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La pace dei nick
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E-book141 pagine2 ore

La pace dei nick

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Romance - romanzo (113 pagine) - Gli anni 2000 sono insidiosi. C’è un mostro, spietato e invadente, che si fa spazio tra le pieghe dei silenzi di colpa e inizia a scavare, proponendo rimedi, mostrando le cure. È il web, che corre veloce; che macina metri di coscienze sociali, che avvolge e ovatta, infine devasta. Il consumismo peggiore, perché uccide l’amore.


Era nata sotto i migliori auspici, l’unione tra Fabrizio, brillante esperto informatico, e Marina, attraente bellezza mediterranea col pallino della matematica. Entrambi provenivano da un disastro familiare tanto diverso quanto simile. Forse è proprio dalle loro immense catastrofi che nasce una meraviglia unica: è questo che crede Fabrizio, almeno fino a quando non si trova a percorrere un nuovo sentiero di pelle che gli si para all’improvviso davanti e al quale non riesce, in alcun modo, a opporsi. Il 10 ottobre del 2016 sarebbe stato il loro sedicesimo anniversario di matrimonio, l’ultimo. Oppure, come sperava lui, il primo; quello dell’anno zero…


Danilo Cristian Runfolo nasce a Messina il 24 marzo 1972. Il suo primo romanzo, dal titolo Rewind, viene pubblicato dalla Montag Edizioni nel 2002, collana Orizzonti. In seguito scriverà diversi racconti brevi e un romanzo erotico autoprodotto. Nel 2017 pubblica con Eros Cultura il suo secondo erotico dal titolo Io sono Valeria – Una puttana, mentre Lui è infinito viene pubblicato dalla GDS Editrice nel febbraio 2018. Il 13 febbraio 2018 esce per Delos Digital il romanzo erotico M/M dal titolo Cento passi (collana Senza Sfumature), a cui fa seguito la serie erotica in tre volumi Trame coniugali. La sua scrittura è sempre accompagnata da una nostalgica vena sentimentale figlia di quel crudo guardarsi dentro che ritiene vitale. Dice di sé: "Scrivere è l'unico modo che ho per parlare a me stesso senza il bisogno, né il peso, di guardarmi allo specchio; ed è anche il modo migliore per dare voce ai personaggi peggiori, persino di me."

LinguaItaliano
Data di uscita19 giu 2018
ISBN9788825406313
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    Anteprima del libro

    La pace dei nick - Danilo Cristian Runfolo

    9788825406177

    Il destino è la strada, più che la meta.

    Così come l’amore, talvolta, è l’attesa;

    una madre che aspetta un figlio che tarda.

    Criss

    Prologo

    Messina, 10 ottobre 2016

    Compiva sedici anni, quella creatura, eppure non sembrava godere ottima salute. Si trascinava sui piedi, come un vecchio malato in ciabatte alla ricerca di appigli continui che l’aiutassero a sorreggere il peso degli anni e quello ben più gravoso delle delusioni, poi divenuti silenzi e infine distanze di un vuoto incolmabile.

    Malgrado ciò, c’era del buono in quel suo tempo: c’era l’amore di una unione sincera, c’era il rispetto e la voglia di andare, c’era il bisogno di chi è pronto a dare; c’era il riflesso dello sguardo interiore.

    Quel giorno erano sedici anni di matrimonio per Fabrizio e Marina, una coppia quarantenne senza figli che, da due, affondava in una crisi profonda come una barca dentro un oceano piatto, senza onde né scossoni, senza vento, senza che la superficie dell’acqua mostrasse più alcuna anomala o incantevole increspatura. Una calma surreale che governa l’occhio del ciclone mentre intorno impazza la tempesta. Colava a picco senza un perché che non fosse una colpa taciuta e vigliaccamente sepolta nel petto, che di lì a poco ne avrebbe generata un’altra, in rispetto al principio fisico di una dinamica fin troppo umana, quella di azione e reazione uguale e contraria.

    Fabrizio era uscito di casa alle diciotto per passare dal fioraio e comprare tre splendide rose rosse, come faceva ogni anno, illudendosi che anche quello potesse essere identico agli altri, ai precedenti al penultimo. Sistemò i fiori nel sedile posteriore della sua auto, delicatamente, come avrebbe fatto con un bimbo in fasce, poggiandoci sopra un bigliettino:

    Il destino è la strada, più che la meta.

    Così come l’amore, talvolta, è l’attesa;

    una madre che aspetta un figlio che tarda.

    Fabry

    Aveva in tasca i due biglietti comprati online per la serata al Club Privé di Catania, ma non sapeva ancora se ci sarebbe potuto andare perché non c’era stata occasione di dirlo alla moglie.

    Troppo il silenzio tra loro e troppo poco lo spazio per riuscire a infilare dentro quelle parole che in un momento tanto delicato avrebbero potuto essere facilmente fraintese. Era la sua unica carta, quella dell’ultima mano sulla quale puntare tutto. Vincere o perdere, salire o cadere. Quel matrimonio era un tavolo verde e loro, due miseri bari che nascondevano gli occhi e le colpe dietro spesse lenti scure.

    Controllò lo smartphone per vedere se c’erano nuovi messaggi: aveva ormai disinstallato Facebook e cancellato l’account, il led verde aveva smesso definitivamente di lampeggiare. Nessun SMS da Marina.

    Pensò a Sunshine, l’amica virtuale, al mistero che attorno a lei era rimasto irrisolto e allo stimolo, forte e prepotente, che da quella inaspettata conoscenza gli era maturato, al punto che considerò non solo stupidi e inutili i lunghi anni di silenzio e distanza coniugale, ma altrettanto inefficaci, poco più che puerili e goffi tentativi di mimetizzarsi, intrufolarsi nel campo del nemico, che era il web. Avrebbe fatto prima, e meglio, a muovere passi concreti, reali, lasciando orme visibili, accompagnati da gesti e parole, i soli che, anche al tempo di Internet, sono e rappresentano l’amore.

    Arrivò sotto casa alle diciannove in punto, dopo aver vagato per le vie del centro senza alcuna meta. Sperò che lei fosse già rientrata e che si stesse preparando per la serata. Era stato così ogni anno, come un copione mai scritto e da entrambi sempre rispettato: lui non le diceva nulla sul programma per il loro anniversario, ma lei si aspettava comunque la sorpresa e non era mai rimasta delusa, neanche l’anno precedente, quello che aveva registrato la prima violenta scossa nel sismografo dei sentimenti e, di lì, quella serie infinita che gli esperti di simili fenomeni chiamano di assestamento ma che in realtà non assestano mai nulla se non ulteriore scompiglio, incertezza e precarietà. L’aveva portata a Taormina per una romantica cenetta intima e dopo, avevano fatto l’amore in auto, come due fidanzatini; per l’ultima volta.

    Raggiunse la porta d’ingresso e persino la targhetta d’ottone gli parve irreale: F.Villari – M.Conte.

    Due nomi costretti a starsi vicini, dentro un perimetro ellittico ridotto e dorato, incisi su un freddo metallo appeso a una porta che non era più quella di casa, ma l’uscio di una stanca e insignificante dimora.

    Infilò la chiave, inspirò profondamente, attese ancora qualche istante cercando il coraggio per rivedere l’inizio o accettare la fine; poi aprì.

    1.

    Messina, aprile 2016

    Dovevo approfittare di quella mezza serata libera: Marina era in giro con sua sorella e sarebbe rientrata a casa intorno alla mezzanotte. Avrebbero cenato fuori, una pizza e due birre. Di certo faceva bene a prendere un po’ d’aria, specie da quando quella in casa era diventata del tutto irrespirabile. Ferma e pesante come afa estiva, carica di silenzi che parevano enormi nuvoloni neri pronti a scatenare l’inferno su quella terra che, dal canto suo, sembrava quasi desiderarla quell’acqua, anche sotto forma di tempesta, persino diluvio, pur di abbeverare la sua muta e insopportabile aridità.

    Rinunciai alla cena, accontentandomi di un paio di rustici e una Coca-Cola, poi una doccia veloce e, finalmente, andai a sedermi al PC. Beh, in effetti al computer ci sto da mattina a sera, quando non lo faccio per svago e piacere lo faccio per lavoro, l’unico che in tempo di crisi sono riuscito a trovarmi. Mi occupo di sicurezza informatica, di programmazione in Python e Perl, di grafica e realizzazione di siti web: faccio quello che capita, passando dal Pentest di sicurezza sulle vulnerabilità di siti aziendali alla creazione di blog ed e-commerce, e poi copertine per libri ed e-book. Mi do da fare come posso, la mia piccola impresa di impianti elettrici l’ho chiusa cinque anni fa e da allora, dal punto di vista lavorativo, è stato un calo continuo, che trascina giù con esso anche la pazienza e la speranza in un futuro migliore.

    Anche il rapporto con Marina è in calo continuo, ormai da quasi due anni.

    Ci sposammo nel 2000, ma forse, entrambi, lo avevamo dimenticato.

    Avviai il mio sistema Linux, ho sempre detestato Windows, lanciai Firefox e infine Facebook; ho sempre detestato anche quello. Tra tutti i social mi sembra il più vuoto, il più ambiguo, il più pericoloso e proprio per questo, credo, il più usato in assoluto. Alla gente piace stare in basso e, spesso, sotto. Così come i più amano le coperte comuni che io, invece, considero fosse.

    Preferisco Twitter, che uso da sempre e ritengo meno invadente, più impersonale e tutto sommato l’unico sul quale si riesce ad avere maggior controllo, a patto che, di quello, se ne abbia la giusta consapevolezza interiore. Il virtuale è una giungla e, come tale, è piena di scenari meravigliosi e fantastiche creature, ma è anche piena di insidie, di belve feroci e viscidi serpenti pronti a strisciare sulle vite altrui per avvelenarle in ogni modo possibile.

    Comportamenti sociali deviati, frequenti e sempre più simili tra loro, svelano in maniera netta e inequivocabile come e quanto il fenomeno sia direttamente e morbosamente collegato da una diretta proporzionalità matematica alla moda che il virtuale impone, in quei soggetti più fragili che ne finiscono vittime.

    La distruzione continua e metodica di rapporti veri, di sentimenti concreti e dell’amore romantico rimasto ai poeti, agli ubriachi e ai folli, è solo una delle mille sfaccettature di una deriva imposta, voluta e cinicamente messa in opera al fine di generare un caos ordinato facile da manovrare. La vittima di un male, tanto forte quanto subdolo, è la nostra stessa umanità, intesa come il nostro saper essere e voler essere umani".

    Riconoscere i sintomi, nel proprio piccolo e ovattato spaccato di vita, è l’unico modo di cominciare a curarsi e magari, chissà, persino produrre un vaccino da poter suggerire agli altri.

    Così, l’amore ai tempi del web è un amore diverso che mira a collezionare e poi elencare, omettere e sostituire, vendere e spesso comprare ciò che, in quanto sentimento, non può esistere in versione digitale, se non in forma grottesca e mostruosa.

    Quel vecchio appunto saltò fuori dal cassetto della scrivania come se una mano invisibile avesse voluto sbattermelo ancora in faccia. L’avevo scritto dopo una lunga riflessione scaturita dalla lettura di un libro di Julian Assange, Internet è il nemico. Quella sera non avevo la più pallida idea del nickname che avrei dovuto utilizzare: ovviamente non doveva essere riconducibile a me in alcun modo, avevo già creato una fake e-mail ad hoc, ma doveva anche rappresentarmi come uomo, come over quaranta single e affermato pronto a seminare illusioni e veder crescere poi, nei volti e nei cuori degli incauti naviganti, le cocenti e inevitabili delusioni. Ovviamente, nel mio caso, doveva solo sembrarlo e per questo affascinare le autolesioniste del web, perché a metterlo in pratica io non ci pensavo neppure lontanamente. Non ne avevo alcun bisogno, e non perché non avessi anch’io vuoti enormi da colmare, come tutti, ma semplicemente perché sapevo bene che non li avrei potuti riempire con l’illusione. Un vuoto sentimentale non è altro che un’orma; solo lo stesso piede può occupare perfettamente quello spazio, senza deformarlo creandone altro.

    Non sapevo neanche bene perché lo stessi facendo e fui quasi sul punto di lasciar perdere tutto: non avevo voglia di mettermi a giocare a fare il finto conquistatore che poi era solo un investigatore 2.0, eppure, non sapevo proprio cos’altro fare. Non stavo cercando prove, quelle m’interessavano poco e, anche se le avessi trovate, non avrebbero cambiato nulla, non mi avrebbero restituito il tempo, né riempito gli spazi da questo lasciati e ingoiati ogni notte, quando il cuscino era un volto che accarezzavo in silenzio e il letto era un fiume che scorreva di noia su un fondale di detriti e vetri appuntiti. Io volevo capire, volevo vedere e toccare con mano, smentire me stesso e potermi dire che no, non può essere il web a cambiare le persone, a modificarne gusti e abitudini, desideri e sogni, tratti morali e personalità. Volevo poter dire a me stesso che no, Marina non poteva essere una così facile preda di un’onda di massa che travolge e devasta. Volevo poter urlare che la colpa di tutto ciò era mia, assumermene la responsabilità e darmene pace, una volta per tutte; ma non potevo fare neanche questo. Non c’erano colpe tanto grosse da attribuirmi, tali da giustificarlo,

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