Comunicare la separazione ai figli: Dall’affidamento condiviso alla bigenitorialità passando per la mediazione familiare
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Info su questo ebook
Le autrici trattano di affidamento condiviso, mediazione familiare e bigenitorialità, spiegando come un approccio adeguato alla separazione, nell’ottica primaria del benessere dei figli, possa aiutare grandi e piccoli a rielaborare l’evento separativo, con benefici a breve e a lungo termine, riducendo il conflitto e le conseguenze negative che un evento tanto delicato può comportare.
Il libro suggerisce dei pratici consigli su come comunicare la separazione ai figli, tenendo conto della loro età, delle loro caratteristiche e dei cambiamenti che stanno avvenendo in famiglia. Contiene inoltre La favola di Puledrino, con immagini da colorare, che potrà essere d’aiuto ai figli nel comprendere meglio la situazione e ai genitori nel comunicarla nel modo più costruttivo possibile.
Michela Foti, avvocato e mediatrice familiare, vive a Bologna, dove è titolare del proprio Studio legale.
Camilla Targher, pedagogista e mediatrice familiare, vive in provincia di Bologna, dove è titolare della propria Società di consulenza.
Sito Internet Autrici: www.mediazionefamiliarebologna.it
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Anteprima del libro
Comunicare la separazione ai figli - Michela Foti
BIOGRAFIA
PREFAZIONE
di Massimo Silvano Galli
La bigenitorialità non esiste
.
Qualche mese fa, invitato ad un convegno sul tema, così mi venne da esordire, contribuendo alla rianimazione dei tanti astanti, ormai un po’ assonnati, in quel pomeriggio di inizio primavera.
Al di là della boutade, che non può mancare in ogni sana dissertazione, per di più dopo la pausa pranzo, la questione è più che seria e merita, nel pur breve spazio di questa prefazione, il suo approfondimento; soprattutto se il preambolo del caso anticipa un’intensa e meticolosa analisi su un oggetto che, apparentemente (ma solo apparentemente), la bigenitorialità sembrerebbe metterla in discussione: il divorzio, ancor più in quello specifico che pertiene alla relazione coi figli.
L’intervento clinico, oramai più che decennale, con famiglie in situazione di disagio (da crisi coniugale e separazione, compresi), mi obbliga ogni giorno a riflettere (e a intervenire) attorno al radicale cambiamento che negli ultimi anni ha trasformato i rapporti interpersonali, stravolgendo, a cascata, ogni configurazione relazionale che fino a ieri supportava (e, certo, spesso sopportava) una certa stabilità.
Le ragioni di questa trasformazione sono complesse e non può essere questo il luogo per disciplinarle. Ci basti sapere che, se fino al 1989 (anno della Convenzione sui Diritti del Bambino di New York) il concetto di bigenitorialità riferiva, ai non addetti, per lo più la sua declinazione di stampo biologico, a partire da quella data si è trasferito e diffuso nel campo del diritto: del bambino, a proteggere la necessità di un rapporto continuativo con entrambi i genitori; e dei genitori, a tutelare la possibilità di esercitare il ruolo di padre e di madre.
Il passaggio dalla scontata naturalità
di una condizione (la facoltà di fare, in egual misura, il padre e la madre e l’esserne, in egual misura, figlio), alla necessità di disciplinare e tutelare giuridicamente tale naturalità
, racconta da sé il cambiamento. Ma, se tale ridefinizione prendeva allora le mosse dal sempre più diffuso ricorso all’istituto del divorzio e all’urgenza di dare, appunto, il giusto peso a quei diritti delle parti in gioco che le separazioni mettevano (e mettono), nei fatti, frequentemente in discussione; oggi, per una di quelle obversioni tipiche del post-moderno, la situazione sembra completamente capovolta.
Dieci anni prima della Convenzione di New York, un film, Kramer contro Kramer, riscuoteva un successo mondiale (anche grazie ad alcuni facili sentimentalismi), ed apriva diffusamente il sipario su una mutazione in cui il femminile si affermava sempre più concretamente, determinando un riposizionamento del ruolo maschile.
Erano i segnali, estesamente manifesti, di una ridefinizione radicale dei ruoli che certo partiva da più lontano, ma che proprio in quegli anni si concretava in una serie di nuove e palpabili esigenze, con conseguenti assestamenti delle pratiche familiari: marcata conquista, per le donne, di un’indipendenza economica che restringeva il tempo del fare la mamma
e conseguente riqualificazione delle pratiche maschili, insieme alla spinta¹ ad un rapporto più autentico con i figli, dismettendo gli aspetti più repressivi che ne avevano caratterizzato lo stereotipo, a favore di una gamma di sentimenti più articolata.
È da qui che, a mio avviso, il concetto di bigenitorialità comincia ad assumere quel senso extrabiologico che si formalizza nella Convenzione sui Diritti del Bambino, ma in questa non si arresta, e prosegue, di pari passo con le altre metamorfosi sociali, insidiando la famiglia ben al di là dell’evento separativo.
Infatti, il riconoscimento di una bigenitorialità ormai radicata nei riferimenti culturali delle famiglie e la sua conseguente tutela giuridica non significano – purtroppo – la reale esistenza di quotidiane pratiche educative che la esemplifichino.
Ciò che in larga misura sembra essere successo, a fronte del venire meno della famiglia tradizionale, è, di fatto, la scomparsa della bigenitorialità o, meglio: mentre questa veniva acquisita come principio teorico generale, perdeva di pari passo consistenza fino a determinare, oggi, quella che i sociologi chiamano la società senza padri
, bizzarra immagine di bigenitorialità.
Il contesto in cui si esplica il rapporto tra genitori e figli sembra, dunque, essere al centro di un processo che si polarizza su due posizioni contraddittorie, spesso autoescludentisi e, comunque, confusive: da una parte il richiamo alla bigenitorilità; dall’altra, la progressiva riduzione e svalutazione delle naturali
e millenarie pratiche educative bigenitorialmente distinte (per quanto a volte nefaste), sintesi che sembra aver finito per salvare (almeno per ora) un solo modus operandi: quello della madre.
Per bene che vada, dunque, per le molte e legittime ragioni del nostro attuale vivere sociale, questa bigenitorialità ha per lo più le sembianze del materno: sia quando il padre di fatto non c’è (per indolenza o incompetenza e, sovente, entrambe insieme), sia quando veste i panni della madre².
Non è certo un caso se i più frequenti e consistenti problemi dei figli sono oggi generati da quella ossessione iperprotettiva che pare albergare nella gran parte delle famiglie e trova la sua sponda educativa nell’archetipo della mamma accogliente evirata dall’argine del padre normante. Liberandoci dell’autoritarismo, abbiamo buttato, è il caso di dirlo, il bambino insieme all’acqua sporca e, senza un argine, il fiume tende a esondare.
La centralità del ruolo materno, così come accennata, non richiama, per altro, soltanto ad una rilettura di un modello maschile che non ha ancora saputo mettersi veramente in discussione superando gli stereotipi del passato (per crearne di nuovi ed efficaci) e, nel dubbio, preferisce o sparire o sagomarsi a un ruolo non suo; ma anche all’esigenza di una ricalibrazione del modello materno che, per necessità o legittimo riscatto, finisce per impossessarsi d’ogni spazio di intervento.
In questo contesto così articolato, la bigenitorialità si attesta, al di là di qualsivoglia naturalità o diritto, come una conquista culturale che, paradossalmente, fatica ad attuarsi soprattutto nelle famiglie unite, dove cioè la normale
configurazione post-moderna dei ruoli non obbliga ad una riflessione post-moderna in questo senso.
Culturalmente abiurato, e per fortuna, il vetusto padrepadrone, il maschile sembra faticare a ricavarsi un ruolo autentico e personale che non sia sagomabile al femminile o non si esautori nel semplice cambiare un pannolino, andare al parco con i figli, cucinare o lavare i piatti; bensì capace di immaginarsi quale artefice di un cambiamento generativo in un mondo estremamente differente da quello che i maschi stessi hanno disegnato per millenni.
Svuotato nelle sue dinamiche tradizionali, alla ricerca di nuove e possibili identità, il ruolo genitoriale, quando non è assunto quasi esclusivamente dal femminile per virtuale parricidio o abdicazione³, al femminile finisce per riferirsi per linguaggi, comportamenti, visioni. Sia in un caso che nell’altro, potremmo dunque parlare di monogenitorialità
.
Ed ecco allora l’obversione.
È, infatti, proprio laddove la crisi familiare irrompe che papà e mamma frequentemente trovano (possono trovare, se ben accompagnati) l’occasione per mettere in discussione costruttiva e propositiva la loro genitorialità, conquistando un apogeo che la normale routine della vita familiare rischia di negare. Il che non vuol essere uno sprono al divorzio, né significa che le famiglie separate siano migliori
; dovrebbe invece farci riflettere rispetto alla mancanza di un’educazione alla genitorialità che oggi pare diventare sempre più indispensabile e che solo nell’inciampo della crisi coniugale può trovare l’occasione di riscoprirsi.
Da qui l’importanza della mediazione e di questo libro che bene la illustra, proprio addentrandosi nel fondamentale campo della relazione con i figli e del come affrontare, con loro, il discorso della separazione; non solo nel minuto spazio della tragica rivelazione, ma tanto più in quel tempo potenzialmente esiziale che è il prosieguo della vita da separati trasformandolo, appunto, nell’opportunità di costruire o ritrovare una genitorialità perduta o mai rivelata, nell’attesa che tale necessità irrompa anche nelle famiglie unite.
INTRODUZIONE
di Michela Foti e Camilla Targher
In un’era in cui la conquista rappresentata dal divorzio si è trasformata in un facile rimedio ai problemi di coppia, a cui si ricorre con sempre maggior disivoltura più per una crisi esistenziale (del tutto personalissima e individuale), che per un’effettiva impossibilità di risolvere insormontabili incompatibilità con l’amato, cerchiamo nella relazione di coppia la realizzazione massima di noi stessi, attribuendole delle prerogative del tutto nuove rispetto al passato.
Conseguenza di tale ricerca di auto-realizzazione è l’estrema fragilità che caratterizza le attuali unioni e l’altissimo numero di separazioni (sia di fatto, che legali).
Questo libro nasce dalla consapevolezza dei mutamenti sociali attualmente in atto e dal desiderio di fornire un supporto concreto a tutte quelle coppie che, in presenza di figli, stanno vivendo, o hanno recentemente sperimentato, l’evento separativo e che si trovano, ora, a gestirne le relative conseguenze emotive, organizzative ed economiche.
Ultimamente si sente parlare tanto di affidamento condiviso e bigenitorialità, senza sapere effettivamente di cosa si tratti, o di come possano trovare concreta applicazione nella nuova organizzazione familiare e, quindi, senza coglierne i possibili benefici.
Ad un desolante spaccato, tutto italiano, in cui i figli di genitori separati trascorrono la loro quotidianità, nell’81,1% dei casi, con uno solo dei genitori (di solito la figura materna) e solo nel 18,9%, alternandosi presso l’uno e l’altro genitore, in cui sono 950.000 i genitori separati che possono vedere i figli poche ore a settimana e 150.000 quelli che hanno perso ogni contatto con i figli (i quali sono, di fatto, orfani di un genitore vivo), fa da contraltare una situazione europea in cui l’affido condiviso è quasi sempre preceduto da un percorso di mediazione familiare, con una notevole diminuzione delle separazioni giudiziali.
Partendo da un’analisi dell’evento separativo e delle sue conseguenze psicologiche, sociali e giuridiche sui componenti della coppia, il libro affronta il delicato tema delle reazioni dei figli alla separazione, evidenziandone i fattori critici, ma anche i possibili esiti positivi.
Viene approfondito successivamente il tema fondamentale della bigenitorialità, ossia la capacità di continuare ad essere genitori anche dopo la separazione, con particolare attenzione sia agli aspetti giuridici, inerenti l’affidamento condiviso, che a quelli pedagogici, volti a garantire continuità educativa e a realizzare un’effettiva genitorialità, condivisa e consapevole.
La mediazione familiare si inserisce, in un simile contesto, come necessario supporto per accompagnare la coppia in via di separazione alla piena consapevolezza delle dinamiche che hanno portato al conflitto separativo, ripristinando la comunicazione, riducendo il conflitto e mettendo al centro dell’attenzione le reali esigenze del figlio.
Uno dei passaggi più critici e delicati della vicenda separativa è rappresentato dal momento in cui i genitori comunicano la separazione ai figli: è questo il momento in cui gli adulti devono fare i conti con la propria decisione ed è questo un avvenimento cruciale che rimarrà impresso, a lungo, nella memoria di grandi e piccoli.
È, pertanto, fondamentale vivere e far vivere nella maniera più adeguata possibile un annuncio che segna inevitabilmente l’inizio del cambiamento, sia a livello personale che familiare.
Per aiutare i genitori a trovare una modalità appropriata per comunicare tale decisione, tenendo conto dell’età e delle caratteristiche del figlio, vengono forniti alcuni suggerimenti pratici da tenere in considerazione, tra cui La favola di Puledrino, ideata e scritta appositamente per aiutare adulti e bambini ad affrontare il tema della separazione.
La favola parla della storia di Puledrino, dalla sua nascita fino alla separazione dei genitori: passando attraverso le varie fasi della crisi familiare e le reazioni dei protagonisti al graduale distacco, la storia si conclude con l’elaborazione della separazione da parte di Puledrino e pone le basi per lo sviluppo di una nuova relazione genitoriale, da separati.
La favola contiene, inoltre, delle illustrazioni in bianco e nero che possono essere colorate e rappresenta un valido supporto per facilitare il dialogo con i bambini, favorendo una comprensione dell’evento separativo consona al loro grado di sviluppo; costituisce, inoltre, uno strumento di confronto costruttivo fra genitori, in un’ottica di ascolto e comprensione reciproca, al di là di ogni possibile recriminazione.
Il benessere, presente e futuro, dei nostri figli dipende in gran parte da come sapremo accompagnarli attraverso questa delicata fase di cambiamento e da come riusciremo a sostenerli nel passaggio dalla famiglia nella quale sono cresciuti, ad una nuova organizzazione familiare, ancora tutta da scoprire e da sperimentare.