Tre giorni di primavera
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Anteprima del libro
Tre giorni di primavera - Alessandro Fusi
Indice
PROLOGO
Uno
Due
Tre
Quattro
Cinque
Sei
Alessandro Fusi
Tre_giorni_di_primavera
Youcanprint Self-Publishing
ISBN | 9788827840573
Questo libro è stato realizzato con PAGE di Youcanprint
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Vi è un momento magico nella vita di ognuno, che non si dimentica facilmente, ed è quello della giovinezza, dei giorni fragili in cui tutto ciò che accade accade
per la prima volta e ci segna in modo indelebile,
nel bene e nel male.
Philippe Labro, Lo Studente Straniero
PROLOGO
20 Aprile 1975
Nuvole gonfie e livide sfioravano i tetti di Firenze, l’aria era grigia e umida. La strada e i marciapiedi adiacenti alla sezione del Partito, poco distante da Piazza Santo Spirito, erano invasi da un gran numero di persone. I loro volti erano smarriti. Qualcuno si asciugava le lacrime, alcuni fumavano a testa bassa, altri mormoravano sommessamente, rispettando quel fragile silenzio carico di rabbia repressa.
Un ragazzo e una ragazza erano abbracciati a pochi metri dall’ingresso della sezione. Lui la stringeva come se temesse di perderla, respirava il suo profumo, sentiva le sue calde lacrime, il suo corpo sussultare intirizzito, le sue mani che lo afferravano per le spalle.
Alzò gli occhi umidi e di fronte a sé vide la grande fotografia del compagno ucciso appoggiata sul marciapiede. Il viso era sorridente. La cornice nera era lambita da un mazzo di fiori, mentre una bandiera rossa con falce e martello fluttuava languidamente nella leggera brezza e ogni tanto andava a coprire una parte del giovane volto ritratto.
Con una mano il ragazzo alzò delicatamente il viso rigato di lacrime della ragazza e la guardò negli occhi. Lei ricambiò lo sguardo, il suo corpo si rilassò leggermente, la sua mano lo sfiorò con una carezza lenta e affettuosa, il suo volto si addolcì e le sue labbra si schiusero in un timido sorriso.
Uno
Il rumore degli zoccoli echeggiava monotono sull’asfalto di Via Roma. Un cavallo smunto passò trainando la carrozza sulla quale un vecchio fiacchieraio dal viso emaciato era seduto a cassetta ripiegato su se stesso, tenendo le briglie con mollezza e reggendo tra le labbra un mozzicone di sigaretta.
Daniele vide sfilare davanti a sé quelle figure disilluse mentre se ne stava appoggiato al muro, accanto a una delle vetrine di Bruzzichelli, il bar più elegante di Firenze. Il sole gli scaldava la faccia, teneva l’eskimo sulle spalle e le mani affondate nelle tasche dei jeans. Distolse lo sguardo da quel quadro malinconico. A ridosso del Battistero una guida turistica stava indicando il Campanile di Giotto a un gruppetto di persone attente e con il naso all’insù.
Vide arrivare Cristina da Piazza del Duomo, i lunghi capelli biondi fluttuavano nell’aria ricadendo sulle spalle; indossava un cappotto blu dal taglio slanciato, il suo passo era sicuro, come sempre.
Quel cappotto gli fece venire in mente il loro primo incontro, all’inizio dell’anno scolastico. Dopo anni di smembramento e classi disperse in altri istituti di Firenze, finalmente il provveditorato aveva assegnato un intero edificio scolastico all’Istituto Tecnico per il Turismo. Prima di allora, classi dello stesso anno non si erano mai incontrate: la sezione di Daniele era stata sempre ospitata dall’Istituto dei geometri, in Via del Ghirlandaio, mentre le altre classi erano sparpagliate in altre scuole e altri edifici. Quando finalmente tutti gli studenti furono riuniti per l’inizio del nuovo anno scolastico, sebbene frequentassero lo stesso istituto, non si conoscevamo per niente, o quasi.
Proprio durante uno dei primi scioperi, poche settimane dopo l’inizio delle lezioni, Daniele vide una biondina, con un elegante cappotto blu e un foulard al collo, che all’ingresso distribuiva volantini e urlava slogan contro la scuola, lo stato borghese e tutto il classico repertorio che viene messo in scena durante un picchetto organizzato per non far entrare gli studenti nelle aule. Venendo dall’Istituto dei geometri, dove il volantinaggio era affidato a robusti ragazzotti, gli fece un certo effetto vedere una ragazza così carina che si sgolava come un omaccione.
Daniele era con Giuseppe, un suo compagno di classe, uno che stava un po’ più verso il centro che verso destra. Ma in quel periodo era difficile essere collocati al centro, era roba per vecchi: o eri di destra o eri di sinistra e, in quella schematizzazione massima, Giuseppe, che amava l’ordine e la disciplina, era stato frettolosamente catalogato di destra. Ogni tanto uscivano insieme, Giuseppe aveva una bella motocicletta e con quella era più facile rimorchiare qualche ragazza. Per Daniele il sentimento dell’amicizia prevaleva sulla presunta appartenenza a uno schieramento politico e dal canto suo Giuseppe, quando erano insieme, evitava di ostentare alcuni suoi pensieri e certi atteggiamenti.
Passarono di fronte al picchetto e subito la biondina dette loro dei fascisti.
Giuseppe si fermò e, guardando Daniele, disse: «Guarda che ce l’ha con te».
Si mise a ridere e sgattaiolò dentro la scuola.
Cristina si incazzò ancor di più, allora intervenne Daniele che disse qualcosa tipo: «Compagna non te la prendere, si scherza».
Ricordava ancora bene la sua risposta acida, detta con foga: «State attenti, camerati!».
Daniele rimase sbigottito dal tono minaccioso, gli sembrò una tipa un po’ fanatica, però gli rimasero impressi i suoi occhi celesti nei quali si sarebbe tuffato subito.
Pochi giorni dopo, mentre Daniele fumava una sigaretta nel corridoio della scuola, lei uscì dalla sua aula. Gli si avvicinò e gli disse quello che le avevano raccontato su di lui e Giuseppe, sulle loro diverse simpatie politiche, ma anche sulla loro amicizia, che lei definì strana. Non le andava giù che Daniele facesse comunella con un fascista. Ma Giuseppe non lo era, semplicemente non la pensava come loro, Daniele lo sapeva, gli stava bene così e non l’avrebbe mai rinnegato. Lo disse a Cristina, in maniera diretta, come gli veniva da dentro. Lei lo guardò con un’espressione stupita, si irrigidì, disse solo «ho capito» e se ne andò via.
Si conobbero così. Si videro altre volte, prima a scuola, poi anche fuori. Lei non accennò più a Giuseppe, anche se ogni tanto li vedeva partire insieme sulla motocicletta.
«Ciao Dani. È molto che aspetti?» disse Cristina.
Il suo viso era rilassato, un leggero tocco di rimmel metteva in risalto il colore degli occhi.
«Ciao. Sono appena arrivato e mi stavo godendo il sole.»
Cristina voleva acquistare un regalo per il compleanno di una sua amica e aveva chiesto a Daniele di accompagnarla a scegliere un disco. Fecero un breve tratto di strada per arrivare da Ricordi, uno dei negozi più forniti in città. Incrociarono dei ragazzi che gettarono sguardi invidiosi verso Daniele. Lui non se ne accorse, stava guardando Cristina chiedendole se volesse acquistare un disco degli Inti-Illimani.
Lei lo squadrò sgranando gli occhi: «Ma vuoi prendermi in giro, Dani? È roba per compagni sfigati» e scoppiò in una risata piena.
Entrarono nel negozio di dischi ridendo. Il commesso, sulla cinquantina, in giacca e cravatta, lanciò loro un’occhiata severa. Si zittirono e il negozio ripiombò nel silenzio ovattato simile a quello che impregna una biblioteca. Vagarono silenziosi tra gli angusti spazi lanciando occhiate distratte sui ripiani che contenevano apposite scatole di legno piene di trentatré giri suddivisi per artista, poi si fermarono a guardare tra i dischi stranieri.
Cristina chiese un consiglio a Daniele.
«A me piace ascoltare la musica, ma non sono un esperto. Che tipo è questa ragazza?»
«È Carla. Quella che divide l’appartamento con me e Piera a Novoli. Non la conosci? Fa il liceo artistico a Porta Romana. Ma sì, l’hai vista a una riunione del collettivo...»
«Ricordo il nome, ma non ho presente il suo viso.»
«Lascia perdere, ha poca importanza.» disse Cristina «Andrei per esclusione... Non le piace la musica classica e neanche l’opera o i cantautori italiani. Punterei sul rock. Che ne dici?»
Daniele suggerì i Pink Floyd, The Doors, Led Zeppelin, ma lei non era convinta.
A un tratto Cristina esclamò entusiasta: «Eccolo! Fantastico. Prendo questo!» e agguantò il trentatré giri Jesus Christ Superstar «È un film rivoluzionario e poi quel Cristo è davvero un gran fico» fece una breve pausa poi aggiunse «Come sarà stato lui davvero? Ci pensi mai, Dani?».
«Sinceramente penso poco a Cristo. È un pezzo che non frequento né lui, né suo padre. E quando mi viene in mente me lo immagino come un compagno: il primo comunista!» rispose Daniele sorridendo.
Uscirono dal negozio e fecero una lunga passeggiata, camminando nella parte soleggiata delle strade, senza una meta, per godere appieno di quel tepore d’inizio primavera.
«Era un pezzo che non mi sentivo così...» disse Cristina sospirando, poi continuò con voce leggermente intristita «Siamo così presi da tante cose in questo periodo. Ma chi ce lo fa fare alla nostra età di prenderci queste responsabilità, questi impegni?».
«Non lo so, ma ti fa sentire utile. E tutto questo ti tiene vivo. Semplicemente, la speranza ti rende fiducioso e ti dà un’energia enorme. È come una zattera che ti tiene a galla e non ti fa affogare nella merda di certe tentazioni.»
«Già... Pochi giorni fa ho saputo di un ragazzo, lo conoscevo appena, che si è fatto di eroina ed è morto. Ci sono rimasta male. Non è il primo tra quelli che conosco. Poi ci penso e dico: o sei deficiente o sei incosciente per spararti quella roba nelle vene. Ma devi essere anche disperatamente solo per fare una cosa del genere. Serve un appiglio forte per non essere trascinati nella melma in certe giornate grigie.»
«Penso che anche uno che conosco del mio quartiere si faccia di quella roba. È un po’ di tempo che è strano. Troppo euforico in compagnia e troppo silenzioso quando certe volte lo becco da solo. Non è come farsi una canna, con quella roba ti ammazzi, non sai mai cosa c’è dentro.» Daniele si accese una sigaretta poi riprese «Ci sono anche i vuoti. Profondi. E pensi che nessuno possa aiutarti a risalire. L’impegno e la passione politica aiutano molto in questi momenti di solitudine nera, di emozioni forti che ti lasciano senza punti di riferimento, con il rischio di perderti ogni minuto. È triste ed eccitante allo stesso tempo.»
«Sì, però adesso parliamo d’altro, dai. Voglio godermi questa passeggiata, le stupidaggini che ci verranno in mente di dire, così, senza pensarci, e questo sole che ci scalda e ci fa sentire fortunati.»
Attraversarono Piazza San Lorenzo, poi Daniele svoltò in Via dell’Ariento per guardare i giubbotti in pelle che penzolavano dalle bancarelle. Cristina lo seguì. L’odore del cuoio era intenso in quel pezzo di strada dove più numerosi erano i venditori che esponevano articoli di pelletteria. Daniele si fermò davanti a una bancarella e guardò invaghito un giubbotto color testa di moro. Il proprietario del banco insisté a lungo nell’esporgli tutte le caratteristiche di quel tipo di pelle, morbida e leggera. Il taglio del collo alla coreana e alcune cuciture geometriche sugli spallini lo rendevano decisamente moderno e originale. A casa ne aveva un altro,