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Niente è come sembra
Niente è come sembra
Niente è come sembra
E-book250 pagine3 ore

Niente è come sembra

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Info su questo ebook

La quiete dell'alta valle Argentina è scossa dalla sparizione di un ragazzo.
Il maresciallo Luca Baudino di Triora, piccolo borgo medievale in provincia di Imperia, dovrà vedersela con due famiglie particolari con visioni diverse sulla conduzione familiare.
Da una parte, c'è una madre che crede sia giusto educare il figlio Michele senza doverlo assillare con la sua presenza, ma giunge a trascurare ciò che fa e chi frequenta.
All'opposto, un padre-padrone vorrebbe avere il controllo totale sulla figlia Roberta e decidere in vece sua che fare della propria vita.
Il ragazzo scomparso è Michele ed è innamorato di Roberta, ma il padre di lei non ne vuole sapere, perché considera il giovane un fannullone e un amorale.
Di solito, niente è come sembra e il maresciallo dovrà muoversi tra personaggi astiosi e menzogneri.
Alcuni elementi appaiono subito chiari, anche se non altrettanto chiaro è come farli combaciare: Michele era coinvolto in qualcosa di poco lecito e aveva a che fare con amici discutibili; Roberta e la sua amica Alessandra non sono le amiche inseparabili che vorrebbero far credere, e soprattutto la seconda ha molto da nascondere.
La verità verrà fuori dopo diverse e complesse indagini, tra cui false piste.
Anche in questo episodio il maresciallo avrà a che fare con Amelia, la strega tuttofare di Triora. Il capitolo dedicato all'occulto è stato relegato in appendice, perché con la storia non c'entra niente ma la donna è riuscita a coinvolgere il carabiniere in una fantastica teoria che pone Triora al vertice di un triangolo magico.
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita12 apr 2018
ISBN9788833660974
Niente è come sembra

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    Anteprima del libro

    Niente è come sembra - Giorgio Bastiani

    3

    Capitolo 1 - Il cinque giugno

    Abbellire uno scalone anonimo non è un lavoro semplice, soprattutto per chi non ha esperienza con le composizioni.

    L’incaricato non era un Flower Designer, come il fioraio di viale Matteotti, quello che aveva vinto il concorso per la migliore fioriera di Imperia, ma un giardiniere a cottimo, che a malapena sapeva potare una siepe di pitosforo variegato e concimare le aiuole del cortile con gli scarti della sua cucina.

    Era tollerato poiché lo zio - capitano dei Carabinieri a Cuneo - aveva partecipato nel 1982 a una missione di peacekeeping in Libano.

    Quel giorno era stata una levataccia. Si era presentato armato di zappetta e pantaloni di fustagno. Nella custodia appesa sul fianco delle braghe teneva un paio di cesoie con manico in teflon. Ricordava tanto la pistola in avorio del generale Patton. Ma non doveva far la guerra a qualche peduncolo rinsecchito, soltanto adornare i gradini che portavano al primo piano e sistemare qualche vaso nel salone.

    Era un uomo semplice. Ligure da generazioni, capiva l’italiano ma parlava soltanto in dialetto. E aveva molta sete. Ogni mezz’ora abbandonava il lavoro con una battuta ad alta voce, come se dovesse render conto ai vegetali che maneggiava. «A devu andâ a fame ün gottu», che tradotto vuole dire «devo andare a farmi un bicchiere.»

    Ritornava dopo un po’. Un bel po’.

    Chiunque si fosse avvicinato lo avrebbe steso con l’alito.

    Alla fine del lavoro si era piazzato in cima con le mani sui fianchi e la pancia appoggiata alla ringhiera.

    Ciondolò la testa, si asciugò il sudore e si godé l’opera.

    Ogni scalino lo aveva ingentilito con un vaso di spatifillo alternato a uno di filodendro. Sulla rampa, che divideva in nove gradini i due segmenti della scala, due anthurium gratificavano con un tocco di colore i muri sbiaditi.

    Non male per uno che già alle nove del mattino aveva terribili visioni di fiaschi colmi di vino che gli svolazzavano sopra la testa.

    Alle pareti, grandi fotografie in bianco e nero raccontavano, in rigorosa sequenza cronologica, gli ultimi condottieri che avevano governato il luogo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale sino ai giorni nostri. Con quell’aria altera e lo sguardo perso nell’infinito, i gentiluomini in alta uniforme avrebbero potuto essere scambiati per personaggi d’altri tempi, in special modo quelli a cavallo su puledri di razza e il frustino stretto tra le mani, salvo poi rendersi conto che non erano così antichi, né usciti in trasferta dal National Portrait Gallery.

    Il salone del primo piano era ampio, di forma rettangolare, colmo di poltroncine rosse unite in gruppi di dieci. Veniva utilizzato due, tre volte l’anno, per le grandi occasioni.

    L’inno in sottofondo cercava di fuorviare l’odore sgradevole di muffa e umidità che si percepiva entrando in quell’ambiente, nonostante le tre finestre spalancate e il profumo di cera alla lavanda che stuzzicava con insistenza i nasi dei presenti.

    Sulla parete di testa, la foto del Presidente dominava la scena.

    Molto al di sotto, prevaleva l’immagine austera del Generale su quella del Colonnello sorridente al suo fianco, piuttosto piccola. L’effigie del comandante provinciale era però circondata da un largo passepartout bianco avorio e dava l’impressione di essere maggiore di quella del collega più importante, relegato in una stretta cornice scura.

    Un tenente con fascia azzurra, seduto al tavolo principale, era intento a sfogliare un documento rilegato a spirale e a tracciare dei numeri con un pennarello rosso a fianco dei nomi elencati in ordine alfabetico. Il giovane ufficiale, dalla corta barba con pizzetto circolare, appariva così preso dall’incombenza che non alzava gli occhi neppure quando i subalterni gli passavano davanti battendo i tacchi nel saluto di rito.

    Ogni tanto sbirciava al di sopra degli occhialini alla Cavour, calati sulla punta del naso, per assicurarsi che tutto scorresse secondo le istruzioni stabilite dal Comando, evidenziate da cartelli posti all’inizio di ogni fila in due lingue. Nelle prime righe dovevano sistemarsi gli ufficiali, le autorità politiche e religiose, i funzionari pubblici e gli invitati stranieri. A seguire i comandanti di stazione insigniti di meriti particolari e infine tutti gli altri, compresi i familiari.

    Al fondo, nelle ultime file potevano prendere posto i civili, suddivisi equamente tra imprenditori e personaggi stimati nella comunità provinciale.

    I primi ospiti ad accomodarsi furono alcuni ufficiali della Gendarmeria francese di Nizza, giunti in perfetto orario. Si guardarono attorno perplessi e, notando la stanza più vuota che piena, sorrisero in un modo singolare. Qualcuno rimarcò il fatto anche con una battuta: "Ah, les italiens."

    A Baudino spettò il primo sedile della terza fila sulla sinistra, a fianco della grande finestra con veduta sul porto di Imperia.

    Alle dieci e venti prese la parola il comandante provinciale.

    Alle undici e trentacinque, al maresciallo delle streghe (1) vennero consegnati i gradi di maresciallo maggiore. Subito dopo, venne insignito della Croce al merito dell’Arma dei carabinieri, per aver risolto tutti i casi di omicidio avvenuti sotto il suo comando nella propria giurisdizione e no, in particolare quello che aveva emotivamente coinvolto il Prefetto.

    Alle dodici e dieci i convenuti si precipitarono sgomitando verso il bancone del rinfresco su cui svettavano montagne di panini al salame e prosciutto cotto, focacce e pizzette, torta verde e bottiglie di Prosecco. A seguire pasticcini e spumante dolce per concludere degnamente la festa dell’Arma.

    Alle tredici e venti quattro donne armate di scope e palette adocchiavano con tristezza il grande tavolo deserto, alla ricerca disperata di un tramezzino abbandonato.

    Il giardiniere, dal canto suo, controllava con l’occhio quasi infilato nel collo delle bottiglie se fosse rimasto un quartino sul fondo: «Belin, nu gh’é restàu nìnte

    Capitolo 2 - L’accordo

    Triora, corso Italia, ore 13.20

    Questa storia inizia il diciannove marzo, mese in cui l’inverno si concede una lunga pausa e si possono raccogliere le prime margherite lungo i fossi.

    È il momento di ascoltare il vento, che promette giornate di luce, che racconta la fragranza dell’erba e il profumo dei fiori di campo.

    Ma è anche l’ora di mettere via la borsa dell’acqua calda.

    La ragazza continuava imperterrita a sistemarsi i capelli che il vento le arruffava senza tregua.

    Il riflesso nello specchio di quel negozio che dava sul vicolo grande del borgo non poteva mentire. Ma lei era vanitosa e ostinata.

    La verità era lì davanti e non poteva farci nulla.

    Era giunta all’appuntamento con un’aria spavalda, sperando di far colpo sul ragazzo che non si era ancora visto e il ritardo iniziava a impensierirla.

    Qualcuno ha detto e scritto che la minigonna dà potere e sicurezza alle donne perché le fa sentire più emancipate.

    E lei si era adeguata. Ma non si può barare con se stessi confidando nelle apparenze come se qualche centimetro di stoffa in meno abbia dei poteri magici. Nel suo caso dava l’impressione di essere più che altro una battona, che ha esagerato con il trucco e il rossetto per lanciare una sfida a Jessica Rabbit.

    Si era seduta accavallando le gambe, mostrando quanto più possibile. Doveva far colpo per avere l’opportunità di poter entrare con successo in quel gruppo ristretto. Anche i tacchi erano improponibili su un fisico ben lontano dallo stereotipo di reginetta.

    Finalmente il giovane arrivò trafelato.

    Aveva parcheggiato l’auto all’inizio del viale, perché non c’erano spazi liberi intorno al luogo dell’incontro. Ansimando, pescò dallo zainetto alcuni pacchetti e li dispose sulla panchina tra sé e la ragazza, adocchiando le gambe velate da calze scure.

    «Accidenti, sei uno schianto» disse stuzzicandosi il ciondolo brunito di una collanina che raffigurava il simbolo della pace di Gerald Holtom.

    «Grazie.»

    «Sei davvero sexy» enfatizzò più per cortesia che convinzione. «Tieni, qui c’è tutto l’occorrente» spiegò il giovanotto sbuffando come un mantice.

    «Grazie. Ma… dov’è la roba?»

    «Calma, devo cercare un sacchetto, non posso dartela così.»

    «Ce l’ho io, ne tengo sempre qualcuno nella borsetta.»

    «Ti ho portato soltanto due confezioni. Non avevo altri soldi per comprarne di più. Sai, mi levi un grosso peso, con mia madre che mi gira intorno continuamente e osserva tutto. Sembra un cane da tartufi.»

    «Sospetta qualcosa?»

    «Non lo so, ma credo di no. Quando entra nella mia camera curiosa dappertutto. Ho dovuto prendere delle precauzioni.»

    «Mi confermi che non c’è alcun pericolo?»

    «Non aver timore, stai tranquilla.»

    «Va bene, se non c’è altro dovrei andare.»

    «Il bar del Borgo ha riaperto proprio oggi. Andiamo a prendere un caffè?»

    «Mi dispiace. Alle due inizio il turno e sono già in ritardo. Quando potrò contattarti?»

    «Ti cercherò io.»

    Capitolo 3 - Una donna insolente

    Triora, 30 marzo, ore 7.40

    Il cielo primaverile è particolarmente limpido, anzi, direi incantato, proteso com’è oltre il confine dei monti. Affacciato alla finestra della mia camera respiro un’aria fresca, percorsa da pulviscoli di erbe lontane. L’aroma si mescola alla brezza che scende dalle valli e si distende verso l’orizzonte, appena increspato di luce.

    Questa fugace immagine cattura la mia mente, è un frammento che da un tempo lontano improvvisamente si rivela e scaturisce da un luogo quasi dimenticato: quella parte di val Varaita che si compie nei luoghi in cui sono nato e cede il passo alla pianura tanto mutevole e tanto amata.

    Con queste considerazioni, Luca si avviò a passi lesti verso il bar del Borgo vecchio. Soltanto lì poteva gustare un ottimo caffè addolcito da brioche ai mirtilli, le sue preferite.

    Quel locale si trova nella parte medievale del paese. Non è certo famoso come la Bodeguita del Medio. Non ci sono foto di personaggi illustri appuntate alle pareti, né graffiti sui muri offesi dall’umidità. Diversi nomi e numeri telefonici si potevano carpire nel bagno se il signor Acquarone non li avesse cancellati.

    Tuttavia, il bar è tappezzato da adesivi e immagini del rally di Sanremo. I campioni del passato sono ripresi al volante di auto potenti, con lo sguardo un po’ ebete a causa dell’eccessivo uso di scopolamina in cerotti.

    E lì si può gustare anche un Mojito.

    Luca Baudino è il maresciallo comandante della stazione dei carabinieri di Triora (2). Il borgo ha un’anima particolare. Il profilo è stato tratteggiato dall’armonia del tempo, scolpito tra rocce e pietre come un gioiello, a memoria di un’età perduta.

    All’altezza del Museo Etnografico e delle Streghe c’è una linea temporale. Di qua c’è la nostra epoca, al di là c’è l’età di mezzo.

    Entrando nel tratto medievale si ha subito la sensazione che la storia si sia congelata.

    Il sottufficiale, quando rientrò in ufficio, venne informato dal brigadiere Salvetti che una signora, dai modi un po’ sgarbati, lo stava aspettando in sala d’attesa.

    «Sgarbati?»

    «Sì, maresciallo. Quando le ho comunicato che lei non era presente e che sarebbe rientrato non prima di una mezz’ora è andata su tutte le furie.»

    «Per quale motivo?»

    «Ha risposto che non ha tempo da perdere e che è impegnatissima.»

    «Avresti dovuto sentirla tu, oppure convincerla a tornare in un altro momento.»

    «Scherza? Quella non ne ha voluto sapere. Ha ribadito che doveva parlare soltanto con il più alto in grado.»

    «In quel momento eri tu, neh?»

    Luca spalancò la porta e squadrò la sconosciuta. «Buongiorno signora. Voleva conferire con me?»

    Senza rispondere al saluto la donna sbuffò. «È mezz’ora che la sto aspettando. Oggi ho un sacco di appuntamenti e ho già perso abbastanza tempo.»

    Baudino sussultò a quella esclamazione fuori luogo e si voltò verso il brigadiere. «Accompagna la signora all’uscita, per favore. Non voglio che faccia tardi per colpa nostra» ordinò il sottufficiale irritato mentre si allontanava nel corridoio.

    Lei gli corse dietro. «Che cosa sta dicendo? Ormai sono qui e ha il dovere di ascoltarmi.»

    Il militare si bloccò e, riluttante, fissò la donna negli occhi. «D’accordo, ma cerchi di calmarsi. Anche noi siamo impegnatissimi e a titolo di cronaca sappia che io devo rendere conto delle mie azioni solamente ai miei superiori.» Subito dopo guardò l’orologio. «Salvetti, io devo assentarmi ancora, tu intanto fai accomodare la signora e inizia a trascrivere le sue generalità.»

    «Se ne va di nuovo?» protestò la donna accigliata.

    «Pochi minuti e ritorno. Non c’è soltanto lei, ci sono altre persone in attesa e il brigadiere è uno dei sottufficiali più valenti della provincia. Ho la massima fiducia in lui.»

    Salvetti sorrise e lo guardò sorpreso. Accennò con un movimento della testa il suo modo di ringraziare per la stima appena espressa dal suo superiore.

    In realtà, Baudino non aveva nessun appuntamento in programma, né doveva compiere interventi urgenti per sedare sommosse o liti tra vicini. Si era dimenticato di dare le crocchette alla gattina.

    La micetta gli era stata regalata da Maria, la proprietaria di un negozio in cui Luca si procurava le primizie coltivate dai contadini di Agaggio. Giuggiole e corbezzoli erano la passione del giovane militare.

    Si diresse quindi nel suo alloggio.

    Milou si piazzava di solito dietro la porta e, come sentiva il giovanotto armeggiare con la serratura, miagolava con insistenza fino a che non fosse entrato. Soltanto allora smetteva e iniziava a strusciarsi contro i pantaloni all’altezza delle caviglie, prima con la testa, poi con il corpo e infine con la coda. Dopo qualche giro in tondo, guardava verso l’alto in direzione del suo viso e ricominciava a strofinarsi facendo le fusa, saltellando sulle zampe posteriori, mentre con le anteriori quasi lo abbracciava.

    Quei gesti erano dovuti al fatto che la gatta aveva vissuto l’infanzia a fianco di due Chihuahua e quindi si comportava più come un cane che un felino. Ma questo era quello che pensava il maresciallo.

    Commosso da tanto affetto, Luca la prese in braccio e si lasciò leccare il viso.

    Poco dopo si ripulì le guance e diede un’ultima carezza a Milou, intenta a sbafarsi prelibati croccantini di carne e pesce. La gatta era talmente assorta nell’impresa che il mondo circostante non le interessava più.

    Baudino rientrò in ufficio maldisposto. Lentamente si avvicinò alla scrivania. Fece l’atto di sedersi sulla poltrona girevole ma cambiò subito idea e si diresse verso la finestra per assicurarsi che fosse chiusa per bene. «Stamane fa frescolino» fece abbozzando un mezzo sorriso.

    La signora, visibilmente nervosa, si strofinava di continuo le mani e seguiva i gesti del carabiniere con gli occhi dilatati dalla stizza. «Lo sta facendo apposta?»

    «Come dice, scusi?» tuonò deciso il militare.

    La donna non insistette e si limitò a ciondolare la testa.

    «Allora, che cosa posso fare per lei?» domandò Luca spingendo a lato della scrivania il mensile dei carabinieri, non prima di averci buttato un occhio con nonchalance.

    Lei lo fissò indignata. Se avesse avuto un bastone a portata di mano, sicuramente glielo avrebbe dato in testa. «Ha intenzione di ascoltarmi o preferisce guardare quell’arnese?»

    «Parli pure signora, ascolto con le orecchie, mica con gli occhi.»

    «Mio figlio è sparito.»

    «Sparito?»

    «Sì. Non si è mai assentato di notte senza avvisarmi» dichiarò la donna con tono protervo, stringendosi il bavero del visone intorno al collo.

    Baudino scrutò la signora seduta di fronte, sui cinquant’anni, i capelli castani raccolti dietro la nuca in uno chignon, occhi verde muschio con un leggero ombretto lilla scuro sulle palpebre e unghie laccate color ametista. Ricordava un po’ la bellezza androgina di Kate Moss.

    Al polso sfoggiava un prezioso Vacheron Constantin d’oro bianco con ghiera in brillanti su un quadrante azzurro.

    «Ha provato a telefonargli?» domandò il militare. Subito dopo si alzò e ripose la rivista accanto alla collezione sistemata su una mensola.

    «Certo che ho provato, ma una voce ripete che il numero selezionato è inesistente» avvampò seguendo con gli occhi le manovre del carabiniere.

    «Non dice che potrebbe essere spento o irraggiungibile? Non subentra la segreteria telefonica?»

    «Dubita forse di quello che ho sentito?»

    «Signora, se fosse come dice lei vorrebbe dire che il contratto è scaduto oppure che è stato cambiato il numero, e, in questo caso, quello vecchio non risulterebbe più attivo, e quindi inesistente.»

    «Lei è anche un tecnico telefonico?»

    «Sono cose risapute.»

    «Mi sta dando della stupida?» domandò con un’ansia che pareva dovuta a sindrome premestruale.

    «Cerco solamente di capire.»

    «Sta di fatto che mio figlio non risponde.»

    «Forse si sta preoccupando per nulla.»

    «Per nulla?» obiettò accavallando le gambe ricoperte da pantaloni scuri aderenti che esaltavano le sinuosità del corpo florido. «Dovreste darvi una mossa e andare a cercarlo» suggerì socchiudendo gli occhi.

    Baudino non rispose. Si

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