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La ragazza con il bracciale di conchiglie
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La ragazza con il bracciale di conchiglie
E-book263 pagine3 ore

La ragazza con il bracciale di conchiglie

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Info su questo ebook

Perché al maresciallo Luca Baudino, comandante della stazione dei carabinieri di Triora, è stato attribuito dai suoi concittadini il soprannome di “Maresciallo delle streghe”?
Quale significato si cela sotto questo appellativo? E perché una donna enigmatica che si autodefinisce l'ultima strega sostiene che il militare reca sul viso un segno magico?
A Baudino certe cose non interessano. Non crede nei miti. Ha cose più importanti e concrete a cui pensare, per esempio indagare sulla morte di un suicida, un giovane di nome Giulio Pastorelli. Le apparenze a volte ingannano e il sottufficiale si convince sempre di più che è un caso di omicidio. Ma perché il ragazzo sarebbe stato ucciso? È questa la domanda alla quale il maresciallo sente il dovere di dare una risposta.
Dalla sorella di Giulio, Baudino viene a sapere che il fratello era omosessuale.
Anna è una bella ragazza che ha un debole per il giovane militare e cercherà in tutti i modi di sedurlo.
Alcuni episodi di vita quotidiana strappano più di un sorriso, durante i battibecchi ironici tra il maresciallo di origini piemontesi e il brigadiere bergamasco “doc”, che sorprende il suo superiore con proverbi inventati.
Per il sottufficiale, poco abituato alle mulattiere ripide dei borghi liguri, districarsi tra l'intreccio dei vicoli stretti e le volte buie non è semplice, dal momento che il dramma si svolge nei dintorni della “Cabotina”, un luogo sinistro e misterioso, che gli abitanti di tanto tempo fa credevano fosse la dimora delle streghe.
 
LinguaItaliano
EditoreOrfeo44
Data di uscita9 giu 2017
ISBN9788826451282
La ragazza con il bracciale di conchiglie

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    La ragazza con il bracciale di conchiglie - Giorgio Bastiani

    2

    Capitolo 1 - La decisione

    Triora, bar del Borgo vecchio, ore 14.50.

    Lo scirocco spingeva verso i monti gruppi di nubi minacciose. Le prime gocce stavano mutando il porfido del vicolo rendendo scivoloso il tracciato.

    Il primo individuo si sistemò con la mano i capelli umidicci. «Mettiamoci sotto il pergolato!» esclamò spazientito. «È quasi mezz’ora che t’aspetto.»

    «Scusami, lo scooter non ne voleva sapere di partire» sbuffò il secondo individuo dopo aver accostato il motomezzo contro il muro sbrecciato. «Per me qualunque posto va bene.»

    «Buongiorno. Che cosa vi porto?» interruppe la cameriera, ostentando un sorriso forzato nel vedere quel tipo che si era permesso di posteggiare il motorino a fianco dell’ingresso del locale.

    «Per me un caffè macchiato.»

    «Io vorrei una bibita… una coca con limone.»

    «Vi servo subito» fece la giovane dipendente sculettando tra i tavolini del dehors.

    «Ho deciso di mettere la parola fine a tutta la storia, altrimenti finirò per impazzire» imprecò il primo individuo.

    «E quindi?»

    «E quindi non mi rimane altro da fare…»

    Il compagno interruppe la frase. «Lascia perdere, vedrai che tutto si aggiusterà.»

    «Non può aggiustarsi nulla. Gli eventi vanno provocati, non subiti» avvampò il primo individuo, con tono alterato dall’ira.

    «Lo sai come sarà la tua vita, dopo?» obiettò turbato il secondo individuo.

    «Basta parole. Tu dovrai aiutarmi.»

    «Non voglio aiutarti, levatelo dalla testa. Te l’ho già detto l’altro ieri. Non puoi chiedermi questo.»

    «Oh sì che te lo posso chiedere, altrimenti la nostra amicizia finirà per sempre» minacciò il primo individuo.

    «Non dirai sul serio, vero?»

    «E allora comportati da amico. Dammi una mano.»

    «Ci devo pensare.»

    «Non pensarci troppo.»

    «Scusa se insisto, ci hai riflettuto bene?»

    «Il tempo delle parole è finito, come te lo devo dire?»

    «Non posso darti una risposta, così, su due piedi» fece il secondo individuo, sbirciando la ragazza in minigonna mentre li stava servendo.

    «E allora datti una mossa, e smettila di sbavare!» esclamò il primo individuo dopo che la cameriera si era allontanata.

    «Lo farò, ma non mettermi fretta.»

    «Mi meravigliano le tue perplessità. Ti lamenti sempre di essere senza soldi. Beh, tieni presente che potrei farti un bel regalo. Il denaro non mi manca.»

    «Adesso devo proprio andare, non vorrei prendermi un bagno. Paga tu, per favore.»

    Capitolo 2 - Il litigio

    Badalucco, bar Colombo, ore 15.20.

    Il primo individuo si accomodò sulla sedia in alluminio brunito e si rivolse in modo piuttosto brusco al compagno. «Perché mi hai fatto venire qui? Non potevi telefonarmi?»

    «Dovevo fare alcune commissioni e poi… è meglio non parlare di certe cose al telefono.»

    «Non penserai mica di avere il cellulare sotto controllo? Per quale motivo dovremmo averlo?»

    «Meglio essere prudenti.»

    «Ne hai forse parlato con qualcuno?»

    «Ma no, che cosa vai a pensare!»

    «Allora, hai preso una decisione?»

    «Ci ho riflettuto, non me la sento» mugugnò con voce piagnucolosa il secondo individuo.

    «Calmati, vuol dire che ne riparleremo.»

    «Non voglio parlarne più.»

    «È chiaro che per te l’amicizia non conta.»

    «Certamente che conta, ma non è così che funziona, non in questo modo.»

    «Sei proprio uno stupido. Possibile che non riesci a comportarti da uomo?»

    «Pensa quello che ti pare. Non torno sulle mie decisioni.»

    «I soldi ti fanno schifo?»

    «No di certo, ma tu mi stai chiedendo troppo.»

    […]

    «Come ci sei venuto qui? Con il motorino?»

    «No, in autobus.»

    «Quand’è che ti decidi a riparare quel catorcio? Sali in macchina, che ti riporto a casa.»

    «Ti ringrazio, la prossima corriera passa tra due ore.»

    […]

    «Ma non dovevamo svoltare a destra? Passiamo per la vecchia provinciale?» domandò perplesso il secondo individuo.

    «C’è meno traffico. Di solito vado sempre di qua. La strada nuova mi innervosisce, con tutte quelle curve.»

    […]

    «Perché ti fermi?» borbottò il secondo individuo, voltando il viso dalla parte del finestrino per individuare il luogo della sosta.

    «Devo controllare una gomma che mi sembra sgonfia. Non hai sentito un rumore strano? Scendi e siediti là, mi sbrigo in fretta.»

    […]

    «Abbiamo forato?»

    «No, però lo pneumatico posteriore destro è un po’ floscio. Lo farò gonfiare a Molini» brontolò il primo individuo, sistemandosi sul breve muretto a fianco dell’amico. «Vorrei dirti alcune cosette» sibilò stringendogli il braccio.

    «Lo sapevo. Se vuoi farmi cambiare idea ti avverto che è tutto tempo sprecato.»

    «Non voglio farti cambiare idea. Ce la farò anche senza di te. Ti chiedo soltanto di farmi da palo e di fornirmi un alibi, semmai arriveranno a me.»

    «Mollami il braccio, mi stai facendo male! Per favore, finiamola con questo teatrino. Scusa se te lo dico, ma mi hai proprio rotto i coglioni» avvampò il secondo individuo corrugando le sopracciglia.

    «Non parlarmi in questo modo, imbecille.»

    «Tieni le mani a posto, altrimenti…»

    «Altrimenti cosa? Stronzo che non sei altro!»

    […]

    Capitolo 3 - Il nuovo maresciallo arriva a Triora

    Triora, pomeriggio del 21 giugno.

    Il turista che arriva dalla costa si aspetta di scorgere un castello, una roccaforte che identifichi in modo inequivocabile l’antichità del paese. Ma a prima vista non si notano edifici fortificati, né torri svettare sullo sfondo dei monti, resi incerti dalla foschia.

    Triora (1) non mostra subito la propria bellezza. In questo è molto schiva, come una signora distesa pigramente che non vuole rivelare la propria intimità al primo incontro. L’anima e i segreti della borgata vanno scoperti con garbo e rispetto.

    Erano da poco passate le cinque e mezza. Un silenzio luminoso avvolgeva il paesaggio che scemava verso la parte solitaria e fresca del torrente.

    Il giovanotto parcheggiò la sua vecchia Renault 4 in corso Italia, all’ombra di un ippocastano.

    Prima di scendere dalla vettura fissò con apprensione i pochi strumenti del cruscotto. La temperatura dell’acqua aveva sfiorato i limiti segnati in rosso. Dal vano motore gli giungeva un borbottio sinistro, come se qualcosa fosse sul punto di esplodere, mentre un velo di vapore si sfogava con un fastidioso sibilo dalle fessure del cofano. Alzò le spalle rassegnato, assicurandosi di aver inserito il freno a mano. Tentò anche di innestare la prima, per avere un margine di sicurezza nel caso l’automezzo si fosse mosso su quella strada in leggera discesa. Ma la leva del cambio a sciacquone, come la chiamava lui, era restia a compiere l’operazione, a causa dei leveraggi consunti. Alla fine, con le buone maniere ottenne il risultato sperato.

    Sbatté la portiera senza chiuderla a chiave, con la convinzione che nessuno avrebbe tentato di rubare un’auto con oltre trent’anni di servizio e più di cento sessantamila chilometri, percorsi senza infamia e poco onore. Il tettuccio di tela diede un sussulto e poi ritornò pigramente nella posizione in cui Luca era abituato a vederlo da sempre, cioè afflosciato.

    Devo decidermi a cambiare questo ferrovecchio pensò tra sé.

    Suo padre gli aveva insegnato a essere parsimonioso, che non voleva dire essere avaro ma conoscere appieno il valore del denaro. Era giunto quindi il momento di mettere in pratica quel consiglio, perché non basta avere i soldi, bisogna anche saperli spendere, che tradotto nel suo dialetto suonava pressappoco così: a basta nen avèj ëd sòld, a venta dcò savèj-je spende.

    La maglietta umida era appiccicata alla schiena. Non aveva messo in conto di trovare un’afa inattesa per quell’altitudine.

    Si guardò attorno e vide la caserma, situata dalla parte opposta della via: un cubo anonimo di un colore indefinibile, come se i pittori, per la tinteggiatura, avessero mischiato il rosa e il giallo nel bidone del marrone. L’edificio era anche sbiadito nelle zone esposte al sole e, vicino al basamento, i muri apparivano scrostati per l’umidità.

    Tolse gli occhiali da sole e osservò per alcuni istanti il cartello Alt farsi riconoscere, appeso nella parte in ombra del cancello. Riprese a rovistare nei pantaloncini e nel trolley, ma il documento non ne voleva sapere di saltare fuori.

    Durante il viaggio, la cicatrice sul viso gli aveva procurato un prurito insopportabile, più del solito. Cessò di tormentarla e si asciugò la fronte. Fece un profondo respiro e pigiò il bottone del campanello. Il tesserino era fondamentale e doveva trovarlo a tutti i costi per poter essere identificato.

    «Chi è?» borbottò una voce sofferente attraverso il citofono mentre una piccola telecamera lo stava inquadrando.

    «Sono Luca Baudino, il nuovo maresciallo» rispose schiarendosi la voce.

    Lo scatto metallico della serratura elettrica echeggiò nella quiete pomeridiana. Il militare si affrettò ad attraversare il cortile rovente e si presentò a un piantone sovrappeso, con un vistoso alone sotto le ascelle che trasudava sulla camicia d’ordinanza.

    «Bonaseira, non trovo il tesserino di riconoscimento» si giustificò scrollando il capo. «Dev’essere finito sul fondo, bòja fàuss!» esclamò allargando le braccia.

    «Nessun problema. Ha un documento, per favore?»

    «La carta d’identità e il foglio di trasferimento vanno bene, neh?»

    Al corso investigativo, Baudino si era classificato tra i primi ed era stato promosso al grado di maresciallo capo.

    Non aveva mai comandato una stazione prima di allora. Al comando della Legione di Milano, da cui proveniva, non aveva avuto incarichi decisionali, poiché il Nucleo investigativo, al quale si trovava in forza, era diretto da un tenente colonnello.

    Il suo superiore gli aveva spiegato, in modo piuttosto laconico, che per lui era giunto il momento di sobbarcarsi gli oneri e gli onori di una caserma e acquisire così un’esperienza unica e diversa. Quindi, era stato assegnato al borgo montano.

    Le promozioni hanno un costo e nell’Arma c’è sempre qualcuno che decide per altri.

    La caserma si trovava all’incrocio tra corso Italia, la via principale, e via Campomattone, una strada senza uscita che serviva alcune abitazioni. La calura, in quel giorno di inizio estate, era mitigata in parte da ombrosi abeti e ippocastani che circondavano tutto il caseggiato.

    La t-shirt accompagnata da bermuda ed espadrillas non gli davano di certo un’aria militaresca né austera. Anzi, con la macchina fotografica appesa alla spalla assomigliava, più che altro, a un turista milanese che si è perso nei vicoli e non ritrova più la via dell’albergo. Si era messo in libertà al volante della sua auto, cercando di affrontare il caldo insopportabile nelle condizioni più confortevoli e pratiche.

    Il carabiniere, dai baffi folti e scuri, sollevò il viso e scrutò, attraverso i vetri del suo sgabuzzino, quel tizio originale che litigava con l’italiano pronunciando la e stretta. Dev’essere piemontese pensò. Lanciò un’occhiata al ventilatore appeso al soffitto per sincerarsi che fosse acceso, poi sfogliò la documentazione e rispose con un sorriso smagliante. «Buonasera a lei, comandante, benvenuto a Triora, nel borgo delle streghe. La stavamo aspettando. Venga, l’accompagno dal maresciallo Pavan.»

    «Borgo delle streghe?» mormorò il sottufficiale perplesso.

    «È un soprannome, roba per turisti» spiegò il graduato strizzandogli l’occhio. «Io sono De Marta Sergio.»

    Quando era giunto alla rotonda di Arma di Taggia, Baudino aveva scorto finalmente il cartello che indicava Triora. Doveva percorrere ancora una trentina di chilometri. Lasciata la via Aurelia aveva svoltato sulla provinciale 548, in direzione del capoluogo alpino.

    Ma dove mi hanno trasferito? aveva pensato in cuor suo, mentre il tragitto si faceva sempre più tortuoso man mano che si allontanava dalla costa e le Alpi Liguri iniziavano a stagliarsi sullo sfondo. Aveva cercato su Google qualche notizia di quel borgo ed era rimasto un po’ scettico, ma appena lo aveva visto si era ricreduto e innamorato subito.

    Luca Baudino aveva compiuto trentadue anni a maggio. Gli occhi erano chiari, tendenti al ceruleo e lo sguardo profondo. La voce decisa e piacevolmente autoritaria incuteva un po’ di soggezione.

    Sopra le orecchie diversi capelli si erano arresi anzitempo all’età e la natura stava facendo il suo corso inesorabile, ma il taglio corto, con la mezza riga laterale, esaltava il fascino del brizzolato.

    Luca era nato in provincia di Cuneo, a Costigliole Saluzzo, il celebre paese dei tre castelli, situato all’inizio della val Varaita, con veduta del Monviso a occidente e la sconfinata pianura agli altri lati.

    La guancia sinistra era segnata, poco sopra la bocca, da una cicatrice corta ma vistosa, a forma di v piegata. Quell’elemento lo rendeva intrigante, donandogli un tocco di mistero. Tant’è vero che il piantone, forse per rompere il ghiaccio con il nuovo superiore, si era fermato mentre salivano le scale. «Conflitto a fuoco?» aveva domandato indicando la ferita con un movimento della testa.

    «No!» era stata la risposta categorica.

    Ma il baffuto carabiniere non si era perso d’animo e scorgendo una bruciatura ormai cicatrizzata sul polpaccio si era lanciato di nuovo all’attacco. «Quella sì?»

    «Neppure quella!» aveva esclamato Luca piuttosto infastidito dalla curiosità eccessiva.

    I due marescialli si passarono le consegne e si scambiarono gli auguri. Pavan era stato promosso e trasferito al comando di Sanremo.

    «Baudino, prima di lasciare Triora vorrei dirti ancora alcune cosette» soggiunse il collega con voce roca, dovuta alle troppe sigarette.

    «A che proposito?»

    «Dei metodi non convenzionali in uso in questo comando.»

    «Cioè?»

    «Questa non è una caserma come quella di Sanremo, Bordighera, o Imperia. Ci piace pensare di essere un po’ come in una famiglia, dal momento che siamo soltanto in cinque e passiamo più ore qui che a casa. In questo modo l’isolamento è meno gravoso. I colleghi della costa sono più fortunati, sono a contatto con tante persone, ci sono molti negozi, locali, attività di ogni genere.»

    «Ah! E quindi?»

    «Cerca di essere tollerante. Tanto per farti un esempio, il brigadiere Salvetti, ottimo elemento sempre disponibile, ha una mania inguaribile.»

    «Mania?» fece Luca preoccupato.

    «Non in quel senso, non ti anticipo nulla ma sono sicuro che con lui ti divertirai, anche se a volte è abbastanza… stressante. È felicemente sposato e ha un figlioletto.»

    «E gli altri?»

    «Beh, l’appuntato De Marta è divorziato. È un po’ irruento e si lamenta tutti i giorni di essere sovrappeso, ma non fa nulla per dimagrire, preferisce stare in quel bugigattolo piuttosto che svolgere servizi esterni; Barbieri è giovane e inesperto, ma ha tanta voglia di imparare; infine c’è Caldonazzi che è qui da pochi mesi e non lo conosco a fondo, è timido e parla poco, lo stretto indispensabile. Questi due sono scapoli.» Fece un profondo sospiro e continuò. «Sai, quassù non c’è molto da fare, anche se il territorio di nostra competenza è molto vasto. Qualche ubriaco al sabato sera, qualche gallina che sparisce ogni tanto, qualche bracconiere e cose del genere. Da quando sono qui c’è stato soltanto un omicidio due… no, tre anni fa, in una campagna sopra Creppo, per una questione di corna. Una moglie, stufa di essere tradita, ha sparato al marito con un fucile da caccia, dopo aver sorpreso il coniuge e l’amante a fare i porcelli nel fienile sotto casa, in mezzo alle capre.»

    «E l’amante?»

    «Soltanto una ferita di striscio al braccio, per fortuna.»

    Luca rimase sbigottito e rispose con una battuta. «Un ambiente molto romantico, soprattutto… profumato. Ma non avevano altri posti in cui andare?»

    «Beh, quello che dovevo dirti l’ho detto. Ovviamente, tu fai quello che credi meglio. Da domattina comanderò una stazione con le palle, ma so già che avrò nostalgia di questo paese.»

    «Pavan, vorrei sapere se l’alloggio è a posto oppure c’è qualche lavoretto da fare» scherzò Baudino mimando con la mano quel gesto che si fa quando si spolvera qualcosa.

    L’anziano maresciallo sorrise. «No, troverai tutto in ordine. Stamane, Caterina ha fatto le pulizie. Ma c’era poco da riordinare, io sono uno scapolo impenitente.»

    Capitolo 4 - Anna Pastorelli

    Alloggio del maresciallo, 26 agosto.

    In una fresca mattina di fine agosto Luca fu svegliato da un frastuono improvviso, accompagnato da un tuono. Un temporale si stava sfogando sopra la valle e infieriva sulle begonie del suo terrazzino, ammucchiando aghi di pino lungo i marciapiedi del paese. I tombini intasati dalle foglie non riuscivano più a raccogliere l’acqua e diversi rigagnoli improvvisavano piccoli cerchi e mulinelli che si mischiavano con altri appena formati e infine si dissolvevano per poi ricominciare daccapo e riprendere il balletto una volta e una volta ancora.

    Il sottufficiale si stropicciò gli occhi e diede un’occhiata all’orologio. Le sei e un quarto.

    Si sedette sulla sponda del letto stirandosi le braccia. Ancora assonnato si affacciò alla finestra sbadigliando, cercando di capire da dove provenisse quel trambusto accompagnato dal rumore di una sirena che gli stava forando i timpani. Il furgone del latte aveva stretto troppo la curva a gomito all’inizio del paese ed era sbandato sull’asfalto umido, finendo dalla parte opposta della carreggiata contro un’auto di cui aveva attivato l’allarme.

    Il proprietario della vettura era uscito tossicchiando dal bar poco distante, cercando di deglutire il caffè andato di traverso e aveva iniziato a sbraitare parolacce all’indirizzo dello sfortunato camionista.

    «È nuova, ha soltanto sei mesi» aveva biascicato l’uomo ansimando, mentre si ripuliva la bocca con il dorso della mano. Dopo essersi grattata la testa con vigore, si era piazzato di fronte al pasticcio tenendo le mani appoggiate ai fianchi, con lo stesso sguardo che compare sul volto di un bambino di fronte al giocattolo in frantumi. La voce gli usciva a fatica, mal modulata dall’ugola e quasi piagnucolando aveva commentato sottovoce: «Non ho ancora finito di pagarla.»

    «Stia tranquillo, sono assicurato. E la smetta di inveire, mica l’ho fatto apposta» rispose sconsolato il dipendente dell’azienda

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