversi del far poesia, con un occhio particolarmente vigile alla dimensione cantata e a quella performativa che costituiscono motivo di particolare interesse nell’ottica dell’etnomusicologo.

    Strada

    Nel rileggere i propri lavori ad anni di distanza si prova spesso un misto di auto-commiserazione e di soddisfazione. È un sentimento agrodolce, che credo conoscano più o meno tutti coloro che si dedicano alla ricerca. Nel rileggere testi scritti in anni antecedenti, si ritrovano punti di vista, angolature e piste di studio oramai abbandonate; si scorgono fondamenta teoriche e metodologiche e sfondi bibliografici che nel tempo sono stati abbandonati o aggiornati; si scoprono ingenuità – concettuali, di metodo, di scrittura – in cui con il senno dell’oggi non si cadrebbe; si leggono discorsi che oggi non si farebbero e frasi che non si riscriverebbero (o, almeno, non tali e quali). Ma, nello stesso tempo, si trovano anche pagine che al contrario ci sembrano resistere bene al tempo e che si rileggono con qualche soddisfazione.

    In qualche modo, nella prospettiva della ‘storicizzazione’ di un percorso di studi e di ricerca personale, e facendo lo sforzo di vedere il ‘buono’ che talvolta c’è – o almeno: che mi sembra o vorrei sperare ci sia – dietro un apparato che pure oggi mi fa talvolta storcere il naso (a volte siamo noi stessi i critici più severi delle nostre opere!), credo che il lavoro di recupero e di riorganizzazione testuale di contributi operato in vista del presente volume abbia un senso.

    Sono lavori che parlano di espressioni che poco hanno a che fare con ciò che tanto la cultura letteraria e musicale quanto la cosiddetta cultura di massa propone (e propina incessantemente) attraverso la pubblicistica e i media. Parlano di voci diverse, che si alternano – come vuole richiamare l’espressione in sardo usata per il titolo del libro, "a boghe a boghe"² (‘a voce a voce’), che propriamente è usata nell’ambito del canto a chitarra per indicare l’esecuzione da parte di due cantori diversi dei due distici (o della quartina) che normalmente costituiscono un turno di canto – o che si sovrappongono – come rappresenta l’immagine dei due cantori del coro a bàsciu e contra proposta nella copertina del volume – per esprimere le proprie identità, per dare forma ai propri valori e per trasmettere significati che sono pienamente riconoscibili solo all’interno delle comunità di riferimento, e talvolta solo in micro-mondi iperlocalizzati e connotati da dense reti di relazioni.

    Sono voci diverse nel senso del numero (anche quando parliamo di espressioni vocali monodiche, siamo di fronte a una pluralità di soggetti) e nel senso della qualità, rispetto agli standard e ai costumi cui ci abituano i mass media. Ma se il canto di cui parlano questi lavori è ‘altro’ rispetto ai canoni dominanti del mercato dell’arte, delle sue pratiche e delle estetiche della globalizzazione, esso è però diventato a mano a mano un po’ meno ‘altro’ per chi nel tempo questi saggi li ha scritti, per chi in questi anni di ricerche sulla poesia cantata in Sardegna – come recita, questa volta, il sottotitolo del volume – è potuto entrare almeno un po’, con il suo passo e con il suo modo a volte goffo, in questo mondo, cercando di coglierne almeno qualche tratto.

    1) Tra i testi di riferimento di questa corrente e, rispettivamente, di questi autori, vi sono

    Parry

    1930 e 1932;

    Lord

    1960;

    Havelock

    1973 ed. or. 1963 e 1987 ed. or. 1986;

    Ong

    1989 ed. or. 1977 e 1986 ed. or. 1982;

    Finnegan 1977; Zumthor

    1984 ed. or. 1983;

    Foley

    2002.

    2) Ringrazio qui Sebastiano Pilosu che mi ha suggerito l’espressione usata come titolo del volume, spiegandomene il senso e il contesto d’uso nell’ambito della pratica informale del canto a chitarra.

    Parte I

    Poesia e oralità

    Il caso Corradino

    a

    1. Ante acta: il giovane Corradino di Svevia. Premessa storica

    29 ottobre 1268: sul patibolo eretto in Campo Miricino a Napoli, Corradino di Svevia, sedicenne rampollo della casata sveva degli Hohenstaufen, viene decapitato. Con la vittoria di Carlo D’Angiò nella battaglia di Tagliacozzo e i successivi eventi della cattura da parte del nobile Giovanni Frangipani, del processo-farsa e dell’esecuzione del giovane pretendente svevo – eventi che facevano seguito alla sconfitta e alla morte in battaglia, sul campo di Benevento, del principe Manfredi, figlio naturale di Federico II, di due anni precedente – finiva il sogno di ripristinare il dominio svevo nell’Italia meridionale e subiva un duro colpo tutto il movimento del ghibellinismo italiano.

    2. Il giovane Falqui di Rio Murtas. Premessa etnografica

    L’episodio, che la storiografia degli ultimi anni ricorda in modo marginale, e solo in quanto clausola – in sé minore, seppure non inessenziale – della complicata vicenda storica del dominio svevo e imperiale in Italia, sembra riscuotere un certo favore nell’ambito dei temi storici trattati dai poeti estemporanei campidanesi nel corso delle gare poetiche. Nella gara poetica che si è svolta il 30 settembre 2005 a Sarroch (non lontano dal capoluogo Cagliari), il giovane (venticinquenne) Pier Paolo Falqui di Rio Murtas, poeta quasi esordiente, ma più che promettente, dedica la prima parte di un mutetu³ al personaggio e alla vicenda storica:

    Sterrina

    Po lompi in Italia s’impènniat

    Su famosu Corradinu svevu

    Ma de Taliacotzu in su confini

    Glòria no nd’iat pòtziu ottenni

    Ca D’Angiò ndi essit bincidori

    E sa sconfita ddi procurat

    E a Napoli in artu no setzit

    Ca mortu dd’iat intzandu

    Traduzione

    Per arrivare in Italia s’impegna

    Il famoso Corradino svevo

    Ma sul confine di Tagliacozzo

    Non poté ottenere gloria

    Perché D’Angiò uscì vincitore

    E gli provoca la sconfitta

    E non siede in alto a Napoli

    Perché allora lo ha ammazzato

    Cobertantza

    Candu figurat beni un’allievu

    Pretzit s’onori cun chini ddu insegnat

    Quando un allievo fa bella figura

    Divide l’onore con chi gli insegna

    3. Una presenza costante

    La citazione storica, inquadrata nel contesto della poesia estemporanea del Campidano, è indubbiamente significativa, ma non sorprendente.

    [A] In primo luogo, infatti, le tematiche storiche sono un ingrediente ben presente in questo genere poetico, almeno a partire dall’impronta determinante data, sul fiorire del Novecento, dai poeti cosiddetti ‘dotus’ e, in particolare, dal gruppo Loddo-Loni-Farci, la ‘trinità’ ancora oggi ricordata e venerata dai poeti per il contributo decisivo verso l’innalzamento qualitativo (di forma e contenuto poetici e di status sociale degli improvvisatori) della poesia estemporanea e dei suoi più autorevoli rappresentanti. La forma bipartita del tipico componimento campidanese, infatti, giustifica e prevede lo iato contenutistico fra la prima sezione (la sterrina) e la seconda (cobertantza o rima)⁴. La conseguenza di questo principio formale metrico e contenutistico è la possibilità di articolare il discorso poetico su due piani distinti e indipendenti. La circostanza è determinante ai fini dell’assunzione di tematiche parallele e distinte rispetto al piano centrale del discorso (su fini) che caratterizza la cantada campidanese: nelle sterrinas, infatti, i poeti sono liberi (almeno relativamente) di scegliere l’argomento che loro aggrada o che si confà maggiormente alle esigenze metriche contingenti, e la storia è assorbita come soggetto poetico prevalentemente per questa via. Tra l’altro, si tratta di un soggetto elegante e prestigioso – in quanto emblema della cultura ‘alta’ delle istituzioni scolastiche e della scrittura – e dunque qualificante per il poeta che se ne dimostra conoscitore non dozzinale.

    [B] In secondo luogo, la citazione dell’episodio minore di Corradino di Svevia da parte di un poeta alle primissime armi colpisce sì, ma senza sbalordire, per il fatto che il richiamo alla sciagurata vicenda non è affatto inusuale nella produzione poetica estemporanea del Campidano. Ce ne sono tracce nella memoria orale dei poeti e degli esperti, e ci sono anche attestazioni documentarie più che episodiche. Il personaggio e/o la vicenda storica si ritrovano infatti in alcune gare poetiche che si sono svolte nella seconda metà del Novecento, di cui disponiamo di trascrizioni verbali scritte e pubblicate a stampa nei caratteristici libriccini dedicati al mercato locale. In particolare, ne parlarono Raffaele Urru di Burcei a Sinnai, durante la gara poetica svoltasi in occasione della festa di S. Elena nel 1962, e Carlino Pillitu di Villasor a Quartu S. Elena, nella cantada per S. Maria (la data è imprecisata, ma è comunque collocabile orientativamente negli anni immediatamente successivi alla II guerra mondiale):

    Sterrina

    Corradinu giovanu rei intrèpidu

    Su conti Manfredi po rivendicai

    A Taliacotzu mali ti piatzase

    E de Napoli in sa dimora

    Mortu t’iat Carlo D’Angiò

    Che unu Cainu contras a Abeli

    Aici at fatu una fini mala 

    Ca po unu grandu tradimentu 

    Is Angioinus nant ti sopprima

    Traduzione

    Corradino giovane re intrepido

    Per rivendicare il conte Manfredi

    A Tagliacozzo ti piazzi male

    E nella dimora di Napoli

    ti ha ammazzato Carlo D’Angiò

    Come un Caino contro Abele

    Così ha fatto una brutta fine

    Che per un grande tradimento

    Gli Angioini dicono ti sopprima [sopprimiamo]

    Cobertantza

    Atentu o Fideli chi a s’ora ’e pagai

    In prima sala no fatzas a dèpidu

    Attento o Fideli che quando sarà ora di pagare

    Nella prima sala non debba fare debito

    Sterrina

    De vìtimas fait

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