Vissi d'ignoto amor
Di Luigi Guidi
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Vissi d'ignoto amor - Luigi Guidi
intero...
1
Erano le quattro del pomeriggio, faceva un gran caldo e la radiolina a transistor sul mobile accanto al divano stava trasmettendo musica leggera. Seduto nel salotto della sua casa alla periferia di Montefalco, Angelo Gentili leggeva un romanzo poliziesco. Alla radio, un cantante si lamentava di sentirsi inutile perché non aveva con sé la donna amata.
Lui pensò a Elisa, il suo grande amore senza speranza, e cadde in preda alla tristezza. Stava leggendo da quasi due ore, ma adesso non riusciva più a concentrarsi. Sospirò esausto e lasciò cadere sul divano la mano sinistra, con il dito ancora dentro il libro per mantenere il segno. Oh, Elisa, cara, piccola Elisa!
Elisa Rossellini era la sorella di un suo amico di vecchia data. Era sempre stato innamorato di lei. Ricordò i capelli biondi, il visetto grazioso, il sorriso a volte impertinente, la figura esile, le forme delicate: il suo umore diventò ancora più nero.
Il grande problema della sua vita, la sua rovina, era la timidezza: lo sapeva bene. Quello che ancora non sapeva era come vincerla.
* * *
Angelo Gentili aveva diciotto anni compiuti da alcuni mesi.
Il viso, con i lineamenti regolari, il naso aquilino e la carnagione olivastra, possedeva una strana bellezza, da pirata buono. I pettorali e i muscoli delle braccia e delle gambe erano ben sviluppati e davano di lui un’immediata impressione di prestanza fisica. Era bruno, di altezza media, di corporatura robusta e forte.
Lui non se ne accorgeva, ma non passava mai inosservato: le ragazze lo trovavano molto attraente.
Però lui non si piaceva.
Se fossi una donna, pensava con una punta di smarrimento, non mi piacerei. Non aveva mai avuto un’avventura con una ragazza. Quando si trovava alle feste, anziché divertirsi come tutti gli altri suoi coetanei, passava il tempo a tormentarsi, cercando di trovare il coraggio di chiedere di ballare. Anche le poche volte che ci riusciva, però, la timidezza gli impediva di essere spontaneo e disinvolto.
Era sempre stato timido. Non c’era una spiegazione, un perché: era nato così. Nessuno aveva mai saputo indicargli un rimedio. I genitori non se ne preoccupavano ed erano soliti liquidare il problema dicendogli: – Su, su, non essere sciocco. Non c’è alcun motivo per cui tu debba essere timido. Anzi.
Aveva l’impressione che, con il passar del tempo, invece di migliorare, fosse peggiorato. E si disperava, perché, per quanti sforzi facesse, non riusciva a cambiare. Avrebbe voluto una ragazza, ma temeva che non l’avrebbe mai avuta.
* * *
Abbandonò il libro sul divano, guardò l’orologio e decise che era ora di scuotersi e di andare a cercare gli amici. Si alzò e uscì nel corridoio, che divideva il salotto e le due stanze da letto dall’altra ala, in cui c’erano il bagno, la cucina e il ripostiglio. Oltrepassò la camera dei genitori e andò nella propria.
Era un ambiente grande con un letto, due sedie, un comodino, un comò e un armadio. Sopra al comò c’erano un portaoggetti di ceramica e due pile di libri gialli, di cui era appassionato lettore. Sul comodino c’erano un abat-jour e un portacenere di cristallo pieno di mozziconi di sigaretta.
Angelo Gentili si tolse la camicia e ne prese una pulita dall’armadio. Attraversò il corridoio in penombra, entrò nel bagno, prese la brocca e versò un po’ d’acqua fredda nel bacile bianco smaltato. Si rinfrescò velocemente, indossò la camicia pulita e uscì nel piccolo giardino.
La sua casa era una delle ultimissime villette del lato sud del paese, quasi tutte distanziate l’una dall’altra da un giardino o da un orto e, a volte, da entrambi. Si trovava sulla via provinciale, che i montefalchesi chiamavano strada di Spoleto perché conduceva a quella cittadina.
Mise la chiave sotto lo stuoino, percorse il vialetto delimitato da siepi, prese la bicicletta rossa appoggiata a un albero, aprì il cancello e uscì. Non chiuse a chiave. Nessuno a quel tempo lo faceva, nemmeno di notte.
Cominciò a pedalare sulla strada asfaltata dirigendosi verso il paese, percorse poche centinaia di metri in mezzo a un filare di castagni e attraversò veloce la Porta San Leonardo. Entrato all’interno della cinta muraria duecentesca, s’infilò tra antichi palazzi in pietra dalle robuste e spesse mura centenarie. Correva rapido e senza sforzo nelle vie principali e nei vicoletti alla ricerca dei suoi amici.
* * *
La piccola piazza medioevale, arroventata dal sole di luglio inoltrato, era deserta. Le cicale, annidate sui castagni, suonavano un concerto assordante.
Sergio Rossellini si trovava nel salone di casa sua, un ambiente piuttosto grande arredato in maniera essenziale con un tavolino, alcune sedie e un divano di poche pretese. Sedeva scomposto, mangiandosi con nervosa voracità le unghie. Stava per dare una festa e sperava ardentemente che si sarebbe rivelata un successo.
Era magro, di statura superiore alla media, con il viso lungo, quasi affilato. Il suo sguardo assumeva a volte un’espressione assai penetrante, soprattutto quando era preso dalla curiosità o dalla contrarietà. A volte, sembrava uno sparviero.
Spense la sigaretta schiacciandola dentro un posacenere di coccio, si alzò in piedi, si tirò sui fianchi i pantaloni jeans e aprì la finestra, che affacciava sulla piazza. Lo investì una folata di aria calda.
Si voltò e andò verso il tavolino, sul quale aveva sistemato il giradischi. Scelse un disco, lo depose sul piatto, alzò con il dito indice il pickup e lo appoggiò sul disco di vinile. Si udì un boato, prima che lui avesse il tempo di abbassare il volume. Lasciò suonare il 45 giri, sedette e si accese una Nazionale senza filtro.
Sentì un rumore dietro di sé e si voltò. Sua sorella Elisa lo fissava infastidita dalla soglia del salone.
– Che cosa è stato?
– Il volume del giradischi. Tra poco vengono gli amici, diamo una festa, lo sai.
Lei fece un piccolo cenno di assenso con la testa, si voltò e, percorrendo un corridoio stretto e poco illuminato, ritornò in camera sua. Preso dal nervosismo, Sergio faceva la spola tra il giradischi e la finestra, aspettando gli invitati.
Il primo ad arrivare fu Marco Pallotta, un tipo alto, robusto, dall’espressione furba sul viso da bravo ragazzo. Entrò nel salone a passo svelto e con un sorriso accattivante sulle labbra.
Sergio lo accolse dicendo: – Era ora che venissi.
– Non c’è ancora nessuno?
– E dagli tempo, adesso arriveranno.
– Angelo? Sei sempre deciso a non...?
In quel momento fece il suo ingresso nella sala, con il fiato grosso per aver salito le scale troppo in fretta, Alessia Trabalza: snella, di altezza media, i capelli nerissimi, un bel viso dai tratti regolari e l’espressione radiosa e sorridente. Li salutò con un cenno della mano.
– Ciao, carissimi. Giuseppina sta arrivando. Ha incontrato una persona che l’ha trattenuta, ma tra poco sarà qui anche lei.
E infatti Marco, dopo aver salutato Alessia con un gran sorriso e prendendole entrambe le mani, andò ad affacciarsi alla finestra e vide la ragazza girare l’angolo, entrare nella piazza, dirigersi verso casa di Sergio e varcarne la soglia. Dopo pochi minuti, entrò con aria allegra e disinvolta e andò verso gli amici, tendendo la mano sinistra a Marco e la destra a Sergio, in atteggiamento simile a quello delle vedette.
Per gioco, i ragazzi le presero le mani con un mezzo inchino e se le portarono alla bocca simulando un bacio.
Giuseppina non era affatto bella; e ne era dolorosamente consapevole. Era alta, castana, la figura sgraziata, l’ossatura grande, gli zigomi e il mento marcati. Il suo aspetto poco seducente faceva sì che lei fosse sempre priva di ammiratori. Non lo dava a vedere, ma se ne faceva una croce.
– Madame – disse Marco fingendo deferenza – i miei dispetti. Oh, pardon, i miei rispetti.
– Comodi. Comodi, miei signori – rispose lei, compiaciuta da quell’accoglienza come se fosse stata genuina.
– Con me non siete stati così cavalieri – finse di lamentarsi Alessia. – Ne terrò conto. Sono molto offesa, sapete?
– Ehi, non scherzare. Io ti ho omaggiato! – protestò Marco.
– È vero – rispose lei con voce tutta zucchero e miele. – È vero. Tu sei stato molto caro. Grazie.
Poi fu la volta di Corrado Sacchi, un tipo snello dall’espressione gioviale e bonaria, che salì le scale ed entrò ridendo.
Dopo di lui, cominciarono ad arrivare tutti gli altri invitati.
In pochi minuti, la sala si riempì di giovani, diciotto persone in tutto, nove maschi e nove femmine. Nell’organizzare la festa, anche stavolta Sergio si era preoccupato di fare in modo che il numero dei maschi fosse uguale a quello delle femmine, perché nessuno doveva restare senza partner.
Le ragazze si erano profumate e vestivano con eleganza un po’ appariscente, indossando abiti che finivano non più di due dita sopra le ginocchia, alcuni dei quali con grossi fiocchi sulla vita. I ragazzi indossavano abiti tradizionali, jeans e camicia a maniche corte e taschino oppure pantaloni e maglietta di cotone.
Sergio e Alessia accoglievano con amabilità tutti gli invitati, fermandosi a parlare con loro almeno per qualche attimo non appena entravano nella sala. Quando tutti furono presenti, Sergio si avvicinò al giradischi e mise sul piatto un twist per riscaldare i corpi e gli animi.
Cominciarono tutti a ballare, contorcendosi, tra risa ed esclamazioni gioiose, a un ritmo che divenne presto indiavolato. Al termine, dopo una breve interruzione, ci fu un altro twist e, poi, un lento molto romantico, Strangers in the night
di Frank Sinatra.
I maschi scelsero le ragazze di loro gusto e chiesero se volevano ballare. Sergio tese la mano a una ragazza magra e bruna. Lei annuì, si lasciò mettere le mani sui fianchi e gli posò le sue sulle spalle. Dopo pochi secondi Sergio, rimanendo in silenzio, ridusse la distanza tra sé e la brunetta; lei lo guardò con una certa freddezza e precisò: – Senza stringere, per favore.
– Non c’è problema – rispose l’altro, ma era deluso.
Marco andò sul sicuro. Scelse una biondina che notoriamente gradiva il contatto fisico, la prese tra le braccia e la attirò a poco a poco a sé, continuando a ballare, tutto concentrato, senza dire nemmeno una parola. Ogni tanto Alessia si disinteressava del proprio partner e si girava a guardarlo, abbozzando un sorrisetto o un risolino.
Corrado parlò tutto il tempo con una ragazza più alta di lui, ridendo spesso.
Al termine del brano, Alessia lasciò sul posto il suo cavaliere e si avvicinò a Sergio, che stava parlando con Giuseppina.
– Ma Angelo dov’è?
– E io che ne so?
Si voltò, andò da Marco e ripeté la domanda.
Marco allargò le braccia e fece una piccola smorfia senza rispondere. Allora lei tornò da Sergio, che in quel momento stava parlando con Giuseppina: – Ma Angelo l’hai invitato?
Giuseppina non gli dette il tempo di rispondere. Sbottò: – Lui non balla mai, sta sempre sulle sue senza nemmeno parlare. Sembra deficiente! Che ci viene a fare alle feste, se deve comportarsi così?
Alcuni degli invitati, che avevano sentito, si voltarono a guardarla.
– No – affermò Alessia con calma e decisione, abbassando la voce. – Queste cose io non le voglio sentire. Angelo è uno di noi, punto e basta. Sergio, mi fai capire se l’hai invitato o no?
– Ma lo sapevano tutti che stasera c’era la festa.
– Ho capito: gli hai dato buca.
– Esagerata! E poi, senti: lui è davvero un caso pietoso e fa fare una figuraccia anche a noi.
– So cosa vuoi dire, ma non lo approvo. Qui siamo tra amici; non ha importanza se lui si comporta in un modo o in un altro. Basta non farci caso.
– Va bene, mi hai convinto. Aspetta: vado a mettere un disco sul piatto.
Andò verso il giradischi. Poco dopo, si udirono le prime note di un lento assai romantico e le danze ricominciarono.
* * *
Montefalco era un paese molto piccolo in cima a una collina di quasi cinquecento metri e si sviluppava in salita dalla periferia, detta borgo dagli abitanti, fino alla piazza principale, che coincideva con il punto più alto. Poco meno di duecento solide case in pietra dentro la cinta muraria, quasi tutte risalenti ai secoli precedenti.
In pochi minuti, Angelo fece un rapido giro sotto le mura. Si fermò un momento all’ombra di un albero, a guardare distrattamente, oltre la vallata, gli Appennini e le città di Trevi e Spoleto. Poi riprese a pedalare. Andò nei giardini pubblici, nei bar, nelle due vie principali, nei vicoletti e nelle due strade provinciali, che portavano ai grandi centri vicini. Non vide nessuno dei suoi amici.
Si diresse allora verso la piazza grande, al centro del paese. Affrontò la salita, la più ripida di tutte, pedalando con forza e, appena entrato nella piazza, sentì la musica e le grida gioiose che provenivano dalla finestra del salone di Sergio Rossellini.
Realizzò che c’era una festa e che lui ne era stato escluso e, scioccato, smise di pedalare. La bicicletta lo portò per forza d’inerzia, quasi senza che lui se ne accorgesse, proprio sotto quella finestra. La musica e le grida diventarono sempre più chiare. Provò un enorme senso di umiliazione e di rabbia.
In quel momento, Alessia Trabalza si affacciò e gli fece un ampio gesto di saluto con la mano. Non le rispose. Alessia aveva simpatia per lui. Sapeva che era introverso, timido, ma a lei non importava ed era portata a trattarlo con indulgenza. Lo vide all’altro capo della piazza, chino sulla bicicletta come un pugile suonato, e gli gridò: – Angelo, vieni! Ti stiamo aspettando.
Lui non rispose neanche stavolta, combattuto tra la collera nei confronti di Sergio e il desiderio di non essere scortese con lei. Alessia si voltò verso Sergio e gli disse in tono da non ammettere repliche: – Chiamalo anche tu. Fa’ in modo che venga su. – Poi addolcì lo sguardo, fece un sorriso sarcastico e concluse con voce soave: – E senza storie.
Sergio corse alla finestra e urlò: – Angelo, te possino! Noi ci stiamo a preoccupare per te e tu te ne vai tranquillo e beato in bicicletta? Dai, sali su. E spicciati.
Viola di rabbia, Angelo non rispose neanche allora. A quel punto ebbe inizio un andirivieni. A turno andarono alla finestra e lo chiamarono Sergio, Alessia, Marco, Corrado. Lui guardava su, il viso madido di un sudore denso di vergogna, senza capire se doveva unirsi alla comitiva o se sarebbe stato più dignitoso fare l’offeso fino alla fine e, magari, andarsene via piantando in asso tutti quanti. Ma poi si convinse che non aveva senso continuare a isolarsi.
Scese dalla bicicletta, l’appoggiò alle mura del palazzo ed entrò in casa con passo incerto. Sulla rampa di scale che conducevano al salone, incontrò Elisa che scendeva – incredibilmente bella! – e la salutò a bassa voce, ingoiando a vuoto e diventando rosso come un peperone.
Lei passò oltre, guardando per terra senza rispondere e senza nemmeno guardarlo. Non che Angelo le dispiacesse; era un gran bel ragazzo, non aveva nulla contro di lui, anzi. Però, era disistimato da tutti per via di quella sua timidezza: per questo motivo, lei non voleva andare controcorrente e concedergli una familiarità e un’amicizia che le altre gli negavano.
Angelo fece il suo ingresso nella sala pieno d’imbarazzo, fradicio di sudore e con una gran puzza di ascelle addosso.
– Oh, eccolo! Perché non venivi? – chiese subito Alessia con fare gioviale, andandogli incontro.
– Nessuno mi ha invitato – rispose gelido e asciutto, mentre tutti si voltavano a guardare la scena in uno strano silenzio.
– Quando mai tra di noi c’è stato bisogno di un invito scritto? – protestò Sergio con aria di rimprovero.
– Lo sapevi che c’era la festa? – chiese Alessia.
– No.
– Ah! Bene! Mi fa piacere!
– Ma eri presente quel giorno che ne abbiamo accennato – obiettò
Sergio.
– Sì, ma è successo due settimane fa.
– E va be’, ti sei confuso con i tempi. Allora, incidente chiuso e torniamo tutti alle danze.
Mentre Sergio si allontanava, Alessia si diresse verso Marco: – Oggi ti sei dimenticato di me?
– Assolutamente no.
Senza dire nulla, Alessia gli posò una mano sulla spalla e i due iniziarono a ballare un brano lento molto romantico. Alessia e Marco si mantennero tutto il tempo vicini, affiatati, senza dire una parola.
Appoggiato al davanzale della finestra, Angelo osservava gli altri. Erano nove coppie. Sono il diciannovesimo ospite, quello che non era stato invitato, pensò al colmo dell’amarezza.
Sergio ora ballava con Alessia. Erano evidenti i suoi sforzi per farle una buona impressione. Pendeva dalle sue labbra e la trattava con una deferenza