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L'uomo dell'armistizio
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E-book319 pagine4 ore

L'uomo dell'armistizio

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Info su questo ebook

XVII secolo. La guerra che contrappone Terra e Colonie da sette anni, vive un momento di stanca. La Federazione, tanto potente quanto corrotta, cerca una soluzione allo stallo; l'ultima nata tra le navi stellari federali, viene scelta per una missione suicida sul pianeta-prigione dei separatisti. Per le Colonie, economicamente limitate e lacerate da dubbi interni circa le reali motivazioni della guerra, è l'occasione per ridare vigore ad un'alleanza in piena crisi, utilizzando proprio il prigioniero per rafforzare la coalizione. Chi ne trarrà vantaggio quando i contendenti si troveranno faccia a faccia? I separatisti sapranno contrapporsi ad una nave troppo potente per i loro mezzi? Ma, soprattutto, chi è il misterioso prigioniero e quale il suo ruolo nella guerra? Mentre Altair VI è alla sua fine e la situazione precipita, le due fazioni non potranno che aggrapparsi alle parole di speranza dell'Uomo dell'Armistizio.
LinguaItaliano
Data di uscita11 giu 2018
ISBN9788869826511
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    Anteprima del libro

    L'uomo dell'armistizio - Oscar De Fina

    Grazie.

    Nota dell'autore

    Questo libro è stato completato come regalo per l'ottantaseiesimo compleanno di mio padre.

    A dire il vero, i primi capitoli furono scritti quattordici anni prima, ma, visto che portare a compimento qualcosa mi è sempre riuscito piuttosto difficile, la novantina di pagine restarono nel cassetto fino all'aprile 2016.

    In quel periodo la mia vita stava cambiando in modo repentino e caotico e, nella solitudine dei miei pensieri, mi tornò in mente il mio vecchio e quel continuo ripetermi di scrivere, che per lui avevo una dote che dovevo sfruttare, che ogni tanto rileggeva Robi&Leo (una breve novella autoprodotta) e ogni volta ribadiva quanto io fossi bravo e via dicendo.

    Al di là delle sue convinzioni poco obiettive, decisi di riprendere quella storia che si lega perfettamente a ciò che da sempre preferisco (fantascienza e Asimov in primis, il Maestro!) e di portarla a termine.

    Lo dico chiaramente: non ce l'avrei mai fatta senza il classico colpo di fortuna che porta il nome di Luana. Avendo una grande stima per questa amica minuta e dalla vivissima intelligenza, le girai via mail i primi quindici capitoli. Il suo entusiasmo fu subito contagioso ed ebbe l'effetto di darmi la fiducia di cui avevo bisogno.

    All'epoca abitavo a Uboldo, un paese di diecimila anime in provincia di Varese, a circa metà strada tra Milano e la Svizzera.

    Oltre alle nottate a scrivere, la cosa che amavo di più era prendere la bicicletta, portarla sul treno a Saronno per andare a sedermi su una panchina del lungolago di Como.

    Ore e ore col piccolo laptop sulle ginocchia. Ogni tanto uno sguardo agli idrovolanti in partenza o arrivo, qualcuno che mi sedeva accanto, il suono discontinuo delle piccole onde...

    Il 6 agosto 2016 vidi mio padre commuoversi mentre io sghignazzavo contento. Almeno qualcosa ero riuscito a concluderla!

    La versione finale, riveduta e corretta tra gennaio e marzo 2018, è un dono di pazienza di Anna, la mia compagna: con meritevole abnegazione mi ha consigliato e spronato (e pure insultato!) per sistemare le imprecisioni che, bene o male, si perdono di vista nonostante questo libro lo abbia letto una miriade di volte!

    Buona lettura!

    Prologo

    «… E’ sicuramente una conquista della Scienza, dello Spirito, dell’Uomo, un punto di partenza per l’esplorazione della Natura oltre ogni limite che la Storia ci ha imposto finora. »

    «La ringraziamo, generale Paxton, per il suo genuino entusiasmo e per averci accompagnato attraverso gli innumerevoli step che hanno segnato questa avventura scientifica. Nel frattempo mancano ancora quattordici minuti all’inizio del countdown, qui a Pasadena. Cedo la linea a voi, studio, per riprenderla dal Centro di Controllo Missione qui alla NASA prima dell’ultimo minuto. A voi! »

    «Grazie, John. Riprendiamo la linea da studio ancora in compagnia del professor Philip Robertson, docente di Fisica Teorica al MIT e collaboratore attivo del progetto New Sky. Professore, che altro possiamo dire ai nostri telespettatori per concludere questo incontro se non porle La Domanda, quella che da più parti s’è levata contro il progetto: che cosa accadrebbe in caso di insuccesso? Che ne sarebbe degli astronauti? In sintesi, cosa dobbiamo attenderci nei prossimi minuti? »

    «Vede, l’unico problema, se così vogliamo chiamarlo, riguarda la reazione dei piloti alla anomala configurazione di volo che si accingono a sopportare. In realtà, per quanto possa sembrare strano considerando le vite umane in gioco, conosciamo praticamente ogni variazione riguardo la fisiologia biochimica della materia interagente, quindi mi sento di rassicurare tutte le persone all’ascolto sulla salute dei piloti e sulla bontà del lavoro svolto in questi anni dalle equipe di scienziati e tecnici dislocati in tutto il mondo.»

    «Ma, professore, se lo Shuttle non completasse la missione o, peggio, se dovesse perdersi nello spazio, che ne sarebbe del Progetto e di quei piloti?»

    «No, guardi, questa è pura fantascienza! Ho sentito alcune voci di dissenso infondato basato su teorie scientifiche che, a mio personalissimo parere, lasciano il tempo che trovano e in ogni caso, come ho appena spiegato, i piloti non corrono alcun pericolo se non quello intrinseco in un viaggio nello spazio oltre i confini terrestri, pensiamo a micro asteroidi o radiazioni in eccesso che potrebbero generarsi attraverso brillamenti solari inattesi. In ogni caso, entro sei mesi, un nuovo equipaggio sarà pronto a partire per una nuova e ben più significativa missione, per gettare le basi verso viaggi più impegnativi e, al contempo, sicuri; perciò anche nel caso di un improbabile insuccesso, il futuro è stato ormai pianificato e, a meno di inconcepibili cataclismi, ripeto, tutto è destinato ad evolversi per il meglio. D’altra parte, la strada è stata tracciata e da questo sentiero non si torna e non vogliamo tornare a mani vuote.»

    «Ringraziamo ancora il professor Robertson per la sua disponibilità e per la chiarezza con la quale ha esposto delle teorie e delle argomentazioni di non facile comprensione agli ascoltatori in collegamento con noi. Ma adesso è il momento di ricollegarci con Pasadena e con il nostro esperto John Brody dal Centro di Controllo Missione della NASA. A te, John!»

    «Grazie, Susan. Qui la tensione è altissima, come potete facilmente immaginare. Oltre questa vetrata che separa i giornalisti di tutto il mondo dal cuore della missione, i tecnici e gli ingegneri del progetto New Sky hanno smesso di muoversi freneticamente da una consolle all’altra e ora siedono ognuno davanti al proprio terminale, uno dei 50 disposti su cinque file a semicerchio, mentre il cinquantunesimo al centro dietro a loro, è quello del Responsabile di Controllo Missione, l’ingegnere David Foster, pilota in 14 missioni Shuttle e comandante in 8 di queste. Il grande schermo al centro della parete, giusto davanti a noi, mostra uno scorcio della Stazione Orbitante Internazionale assieme alla figura affusolata dello shuttle Trinus, pronto a sganciarsi, tra pochi secondi, dalla struttura che lo ha visto nascere.

    Come tutti ormai saprete, le strutture base della navetta sono state realizzate a terra, mentre l’assemblaggio è stato eseguito, per la prima volta nella storia, direttamente nello spazio, per agevolare le calibrazioni dei componenti e aumentare la sicurezza complessiva dell’operazione.

    Ma attenzione! Il conto alla rovescia è cominciato e tra un minuto vedremo la Trinus lasciare la ISS e procedere lateralmente per posizionarsi nello spazio vuoto, a 170 Km dalla struttura come previsto dai parametri di sicurezza. Ecco, ci siamo… pochi secondi… E’ partito! Lo shuttle Trinus è partito! Potete vedere anche voi, da casa, gli sbuffi dei getti laterali che, delicatamente, muovono la navetta per portarla a quella distanza, ritenuta di assoluta sicurezza, perché il balzo non disturbi in qualche modo la Stazione Orbitante, che sappiamo essere stata oggetto di controlli accurati e rinforzi nei punti nevralgici negli ultimi mesi.

    Ricordiamo a tutti i telespettatori che la Trinus non ha veri e propri motori propulsivi se non questi piccoli ugelli di manovra che sono ora in azione. L’unico vero motore è, in realtà, proprio la Chiave di Hansen che permetterà allo shuttle guidato dal Colonnello Pete Drake Shuster, con l’assistenza del fisico Alan Dosberg, di compiere il primo volo iperspaziale della storia umana.

    Ricordiamo che Chiave di Hansen è il soprannome con il quale gli addetti ai lavori chiamano il Generatore Gravitazionale di Distorsione Iperdimensionale, ideato circa vent’anni fa dal premio Nobel Norman Hansen. Lo scienziato prese spunto dal principio teorico dello spazio curvo, allo scopo di realizzare un distorsore gravitazionale in grado di bucare lo spazio tempo e, quindi, trasportare un'astronave ad una distanza inconcepibile per un qualsiasi motore per tragitti lineari sub-luce.

    Si… scusate… mi dicono dalla regia… sì… devo lanciare un breve blocco pubblicitario. A tra poco!»

    «Bentornati a Pasadena. Sono John Brody e siete sintonizzati su 'ABR News–New Sky Special'. In questo momento, stiamo osservando lo Space Shuttle Trinus, la prima navetta figlia di un progetto che ha visto la collaborazione di ben 63 nazioni di tutto il mondo, mentre completa la manovra di posizionamento prima di spiccare il primo balzo nell’iperspazio della storia umana. Ecco, ci siamo! La Trinus si sta fermando… ecco… sì, s’è fermata! Tra qualche istante inizierà il conto alla rovescia per l’ultimo minuto prima della partenza. Dovremmo ormai esserci… E’ iniziato!

    E’ iniziato l’ultimo minuto per noi, insignificanti esseri umani inchiodati da sempre sul nostro piccolo mondo, prima di vedere l’alba di una nuova era che ci porterà oltre i confini del sistema solare… quaranta secondi… possiamo immaginare la tensione dei piloti… trenta secondi… le loro famiglie sono qui, al centro di controllo NASA, assieme agli amici più cari… venti secondi… è un momento magico, la tensione è tangibile… dieci secondi! Ci siamo! 9… 8… 7… è bello oggi essere qui… 4… 3… 2… è il momento, Signore aiutaci… 1… Zero! La Chiave di Hansen è in azione! Per ora non vediamo nessun cambiamento nel vuoto attorno alla nave ma, in realtà, davanti alla prua della Trinus, lo spazio si sta distorcendo lentamente ma inesorabilmente e... Sì! Guardate! Un bagliore davanti alla prua dello shuttle! E’ incredibile! Sta crescendo d’intensità! E’ una luce bianca con screziature multicolori, un arcobaleno di frequenze elettromagnetiche non molto diverso da quello visibile dopo un temporale…

    Attenzione! E’ partita! L’avete vista tutti! Un leggero movimento iniziale e poi il tuffo nella cavità gravitazionale! La nave è scomparsa, la luminosità residua si sta attenuando rapidamente e qui è scoppiato spontaneo un applauso fragoroso. Vediamo sotto di noi, al Centro di Controllo Missione, gli scienziati, gli ingegneri e tutti i tecnici che si abbracciano e le lacrime non si trattengono più. E’ fantastico! E’ bellissimo! Anche i giornalisti qui attorno a me sono commossi e si abbracciano.

    Cristoforo Colombo, i fratelli Wright, Neil Armstrong e oggi, 4 Luglio 2087, Pete Shuster e Alan Dosberg. Questi sono gli uomini che hanno fatto e stanno facendo la Storia dell’intera umanità, una Storia fatta di coraggio e di sogni, di desiderio di conoscenza e di sofferenza, la voglia di superare i limiti del nostro corpo e del nostro essere oltre ogni più ragionevole speranza ed ambizione.

    Ma ora attendiamo la chiamata dei nostri eroi dall’orbita lunare. E’ questione di pochi momenti. Dobbiamo solo aspettare… aspettare…»

    I. Novellino

    Skytown era deprimente.

    Per un cadetto alla prima missione ufficiale, non era semplice impattare contro la cruda realtà, ma neppure una volta s’era immaginato un Centro Spaziale in condizioni così pessime.

    Aveva passato cinque lunghi anni nell’attesa di quel giorno, tra ore di studio, allenamento fisico e addestramento in volo e la costante in tutto quell’impegno continuo era l’abbondanza di aggettivi superlativi con i quali i gradi superiori definivano la cosiddetta Base. Il sergente Thompson, il Capitano Herzog, il colonnello Svennson, il Generale Puriel: ognuno di loro usava termini talmente ridondanti di patriottismo terrestre in disuso, che nessun ventenne si sarebbe mai sognato di sbattere il muso in così tanta miseria.

    Oltre la decrepita recinzione in maglia di ferro elettrificata, il parco che attorniava la costruzione vera e propria era lasciato al proprio destino ormai da molto tempo, almeno a giudicare dall’asfalto dei vialetti, divelto dal crescere delle radici degli alti larici, senza contare le panchine scrostate ed il prato ridotto ad un acquitrino dalle recenti piogge primaverili.

    Il sergente all’ingresso della struttura in cemento armato non dipinto, controllò i documenti con una certa noia e, senza una parola, accennò verso la porta aperta alle sue spalle. Anche lo stabile era logoro e le poche finestre che Tom riusciva a vedere, non erano né oscurate, come si sarebbe convenuto a fini di sicurezza, né pulite. L’impressione complessiva era assolutamente devastante.

    «Non è possibile» bofonchiò, mentre le porte del Centro Federale di Missione si aprivano cigolando al suo passaggio.

    «Buongiorno. Mi chiamo Thomas Rainard.» disse educatamente, rivolgendosi all’impiegata dell’accettazione, troppo interessata a dipingersi le unghie dei piedi per ascoltarlo «Mi scusi, signora. Mi chiamo…»

    «Ho sentito, ragazzino, ho sentito. Sei al primo giorno, vero? Corridoio a destra, terza porta a sinistra, stanza 237.»

    Prese la direzione consigliata senza salutare, lasciando la donna al proprio lavorio pedestre.

    La stanza 237, un'anticamera arredata con quattro sedie anonime, dava su una porta in vetro opaco su cui era stampigliato in blu Maggiore Robert J. Hodgson. Tom bussò educatamente ma nessuno rispose. Accostò l’orecchio alla porta e sentì dei rumori sommessi, un breve parlottare e delle penne che cadevano a terra. La porta si aprì di scatto ed una donna sui venticinque anni uscì velocemente dalla stanza, sistemandosi i lunghi capelli neri e la camicetta sbottonata, dalla quale si intravvedeva un corpetto di pizzo bianco. Si defilò senza guardare Tom in faccia, mentre dall’interno una voce stentorea lo invitava ad entrare.

    «Salve ragazzo, accomodati.» disse allegramente il maggiore mentre, senza ritegno, si sistemava la camicia e abbottonava velocemente i pantaloni.

    «Signore, sono il Tenente Thomas Rainard. Sono stato inviato da…»

    «Sì, sì, certo, immagino» lo interruppe Hodgson «Sei fresco di Accademia, vero giovanotto? Sei tutto impettito, ordinato, pulito pulito. Bene, bravo, così deve essere un cadetto della Federazione. Pronto ad immolarti per la Terra e le sue colonie? Cattivo a dovere per sconfiggere i reietti pianeti esterni? Ottimo! Questo è quello che ci vuole, così si deve fare. Vedrai che i vantaggi della divisa non tarderanno ad arrivare!» concluse con un’occhiata complice verso la porta chiusa.

    «Sì, signore.» ribatté Tom imbarazzatissimo.

    «No, ragazzo, niente formalismi tra noi militari, ci mancherebbe. Siamo qui per combattere e per vincere e se dobbiamo morire per la patria, allora che le donne ci ringrazino come solo loro sanno fare, no? Ma sì, un giorno lo capirai anche tu. Meglio una oggi che una domani, ma se si può, meglio una oggi e un’altra domani, non credi? Eh, le donne, le donne. Cosa facciamo noi militari alle donne? Sarà la divisa? Sarà il maschio rude che c’è in noi? Sarà che siamo dei veri maiali? O forse è il fatto che siamo votati al martirio e loro sanno che domani non torneremo indietro a reclamare il loro amore, chissà! E comunque, chi se ne frega! Se ti saltano addosso, non esitare; se non ti vogliono, fregatene e colpisci, dopo ti ringrazieranno ugualmente. Non so proprio come fanno i miei colleghi ad andare a letto fra loro… maschi con maschi, sai. Non sarai mica finocchio, ragazzo? Sarebbe un gran bello spreco, geneticamente parlando.»

    «Grazie, signore» abbozzò il ragazzo, nella speranza di aver colto un complimento.

    «Allora, vediamo cosa dice il database federale su di te.»

    Il Maggiore si accomodò al suo posto sbuffando con la divisa finalmente in ordine, accarezzandosi i capelli rossicci e fitti.

    «Ginevra!» disse in tono perentorio.

    «Ciao, tesoro. Sono tutta tua.» rispose mieloso il computer con una calda voce femminile.

    «Leggimi il file del Tenente Thomas Rainard»

    «Thomas Rainard, Tenente, figlio di Paul e Sasha Ratzky. Nato a New York il 27 Agosto dell’anno 349 del Calendario Federale, 2657 del Calendario Giuliano. Scuole di primo e secondo livello concluse con la votazione di mille millesimi, con nota di merito del collegio docente. Cinque anni all’Accademia Militare di West Point, di cui gli ultimi due di specializzazione Aerospaziale. Esame conclusivo in data 10 Gennaio 369 CF, 2677 CG, con votazione di dieci decimi in tutte le materie, con encomio di prima classe in Volo Cieco Spaziale ed encomio di seconda classe in Fisica Quantistica di Curvatura di cui al file allegato. Prima assegnazione in attesa di conferma: astronave TFS-5206 Eraser, Capitano Lorena Knotler.»

    «I miei complimenti, Tenente.»

    Hodgson fissò Tom con una certa ironia, nonostante il tono della voce suonasse di ossequioso rispetto.

    «Abbiamo arruolato un fenomeno e pure un abile pilota, non male, non male davvero. Cosa ne pensi della tua prima assegnazione?»

    «Non sono ancora stato assegnato, signore»

    «Ginevra» sorrise il maggiore «conferma l’assegnazione per il Tenente Thomas Rainard.»

    «Assegnazione confermata, tesoro.» rispose il computer nel modo più mellifluo e allusivo che una macchina potesse permettersi di creare.

    «Dicevo, cosa ne pensi della tua prima assegnazione? Ti rendi conto che stai per iniziare direttamente dalla più grande e potente nave della flotta? Al viaggio inaugurale, per di più! Non sei emozionato?»

    «Sì, signore, lo sono, ma sono anche conscio delle mie possibilità e…»

    «No no no, ragazzo mio, proprio no!» lo interruppe Hodgson- «Non ti ho chiesto se sei bello carico, se sei convinto di essere Dio o quanto tu sia pieno di fiducia nella Federazione. Balle, solo balle. Qui non sei tra i burattini, a West Point ti hanno abituato male. Qui sei tra gli uomini, gente che non ha tempo per i leccaculo e per gli sbarbati che sbavano per mettersi in mostra. Se sbagli, sei morto. Se sbagliano gli altri, sei morto comunque. Un errore e va tutto a quel paese, senza che tu abbia il tempo di rendertene conto. Peggio ancora, la grande Eraser, orgoglio della Flotta e prima nave a mascheramento multiplo, non ha mai visto lo spazio profondo, il suo equipaggio è rodato da migliaia di ore di test, ma nessuna in veri combattimenti, almeno non coralmente. Il capitano è una donna con le palle, ma se tu non riuscirai a capire che i suoi ordini non possono completare la tua scarsa esperienza, se insomma non ci metti del tuo, allora puoi scriverti il necrologio già in questa stanza. Qui si muore, ragazzo; qui si vive; qui si può scrivere qualcosa di grande o andare a quel paese in un attimo. Mi auguro che tutti i tuoi bei voti abbiano lasciato spazio ad un grammo di personalità, altrimenti…»

    «Capisco, signore, ma se lei ritiene che io non sia adatto al ruolo, forse sarebbe meglio assegnarmi altrove.»

    Il Maggiore lo osservò sorpreso.

    «Sei furbo, Tenente, molto furbo, ma questo non ti impedirà di aver paura, anzi. Forse sei davvero intelligente, forse sei davvero un eroe, non so. Comunque ti do un consiglio da amico: non andare mai a donne con il capitano Knotler: anni fa quella virago mi soffiò due ragazze in dieci minuti, una vera assatanata!» e concluse con una risata sguaiata che mise in mostra la sua dentatura perfetta.

    «Come mi devo muovere, adesso? »

    «Muovere? Perché, vuoi ballare con me? Mi vedo costretto a darti un altro consiglio, ragazzo: cerca di parlare il meno possibile come un libro stampato. Solo le checche e gli idioti si esprimono a quel modo e tu non sei né uno né l’altro, giusto? Comunque, se proprio vuoi agitare qualcosa, muovi il culo verso il centro medico, devi passare la visita di routine. Buona fortuna, Tenente.»

    Tom uscì da quell’ufficio intontito come mai prima. Come se non fosse bastato l’impatto puramente estetico che quella fatiscente struttura gli aveva riservato, ecco il Maggiore Hodgson che gli si parava davanti in tutta la sua depravazione. Nessun autocontrollo o capacità di privazione, la totale lontananza dal concetto di militare che Tom portava con sé, e così ben inculcata dagli istruttori dell’Accademia. Si chiese se potesse essere veramente quello il suo futuro e non la sorte luminosa che sentiva di dover perseguire. D’altra parte, anche il Maggiore era uscito da quella stessa scuola, aveva subito la stessa rigida impostazione, a suo tempo aveva convissuto con sogni e speranze, eppure oggi si poteva definire un relitto d’uomo, più vicino ad un vizioso immorale che ad un militare in carriera. In ogni caso, se occupava un posto apparentemente marginale come quello dietro ad una scrivania, evidentemente non era così tagliato per la carriera militare come i suoi gradi affermavano, quindi che pensare?

    La visita medica, se possibile, fu una delusione ancora più cocente delle altre già patite. Non che i medici militari fossero mai stati particolarmente attenti a gente che studiava mille modi al giorno per farsi ammazzare, però Tom trovò come il Dipartimento Medico Federale fosse assolutamente patetico in proporzione al nome roboante che si portava dietro.

    «Stia fermo. Va bene, si volti. Tossisca. Guardi questo bastoncino, lo segua con gli occhi. Bene. Respiri in questo tubo. Ora Si abbassi i pantaloni. Bene. Si rechi alla porta numero 12. Può andare.»

    Tom pensò che non aveva alcun senso: cinque minuti sprecati per esami inutili. Nessuna sonda molecolare, nessuno scanner genetico, solo una banalissima osservazione esteriore che non giustificava in alcun modo la presenza di professionisti e di notazioni in cartelle cliniche.

    «Ma dove sono finito? Perché nessuno ci ha detto la verità? Che diavolo succede qui? E dove la trovo adesso la porta 12?»

    La freccia rossa sul cartello consumato, indicava la direzione per l’attracco 12.

    L’ascensore vuoto su cui salì era puzzolente e malconcio, un giusto condensato di tutta quel vecchiume, un riassunto in movimento di quanto il MFC fosse tutt'altro rispetto a quella patinata perfezione che si era immaginata. Il giardino, l’edificio, le persone, adesso il montacarichi: tutto parlava al negativo senza una speranza di recupero, con quel senso di impotenza e disperazione di chi sa di far parte di un meccanismo da cui non si può più scollegare.

    L’ascensore si mosse in basso, poi in avanti, indietro, su e giù per oltre venti minuti, dando la netta impressione di non sapere esattamente dove andare. Quando la porta si aprì, un’ondata di voci e di suoni graffianti stordì le orecchie di Tom. Il corridoio illuminato era un via vai di gente che correva, parlava, controllava documenti, in un da farsi continuo, una fibrillazione lavorativa che lo rianimò tanto quanto l’abulia precedente l’aveva depresso.

    «Era ora!» buttò lì, sentendosi finalmente a proprio agio e ricaricandosi di energie positive.

    «Era ora cosa? Non dirmi che ti sei annoiato nell’ascensore!» disse una voce alla sua destra. «La prima volta ho vomitato a metà corsa. Sono il Tenente Piotr Numosky, tua guida in questo pandemonio e tuo compagno di stanza, che ti piaccia o meno. Benvenuto!»

    Il volto magro del giovane si illuminò di un sorriso sincero.

    «Piacere, Thomas Rainard. Ma dove siamo?»

    «Questa è la base Lexington. Siamo una cinquantina di metri sotto il livello del mare. Sopra di noi gelo e neve la fanno da padrone perciò, se ci tieni proprio ad uscire, ricordati la maglia pesante.»

    «Alaska? Ma com’è possibile? Ero in Canada pochi minuti fa!» trasalì Tom.

    «Tubi Jarvel ad accelerazione elettromagnetica, in soldoni delle monorotaie. Ma non ti sei accorto delle accelerazioni e decelerazioni continue?»

    «Sì, ma non ci ho fatto caso, i test gioviani sono decisamente peggiori.»

    «Questo è poco ma sicuro, ma un discorso è un test di volo con cinquanta

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