Brivido all'italiana. Preludio alla tomba
Di Franco Enna
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Brivido all'italiana. Preludio alla tomba - Franco Enna
TOMBA
Parte prima
1
Sam Noneville morì il 13 ottobre 1952, e molti lo piansero a Lester Hill, perché Sam era stato un uomo di cuore. Padre Martin non fu da meno, e durante la messa del giorno successivo spese un paio di minuti a dir bene del defunto, anche se al villaggio tutti sapevano che Sam era stato ateo fino all'ultimo momento.
Greta Noneville, per rispetto alle idee del marito, non aveva fatto dare la benedizione ecclesiastica alla salma, e ne aveva ordinato la inumazione nella sua proprietà di Hamley, ai piedi del più alto di una coppia di cipressi piantati dietro il cancello.
Quel giorno Sam Noneville aveva poco meno di quarantadue anni, e non doveva mai averne di più.
Presto la morte di Sam cessò di essere l'argomento principale dei discorsi della gente del villaggio. Se ne riparlò più diffusamente il due novembre, giorno dei Defunti, ma subito dopo l'interesse generale tornò a rivolgersi alla situazione politica internazionale. Il dottor Fleets ogni sera, dopo che si era seduto davanti al Washington Hotel a centellinare il suo immancabile rum in compagnia del sergente Meredith, affermava che la guerra si avvicinava a grandi passi e che presto gli Stati Uniti avrebbero provato nuove e significative emozioni. Il sergente Meredith annuiva in silenzio, grave come la statua dell'angoscia, intanto che meditava sulle rispettabili proporzioni delle proprie mani.
Con novembre arrivò anche il vento. Poi seguì la pioggia, e la rossa piazzetta pavimentata in porfido di Lester Hill si allagò. Il primo soffio di vento aveva cacciato il dottor Fleets e il sergente Meredith nel bar del Washington Hotel, vicino alla stufa, dietro i vetri lacrimosi della finestra che dava sulla piazzetta. Il giorno durava poco. Più lunga era la sera, e triste, bagnata di pioggia e il più delle volte aggredita dal vento. Nel bar si rifugiavano i contadini del villaggio, resi inoperosi dall'inverno imminente e dal cattivo tempo. Bevevano rum e birra e giocavano a carte. Dalla mattina alle otto fino a notte inoltrata i due stanzoni del bar erano pieni di grida e di fumo. Jimmy Bell, però, non se ne lamentava, e correva da un tavolo all'altro recando vassoi e bottiglie, simpatico con i suoi capelli candidi e l'andatura un po' claudicante. I figli Sacha e Doro gli erano di valido aiuto, il primo al banco e l'altra alla cassa. Al sergente Meredith piaceva guardare ogni sera la rossa vampata dei capelli di Doro.
L'undici novembre la pioggia cessò all'improvviso. Poi cambiò il vento e spazzò via le nubi. Un cielo azzurro e fresco scese a guardare Lester Hill, e di esso si specchiò, nel rosso, la piazzetta di porfido. Il sole portò ombre lunghe e diritte, fin su nei boschi, e molti cacciatori uscirono in cerca di una volpe.
Quando quello spilungone di Spencer Caprice bloccò i freni della vecchia corriera sulla piazzetta, il sergente Meredith stava accendendo la pipa e il dottor Fleets stava vuotando un bicchiere di birra in omaggio all'ultimo sprazzo di sole rimasto impigliato nella croce della chiesa di St. John. Con la pipa ancora spenta, il sergente alzò una delle tendine della finestra. Il dottor Fleets, che aspettava una risposta, lo guardò. Dallo sguardo dell'altro si rese conto che qualche cosa di interessante succedeva sulla piazzetta. Fu così che vide la ragazza col soprabito verde e la penna sul cappello. Non era alta, e neppure bassa, ma quanto è giusto che lo sia una bella donnina. Le gambe erano rotonde dov'era giusto che lo fossero, con una caviglia un tantino bassa che il dottor Fleets definì sensuale. Il faccino, quando la ragazza si voltò per prendere la valigia che Spencer le porgeva con comico sussiego, mostrò un profilo delizioso: le guance magre, il mento appuntito, le labbra tumide, il naso piccolo e leggermente all'insù; gli occhi erano grandissimi, neri, ombreggiati da sopracciglia naturalmente sottili e lunghe. Dal cappellino a calotta scendeva una capigliatura abbondante, nera con riflessi azzurrini e piccole vampe di tramonto attorno. Così almeno sembrò al dottor Fleets il quale in quel momento si rammaricò di avere quasi sessant'anni.
La penna del cappellino andò a urtare il collo di Padre Martin che era chinato per levare la valigia dalle mani della ragazza. Vinse questa, nel senso che non la cedette.
— Mai vista una ragazza così bella — mormorò il medico.
— Sono sbalordito! — fece Meredith.
Per non perdere di vista la ragazza, assicurò la tendina alla maniglia della finestra, poi accese un secondo fiammifero e diede fuoco alla pipa. Ma in quel momento Padre Martin e la ragazza attraversavano la piazza diretti verso il Washington Hotel.
— Vengono qui — disse nervosamente Meredith.
Il dottor Fleets annuì e posò il bicchiere vuoto sul tavolo. Poi si volse verso il banco facendo schioccare le dita e disse: — Sacha, quattro buoni rum.
Il giovanotto annuì e afferrò una bottiglia dalla scansia. Nello stesso momento la porta d'ingresso si apriva. Un rettangolo di sole si disegnò sul pavimento di mattoni gialli, soffocando il riverbero della fiamma della stufa a legna.
— Padre Martin, qui — disse dottor Fleets alzandosi. — Il rum arriva tra poco. Venite dalla città? — Si chinò a togliere dalla mano della ragazza la valigia e la posò vicino alla parete, quindi aggiunse: — Accomodatevi, prego. Vostra nipote?
Il sacerdote rise e guardò la ragazza il cui volto si era illuminato.
— No, una semplice conoscenza — rispose porgendo una seggiola alla compagna. — La signorina Margie Littleton, nuova maestra di Lester Hill.
Intanto che il dottor Fleets e il sergente Meredith si guardavano sbalorditi, la ragazza prendeva posto, imitata dal sacerdote. Gli altri due sedettero a loro volta.
— Parola mia, ricomincio a studiare daccapo — disse il dottor Fleets gravemente.
Margie Littleton parve gradire il complimento, perché ebbe un sorriso di simpatia all'indirizzo del medico. Meredith, impacciato e corpulento, sembrava soffrisse da morire a causa della pesante uniforme. Padre Martin fece le presentazioni. Poi arrivò Jimmy Ben col rum.
Durante tutto il tempo che Margie Littleton si fermò nel bar, il sergente Meredith non riuscì a portare a compimento una sola pipata. Dal suo piccolo podio ad angolo, la rossa Doro osservava con diffidente curiosità la nuova venuta.
2
Mary Haller era bionda e triste, e aveva trentaquattro anni. Alta e sottile, faceva pensare a uno di quegli abeti che il vento era solito scuotere sulle montagne intorno a Lester Hill. I capelli di Mary conoscevano quel vento, come i suoi occhi conoscevano i boschi sui quali restavano fissi per lunghe ore dalla finestra del salotto. Sembrava che la casa vuota le facesse paura; forse per questo le volgeva le spalle per guardare la campagna alta sui tetti, i crepacci rossastri della montagna aperti come ferite nella terra. Quando veniva la neve, come un'ansia si acquietava nel suo cuore.
Quel giorno Mary guardava le querce delle colline arrossate dal sole del tramonto. Sotto il ciclo azzurro ogni cosa sembrava trovarsi sulla terra per l'eternità, le foglie ai margini della strada, i viottoli alti sui monti, le macchie cupe dei frutteti.
Una quieta amarezza era scesa a poco a poco in lei, come portata da quei colori aspri e inattesi.
Il campanello della porta d'ingresso la scosse. Mary richiuse la finestra, scansò la gazza che dal tavolo volava sulla credenza e uscì nel corridoio. Passando davanti allo specchio dell'attaccapanni, si accorse di essere ancora bella. Fu con questo pensiero che aprì la porta. Il volto della ragazza che stava in piedi sul pianerottolo la incuriosì.
— Buonasera — disse Margie. Siete Mary Haller?
— Sì.
Mary si accorse della valigia che quella aveva in mano e aggiunse: — Mi dispiace, ma non ho bisogno di nulla.
— Non capisco.
— Non vendete stoffe? Io sono sarta e...
Margie sorrise divertita.
— Sono la nuova maestra di Lester Hill — disse. — Mi chiamo Margie Littleton.
— Oh, mia cara, scusatemi! — esclamò Mary confusa. — Vi avevo presa per una rappresentante di tessuti. Ne vengono a decine qui da me...
Le due donne risero. Margie entrò e Mary richiuse la porta. La penombra le avvolse, rotta in fondo al corridoio da una rossa lama di sole.
— Oh, sono veramente contenta, mia cara! — riprese Mary. Padre Martin mi aveva parlato della nuova maestra. Sapete, non speravo che foste... — esitò — sì, così giovane e carina. — Risero ancora. — La vostra camera è pronta da due giorni. Ma l'intero appartamento è a vostra disposizione, si capisce. Venite, Margie. Vi dispiace se vi chiamo per nome?
— Oh, no!
— Voi fate altrettanto. Sono sicura che diverremo amiche.
Mary la guidò attraverso la saletta da pranzo, aprì un uscio e fece un gesto con la mano dicendo: — Ecco. Forse vi piacerà.
Margie si fermò sulla soglia a osservare. La camera era piccola ma graziosa, confortevole. La tappezzeria era fresca, a cubetti rossi e gialli; al balcone c'erano tende di cotonina avorio. Il letto era di legno massiccio, ed anche il cassettone. Ai piedi del letto un cuscinetto foderato di seta rossa ricamata rompeva il bianco della coperta. Sul comodino si trovava una lampada con paralume di pergamena verde. Nello specchio dell'armadio antico si rifletteva il balcone con la sua ringhiera di ferro e i due vasi spogli agli angoli.
— Oh, sì, mi piace! — esclamò Margie. — Padre Martin ha avuto buon gusto rivolgendosi a voi.
— È la prima volta che affitto camere, ma sono contenta di farlo. — Mary le strinse una mano, mentre gli occhi le si facevano lucidi. Con la voce lievemente incerta soggiunse: — Ero così sola!...
Seguì un istante di disagio tra le due donne. Margie sorrise commossa e bisbigliò: — Sono certa che saremo amiche, Mary.
Un frullio d'ali passò nella penombra del corridoio. Margie sussultò e arretrò di un passo nella camera.
— Non abbiate paura — disse Mary ridendo. — È Tic-tac, la mia gazza. Da più di un anno è la mia sola compagna.
— Oh! — esclamò Margie interessata.
Mary girò l'interruttore alla parete. La lampada centrale si accese rischiarando gaiamente la camera. Sulla soglia del balcone vi fu un incontro di luci. Il cielo ormai cupo sovrastava.
Mary chiamò: — Tic-tac! Vieni, Tic-tac...
Un altro frullo rispose dalla penombra. Una gazza vispa, dal piumaggio bianco e nero, andò a posarsi sulla spalla della donna. Mary sorrise ed emise un suono modulato con le labbra. La gazza lo ripeté alla perfezione, poi continuò per suo conto.
— Oh! esclamò sbalordita Margie quando il volatile tacque. — Ma era la vostra stessa voce!
— Sì, sa imitarla molto bene. Presto imiterà anche la vostra. È tanto cara...
— Meravigliosa! Non avevo mai visto una gazza da vicino, e debbo confessare che ne ignoravo le qualità... Però anche voi siete stata brava ad istruirla così bene.
— È stato facile — mormorò Mary seguendo un pensiero. Intanto con la destra carezzava il volatile. Come un fremito di piacere scuoteva a tratti quel piccolo corpo.
— Dove l'avete trovata? — domandò Margie.
— È stato un dono — rispose Mary in un soffio.
3
Greta Noneville alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e fissò l'uscio del salotto. Aveva udito il passo di suo padre che rientrava. Il tonfo della porta d'ingresso che veniva sbattuta rimbombò nell'anticamera.
Greta attese inerte sul divano di velluto giallo. Nel silenzio che la circondava le parve di percepire il respiro del padre che certo si era fermato per togliersi il cappotto e il cappello. Subito dopo riudì i passi di lui dietro l'uscio. Capì che non sarebbe entrato.
Ad alta voce chiese: — Sei tu?
— Sì — rispose il dottor Larsen con un grugnito.
ìI passi andarono oltre, si spensero sul tappeto scarlatto delle scale.
Greta lasciò cadere il libro ed emise un sospiro. L'abito nero, accollato, le fasciava il corpo magro dalle ginocchia in su. I seni piccoli e appuntiti urtavano a brevi intervalli contro la stoffa. Le gambe erano lunghe, magre anch'esse, coperte da calze nere di seta. Greta aveva la faccia angolosa ma attraente. Le labbra erano sottili, gli occhi marrone scintillanti; le sopracciglia folte. I capelli, corti e ordinati, erano castani. Alla prima occhiata si capiva che era in preda ad una angoscia salda e aggressiva. Circa tre mesi prima, il 22 agosto, aveva compiuto trentasette anni, ma ne dimostrava trenta, e ciò senza che lei lo desiderasse particolarmente. Le sue dita lunghe, dalle unghie ben curate, la dicevano nervosa. Spesso il labbro inferiore veniva tormentato in un angolo dai denti regolari e bianchi.
Sul davanzale della finestra s'indugiava il riverbero scarlatto del tramonto. Greta osservò a lungo quel colore. Mentalmente vi si confuse