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Chiesa, giovani e ’ndrangheta in Calabria: Sfide e proposte per un trasformante e liberante impegno nella vita pastorale e sociale
Chiesa, giovani e ’ndrangheta in Calabria: Sfide e proposte per un trasformante e liberante impegno nella vita pastorale e sociale
Chiesa, giovani e ’ndrangheta in Calabria: Sfide e proposte per un trasformante e liberante impegno nella vita pastorale e sociale
E-book820 pagine9 ore

Chiesa, giovani e ’ndrangheta in Calabria: Sfide e proposte per un trasformante e liberante impegno nella vita pastorale e sociale

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Info su questo ebook

Il saggio effettua una sistematica indagine sulla ’ndrangheta, grazie a un approccio oggettivo e analitico, che consente di entrare – con chiara immediatezza e rigorosa scientificità – nel dibattito della sua complessa e attuale pervasività in Calabria. La pianificazione e lo svolgimento adeguati delle attività di studio e ricerca hanno tenuto conto della raccolta, dell’organizzazione e dell’elaborazione di ampia e differenziata documentazione, che ha tra l’altro permesso di definire la ricostruzione del contesto storico e socio-antropologico in cui il fenomeno è nato e si è diffusamente sviluppato. L’autore, pone una serie di critici interrogativi ed esortanti provocazioni, sull’urgenza di avviare un autentico processo di risolutiva consapevolizzazione all’interno del tessuto ecclesiale e sociale della realtà calabrese. L’urgenza di riconoscere la definitiva rottura con il potere di questa potente organizzazione criminale, parte dall’inequivocabile opera compiuta da Papa Francesco con la sua venuta in Calabria nel 2014.
La novità e la forza di alcune proposte – di natura teologica e pastorale – intendono offrire alle chiese e alla società civile la possibilità di fronteggiare il fenomeno, non perdendo mai di vista le prevalenti ragioni insite nel “rischio della speranza”.
Nello sfondo dell’intera opera, si incoraggia a raccogliere una sfida, d’intraprendere inediti percorsi di prassica e decisiva liberazione, ai quali sono invitati innanzitutto i più giovani, che l’autore non esita a definire il “germoglio di risveglio e profezia di riscatto della Calabria”.
LinguaItaliano
Data di uscita29 giu 2018
ISBN9788868226954
Chiesa, giovani e ’ndrangheta in Calabria: Sfide e proposte per un trasformante e liberante impegno nella vita pastorale e sociale

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    Anteprima del libro

    Chiesa, giovani e ’ndrangheta in Calabria - Vincenzo Leonardo Manuli

    mandorlo.

    SIGLE E abbreviazioni

    AA Decreto sull’Apostolato dei laici Apostolicam Actuositatem

    CCC Catechismo della Chiesa Cattolica

    CDSC Compendio Dottrina Sociale della Chiesa

    CEI Conferenza Episcopale Italiana

    CEC Conferenza Episcopale Calabra

    CL Esortazione Apostolica Christifideles Laici

    ECEI Enchiridion Conferenza Episcopale Italiana

    EDB Edizioni Dehoniane Bologna

    EG Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium

    EV Enchiridion Vaticanum

    EN Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi

    GE Gaudete et Exsultate

    GS Costituzione Pastorale Gaudium et Spes

    LAS Libreria Ateneo Salesiano

    LEV Libreria Editrice Vaticana

    LG Costituzione Dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium

    LS Lettera Enciclica Laudato Sì

    DC Lettera Enciclica Deus Caritas Est

    MV Misericordiae Vultus

    SS Lettera Enciclica Spe Salvi

    ABBREVIAZIONI BIBLICHE

    Ab Abacuc

    Abd Abdia

    Ag Aggeo

    Am Amos

    Ap Apocalisse

    At Atti degli Apostoli

    Bar Baruc

    Col Colossesi

    1 Cor 1 Corinzi

    2 Cor 2 Corinzi

    1 Cr 1 Cronache

    2 Cr 2 Cronache

    Ct Cantico dei Cantici

    Dn Daniele

    Dt Deteuronomio

    Eb Ebrei

    Ef Efesini

    Es Esodo

    Esd Esdra

    Est Ester

    Ez Ezechiele

    Fil Filippesi

    Fm Filemone

    Gal Galati

    Gb Giobbe

    Gc Giacomo

    Gd Giuda

    Gdc Giudici

    Gdt Giuditta

    Gen Genesi

    Ger Geremia

    Gl Gioele

    Gn Giona

    Gs Giosuè

    Gv Giovanni

    1 Gv 1 Giovanni

    2 Gv 2 Giovanni

    3 Gv 3 Giovanni

    Is Isaia

    Lam Lamentazioni

    Lc Luca

    Lv Levitico

    1 Mac 1 Maccabei

    2 Mac 2 Maccabei

    Mc Marco

    Mic Michea

    Ml Malachia

    Mt Matteo

    Na Naum

    Ne Neemia

    Nm Numeri

    Os Osea

    Prv Proverbi

    1 Pt 1 Pietro

    2 Pt 2 Pietro

    Qo Qoelet

    1 Re 1 Libro dei Re

    2 Re 2 Libro dei Re

    Rm Romani

    Rt Rut

    Sal Salmi

    1 Sam 1 Samuele

    2 Sam 2 Samuele

    Sap Sapienza

    Sir Siracide

    Sof Sofonia

    Tb Tobia

    1 Tm 1 Timoteo

    2 Tm 2 Timoteo

    1 Ts 1 Tessalonicesi

    2 Ts 2 Tessalonicesi

    Tt Tito

    Zc Zaccaria

    Presentazione

    Chi dà uno sguardo alle pubblicazioni sulla Chiesa e le sue posizioni riguardo alla ’ndrangheta nota una marcata discrepanza tra le indagini riguardanti gli aspetti pastorali e civili e quelle che si concentrano sulle tematiche prettamente teologiche. La maggior parte di esse presentano, con ampiezza di riferimenti, gli orientamenti magisteriali, mentre le altre, in maniera spesso frammentaria, trattano per lo più le dinamiche sacramentali. Le une e le altre sono ugualmente importanti, perché la pubblicazione di un libro è pur sempre una nuova luce che si accende e mette o rimette in moto un dibattito, recando un reale contributo alla comprensione della nostra realtà. Questo vale tanto più per un lavoro teologico, che alla fine è un’analisi critica, nell’alveo della fede nel Dio di Gesù Cristo, per aiutare a crescere in umanità, personalmente e comunitariamente, nella proposta di nuove ipotesi o piste di ricerca, che – se adeguatamente suffragate – aiutano l’intero popolo di Dio nella progressiva comprensione, che è anche incorporazione in Cristo (Cfr. Fil 2,5), del messaggio evangelico per quella verità tutta intera che solo Lui garantisce (Cfr. Gv 16,12-15).

    In questo contesto, s’inserisce lo studio di Manuli, condotto con diligenza e spirito critico-sistematico, che, nella ricerca della risoluzione dell’annoso e complesso problema ‘ndanghetista, pone al centro il ruolo delle giovani generazioni, privilegiando, al contempo, un approccio biblico-teologico, e l’orientamento desumibile dall’approccio dottrinale e, pertanto, magisteriale.

    È una metodologia ampiamente condivisibile, perché favorisce una sempre maggiore consapevolezza della reale e costitutiva dimensione evangelica, sotto la quale è da affrontare l’eziologia di ogni fenomeno mafioso come espressione di una grave e deturpante struttura di peccato. Su questo versante ogni proposta di venirne fuori ha indubbie e positive ricadute in ambito comunitario civile ed ecclesiale. Un simile processo ha una scansione che passa attraverso il rinnovamento, la purificazione, la conversione (personale e comunitaria) perché affronta la ’ndrangheta ed ogni fenomeno di delinquenza organizzata con gli strumenti conoscitivi e le determinazioni pragmatiche della fede cristiana, così come essa è annunciata, custodita, trasmessa dalla Chiesa di Cristo.

    Cercando di individuare i possibili punti di rottura e di innovazione del libro, con tutte le questioni connesse e ancora aperte, in questa presentazione si vuole mettere in luce che la ricerca offre non solo al comune lettore, ma, anche, allo studioso, un quadro dettagliato ed esauriente dello stato delle cose, relativamente ai rapporti della pastorale anti-mafiosa riguardante i giovani, senza sottacere il nocivo e prolungato silenzio ecclesiale, oggi finalmente ed evangelicamente rotto, parlandone in termini non solo di piaga sociale, ma di vera e propria struttura consolidata di peccato.

    Duole dirlo, ma occorre ammetterlo, che in Calabria, la malapianta ’ndranghetista ha trovato linfa vitale e terreno fertile in un attecchimento invasivo e pervasivo, per precise responsabilità storico-politiche ed economico-sociali, ascrivibili a una classe dirigente incapace di porsi come servizio alla comunità e per gli addentellati, sovente, vere cinghie di trasmissione, con il potere massonico, che qui ha prosperato in un clientelismo che è effetto e ulteriore causa di pervasione mafiosa. A ciò è da aggiungere il ruolo negativo di contesti alquanto ibridi, anche, per la condotta borderline, nei nostri ambienti cristiani ed ecclesiali e talvolta ecclesiastici, di componenti che incarnano una parte di alcune chiese locali, non sufficientemente libere, perché non ancora liberate dalla forza travolgente del Vangelo e pertanto in balia di una sorta di «magistero incerto», non sempre immune da condizionamenti e/o distrazioni del governo centrale.

    A fronte di tutto ciò e prendendone atto con umiltà, l’attuale riflessione teologica avverte sempre più la necessità di una ecclesiologia e di una pastorale dell’ incarnazione, non astrattamente intese, ma che orientino la prassi liberante del Vangelo, dando spazio alla presenza e la missione dello Spirito di Dio nel nostro mondo, superando i limiti di una insostenibile leggerezza che diventa astenia strutturale quando non ne è pervasa sufficientemente e rimane impantanata nelle secche di un secolarismo ateo sempre incombente (Cfr. Sal 14).

    Che cosa ci consente di uscirne? L’apprendimento di una comprensione evangelica dei poteri umani alla luce del regno di Dio, una comprensione che sappia discernere profeticamente i nuovi segni dei tempi, specialmente in un’epoca, come quella attuale e in un terra come la Calabria, in cui lo stesso dominio idolatrico, soprattutto di tipo mafioso-’ndranghetista si allea nocivamente al gravissimo deficit pandemico di senso e alla carenza di speranza. Contro tale perversa alleanza la comprensione evangelica può e deve accogliere un bisogno reale, sovente addomesticato, represso, ma mai vinto nella gente del Sud: quello di un riscatto come compimento cristico, di quel Cristo che le nostre popolazioni seguono ancora, liturgicamente, molto più dietro la bara del venerdì santo che nella gioiosa assemblea della domenica del Risorto.

    Bisogna, allora, re-imparare a coltivare la speranza, guardando al Risorto, indicando ai nostri uomini e alle nostre donne del Sud che anche sotto le forme di un loro linguaggio, spesso crudo e dissacrante, ma, comunque, anti-idolatrico, c’è ancora un’indomita volontà di realizzare pienamente l’umano e ad esso si perviene non imprecando, ma evocando e provocando il bello che in loro e che in questa terra non si è mai perduto del tutto, nonostante siano stati a lungo sfruttati, anche dalle mafie, e proprio su questa terra (Cfr. Ap 6,11).

    Tale riscossa per fortuna, grazie anche al magistero di papa Francesco, è iniziata e deve essere intensificata e accompagnata, a tutti i livelli, da quello della Conferenza Episcopale Calabra a quello della confessione o direzione spirituale di un vice-parroco di campagna. Il lievito è in atto, sebbene una realtà più minoritaria e marginale prosaica e/o istituzionale, perseveri nel raccontare tutta un’altra storia, quando afferma e talvolta insuffla che fare i nomi degli affiliati e capi ’ndranghetisti, per fermare la mattanza, è pura delazione. Ma qui, con parresìa evangelica, occorre dire alto e forte che una simile scelta è un peccato più grave dell’omicidio, perché simile al tradimento di Giuda.

    Il libro che avete aperto ci conduce a simili affermazioni. Nella prima parte fotografa il contesto storico-politico ed etno-antropologico-culturale della genesi e struttura ’ndranghetista, indicandone anche lo sviluppo e persino la sua entità più profonda, quella chiamata ontologia. Arriva fino all’individuazione della sua performance nel mondo giovanile, con conseguente individuazione dei riscontri pastorali e delle reazioni ecclesiali.

    Nella seconda parte, che, a nostro avviso, perimetra il nucleo fondante, toccando specificamente la dimensione teologica dell’argomento, concentra l’analisi sul momento biblico e cristologico del fenomeno ’ndrangheta, nel supportarlo con le posizioni e gli interventi del Magistero universale non senza riferimento a quello locale.

    La speranza di un futuro libero, in un processo di liberazione, da alimentare specialmente con l’impegno non delegato né delegabile ad altri, non intermittente, né episodico, ma con un entusiasmo maturo e un protagonismo rinnovato, disinteressato e soprattutto costruttivo, specialmente delle giovani generazioni, integra la terza e conclusiva parte della ricerca.

    L’impianto generale, che si distingue per una sua precisa caratterizzazione teologico-pastorale, nei rapporti tra ’ndrangheta e comunità credente-civile, valorizza, tra l’altro, l’apporto fondamentale del neo-associazionismo intra-ecclesiale e laicale, che, spesso nell’anonimato, lotta con una tenace e cristiana resistenza, con la pratica della nonviolenza, della carità e della riconciliazione, contro il peccato di ’ndrangheta. Sottolinea così come la chiesa, in questo suo difficilissimo compito, ma che è espressione storica della sua missione, pur in una contemporaneità liquida, cinica e nichilista, non perde la speranza di convertire alla comunione divina gli stessi ’ndranghetisti (Cfr. Mt 19,26).

    L’indagine evidenzia, giustamente, il contributo positivo che può e deve dare un modo nuovo di fare politica, una politica non collusa, ma pulita e affidabile, per una società civile non più irretita nella reiterazione del peccato omissivo dell’indifferenza, che è anche codardia e omertà. Solo superando tale ostacolo, le popolazioni calabresi saranno in grado di liberarsi dall’intreccio diabolico, ’ndrangheta-massoneria, nella sua molteplice forma di gangli occulti di potere.

    A riguardo, occorre ribadire qualcosa che è un po’ sottotraccia nel libro, ma è ugualmente presente. Riguarda la fede, che è una vera risorsa, perché, teologicamente parlando, la Grazia è indispensabile. Insomma, pur apprezzando l’impegno personale, per una effettiva liberazione, che è effettiva umanizzazione, questa non è altro che accoglienza di una nativa e innegabile libertà che Dio ci dona e ci rinnova. Qui s’innesta il nucleo di una teologia della liberazione anche per la Calabria che prenda sul serio il grido di Paolo «Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù» (Gal 5,1). È questa l’opera dello Spirito Santo in noi, che impianta nella storia quotidiana la redenzione che in Cristo è offerta sempre ad ogni uomo bisognoso di salvezza, a maggior ragione in una terra che non ha mai smesso di pregare, di credere e talora di piangere la propria fede. Di credere, tra le lacrime, il sudore e il sangue, versati sulle strade e nei campi, che un altro mondo è possibile ed è quello che ci avvia decisamente verso la Patria escatologica. Non deve essere tutto ciò una ricaduta in un rassegnato vittimismo che facilmente diventa omertoso fino a finire di nuovo nell’abbandono di una religiosità alienante. Per questo è necessaria l’opzione, personale, fondamentale per il bene, che configura una sorta di nuovo inizio, come autentico antidoto alla lusinga/menzogna dell’insidioso peccato di ’ndrangheta. Alludiamo alla nuova vita in Cristo (Cfr. Rm 8,1-3), e alla sua imprescindibile dimensione ecclesiale, come invito, rivolto a tutte le donne e gli uomini, ad accogliere il dono inestimabile della salvezza, frutto dell’infinita pazienza di Dio per la creatura umana, anche per chi si macchia del gravissimo peccato di ’ndrangheta. Anche costui, invocando il perdono, può decidere di rompere, irrevocabilmente, con uno stile di vita che conduce alla perdizione eterna, può chiedere ed ottenere il perdono. Soltanto la libera accoglienza dell’incondizionato e rigenerante perdono divino, può rappresentare la via sulla quale la Verità e la Vita vengono incontro al peccatore pentito e alla struttura malefica pervasiva e violenta delle ’ndrine, subentra la vita nuova che incorpora a Cristo e alla sua Chiesa.

    Il messaggio, che, in filigrana, sintetizza l’oggetto e le finalità del libro, invita, tra l’altro, a riscoprire, in terra di ’ndrangheta, la bellezza che di nuovo riappare, quando non è più sfregiata dalla trappola ’ndranghetista. Allora ha luogo l’auto-comunicazione divina, nel lieto annuncio che un nuovo giorno è iniziato. È il giorno della liberazione, culminante nell’evento pasquale. Allora appaiono praticabili quelle piste ermeneutiche indicate nel libro sulla fenomenologia della ’ndrangheta da percorrere nella direzione contraria: una liberata e liberante struttura familiare, il radicamento nella onestà sociale oltre che individuale, la resistenza ad ogni forma di controllo territoriale, la scelta di una classe politica che si dimostri più vicina alla gente che all’ottenimento di un potere in favore del proprio clan o di un aumento smisurato del proprio conto in banco.

    Con tali anticorpi si vince la natura camaleontica, altamente auto-mimetizzante, della ’ndrangheta, che, oltre a ritardare la cattura di pericolosi latitanti, protetti da un’affidabile rete omertosa e collusiva, spaccia, per normalità la corruzione e la prevaricazione – debitamente assistite dalla pratica, chirurgica, dell’omicidio, diretto o trasversale, sistematico o occasionale, che terrorizzano e vogliono mantenere lo status quo.

    La ricerca invita a produrre tali anticorpi e a lasciarsi portare dalla dynamis dello Spirito di Dio, riprendendo temi quali la centralità del profetismo, la denuncia di ogni tipo di sopraffazione ed ingiustizia, e proponendo il superamento di stereotipi ermeneutici, che vanno dalla rappresentazione neomarcionita di un Dio anticotestamentario, violento e vendicativo, ad uso e consumo dell’arricchimento mafioso, per approdare al valore evangelico del perdono e della misericordia, dalla centralità del sacramento della confessione alla necessaria riparazione del male inferto, dalla conversione continua al valore cardine della costruzione della pace alle beatitudini come laboratorio di umanità e di tenerezza. Tutto ciò devono contenere i nostri catechismi, devono divulgare i nostri catechisti, a ciò devono ispirarsi i nostri movimenti ecclesiali, se sono veramente espressione di fede nel Risorto e della risurrezione.

    A questo proposito, lasciamo la parola all’autore, che ci dice che questa parte della ricerca: «Intende tradurre la realtà complessa del fenomeno mafioso della ’ndrangheta alla luce dei criteri biblici e teologici, partendo dalla visione dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Qui sta la dignità dell’uomo, la sacralità della vita che la ’ndrangheta vìola aggredendola con la violenza e diffondendo la cultura di morte. Il grido profetico di alcuni esempi biblici denuncia l’ingiustizia del fenomeno mafioso della ’ndrangheta, l’idolatria, l’avidità del denaro e incoraggia nell’invito al ritorno a Dio e alla conversione».

    Assecondando tali intenti, lo studio si sofferma anche su alcune forme folklorico-espressive della fede, come la devozione popolare, le processioni, specialmente il culto mariano, come potenziali veicoli di carità, di dedizione e di trasmissione di fede tra le generazioni, ma che sono purtroppo sacrilegamente e dolosamente travisati dal boss di turno. Perché la pietà popolare torni ad essere tale, è urgente, si afferma, una stesura di progetti educativi, validi e mirati, finalizzati all’esempio pratico del dono, configurando così una teologia del martirio, non più come rassegnazione al potere mafioso, ma resistenza fino al dono della vita contro di essa. Fino al martirio (Cfr. Gv 15,13), che dà senso e compimento ad una esistenza teologale, testimoniata nella prassi (Cfr. Gal 5,6-14) e motivata da una spiritualità ecclesiale pro-vissuta, cioè vissuta per gli altri (Cfr. Gv 12,20-33; 15,13).

    Il martirio deve essere correttamente presentato come sequela perfetta del messaggio pasquale per la liberazione da tutte le mafie e la redenzione degli stessi mafiosi. Senza tale carità, non declamata, ma praticata, la fede rischia di nuovo di implodere nel cieco e demoniaco fideismo (Cfr. 1Cor 13), esibendo una privata tavola di disvalori, improntati alla parzialità etica, alla insensibilità umana, alla reiterata mistificazione religiosa e alla corruzione politica metodica, perfetta e funzionale barriera omertosa, fino ad arrivare al Papello o Patto Stato–mafia, che tanto ha nuociuto, fino a condizionare lo stesso assetto democratico e costituzionale dell’intero Paese.

    Occorre riscoprire la bellezza e la libertà della nuova vita in Cristo, come unica via, verità e vita (Cfr. Mt 9,17), per un’autentica e definitiva liberazione da questa raffinata tentazione satanica attraverso una politica pastorale di liberazione per tutti gli uomini, liberati e finalmente redenti dalla tentazione di chiusure egoistiche e, spesso, propedeutiche a pratiche mafiogene.

    Nel concludere queste rapide riflessioni ci preme segnalare alcune questioni che rimangano tuttora aperte, ma che cominciano a sollecitare l’attenzione e la riflessione non solo dottrinale. Ci riferiamo alle mafie come strutture di peccato, locuzione che se ancora non è unanimemente accettata, è ben presente nel Catechismo e nel magistero degli ultimi Papi, tanto che san Giovanni Paolo II ne elencava alcune, tra le più disastrose e che hanno direttamente a che fare con la mafia: sfruttamento, oppressione, annientamento dell’altro. È ovvio che il peccato sociale non riduce la responsabilità di quello personale, ma è concausa e spesso anche effetto, interiorizzato, e perciò colpevole, di esso.

    Un’ altra questione meritevole di essere approfondita resta la definizione della mafia come peccato contro lo Spirito, che, diventa tale solo se non se ve vuole ammettere – colpevolmente – una via d’uscita. La Croce di Cristo è un «caso serio» e rinvia sempre al rapporto salvezza-perdono come auto-giudizio, perché se Gesù non è venuto per condannare (Cfr. Gv 3,17), l’uomo che si irretisce volontariamente nel male condanna se stesso. Si condanna alla dannazione eterna.

    Inoltre, è opportuno annotare che in un recente intervento, in memoria di tutte le vittime innocenti di mafia, don Ciotti, fondatore di Libera, ha testualmente affermato: Il problema non sono le mafie, il problema siamo noi. Ebbene simile pensiero denota come il peccato sociale di stampo mafioso non sia affatto – come fa comodo pensare – una sorta di cancro che invade dall’esterno, ma sia alla fine una scelta di coscienza.

    + Francesco Savino

    Vescovo di Cassano all’Jonio

    e delegato CEC per il

    Servizio di pastorale giovanile

    PREFAZIONE

    Il prestigioso testo di don Vincenzo Leonardo Manuli è una chiara e approfondita ricerca su una tematica, la ’ndrangheta, troppo spesso indagata in modo sintetico e qualunquista ma che, al contrario, ha la necessità di essere studiata come una vera e propria missione, intesa come coraggio nel dire e nel non tacere.

    La motivazione dell’Autore è tanto forte quanto il legame per la Sua terra d’origine, la Calabria; è dalla conoscenza delle donne e degli uomini che la vivono, dei legami e dei rapporti quotidiani che, in positivo e in negativo, la caratterizzano che prende vita il libro.

    Fin dall’affermazione che la ’ndrangheta è una "patologia degenerativa innestata nel tessuto sociale calabresecon mille volti…" si coglie l’essenza del fenomeno, perverso, proprio per le molteplici sfaccettature attraverso cui si manifesta o si occulta.

    Dalle personali e quotidiane esperienze di vita sul territorio calabrese e di impegno negli anni che mi hanno vista componente della Commissione Parlamentare Antimafia, posso confermare che la ’ndrangheta è diventata l’Organizzazione criminale mafiosa più potente e più pervasiva delle altre sorelle, e ciò anche a causa di una sua sottovalutazione che, per troppo tempo, l’ha considerata organizzazione stracciona.

    Una sottovalutazione fatta, come ben riporta l’Autore, di "silenzio e di coabitazione pacifica" compiuti, purtroppo, anche da parte della Chiesa; un silenzio che covava in sé un rumore sordo e che con gli anni ha trovato voce in nuovi Uomini di Chiesa capaci di mettere nero su bianco l’incoerenza tra le parole del Vangelo e l’operato del fenomeno.

    Ma la ricerca sarebbe quasi un lavoro storiografico rivolto solo ad un pubblico di nicchia, se don Manuli, con grande Sapienza, non l’avesse associata ad accurate riflessioni che spingono alla Speranza e al Riscatto. Ma non solo: la Sua Forza e il Suo Credo, uniti alla Cultura e all’Esperienza, lo hanno spinto oltre, fino a renderlo promotore di nuovi percorsi di liberazione.

    Gli episodi del Vangelo e le tante testimonianze di vita civile vissuta richiamati nel testo offrono importanti spunti di riflessione e racchiudono univocamente tre parole cardine: partecipazione, fermezza e tempo.

    Nella reale consapevolezza che tutte le mafie possono essere contrastate, infatti, occorre ribadire con fermezza che chi coraggiosamente decide di farlo non può essere isolato; serve una coscienza civile che superi il cinico individualismo e spinga un numero sempre crescente di donne e uomini ad unirsi per la stessa causa. Coloro che quotidianamente combattono silenziosamente piccole o grandi battaglie contro i soprusi dello strapotere mafioso devono sentirsi parte di un corpo civile. Nessuno può pensare sia un cammino facile e veloce: occorre certamente tempo, ma solo se la rotta tracciata sarà quella giusta la nostra Calabria, anche con i venti contrari, approderà in un porto sicuro e, con essa, tutta la sua meravigliosa gente.

    Da chi sarà costituito l’equipaggio che indicherà la giusta rotta? Don Manuli lo individua chiaramente: dai giovani.

    E così la ’ndrangheta, che sembra essere la protagonista del libro, appare sempre più offuscata dai riflettori accesi da don Manuli sulle nuove generazioni. Sono loro il punto fermo di ogni pagina; è a loro che si rivolge, consapevole che la conoscenza sia un’importante chiave in grado di aprire le catene dell’arretratezza culturale e rendere gli uomini liberi; e così, raccontare la ’ndrangheta, in tutte le sue molteplici peculiarità, spesso legate all’idealizzazione di un mondo carismatico o, al contrario, all’immaginario di una realtà invincibile, rappresenta un modo per prevenire il coinvolgimento della parte più debole e, per questo, maggiormente plasmabile della nostra società.

    Sono i giovani la principale risorsa della realtà calabrese; è a loro, oggi più che mai, che le Istituzioni devono dare risposte con esempi concreti. E se la politica, purtroppo, non riesce a farlo, e a volte anche l’antimafia risulta di mera facciata, un ruolo centrale lo devono avere tutte le Istituzioni che svolgono una funzione aggregativa: dalla Scuola alla Chiesa, passando per le Associazioni di volontariato che insistono sul territorio.

    E così, don Manuli, in modo molto attento e originale, senza mai cedere alla retorica, analizza l’importante e contrastante ruolo della Chiesa e, in particolare, dalle Sue rappresentanze nel contesto calabrese.

    Una Chiesa che deve fare i conti con un passato estremamente complesso, ma che proprio oggi insieme alle nuove generazioni troverà modo per riscattarsi percorrendo insieme un cammino di evangelizzazione non solo religioso ma anche culturale e civile. E questo libro rappresenta perfettamente un passo di questo lungo cammino.

    In conclusione, dico ai giovani che leggeranno questo libro (e spero siano veramente in molti!) di cogliere la profondità di ogni pagina consapevoli di avere davanti un importante strumento per potere scegliere in maniera consapevole.

    Da donna credente suggerisco, altresì, alla Chiesa di portare avanti con orgoglio Uomini come don Manuli che quotidianamente con sacrificio e dedizione aprono le porte di una Chiesa rinnovata, anima di una società volta ad un cambiamento.

    Angela Napoli

    Presidente Associazione Risveglio Ideale

    INTRODUZIONE

    I riflettori sulla realtà del meridione d’Italia tengono costantemente acceso il dibattito pubblico ed ecclesiale tale da divenire un tema di interesse nazionale però affrontato sovente con eccessiva mediocrità.

    Ogni interpretazione per andare oltre qualsivoglia superficiale giudizio, ha i suoi costi anche teologico-pastorali che sono il prodotto della dimensione storico-culturale e della genesi meridionale e calabrese ricca di sfumature.

    È ormai asserito che una delle cause che bloccano lo sviluppo di questa regione periferica dell’Europa e dell’Italia ha una patologia degenerativa: la ’ndrangheta. Innestata nel tessuto sociale calabrese, non facilmente riconoscibile, essa si presenta in mille volti, tra i quali: storico, antropologico, morale, psicologico, culturale, economico e sociale, religioso. Questo sta ad indicare che è un fenomeno umano, criminale e ideologico, e mostra una complessità che per la conoscenza e la lotta richiede necessariamente un approccio interdisciplinare.

    In Calabria, la mafia si è mimetizzata crescendo nell’invisibilità, figlia di quell’Onorata Società che veniva mitizzata come la mafia buona, nascondendosi e beneficiando del consenso di parte della società. Questa duttilità l’ha portata al salto di qualità, passando da mafia contadina a mafia imprenditoriale, un mutamento e una evoluzione di non poco conto.

    Il punto di forza della ’ndrangheta si regge sull’impianto familiare e sulla fitta rete di relazioni e di collaborazioni che ha nell’area grigia il cuore del suo successo, trovando complicità con il sistema economico e finanziario, che nonostante i cambiamenti sociali e culturali, essa continua a replicarsi, ad espandersi, trasmettendo codici, regole e modelli.

    Cresciuta nel silenzio, la sua sottovalutazione da parte delle autorità istituzionali, degli ambienti ecclesiali e della società, gli ha permesso di costruire un apparato ideologico, avvalendosi anche della manipolazione dei codici culturali e religiosi.

    La consapevolezza del fenomeno, la sua pericolosità, ha trovato impreparate le istituzioni e gli agenti sociali, in particolar modo nel prevedere strategie di contrasto e preventive nella lotta alla ’ndrangheta, molto forte nel territorio calabrese, strumentalizzando le tradizioni culturali e servendosi di luoghi e di liturgie religiose per affermare potere e visibilità.

    Il ritardo con cui la Chiesa ha preso consapevolezza del fenomeno della mafia in generale e quindi della ’ndrangheta, ha portato i vertici ecclesiali a discutere sul processo di scomunica alla ’ndrangheta e ad ogni mafia, lo stesso per chi collabora.

    Questo negli ultimi tempi è stato ufficializzato da papa Francesco, sul solco del grido di san Giovanni Paolo II ad Agrigento in Sicilia il 9 maggio 1993, aprendo un new deal che provoca le Chiese di Calabria a reimpostare una pastorale più attenta al territorio e al sociale, a prendere le distanze dalle infiltrazioni del fenomeno mafioso.

    Distinguendo il ruolo della Chiesa da quello delle altre istituzioni, il suo impegno nella storia è l’appello alla riconciliazione e alla conversione senza complicità e connivenze o facili assoluzioni, confermando l’incompatibilità inequivocabile che c’è tra il Vangelo e l’appartenenza all’organizzazione criminale della ’ndrangheta.

    Le Chiese di Calabria oggi sono più impegnate nella lotta alla ’ndrangheta, soprattutto nei territori dove la sua presenza si fa più forte e condizionante come nel caso della diocesi di Oppido Mamertina-Palmi che si inserisce nella Piana di Gioia Tauro, in un territorio inquinato dalla presenza mafiosa così ramificata, dove operano le più potenti famiglie del reggino, nel quale la subcultura mafiosa nutre e offre un assenso anche se non spesso così esplicito all’organizzazione criminale.

    È onesto ammettere che pure in questa parte di territorio del reggino di circa 170 mila abitanti, la ’ndrangheta si è mescolata ai valori sociali e religiosi, infiltrandosi ed esibendosi con inchini religiosi o servendosi di immagini sacre, indizio di pratiche vecchie, purtroppo nei tempi recenti non osteggiate e nemmeno disturbate.

    Tuttavia, in questo frammento di territorio della Calabria, la piaga sociale della presenza della ’ndrangheta richiede azioni e strumenti di contrasto che non possono basarsi solo sulla repressione e sulla militarizzazione di esso.

    La Chiesa locale così presente in modo capillare sul territorio, non è riuscita a respingere il fenomeno mafioso, operando a volte una rimozione e mostrando debolezze e insufficienze pastorali, riscontrate nell’assenza di un’azione corale a livello educativo, morale, culturale e sociale.

    È giocoforza ammettere anche le responsabilità ecclesiali di aver prestato il fianco alla ’ndrangheta attraverso il silenzio, la negazione della sua esistenza, le legittimazioni, la presenza di pastori deboli e di cristiani superficiali, insieme ad un insufficiente senso comunitario.

    La Chiesa locale può svolgere un ruolo fondamentale in una società in crisi di punti di riferimento e di valori, tutt’oggi rappresenta un fattore sociale ed aggregativo importante, essa è un segno profetico e di testimonianza per risvegliare e ricondurre le coscienze a Dio, puntando un occhio di preferenza alle nuove generazioni che a volte si allontanano da essa per una perdita di credibilità e di fiducia.

    La Chiesa calabrese, la Calabria, hanno bisogno dei giovani, al contrario, una loro fuga dalla Calabria o l’assenza di militanza sarebbero l’impoverimento più grande che spegnerebbe ogni tentativo di speranza nell’avvenire.

    È sul segno della speranza questa ricerca scientifica e la riflessione teologico-pastorale, perché lo studio mai definito e completo, possa essere un motivo e una necessità che indichi non solo una ribellione ma anche la proposta a costruire con l’aiuto della fede in Dio una società e un presente migliore per l’avvenire delle nuove generazioni.

    Parte prima

    LA ’ndrangheTA IN CALABRIA.

    RADICI, ANTROPOLOGIA, CULTURA

    E PASTORALE ECCLESIALE

    Capitolo 1

    La ’ndrangheta: genesi, storia

    e sviluppo

    Nel primo capitolo si costruisce una mappa storica della ’ndrangheta, offrendo un quadro di riferimento della sua articolazione, la composizione sociologica delle origini del fenomeno mafioso e la sua evoluzione, avvenuta attraverso i legami e le relazioni.

    Si mette in luce la presenza della ’ndrangheta nelle diverse province calabresi, così si consente di poter capire la complessità del fenomeno e la diffusa capillarità sul territorio.

    La ’ndrangheta attraverso un suo ordinamento che ha delle regole, dei riti e dei linguaggi propri osservati pedissequamente, si mantiene fedele nel tempo utilizzando codici culturali e religiosi.

    Si presentano alcune cause che hanno contribuito alla sua crescita, non solo il forte radicamento territoriale e la sua struttura familiare, si mette in rilievo l’accredito sociale che essa vanta verso l’esterno, le infiltrazioni in diversi settori dell’ambito civile, come i rapporti con la politica, la forza degli intrecci con la zona grigia o borghesia mafiosa, quest’ultima formata da personaggi insospettabili.

    Nell’ultima parte del capitolo, si realizza uno sguardo sui giovani che la ’ndrangheta studia, coltiva, divenendo essi manovalanza delle attività criminose. Alcuni giovani ne fanno parte di diritto perché appartengono alla famiglia ’ndranghetista, tuttavia l’organizzazione criminale è interessata altresì ad altri giovani che non appartengono a famiglie mafiose, scorgendo purtroppo in alcuni una certa fascinazione verso la ’ndrangheta.

    L’obiettivo che si propone questo capitolo è di descrivere come la ’ndrangheta sia cresciuta anche grazie al ricambio generazionale, strutturandosi ed espandendosi fino ai giorni nostri.

    1. Genesi e metamorfosi del fenomeno ’ndranghetistico

    Il fenomeno delinquenziale agli inizi era irrilevante. Esso ha attraversato diverse fasi storiche, influenzato dal contesto socio-culturale del tempo, si è sviluppata quella che oggi è la ’ndrangheta, un’associazione criminale che esercita l’influenza in ogni settore della vita sociale, radicandosi anche al di fuori del territorio di provenienza e riproducendosi, mantenendo fedeltà alle origini nonostante i mutamenti sociali e culturali dei tempi moderni.

    1.1 Il mito e la leggenda. I tre cavalieri della Garduña

    La ’ndrangheta vanta un’ascendenza storica e mitica, quasi sacrale che si tramanda nei secoli fino a possedere una tradizione confermata ai giorni nostri in inchieste giudiziarie e giornalistiche, grazie anche a qualche raro pentito o collaboratore di giustizia. Essa gode di creatività capace di creare un mito o una leggenda che narra gesta di eroi che ancora oggi nelle formule e nei rituali che i neofiti di questa organizzazione pedissequamente reiterano. Un passato che ritorna nel presente in modo ciclico, subdolamente vivo, ne convalida una fondazione nell’evocazione di combattenti leggendari, difensori di cause di alto contenuto morale e sociale, riferendosi ai tre cavalieri eroici provenienti dalla Spagna¹. L’autorevole studioso Enzo Ciconte in diversi suoi studi ne ripercorre la trama dei tre fratelli cavalieri: «Osso, Mastrosso e Carcagnosso»² che per vendicare l’onore della sorella violata da un uomo lo uccidono e per espiare la pena dell’omicidio essi vengono rinchiusi in un carcere dell’isola di Favignana. Dopo ventinove anni di prigionia, trascorsi ad inventare regole per fondare una società, i tre si dividono. Osso si reca in Sicilia e fonda Cosa Nostra; Mastrosso attraversa lo stretto di Messina e approda in Calabria fondando la ’ndrangheta; mentre Carcagnosso effettua il viaggio più lungo, arriva in Campania e fonda la Camorra. Quando essi approdarono nelle diverse terre dove vi si stabilirono, Osso pareva rappresentare Gesù Cristo, dietro Mastrosso s’intravedeva San Michele Arcangelo che con uno spadino in mano, teso a bilancia, tagliava e ritagliava giusto e ingiusto, mentre Carcagnosso raffigurava San Pietro che montava un cavallo bianco davanti alla porta della Società.

    Al di là del racconto o della favola di cui non è possibile attestarne l’autenticità e l’esistenza dei tre cavalieri, è importante questo background perché si comprenda il fascino di questa società criminale nelle diverse sfaccettature: la struttura familiare, i vincoli di sangue, la vendetta, l’onore, il rispetto, l’infamia, anche una certa concezione di morale intrinseca a questa organizzazione; l’arcano, il folklore e dei residui storici borbonici, anni in cui il Meridione e la Calabria erano sotto la dominazione degli spagnoli.

    1.2 L’Albero della Scienza

    Nel tentativo di operare una ricostruzione delle origini e della metamorfosi del complesso fenomeno mafioso della ’ndrangheta, si incontrano non solo miti e leggende ma anche simboli e immagini di cui essa si nutre, si serve e si fa conoscere. L’astuzia della ’ndrangheta è stata quella di strumentalizzare i codici culturali, antropologici della Calabria e di quelli religiosi, servendosi per edificare una organizzazione solida dietro cui c’è anche un pensiero, una cultura, una costruzione ideologica. È stato un lento e consolidato processo di evoluzione affermandosi giorno dopo giorno fino a crearne una mafia di élite³.

    L’albero della scienza⁴, tende quasi a presentarsi come un archetipo, rinviando alle proprietà magiche dell’albero in una Calabria dove la maggior parte del territorio è boschivo: ulivi, faggi, abeti, enormi e svettanti incastonati nel terreno, simbolo della virilità e fertilità, capaci di rigenerarsi velocemente, dove si racconta anche di riti misterici e di cerimonie collettive attorno agli alberi. L’albero della scienza è una metafora che indica la struttura della ’ndrangheta, una rappresentazione, formata dal fusto, il rifusto, i ramoscelli, i fiori, le foglie. Se ne attestano i riferimenti in uno dei tanti codici in circolazione usati dalla ’ndrangheta e sequestrati che indicano non solo l’arcaicità ma anche vitalità, la capacità di diffusione⁵. Ciò dimostra come la ’ndrangheta ha una struttura, una gerarchia, delle cariche e dei ruoli. Non se ne fa un mistero a testimonianza della carriera che si può fare al suo interno e inoltre come è difficile uscirne⁶. L’albero della scienza mostra la complessità della ’ndrangheta: la base familiare, le responsabilità o i ruoli all’interno, un’organizzazione che assume tutta la sua serietà ed anche inconoscibilità.

    1.3 La Picciotteria, l’Onorata Società, la Fibbia e la Famiglia Montalbano

    La ’ndrangheta ha beneficiato del silenzio attorno ad essa, proliferando ed espandendosi mutevolmente passando da un’organizzazione rozza, emarginata, e trasformandosi fino ai giorni nostri come la più potente e feroce organizzazione criminale. È un fenomeno complesso: morale, sociale, psicologico, culturale, economico, che lo distingue dalle altre mafie. Questa attività criminale organizzata che influenzava la società in Calabria agli inizi si chiamava «picciotteria»⁷. I picciotti erano gli adepti di questo sistema malavitoso che oltre ad essere riconoscibili per alcune fogge esterne si manifestavano in atti criminosi come vendette, accoltellamenti, abigeati. Picciotto è un termine siciliano e compare non solo nella mafia siciliana ma anche nella Camorra ed è un grado di appartenenza criminale⁸.

    Questa organizzazione si va strutturando e progredisce nell’intensificarsi della violenza e nelle azioni delittuose incrementandosi con nuovi affiliati. Il fenomeno mafioso assumeva un problema sociale tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, – si è allo stadio germinale di quella che poi sarà la ’ndrangheta –, e nelle carte giudiziarie dei processi che si celebravano a Reggio Calabria nel 1903 compaiono le definizioni di Picciotteria e di Onorata Società⁹. Tutt’oggi gli ’ndranghetisti si definiscono uomini d’onore, un controsenso, uno stravolgimento della parola come dell’etimologia ’ndrangheta. L’Onorata Società è una denominazione che ha preceduto quella attuale di ’ndrangheta ma che si riferiva anche alle altre due mafie, Cosa nostra e la Camorra. Due parole che esprimono ancora oggi quel vanto impostosi nei secoli: l’onore, da difendere, da tutelare e ne fa parte chi si mostra valente in un gruppo che ha delle regole ferree che tutti i componenti del clan devono osservare.

    Meno conosciute sono le ultime definizioni: «Fibbia»¹⁰ e «Famiglia Montalbano»¹¹, quest’ultima denominazione ottocentesca della ’ndrangheta, sovente compare nei codici quando al neo adepto vengono poste le domande del rito di affiliazione e si entra in dialogo con gli altri associati. La Fibbia, che sempre sta per l’associazione a delinquere, non ne viene chiarito il concetto, si parla per la prima volta in un processo nella provincia di Reggio Calabria.

    Lo stesso dicasi di Famiglia Montalbano, se ne parla in un romanzo postumo di Saverio Montalto¹², uno dei primi testi sulla mafia che non ebbe le sue fortune per le vicende personali dell’autore, e ne offre una propedeutica lettura del fenomeno malavitoso in Calabria che prelude alla ’ndrangheta, descrivendo il passaggio dalla arcaica Onorata Società alla moderna associazione a delinquere¹³ e precedette per data di pubblicazione il romanzo sulla mafia siciliana di Leonardo Sciascia¹⁴, questo per spiegare i prodomi del fenomeno mafioso anche se ancora latente e invisibile.

    1.4 La ’ndrangheta, la malapianta più sottovalutata

    Se si vuole tentare una collocazione storica della ’ndrangheta, dalla picciotteria ad oggi, si ipotizza che tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del XVIII secolo hanno inizio attività e consorterie delinquenziali anche se non organizzate. Nell’invisibilità e nel silenzio, il sistema criminale mafioso passa da fenomeno di massa a struttura, espandendosi nel reggino, sia sul versante tirrenico che ionico e via via nel resto della Calabria¹⁵. Già prima dell’Unità d’Italia c’è un affermarsi di una delinquenza che nel tempo si evolve organizzandosi, dandosi regole, raccontando storielle, fino a divenire oggi quella che è: la mafia più temuta e più pericolosa. Diversi studiosi del fenomeno la qualificano come la grande sconosciuta che è emersa dopo un periodo di incubazione a causa di orribili delitti. Silenzi, negazioni e sottovalutazioni hanno consentito l’ascesa nel panorama della delinquenza mondiale, divenendo una vera e propria multinazionale del crimine:

    Il suo passare inosservato la ’ndrangheta ha faticato prima di essere raccontata con la dovuta attenzione; ha attraversato i secoli dell’indifferenza di gran parte degli intellettuali calabresi, che non l’hanno né studiata né descritta, e nell’ignavia di settori importanti delle classi dirigenti che hanno negato la sua esistenza salvo poi a convivere e a fare affari con gli ’ndranghetisti¹⁶.

    Già l’origine del nome, misterioso, impronunciabile, di cui la più probabile derivazione del termine ’ndrangheta è dal greco di cui i dialetti calabresi sono influenzati: andragathia, andrágathos (άνδραγαθία), che niente ha a che vedere con la violenza, un termine che risulta dalla composizione di due parole, áνηρ/άνδρός άγάθός, a designare l’uomo onorato, valoroso, gentiluomo¹⁷. Nei libri, negli studi, nei discorsi, si fa fatica a parlare di ’ndrangheta. Il termine ha una sua nobiltà, non solo per il significato e per l’origine greca, è uno fra gli esempi della distorsione dei malavitosi nel trasformare ciò che all’origine ha un significato buono. Chi fa parte della ’ndrangheta è un uomo coraggioso, valoroso, tanto per definire l’Onorata Società calabrese, la società degli uomini di onore.

    Agli inizi nei libri sono pochi a farne menzione se si esclude Sharo Gambino, come uno dei primi che fa menzione della peculiarità della mafia calabrese: «in Calabria l’associazione mafiosa ha più di una denominazione. È detta, infatti, ’ndranghita, che vuol dire fibbia (ed è questo un altro appellativo), dal nome del fermaglio o altro materiale, che è all’estremità della cinghia e la chiude»¹⁸.

    La ’ndrangheta è un fenomeno sociale, culturale, tipico calabrese.

    È nata in Calabria, si è diffusa ed ha varcato i confini regionali. L’immagine che più gli si addice rinvia alla zizzania nel campo seminata con il grano buono (Cfr. Mt 13,24-43) quanto per usare una parabola evangelica o per essere più realisti ci riferiamo alla pianta all’oleandro molto diffusa nel territorio della Calabria: «La ’ndrangheta è come l’oleandro che carezza le rive dei corsi d’acqua calabresi. Si presenta come una delle tante piante ornamentali del Mediterraneo e, grazie ai vivaci colori, sembra un inno alla vita. Invece, accanto alla fioritura rigogliosa, così come la ’ndrangheta, l’oleandro nasconde veleno e morte»¹⁹. È un’allegoria che tipizza la mafia calabrese, una pianta capillarmente diffusa in tutto il territorio che estende le sue radici anche fuori, tale da divenire un modello esportabile.

    Dove la ’ndrangheta è presente si avverte il condizionamento psicologico, economico, politico, sociale, culturale perché propaga i suoi valori con le armi della corruzione, della violenza, del potere, infiltrandosi nelle istituzioni e creando una mentalità, senza incontrare resistenze. I rami della malapianta si allargano in ogni settore della società civile, il perdurante silenzio, la sottovalutazione, il minimizzare questo grave problema, ha creato una convivenza quasi pacifica, portando a quel capitale sociale di rivalsa verso lo Stato.

    1.5 La ’ndrangheta nelle province calabresi e i Mandamenti

    Il forte radicamento territoriale della ’ndrangheta caratterizza le cosche calabresi come: il controllo del territorio per la presenza dei locali. L’intimidazione, l’estorsione, il commercio di droga, le infiltrazioni nelle istituzioni pubbliche, il riciclaggio del denaro sporco con l’utilizzo di prestanome, fino ad arrivare agli investimenti finanziari, sono i mezzi ordinari dell’attività della ’ndrangheta. Quando non riescono a mettersi d’accordo nascono faide e vendette sanguinose e gli equilibri tra le famiglie mafiose saltano quando non si accontentano del peso egemonico e c’è da spartire il potere nel continuo fiuto di affari di attività redditizie, anche se a partire della metà del secolo scorso è avvenuto un grande mutamento:

    Dagli anni Sessanta in poi è cambiato tutto. La ’ndrangheta si è espansa in tutte le province della Calabria, anche laddove prima era del tutto assente, è penetrata via via nel Centro e nel Nord Italia e si è irradiata in vari paesi stranieri, seguendo la catena migratoria di milioni di calabresi onesti e laboriosi e utilizzando anche la misura del soggiorno obbligato, con cui il Governo pensava di estirpare la malapianta mafiosa dalla regione di origine²⁰.

    «La ’ndrangheta è una e una sola»²¹, ribadisce uno ’ndranghetista confermandone l’unitarietà dell’organizzazione. Le inchieste giudiziarie hanno rilevato che l’operatività nella provincia reggina agisce su base territoriale in locali. Le ’ndrine insistono su tre macro aree: città di Reggio Calabria e zone limitrofe (c.d. Mandamento centro); il versante tirrenico (Piana, c.d. Mandamento tirrenico); fascia ionica (Montagna, c.d. Mandamento ionico). Il Capo Crimine che presiede il Crimine o la Provincia viene eletto ogni anno su indicazione dei tre mandamenti, regna ma non governa. Il reggino²², è il più infestato dalla presenza dei locali, la pervasività ne condiziona la fragile economia e le amministrazioni pubbliche con intrecci politico-mafiosi ne offrono un quadro preoccupante²³. L’interesse prevalente è il Porto di Gioia Tauro²⁴, importante snodo nello scalo dei containers. Sono all’ordine del giorno sequestri considerevoli di carichi di droga.

    San Luca è la madrepatria, luogo dove si trova il Santuario Mariano di Polsi²⁵, e per antichissima tradizione gli ’ndranghetisti si riuniscono per prendere le decisioni più importanti:

    In Calabria le consorterie più potenti sono sempre quelle della provincia di Reggio Calabria: i Piromalli e i Molè a Gioia Tauro, i Pesce e i Bellocco a Rosarno, gli Alvaro a Sinopoli, gli Iamonte a Melito Porto Salvo, i Barbaro a Platì, i Romeo, i Pelle e i Nirta a San Luca, i De Stefano e i Condello a Reggio Calabria, gli Aquino e i Mazzaferro a Gioiosa, nelle altre province le organizzazioni più forti sono quelle dei Mancuso a Vibo e degli Arena a Crotone²⁶.

    La ’ndrangheta via via si è ramificata in tutte le province della Calabria. Nella provincia di Catanzaro ha trovato terreno fertile nella seconda metà dell’Ottocento. Negli ultimi tempi le ’ndrine catanzaresi hanno «subito l’influenza dei Mancuso di Limbadi e degli Arena di Isola Capo Rizzuto»²⁷. «Nel lametino, roccaforte storica della ’ndrangheta, le cosche principali sono tre: quella dei Cerra-Torcasio, (…) quella dei Giampà di Nicastro, (…); e quella dei Da Ponte-Cannizzaro»²⁸, è una zona che preoccupa sotto il profilo democratico e di sicurezza pubblica dove sono in aumento i fatti di sangue per la contrapposizione dei sodalizi criminali, sebbene sono influenzate dall’influenza delle cosche presenti in altre parti della regione. Agli inizi non vantava grandi tradizioni mafiose, oggi, interessi economici, instabilità mafiose, contrapposizione e conflitti tra gli schieramenti, rilevano un processo di evoluzione dove forme organizzate si affermano controllando il territorio²⁹. La provincia di Vibo Valentia³⁰, continua ad essere condizionata dalla criminalità organizzata in particolare dalla cosca Mancuso, un dominio incontrastato che esercita un’egemonia in tutto il territorio. Rappresentano uno storico nucleo familiare e realizzano importanti sinergie mafiose con le cosche reggine, in particolare sono legati ai Molè-Piromalli di Gioia Tauro³¹. L’interesse prevalente è nel settore turistico, infatti l’area del vibonese che si affaccia sul mar Tirreno, ha una peculiare vocazione turistico-alberghiera. La provincia di Cosenza³² è stata l’ultima delle province calabresi a finire nella morsa della ’ndrangheta, il processo di mutamento che l’ha interessata è dominato dal clan degli zingari, la cui tipicità di queste cosche è l’etnia rom, che hanno preso il sopravvento nel traffico degli stupefacenti. Tutt’oggi il panorama rimane immutato con alleanze tra le compagini mafiose e intrecci politici mafiosi per l’assegnazione di fondi pubblici. Infine, la provincia di Crotone³³, è una zona a forte presenza capillare mafiosa. Era una provincia operaia, ma ricca. Dominano le cosche Vrenna insieme ai Giampà e Bonaventura e l’azione delle cosche nei confronti dell’economia e le infiltrazioni nelle amministrazioni pubbliche è asfissiante: attentati e intimidazioni condizionano il tessuto produttivo e sociale³⁴.

    2. Struttura della ’ndrangheta e articolazione sociologica

    L’organizzazione criminale ha una impostazione che non va sottostimata, tanto che essa è operativamente potenziata non solo dai forti legami familiari, ma altresì dalla partecipazione degli affiliati che sigillano l’appartenenza e la fedeltà con solenni giuramenti.

    2.1 La Provincia o il Crimine

    L’azione di repressione da parte della magistratura, delle forze di polizia, il contributo di qualche pentito o collaboratore di giustizia, e purtroppo una insufficiente reazione sociale, hanno fatto emergere la complessità della ’ndrangheta ma anche di individuarne una struttura. La conferma di questa complessità è data da una serie di fattori. Innanzitutto pur rispettando le regole ferree al loro interno che non sempre si osservano, essa è cangiante, si adatta, a seconda delle situazioni. L’unitarietà della ’ndrangheta è un superamento del passato e di una realtà mutata dove c’è un vertice stabile, un organo collegiale definito: Provincia o anche Crimine³⁵. È accertata comunque l’esistenza di un organismo di raccordo e di garanzia in grado di decidere, in ultima istanza, sui dissidi insanabili all’interno di una zona e di coordinare i locali, quasi un riflesso naturale dei contrasti e della frammentazione morfologica del territorio calabrese. Questo organismo è presieduto da un capo eletto ogni anno su indicazione dei tre mandamenti³⁶. Esso svolge un ruolo incisivo sul piano organizzativo perché mantiene in un certo senso gli equilibri generali. L’esigenza di darsi un comando incide dal punto di vista organizzativo fissando regole condivise e rispettate, il quale occorre l’autorizzazione per aprire un locale di ’ndrangheta. Una peculiarità che la distingue dalle altre mafie è che rispetto a Cosa nostra la ’ndrangheta è meno verticistica, più democratica. Già si iniziava a creare un governo nel noto summit di Montalto del 1969, riuniti sulla vetta più alta dell’Aspromonte in provincia di Reggio Calabria, si incontrarono i capibastone più prestigiosi del reggino per eleggere un capo, ma una soffiata alle forze di polizia impedì il proseguimento di questa riunione³⁷.

    Negli ultimi anni è emersa la necessità di un vertice viste le dimensioni multinazionali della ’ndrangheta, che pur articolandosi territorialmente tende a superare il tradizionale frazionamento e isolamento tra le varie ’ndrine, dove le diverse strutture territoriali mantengono una loro autonomia³⁸.

    2.2 Gli Invisibili e la Santa

    La sottovalutazione

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