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L'attesa di te
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E-book160 pagine2 ore

L'attesa di te

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Info su questo ebook

Dopo la piacevolissima sorpresa de "Gli amori di lei", Serena Senesi prosegue sul versante della narrazione d'amore senza però dimenticare la sua passione per le biografie saggistiche. Da ciò scaturisce un'opera "complessa" nella sua semplicità, che proietta una storia attuale sullo sfondo della travagliata relazione che emerge dall'epistolario dello scrittore Guido Gozzano e della poetessa Amalia Guglielminetti. Due vicende che si snodano, in maniera chiara e fluida, in percorsi narrativi paralleli, rispecchiandosi una nell'altra, in un tentativo perfettamente riuscito di fusione narrativa e saggistica, in cui la scrittrice si conferma abile narratrice della principale pulsione umana e attenta conoscitrice di figure essenziali, a volte persino dimenticate, della storia letteraria italiana del primo Novecento.
LinguaItaliano
Data di uscita28 giu 2017
ISBN9788893690799
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    Anteprima del libro

    L'attesa di te - Serena Senesi

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    Capitolo 1

    Manca solo un giorno al nostro incontro. L’ultimo, forse, il definitivo. L’incontro risolutore. O quello che distruggerà tutte le mie speranze per sempre. Ma tra poco ci vedremo, di nuovo, e ci guarderemo negli occhi, di nuovo. E saranno loro, gli occhi, a parlare per noi, di noi. Sarà bello assaporare l’inquietudine dei primi momenti, l’istante esatto dell’incrocio degli sguardi, la palpitazione dei cuori che forse si cercavano, e si attendevano trepidanti. O forse sarà il gelo, quello tagliente che divora l’anima, la sensazione di essere due estranei, anche dopo tutto quello che abbiamo vissuto, che prevarrà. E allora sarà la fine di tutto, o l’inizio di qualcosa. Di diverso. Ma l’incontro di noi dovrà avvenire, anche se fosse solo per l’ultima volta. Quella decisiva...

    Vittoria si era appena ridestata di soprassalto, al rumore delle persiane della finestra della camera da letto che sbattevano: evidentemente non doveva averle chiuse bene la notte prima o, forse, non avevano più avuto la pazienza di rimanere ferme, solleticate e allettate dai primi raggi del sole che faceva capolino tra le nuvole. Così si era alzata dal divano, dove, senza accorgersene, doveva essersi addormentata la sera precedente, con un movimento quasi automatico, lasciando cadere a terra, sul pavimento di sala, il libro che narrava quella storia d’amore stupenda, ma travagliata, che stava leggendo prima di cadere tra le braccia di Morfeo. Il rumore improvviso della finestra che sbatteva le aveva fatto tornare alla mente la parte conclusiva del testo e, come mettendosi alla ricerca di qualcuno, che sapeva benissimo non essere presente, la ragazza si era diretta verso il luogo da cui proveniva il rumore, la camera, per spalancare le imposte, poi, meccanicamente, aveva guardato il cuscino adagiato nella parte di letto di fronte alla finestra, vuoto, ormai, come sempre da qualche mese. L’aveva osservato per alcuni secondi, nella penombra prodotta dai raggi caldi che si rincorrevano sul pavimento, aveva scrollato la testa, come ad allontanare l’illusione di una qualche presenza di vita reale accanto a sé, e si era seduta sul letto per guardarsi intorno, cercando una rassicurazione negli oggetti familiari - bambole, foto, abiti - che la circondavano. Poi, altrettanto meccanicamente, si era alzata, e aveva afferrato dalla scrivania dello studio, stanza attigua alla camera da letto, il cellulare, sperando di trovarvi il messaggio di una sola e unica persona, che invece sembrava scomparsa nel nulla, ormai da qualche tempo, pur sapendo, razionalmente, che non sarebbe stato possibile riceverlo, né, tantomeno, che fosse davvero ciò che voleva. Gli eventi occorsi nell’ultimo periodo della sua vita bruciavano ancora come ferite aperte nel suo cuore e non sarebbe stato tanto facile riuscire a farle rimarginare. Pur con molto, molto impegno. Almeno non così presto. Sullo schermo del telefono la ragazza non trovò, come presumibile, quello che cercava: comparivano, invece, le consuete email di lavoro, anche se era Luglio inoltrato, qualche spam, il messaggio di una fantomatica maga Miranda, che minacciava in toni apocalittici di leggere l’annuncio fino in fondo, pena le fiamme dell’inferno, e qualche sms dell’amica del cuore Azzurra, sempre troppo mattiniera, che tentava, di Lunedì, di organizzare il planning di serate, aperitivi, cene e cenette per le due settimane successive. Vittoria aveva cancellato tutto ciò che non le interessava, sbirciato, col solito sorriso sulle labbra, le frasi dell’amica, rigorosamente senza risponderle subito, per evitare di essere sommersa da un profluvio di proposte più o meno attuabili, e poi aveva appoggiato il telefono esattamente nello stesso punto in cui lo aveva preso, nella speranza che, da lì a qualche minuto, cominciasse a squillare per ascoltare, di nuovo, una voce che le mancava tanto. Ma quella era l’unica telefonata che non arrivava mai, la sola veramente attesa, e da tempo non più ricevuta. Vittoria sapeva bene come stavano le cose, da qualche mese, o meglio, riusciva a comprendere, razionalmente, tutto ciò che era accaduto nell’ultimo periodo della sua vita, ma col cuore sperava sempre che fosse stato tutto un incubo, e ogni mattina, al risveglio, doveva fermarsi qualche secondo a guardarsi intorno, girare per casa, per accorgersi che Giorgio non era lì con lei, non più, almeno, da quando la loro storia d’amore, pur con le sue luci e le sue ombre, era finita.

    Il sole sembrava essere già alto nel cielo, erano le 9.30, e Vittoria non aveva voluto sprecare nemmeno un solo istante di quella bella giornata estiva, il cui tepore la rendeva allegra già di primo mattino. Si era recata in cucina a prepararsi la colazione, ma, mentre aspettava che il tè fosse pronto e fumante nella tazza, aveva spalancato il terrazzo di sala, che guardava verso il mare, e assaporato il calore intenso dei raggi del sole e il profumo di salsedine proveniente dalle onde che, poco più lontano, si rotolavano sulla riva facendo capriole come bambini intenti a rincorrersi tra castelli di sabbia. Il cielo era di un azzurro compatto, quasi da acquerello, il vento sfiorava con delicatezza la superficie marina, inanellandola di preziosa schiuma, e la ragazza osservava quella perfetta scala cromatica di tonalità dal celeste tenue al blu intenso con l’occhio dell’intenditrice ma anche con la devozione di chi amava quel luogo, il mare di Livorno, come un fratello, o un padre, da cui lasciarsi abbracciare e proteggere. Le margherite nei vasi sul terrazzo stavano aprendosi, come sollecitate dal calore del sole, e Vittoria le osservava con lo sguardo rapito con cui si ammira uno scrigno prezioso, anche se con gemme sul coperchio ormai consunte dal tempo: erano i fiori di Lorenzo, uno dei pochi, teneri, ricordi di lui rimastole. Guardando quei fiori, così delicati e indifesi, la ragazza aveva rivisto davanti a sé il volto di quell’uomo per il quale, fino a due anni prima, aveva provato un intenso e profondo amore. Per distogliersi, però, da quel pensiero, aveva indirizzato lo sguardo verso la strada, che si scorgeva, in basso, volgendo gli occhi dal lato sinistro del terrazzo, e si era appoggiata, quasi con un gesto automatico, al parapetto, come per guardare qualcosa che, in realtà, era presente solo nella sua memoria. Lorenzo che le sorrideva dal marciapiede la prima volta in cui lo aveva rivisto, dopo la fine della sua tormentata e folle storia d’amore con Alessandro, quella volta in cui le aveva fatto consegnare da un fattorino un pacchettino anonimo. Vittoria aveva creduto che si trattasse di un cd inviatole in dono dalla sua cara amica Margherita - ora viveva a Londra, faceva la wedding planner, e ormai da un anno non la vedeva, ma le voleva sempre molto bene, anche se le faceva spendere un patrimonio per parlare via Skype - invece, aprendo l’involucro, aveva trovato al suo interno una trottola e un bigliettino. Quando, dopo tutti i giri, tornerai da me, io sarò lì ad aspettare, fermo, e ti guarderò sorridendo. Perché così doveva essere. Lorenzo. E la ragazza aveva scorto il suo grande amore che la guardava, e sorrideva, dalla strada, e, in quel momento, aveva pensato che il loro incontro fosse magico, ed eterno, e aveva voluto con tutte le sue forze ricominciare la sua storia con lui, come se il tempo del distacco non fosse mai esistito. Ma Lorenzo, dopo i primi giorni di euforia, si era mostrato diverso da come Vittoria si ricordava. Era sospettoso, ostile, si era, per così dire, inaridito, o meglio non riusciva più a fidarsi completamente di lei, che pure giurava di amarlo, e aveva cominciato a chiederle insistentemente dove trascorresse il suo tempo quando non era con lui, chi frequentasse, ma soprattutto mostrava di non credere alle sue risposte quando le arrivava una telefonata inaspettata o un messaggio a orari improbabili. Di solito si trattava di call center, o di Azzurra, che finiva i gigabite di Internet sempre troppo presto, questo diceva lei, e, invece di usare, come di consueto, WhatsApp, inviava rumorosi sms anche alle tre di notte, perché per lei, che si definiva bergsoniana, il tempo aveva una valenza unicamente soggettiva. Vittoria riusciva sempre a dare a Lorenzo spiegazioni esaurienti, ma non si mostrava ugualmente capace di riconquistare davvero la sua fiducia. Ed erano cominciati i litigi futili, poi le discussioni più importanti, quelle in cui un episodio dell’oggi, anche insignificante, rievoca, attirandola a sé, come una calamita, una catena interminabile di eventi più o meno rilevanti del passato che hanno prodotto sofferenza. E poi, peggiori di tutto, le parole non dette, i silenzi, e, inevitabilmente, la rottura del rapporto. Lorenzo, inconsciamente, non aveva mai accettato fino in fondo la passione morbosa di Vittoria per Alessandro, né era mai riuscito a comprendere realmente il suo aver superato i limiti con lui, né dimenticato tutto ciò che la ragazza gli aveva svelato del loro rapporto nelle lunghe notti trascorse a parlare in cui, appena riappacificati, aspettavano l’alba sul terrazzo o sul divano a raccontarsi le loro vite nel periodo in cui erano stati lontani. Ogni volta che osservava il tatuaggio con i cigni intrecciati sul collo della ragazza, anche se non diceva niente s’incupiva, o distoglieva lo sguardo, come assorto in mille pensieri, ma nella sua mente ricostruiva, in modo quasi maniacale, i fotogrammi del momento in cui il giovane pittore doveva aver percorso con le dita i contorni del disegno, o, peggio, sfiorati con le labbra, delicatamente, e poi in modo più violento, quasi a volerli graffiare via. Allora tentava di scacciare quei pensieri ma, se di giorno ci riusciva, la notte, talvolta, si svegliava di soprassalto vedendo davanti a sé, nella penombra, il volto malizioso di Alessandro, che sembrava volerlo sfidare, mentre lui non poteva fare altro che rimanere immobile, senza forza, senza armi. Anche parlare con Vittoria dei suoi timori, peraltro infondati, di un ritorno di fiamma per il giovane artista non serviva, se non nell’immediato; i due si riconciliavano per qualche giorno, poi un motivo banale li faceva litigare nuovamente, e ricominciavano la diffidenza, l’insicurezza, la paura della perdita. La ragazza aveva tentato in tutti i modi possibili di rassicurare il fidanzato, ma, poco a poco, giorno dopo giorno, aveva capito che l’amore, da solo, non basta: serve la totale e completa fiducia nell’altro, altrimenti anche il sentimento più profondo è destinato a dissolversi, come un castello di carte costruito con estrema perizia, ma inevitabilmente sottoposto a oscillazioni involontarie, fino poi a crollare. E così, poco a poco, anche quel congegno abilmente oliato, con l’amore, l’impegno, la dedizione, si era corroso, fino a smettere di funzionare, senza che ci fosse la speranza di sistemarlo, non tanto perché la riparazione sarebbe stata molto costosa - Vittoria avrebbe dovuto cambiare completamente il suo modo di essere, per rassicurare Lorenzo, diventando altro rispetto a ciò che era e che lo aveva fatto innamorare, quindi un’estranea anche a se stessa, e questo era un prezzo troppo alto da pagare - ma soprattutto perché colui che avrebbe dovuto occuparsene, l’artigiano Lorenzo, non aveva né gli strumenti adatti né la capacità di rimetterlo a nuovo. E così, dopo sei mesi di sofferenza allo stato puro, nello stesso modo in cui era tornato, Lorenzo era uscito di nuovo, improvvisamente, dalla vita di Vittoria: non un biglietto, non una parola, detta o anche solo sussurrata: solo il logoramento e l’esaurimento, inevitabile, di un legame che, pur essendo saldo, si era poco a poco dissolto, lasciandoli entrambi da soli, di nuovo.

    Inizialmente la ragazza aveva pensato di cercarlo, di fare un ultimo tentativo di riconciliazione, nello sconforto dei primi momenti di abbandono. Poi, mentre cercava in giro per il salotto le chiavi della macchina per andare a casa sua, alla ricerca di un chiarimento, le era caduto lo sguardo sulla vetrinetta degli oggetti preziosi appoggiata a una delle pareti della stanza e aveva fissato per un attimo la trottola, in bella vista come un cimelio prezioso. Era ferma, immobile: sembrava quasi un essere senza vita. Vittoria si era, a quel punto, impietrita: aveva lasciato cadere chiavi, e borsa, sul divano, a lato del mobile, e si era concentrata, per qualche istante, sull’oggetto, che osservava attraverso il vetro fumé della vetrinetta. E aveva cominciato, mentalmente, una sorta di dialogo solitario: la ragazza poneva domande a cui la trottola non poteva dare risposta, non perché fosse semplicemente un pezzo di ferro, ma perché ora appariva fredda, inanimata, com’era naturalmente se priva di un movimento impresso dall’esterno. E Vittoria, solo in quel momento preciso, aveva capito che, per quanto lei potesse desiderare che la trottola cominciasse a muoversi, prima piano, poi sempre più veloce, davanti ai suoi

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