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Childfree: senza figli per scelta
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E-book340 pagine4 ore

Childfree: senza figli per scelta

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Info su questo ebook

Un testo per aiutare chi si sente sotto pressione per una scelta sempre più diffusa ma ancora criticata: quella di non mettere al mondo figli.
Le motivazioni sono molteplici, e ognuno si può ritrovare in una o più di esse. 
Da childfree (e frequentatrice virtuale di questo mondo), spero di avere offerto al lettore la panoramica più completa possibile sulla scelta childfree e su tutto ciò che la riguarda: storia, motivazioni, filosofia, scienza, società, suggerimenti per far fronte alle critiche (sei egoista e contro natura, sei responsabile del tracollo economico, nessuno ti pagherà la pensione), la tendenza odierna a santificare la procreazione e i figli (senza tuttavia puntare il dito su chi ha fatto della genitorialità una scelta consapevole ed equilibrata). Il tutto supportato da documenti, statistiche e referenze bibliografiche.
È presente anche un excursus sui metodi contraccettivi, sulla sterilizzazione, sull'IVG e sui libri che trattano la tematica childfree.
Il testo è aperto anche a chi sta valutando i pro e i contro di una futura scelta genitoriale (qui troverà com'è ovvio più contro che pro) e ai genitori o chiunque volesse saperne di più su questo mondo senza pregiudizi.
Disponibile a 1,99 su https://payhip.com/b/tqwWv
LinguaItaliano
EditoreAntares
Data di uscita24 lug 2018
ISBN9788828362944
Childfree: senza figli per scelta

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    Anteprima del libro

    Childfree - Ginevra Alpi

    BIBLIOGRAFICHE

    PREMESSA

    Hai qualche dubbio circa la possibilità di diventare genitore?

    Tutti te ne parlano come una cosa scontata, ma a te viene la pelle d’oca o semplicemente ti senti a disagio al solo pensiero?

    Il mondo non ti piace? Hai qualche remora a metterci una tua creatura?

    Allora questo libro potrebbe fare al caso tuo. Leggendolo, tirerai un respiro di sollievo e ti sentirai a casa.

    Precisiamo che non hai bisogno di un’etichetta. Molti sono childfree senza essere a conoscenza di un termine che li designa. Usiamo questo termine solo per comodità: se vuoi, puoi continuare semplicemente a dire che non hai figli per scelta.

    Stai decidendo se compiere il grande passo? Stai valutando i pro e i contro della genitorialità? Ottimo, ponderare va sempre bene. Se hai voglia di proseguire nella lettura, questo libro ti condurrà attraverso i contro. I pro li conosci già, li avrai certamente interiorizzati fin dalla nascita da famiglia, amici, media, società. Li senti proclamare da ogni dove. Perciò non serve ricordarli.

    Se poi deciderai per il grande passo, potrai almeno dire di aver ascoltato entrambe le campane e compiuto una scelta ponderata.

    Sei un genitore? Convinto appieno, convinto con periodi di cedimento, pentito?

    Questo libro ti aiuterà a capire chi sono i childfree, di cui si sente sempre più parlare (spesso in maniera spregiativa). Persone normali, con pregi e difetti, accomunati soltanto dalla scelta di non avere figli. Se decidi di proseguire nella lettura, troverai probabilmente argomentazioni su cui non sarai d’accordo. Lo scopo non è certo quello di convertirti; c’è semmai la speranza che i childfree non ti appaiano come certi stereotipi negativi tendono a ritrarli.

    E ora torniamo a te, caro childfree, o senza-figli-per-scelta, o in qualsiasi modo tu ti definisca.

    Non preoccuparti: malgrado i moniti che piovono da ogni dove, tesi a farti sentire in colpa, va tutto bene.

    Ripeti insieme a noi: NON DEVO PER FORZA AVERE FIGLI.

    Non è vero che sei tu a essere sbagliato, non è vero che hai qualcosa che non va. Non è vero che stai danneggiando l’economia nazionale.

    Questo scritto nasce proprio per spiegare il fenomeno childfree, legittimarlo e aiutare chi si sente in difficoltà con l’accettazione di un proprio essere.

    Ma si rivolge a tutti: ai genitori, agli aspiranti tali, agli indecisi. Proponendosi anche di far conoscere e accettare il fenomeno childfree alla società, sovente critica nei suoi confronti.

    Da molto tempo, nei Paesi occidentali, il mondo laico e quello religioso sono in trepidazione. Governi, Chiesa e cittadini si domandano: quale sarà il nostro futuro?

    Dalle loro oscure previsioni si profila all’orizzonte l’ombra di una decadenza, che progredisce alla diminuzione della natalità. Senza tanti figli un Paese non avanza, sostengono alcuni, e i valori tendono a decadere, rincarano altri. L’economia tracolla, l’egoismo irrompe.

    Così proliferano ammonimenti e provvedimenti per fronteggiare una situazione vista come catastrofica; si viene a formare un confuso movimento d’opinione, che serpeggia nella popolazione convincendola che il rallentamento demografico è nocivo.

    In questa mentalità nebulosa e priva di fondamenti scientifici, un’aura magica e rosea ha da sempre circondato l’evento della nascita, conferendogli un significato sovrannaturale e meraviglioso che poco gli appartiene.

    Tutto ciò porta spesso ad affrontare il più grande evento della nostra vita con la più profonda incoscienza e frivolezza. In realtà sarebbe d’obbligo porsi davanti a esso con grande intento riflessivo, non certo con il cuore, come raccomandano milioni di sentimentalisti, e farsi centinaia di domande che iniziano tutte con Perché… e Come…

    È una decisione che riguarda noi stessi e bisogna evitare, in questo, di farsi sopraffare dalle più subdole pressioni e di seguire passivamente una strada già battuta da altri.

    Prima domanda: perché dovremmo porci tante domande?

    D’altronde, dalla notte dei tempi, la riproduzione è stata sempre un evento ricercato e non ponderato: perché proprio adesso dovremmo fermarci a riflettere?

    È strano che, ancora oggi, alcuni divulgatori o scienziati di rispettabile fama (probabilmente qualcuno citato nel corso del libro), considerino le cose così come stanno in questo momento, come fossero immutabili. Si danno spiegazioni ai comportamenti umani facendoli risalire ad atavismi e quindi legittimandoli all’eternità, rendendoli universali.

    Ma la tesi secondo cui un determinato comportamento (ad esempio mettere al mondo più figli possibili) è valido e universale solo perché funziona da milioni di anni, è completamente errata. Milioni di anni, in realtà, non sono nulla. Rappresentano solo un’epoca, con un inizio e una fine. Ovviamente ci portiamo dietro da millenni molti strascichi biologici, ma essi sono meno di quanto crediamo: il resto è il semplice risultato dell’effimera cultura di un determinato periodo.

    E la cultura cambia nel corso dei secoli.

    La cultura, come la biologia, subisce un’evoluzione. È la nostra evoluzione, per noi che ormai non mutiamo poi molto biologicamente.

    Da ciò si evince che non possiamo più rifarci a valori del passato, come il fare più figli possibili per scongiurare l’alta mortalità, o segregare la donna in casa perché per molto tempo è stato così. L’ambiente attorno a noi e perfino la nostra specie si sono trasformati; non si può rimanere immutati di fronte al cambiamento.

    Il mondo è cambiato e al genere umano, che ha provocato il cambiamento, si chiede ora di cambiare in risposta alle condizioni che esso ha creato afferma Walter T. Anderson nel suo libro To govern evolution (1), nel quale ribadisce: oggi la forza trainante dell’evoluzione è l’intelligenza umana, mentre la selezione naturale è passata in secondo piano.

    Tutti potranno concordare sul fatto che la staticità sia deleteria, e che al contrario sia il dinamismo la vera molla dell’evoluzione, la spinta al miglioramento. Il fatto che una cosa duri da tempo non significa automaticamente che sia valida. Significa, casomai, che non esisteva alternativa.

    Probabilmente abbiamo timore del cambiamento. L’ignoto ci spaventa. E dopotutto un cambiamento induce quasi sempre una crisi iniziale, cui non sappiamo far fronte. Siamo incapaci di guardare oltre questa crisi, ingigantita e additata a pretesto per fare dietro-front. Inoltre, il cambiamento può davvero generare alcune negatività, che ci portano a dire si stava meglio quando si stava peggio… Ma in passato si stava davvero meglio?

    L’espansione epocale conosciuta dall’uomo fin dall’antichità non può essere indicatore del benessere: non si può certo dire che nelle zone più popolate del mondo si viva qualitativamente bene.

    Diciamocelo: al giorno d’oggi, nelle condizioni in cui viviamo, dare alla luce molti figli è diventata una pratica obsoleta e potenzialmente dannosa. Non solo nel Terzo Mondo, laddove la riduzione della mortalità non è stata compensata dal calo della natalità, e quindi si continua a nascere per poi patire fame e stenti. Ma anche nei Paesi più ricchi, criticare la denatalità e i senza-figli e fomentare la procreazione selvaggia non ha senso. Vedremo poi perché.

    Per molti fare figli è ancora un assioma: lo fanno e basta, senza pensarci due volte.

    Ma chi sono e cosa rappresentano i figli nella vita? Perché farli? Lo vogliamo davvero o lo diamo soltanto per scontato, come gli acquisti routinari del sabato?

    E, soprattutto, come mai in molti non riflettono abbastanza prima di compiere un passo di tale entità? Perché l’evento della procreazione viene spesso preso alla leggera? Perché si mettono al mondo così tanti figli? Perché ci sono tanti bambini che soffrono?

    È difficile contestare certe velleità così radicate in noi. Gli antichi faticavano a credere che la Terra girasse intorno al Sole, figuriamoci se ora venisse chiesto al mondo di riflettere su un evento così naturale e istintivo come la procreazione. L’importante è però spogliare l’istinto da bugie e illusioni che inquinano l’evento della procreazione, ma, soprattutto, capire se lo vogliamo davvero o no.

    UN PO’ DI STORIA

    I childfree sono un fenomeno moderno?

    Si direbbe di sì: soltanto di recente l’emancipazione dall’inevitabile destino genitoriale sta salendo alla ribalta. Finora è stato impensabile mettere in discussione questo destino. Ma suona impossibile che, nell’antichità, nessuno si sia soffermato a riflettere sulla questione: e infatti qualcuno l’ha fatto.

    Democrito, per esempio.

    Filosofo greco ricordato soprattutto per la sua teoria delle particelle elementari (i futuri atomi), scrisse: "L’allevamento dei figli è pernicioso: infatti, mentre nel successo ci si accolla un sacco di conflitti e preoccupazioni, nell’insuccesso non è superato da nessun altro tormento. Non mi sembra si debba generare figli: intravedo infatti nella generazione di figli sia molti e grandi rischi sia molti dolori, nonché poche soddisfazioni e, quanto a queste, lievi e pure deboli.

    Mi sembra sia meglio che chi ha proprio bisogno di fare un figlio ne prenda uno dagli amici. E allora egli avrà un figlio tal quale lo vorrebbe: infatti può sceglierselo come gli garba. E inoltre chi gli sembrasse essere idoneo lo seguirebbe completamente, secondo la sua natura. E in tutto ciò c’è anche tale differenza: che in questo caso è possibile prendere il figlio che si ha in mente tra molti, quale dovrebbe essere; qualora invece uno se lo facesse da sé, ci sarebbero molti rischi: di necessità infatti dovrebbe accontentarsi di quello che nascesse.

    Agli uomini generare figli sembra essere tra gli obblighi (provenienti) dalla natura o da una qualche istituzione antica. Ma ciò è manifesto anche tra gli altri animali: tutti infatti per natura procreano non avendo in vista nessuna utilità, ma ciascuno come può, quando genera, si preoccupa per i figli, li nutre e ha moltissimo timore per loro finché sono piccoli e, qualora succeda loro qualcosa, si affligge. Certo, a tutti coloro che hanno un’anima è propria tale natura; tra gli uomini però ora si è creata la convinzione che si tragga qualcosa di vantaggioso dalla progenie" (Tratto da Frammenti morali).

    Sulla sponda romana troviamo Lucrezio, epicureista del I secolo a.C., dalle cui opere però traspare una certa angoscia esistenziale (anche se alcuni studiosi la attribuiscono al tentativo di rafforzare la filosofia epicurea), e in un passo del De Rerum Natura si legge: "(Il neonato) riempie i luoghi di lugubri vagiti, com’è giusto, per chi dovrà patire nella vita tanti mali "

    Non solo dalla filosofia, ma perfino dal teatro ci giungono voci controcorrente: quella di Sofocle, per esempio, popolare drammaturgo greco vissuto tra il 496 e il 406 a.C., che nelle sue tragedie mette in scena la sofferenza della condizione umana, e in una in particolare (l’ Edipo a Colono) fa cantare al coro: La sorte migliore è non nascere.

    Perfino dall’Oriente pervengono testimonianze di un antinatalismo ante-litteram, con il poeta e retore arabo Al Ma’Arri, contrario alla religione e alla procreazione. Vissuto nell’XI secolo d.C., egli sostiene che la vita è dolore, e che una persona intelligente farebbe bene a non procreare. E anzi, che le offese e le ribellioni da parte dei figli costituiscono il giusto castigo per il peccato di averli messi al mondo.

    Passiamo direttamente all’Ottocento con Leopardi, che tra le sue poesie e i suoi pensieri non manca di seminare riflessioni sull’amarezza della vita e sulla crudeltà della Natura, chiedendosi di tanto in tanto quale convenienza ci sia nel mettere una creatura in questo mondo difficile (Ma perché dare al sole/ perché reggere in vita/ chi poi di quella consolar convenga? Se la vita è sventura/ perché da noi si dura? scrive nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. )

    Argomentazioni che ritroviamo in un suo contemporaneo, il filosofo tedesco Schopenhauer. La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia scrive nell’opera sua più celebre, Il mondo come volontà e rappresentazione.

    E continua: la vita non ha senso, il mondo è basato sulla legge del più forte e la lotta per la sopravvivenza conduce a crudeltà, miseria, sofferenza. La sola volontà di vivere dei corpi li porta alla frustrazione perenne, all’impossibilità di un appagamento duraturo.

    In questo quadro, è l’uomo l’essere più svantaggiato: rispetto agli animali, la coscienza e la razionalità lo conducono a una consapevolezza maggiore e più dolorosa di sé e del mondo. Schopenhauer predicava esplicitamente e praticava l’antinatalismo, cioè il rifiuto di mettere al mondo esseri succubi alla volontà e alla sofferenza, e quindi il porre fine alla catena di dolore cui la vita conduce. Egli stesso non ebbe figli.

    Julius Bahnsen, suo seguace, rincara la dose: l’irrazionalità del cosmo, che si traduce nella contraddittorietà dell’esistenza, non è risolvibile se non con l’estinzione dell’esistenza stessa.

    Philip Mainländer, filosofo del pessimismo e poeta tedesco, scrisse così nel suo Filosofia della redenzione: … le determinazioni volitive attivate dalla raggiunta consapevolezza che il non essere è meglio che l’essere, rappresentano il principio morale più alto di tutti, e, dunque, il più alto senso della vita.

    E passiamo a Emil Cioran, famoso filosofo e saggista rumeno del XX secolo, che ci lascia un’opera dall’eloquente titolo L’inconveniente di essere nati (Adelphi, 1991). Nichilista e pessimista, proselite di Schopenhauer, di Nietzche, di Ionesco e perfino di Leopardi, egli scriveva: ‘Tutto è dolore’. La formula buddista, modernizzata, suonerebbe: ‘Tutto è incubo’. [….] Non mi perdono di essere nato, Non c’è nulla che giustifichi il fatto di vivere. Un tempo, davanti a un morto, mi chiedevo: A che gli è servito nascere? Ora mi faccio la stessa domanda davanti a ogni vivo.

    Più volte accostato a Cioran fu Albert Caraco, filosofo e scrittore francese, che promuove la castità per evitare di popolare ulteriormente e inutilmente il mondo (L’illusione rinasce a ogni generazione e gli amplessi la perpetuano, da secoli e millenni il solo rimedio è la continenza (Tratto da Post Mortem ).

    Altro scrittore e filosofo del pessimismo (stavolta norvegese), fu Peter Wessel Zapffe, vissuto tra il 1899 e il 1990. Anche lui sposò, a suo modo, una scelta childfree esistenzialista: Secondo la mia concezione della vita, ho scelto di non portare al mondo figli. Una moneta è esaminata, e solo dopo un attento esame data a un mendicante, mentre un bambino è gettato nella brutalità cosmica senza esitazione. L’umanità dovrebbe porre fine alla sua esistenza di sua volontà.

    Per David Benatar, professore di filosofia sudamericano, qualunque sofferenza sarebbe del tutto sufficiente nel far diventare il venire al mondo un danno, poiché un essere vivente sperimenta, accanto al piacere, anche il dolore. L’unico effetto collaterale della rinuncia alla procreazione sta nel privare un essere inesistente di alcuni possibili piaceri, ma un essere inesistente non può dolersi di questa privazione, e questo è valido anche nell’ipotesi di un mondo migliore di quello in cui viviamo, o di una vita in cui le sofferenze siano minime. Secondo Benatar vince comunque la non-esistenza, perché in essa vi è l’assenza del bisogno del piacere; inoltre una vita in cui l’unica sofferenza è una singola puntura di spillo è utopica. Ogni vita contiene una discreta quantità di male.

    Si può rimpiangere di non aver avuto figli, ma non perché quelli che avremmo potuto avere siano stati privati dell’esistenza. Il rimpianto di non avere figli è relativo a noi stessi – cioè di non aver avuto l’esperienza della gravidanza e della crescita dei figli. Ma se noi abbiamo rimorso per aver generato un figlio con una vita infelice, lo facciamo in relazione a lui, oltre che anche a noi stessi; laddove invece mai potremmo deprecare di non aver portato all’esistenza qualcuno [in relazione a lui stesso] perché l’assenza di dolore non è un male scrive nel suo saggio Better never to have been (Meglio non esser mai nati) (2).

    Il filosofo e scrittore Guido Ceronetti, nel suo libro Tra pensieri (Adelphi, 1994) , sembra fargli eco: "Tutto è dispersione, lacerazione, separazione, rotolare di ruota senza carro, e questo ha nome esilio, o anche mondo". E ancora, in Insetti senza frontiere (Adelphi, 2009): Una coscienza che riflette non può che astenersi dal propagare la specie. Chi ha vera coscienza non può tollerare l’eccesso, lo straripare di dolore in un mondo dominato dalla dismisura umana, e frenare, limitare le nascite è innanzitutto un puro atto di compassione. I molti figli sono il frutto dell’ignoranza, dell’insensibilità morale e della bigotteria. L’incremento demografico provatevi a predicarlo nei reparti oncologici. Dare soldi perché si facciano figli è lo stesso che trafficare bambini.

    Les U. Knight è il fondatore del VHEMT (il Movimento per l’estinzione umana volontaria), una sorta di pensiero filosofico per cui sarebbe bene non procreare (in modo non coercitivo, nel senso che ognuno decide per sé) per salvare il pianeta dalla distruzione antropica. La sola azione richiesta per diventare Volontario o Sostenitore del VHEMT consiste nel non aggiungere un altro essere umano alla popolazione. Una coppia potrebbe anche essere in attesa d’un figlio e decidere d’aderire al VHEMT. Quel nuovo essere umano sarebbe l’ultimo che metterebbero al mondo. I Sostenitori del VHEMT non sono necessariamente a favore dell’estinzione umana, ma concordano sul fatto che nessun altro dovrebbe essere messo al mondo in questo momento si legge nel sito ufficiale ( http://www.vhemt.org). Il VHEMT, si badi bene, non ha nulla a che fare con l’istigazione al suicidio, col suicidio stesso o con la sterilizzazione coatta delle popolazioni.

    Più o meno dello stesso avviso è il naturalista David Attenborough, che ha dichiarato: Invece di controllare l’ambiente del pianeta a vantaggio della popolazione, forse dovremmo controllare la popolazione al fine di garantire la sopravvivenza del nostro ambiente (dal programma The Life of Mammals, 2002).

    Thomas Ligotti, scrittore americano di discendenza italiana, nel 2011 pubblicò un saggio dal titolo The conspiracy against the human race (3), in cui espresse il suo pensiero filosofico antinatalista, cui sembra si sia ispirato il produttore di un telefilm (True Detective) per i dialoghi di uno dei protagonisti.

    Michel Onfray, controverso filosofo francese, sostiene l’antinatalismo ispirandosi a Schopenhauer. Ognuno è libero di scegliere se mettere al mondo figli ma, dal momento che la vita contiene dolore, sarebbe preferibile risparmiarlo ad altri esseri viventi.

    Da questa lista manca tutta una serie di altri personaggi (appartenenti al mondo della scienza, dell’arte, della filosofia ecc.) che hanno espresso la loro vicinanza ai temi antinatalisti o una loro esplicita scelta childfree (nel mondo della letteratura, ad esempio, Lovecraft e Twain).

    In realtà poche erano le occasioni in cui in passato si rinunciava consapevolmente ai figli, e riguardavano soprattutto cariche professionali (religiose o militari). Oppure, l’assenza dei figli era dovuta alla sterilità, considerata quasi una colpa (spesso a totale carico della donna, ripudiata e malgiudicata). Senza matrimonio né prole la vita era senza senso, indegna.

    La donna, ovviamente, era l’essere procreante per eccellenza. Lei è fatta per avere figli (concezione ancora dura a morire) e possiede il cosiddetto istinto materno, una mistificazione sopravvissuta fino ai giorni nostri (ne parleremo più avanti).

    Però, pensiamoci bene. Qualcuno di noi ricorderà qualche genitore/avo freddo e insensibile nei confronti dei figli, qualche parente che racconta di come mamma o papà non fossero tagliati per fare i genitori, di come fossero distanti, quasi lo facessero di malavoglia. Qualche libro in cui un personaggio rifiuta inconsciamente un figlio, pur essendo obbligato a metterlo al mondo… Non credo sia del tutto ascrivibile a problemi mentali o al vissuto del soggetto: persone che non volevano figli sono sempre esistite, ma ovviamente erano obbligate a volerne.

    Contraccezione, denatalità e tasso di fecondità

    La contraccezione, inoltre, pur essendo un trend sostanzialmente moderno, ha radici nell’antichità. Ne sono perfino state riscontrate tracce in papiri egizi risalenti ai secoli XVI e XVII a.C., che riportavano ricette di tamponi o applicazioni locali a base di estratti vegetali (miele, semi di melograno…), magari contenenti fitoestrogeni, e raffiguravano antenati del preservativo.

    Nel I secolo d.C. Sorano d’Efeso, medico romano, nel suo trattato di ginecologia Gynaecia pone l’accento sulla contraccezione come metodo preventivo dell’aborto e dell’infanticidio.

    Dopo un Medioevo in cui ogni tentativo di pianificazione familiare venne frenato dalla Chiesa (mentre il mondo islamico era più tollerante), la contraccezione inizia sibillina a entrare nelle case, laddove precedentemente era riservata ai rapporti extraconiugali, e a diffondersi anche tra i ceti meno agiati. Nel 1550 Gabriele Falloppio aveva ricavato un preservativo da budello animale, anche se per scopi più che altro igienici: più tardi il medico francese Condom (da cui l’appellativo anglosassone che designa il preservativo) lo propose anche come contraccettivo.

    Fu nel 1916 che Julius Fromm inventò i preservativi di gomma, più facili da produrre, più pratici e più efficienti.

    Dal XIX secolo, dopo la rivoluzione industriale e con la nascita della famiglia come la intendiamo oggi, i figli smettono di essere soltanto braccia utili al lavoro (l’ampio nucleo familiare agricolo del passato è un modello in decrescita, un bambino dovrà aspettare qualche anno in più per venire impiegato in fabbrica o in miniera) e diventano una risorsa poco fruttifera, un peso, un costo. Quindi, ecco che le nascite iniziano a calare.

    Questo trend proseguirà per i secoli a venire con dovuti saliscendi, per esempio a causa di dittatori alla ricerca di carne da macello per le loro guerre, oppure del boom economico degli anni Sessanta sfociato nel ben noto baby boom.

    Nel 1914 l’infermiera statunitense Margaret Sanger, già attiva con rubriche e pamphlet sulla pianificazione familiare responsabile, viene arrestata e fugge in Europa, dove scopre il diaframma, dispositivo dotato di un’efficacia contraccettiva maggiore rispetto ai metodi utilizzati in America (chinino, lavande con acido borico…). Tornata in patria fonda la prima clinica per la pianificazione familiare, prontamente chiusa dalle autorità. Il processo però suscita l’interesse dell’opinione pubblica e delle femministe. Nel 1921 Margaret fonda l’American Birth Control League, e un paio di anni dopo una clinica di ricerca e pratica contraccettiva, che nel 1944 finanzia lo studio di un anticoncezionale ormonale per la donna.

    Nel 1949, Simone de Beauvoir pubblica il famoso manifesto pre-femminista Il secondo sesso: i fatti e i miti (4), nel quale si proclama a favore del lavoro femminile, utile a contrastare la segregazione della donna tra le mura domestiche. Il fatto che i figli releghino la donna in casa e ne riducano la libertà era un concetto ancora scandaloso, per l’epoca. Così come il fatto che l’autrice decise di rimanere senza figli, scelta difficile ai tempi: non solo perché controcorrente, ma anche per la mancanza di mezzi contraccettivi efficaci.

    Nel 1951 il professor Djerassi sintetizzò il noretindrone, il primo progesterone sintetico, che aveva un efficacia otto volte superiore a quello naturale, e nel 1956 il fisiologo statunitense Pincus mise a punto un trattamento ormonale per via orale che doveva servire a lenire i disturbi mestruali, e aveva come effetto collaterale quello di impedire l’ovulazione.

    Nel 1960 entrò in commercio la prima pillola anticoncezionale estroprogestinica, l’Enovid, che ebbe un successo immediato.

    Dall’avvento della pillola, e a seguire di tutti gli altri anticoncezionali, il calo delle nascite in Europa e in America è quasi costante. Dal Censimento italiano del 2011 si evince che, nel primo decennio del Duemila, le coppie senza figli sono cresciute di circa 470000 unità (circa 10%), mentre le coppie con figli hanno subito un decremento del 5%. In questa statistica vengono conteggiate però tutte le coppie, anche quelle per cui non si è trattato di scelta. Tra le donne nate negli anni Sessanta, il 25% delle italiane non ha figli, contro il 10% di quelle francesi (ciò dovuto in parte alle recenti politiche pro-nataliste attuate dal governo francese). In realtà, un convegno del 2012 relativo ai senza figli (basato anche su stime del 2003) indicava che in Italia i veri childfree (fra i 30 e i 50 anni) erano all’incirca il 3% sul totale degli intervistati, contro l‘8% austriaco e tedesco; mentre secondo stime del 2016 le childfree rappresentano il 17,4% delle donne senza figli tra i 18 e i 49 anni (quindi la percentuale sull’intera popolazione femminile dovrebbe aver raggiunto il 7,8%). Tra l’altro, in Italia, il divieto di propaganda della contraccezione venne abrogato solo nel 1971 grazie all’opera dell’Associazione Italiana per l’Educazione Demografica (www.aied.it).

    Comunque, in un’indagine ISTAT del 2014 (Avere figli in Italia negli anni 2000), il numero di figli desiderati dalle italiane era stato, in media, del 2,2 a donna. In pratica, anche rimuovendo i pretesti economici e lavorativi, le donne italiane non sarebbero disposte a superare la natalità del ricambio. Certo la rimozione degli ostacoli aumenterebbe la natalità, che però passerebbe dall‘1.4 di quella effettiva odierna a massimo 2. Anche perché bisogna considerare le aspettative reali di una donna, che a vent’anni potrebbero essere più ottimistiche che a quaranta. Una volta sperimentate le difficoltà di avere uno o due figli, una donna potrebbe rinunciare ad avere il terzo come programmato.

    Resta il fatto che Paesi economicamente più avvantaggiati rispetto all’Italia e con incentivi alle famiglie (come la Germania, che in quanto a bonus spenderebbe come la Francia), mostrano tassi di natalità simili a quelli italiani, e il 30% delle donne istruite non ha figli. Nei Paesi scandinavi, che vantano un’organizzazione sociale e lavorativa favorevole per le famiglie, il tasso di fecondità delle donne è più alto, ma pari a 1.8 (considerando le straniere). Il Paese record in questo campo è l’Irlanda, che presenta un tasso di quasi 2, mantenuto però costante negli ultimi anni nonostante la ripresa economica, seguita dalla Francia (Tasso di fecondità totale).

    Quindi, nei paesi economicamente progrediti sembra poco credibile poter raggiungere elevate natalità, e questo perché sono inconciliabili con istruzione, cura dei figli ed emancipazione della donna.

    I vari esperti o commentatori del web che si mettono le mani nei capelli per la crisi demografica parlano di decadenza culturale, di me generation (una generazione ripiegata su se stessa, alla mera ricerca del godimento), di incentivi per invogliare le famiglie

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