Che cosa è l'amore
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Che cosa è l'amore - Alfredo Panzini
Angelis
CHE COSA È L’AMORE?
Il signor Aurelio, uomo di abitudini mentali alquantofilosofiche, e perciò mediocre accumulatoredi denaro,viaggiava in uno scompartimento di terza classe.
D’estate si viaggia meglio in terza classe che in prima,specialmente oggi che la democrazia ha attaccato dei carrozzonibelli e inverniciati di terza ai diretti, così che poveri ericchi hanno lasoddisfazione fraterna di trovarsi a breve distanza,trascinati dalla stessa forza; e più specialmente si viaggiabene in terza classe quando non si gode di nessun diritto abiglietti gratuiti, come era il caso del signor Aurelio.
La campagna, verde e rosea, fuggiva davanti al finestrino, equel movimento di tutte le cose suggeriva al signor Aurelioquest’idea peregrina: «tutto è mobile in questomondo.» Ma poi considerando che gli oggetti si movevanosoltanto nell’apparenza, meditò quest’altra idea,anchepiù peregrina: «tutto è stabile ed immobile inquesto mondo. Dormi, Pina, Pinuccia bella! sì,illacu...»
Il signor Aurelio non viaggiava solo, ma con una sua bambina,gracilina e bionda come l’oro. L’aveva posta a giaceresopra un cuscino: aveva steso unlenzuoletto candido per evitare ilcontatto coi microbi: ma la non voleva dormire. Oltre chegracilina, nervosa, eccitabile! Dio, che disgrazia essere nati daun padre di abitudini filosofiche!
«Sì, cara, illacu!» Ella aveva un suolinguaggio, tutto fatto di strane analogie, che lui solo, il padre,intendeva. Ogni corso d’acqua eralacu, cioè,lago. Ogni oggetto, fuori del finestrino, destava in lei enormemeraviglia. «Eppure un poco di ricchezza e di proprietàper queste povere creaturine, non è mica undelitto!»(Ilsignor Aurelio già pensava alle teorie collettiviste che oggisono così in vista sull’orizzonte umano, e per le qualiegli simpatizzava un giorno sì, e un altro giorno no).
*
* *
Cadeva il vespero; ed una grande città sfumavaenorme,rossiccia, turrita in fondo al piano: il diretto vi siapprossimava rapidamente.
— Ci fermeremo qui — pensò il signor Aureliodopo molte considerazioni. — Proseguire col treno della nottee col freddo che fa alla notte, non conviene.
Lungo la notte freddavegliano le bronchiti, le polmoniti, edaltre cose feroci che la Natura sparge e contro cui la sua poveramimma aveva le più limitate difese.
Per tutte queste ragioni il signor Aurelio instituì questobilancio, se era più dispendioso proseguire, mutando laterzain una seconda classe, o pernottare in un albergo molto pulito,quasi in unhôtel, non per sè — si intende— ma per la Pina; unhôteldove i microbi fosseromeno visibili. Vinse la scelta dell’hôtel,anche perchè si correva il rischio di trovare unasecondaclasse piena zeppa di gente, e allora la Pina? Non dobbiamomeravigliarci di questi dubbi, considerando che il signor Aurelioaveva per le altre questioni un colpo d’occhio fulmineo, maper le piccole operazioni quotidiane era spesso impicciato inunamaniera troppo vergognosa per un uomo della sua barba, della suaetà.
Scese, dunque, e si fece condurre in un albergo dove i camerierihanno l’abitudine di portare la camicia bianca e si assicurache la biancheria del letto è di bucato. Il naso del signorAurelio fece, tuttavia, parecchie esperienze.
Disse il babbo alla sua mimma:
— Una felice idea, adesso, Pina. Andiamo fuori di porta ioe te. Troviamo un belrestaurant, e facciamo un belpranzo.
E richiamò alla Pina tutto le cose che le piacevano:latte,purée, pappa, e le fragole rosse, questesoltanto da vedere e da ammirare.
— Ah! sì! — faceva la Pina con granserietà e convinzione.
Ma poi, lavata che ebbe la sua mimma, un grave pensiero siaffacciò alla mente del signor Aurelio: «Le metteròil berretto di lana o il cappellino di velo?» Il pomeriggioera tiepido, ma calato che fosse il sole, probabilmentel’aria si sarebbe fatta fredda. Dunque mise alla Pina ilcappello di velo, e nella tasca si tenne la berretta di lana e sulbraccio prese la mantellina di lei.
Uscì: il corso era tutto elegante, fastoso, signorile,nella rossa luce del tramonto, che stendeva come un pulviscolo diporpora fra la gente, ed anche di microbi.
«Oh, io prendo la mia Pina in braccio, e chi vuol guardare,guardi», così deliberò il signor Aurelio.
Pensare che vent’anni addietro, quando lui abitava inquella città, da studente, si sarebbe messo a ridere vedendoun uomo con la barba come lui ora aveva, andare, a modo di unabalia, con una mimma in braccio!
Fece il corso. Giunsenella piazza dove erano i tram. Scelse untram che conduceva verso la collina, fuori di porta. Siattraversò un altro gran corso, poi con diletto si vide che lecase diradavano, ed i pioppi sorgevano verdi con un fremitogià di frescura vespertina. Il tram correva oramai per lacampagna, nella bianchezza della via, tagliata netta, ai margini,dal verde dei campi. Il tram cominciò a salire verso i primicolli, e quando fu giunto ad un piccolo alberghetto o ristorante,quivi le rotaie finivano ed il tram sifermò.
L’alberghetto era pulito, ed aveva una bella cucina. Lapadrona, in bel grembiale bianco vi troneggiava fra i fornelli e lecasseruole, e due minuscoli garzoncelli, in berrettino bianco,laaiutavano a sbucciare pisellini e tagliare una gran spogliagiallae grande come luna nascente.
— Buona sera, signore — e — oh, che bellamimma — disse la padrona venendo incontro agli ospiti.— Vuol restare servito qua? o vuole invece andar di sopra,che c’è una bella terrazza? C’è pronta unaminestrina di pastabattuta coi piselli che è una bontà, edei maccheroncini che aspettano che l’acqua bolla: poi cisono bistecche, costolette. Oh, vuole un mezzo pollastrino alladiavola? E da bere desidera vino o birra?
Anche qui non era facile decidere: ma quanto alla terrazza,sì, fu deciso: per il resto avrebbe pensato poi, macertamente, intanto, una minestrina minuta, e ben cotta per lamimma.
— E il brodo leggero, leggero, quasi acqua, miraccomando!
— Per questo non dubiti, Signore — dissel’ostessa.
Salì dove c’erala bella terrazza.
Essa era rossa di gerani in gran fiore e punteggiata dicampanelle che già chiudevano i loro petali iridescenti. Lasera imminente alitava la sua pace e la sua frescura, oramai,nell’aria calda del giorno.
La Pina vide le belle tavolepreparate, e fece un «oh»di felicità.
— Guarda, nei campi, mimma — disse il babbosollevandola —, ecco il grano. Esso è biondo oramai.Guarda sopra la collina quei bei draghi e serpenti grandid’oro che vi si posano: le nuvole. Vedi come si rompono,comesi snodano; dileguano, impallidiscono! E vedi tutti queicipressi neri come una processione? Oh, ma quelli non liguardare!
— Oh, la luna! — fece la mimma che aveva scopertoanche la luna, una falce pallida, pallida di luna nel cielod’oriente.
— Già,anche la luna: tutto tuo, mimma!
— Oh sì, e la pappa...
*
* *
Parlavano forte il babbo e la fanciullina perchè nellaterrazza non c’era alcuno.
Ma no! Nella stanzetta che precedeva la terrazza, c’era ungiovane: un elegante aitante giovane di primo pelo.Pareva solo: maanche uno meno distratto del signor Aurelio, subito si sarebbeaccorto che non era solo. Egli stava dritto e guardava i due nuovivenuti, mentre con una mano accarezzava una rotonditàprovocante che terminava in due scarpette alte e lucide. Eraunagrisettegraziosa, nascosta dalla figura del giovane edappoggiata al davanzale. Si voltò: apparve un volto birichinodi giovanetta, con un nasetto all’insù. Curva suldavanzale, la cara fanciulla si lasciava lisciare moltodilettosamente.
«Anch’io, se ben mi ricordo, vent’anni fa devoaver fatto qualcosa di simile — pensò senza rancore ilbarbuto signore — e certamente era una cosa molto piacevole.Anzi si può affermare che le osterie suburbane sono unasuccursale del paradiso; ed un’ostessa chetiene pronte letagliatelle e delle uova e delle bistecche, l’estatespecialmente che fa gonfiare i papaveri, ella è una benemeritadel genere umano; e tutte quelle buone cose da mangiare in due, frail verde, rappresentano come degli zeri aggiuntiall’esponente ben miserabile della felicità.»
Queste cose pensò il signor Aurelio mentre la Pinacontemplava nella sua innocenza un piccolo gnomo di terracotta, chela guardava dalla sua gran faccia di satiro ridente.
« — La presenza delle terze persone —continuò il signor Aurelio — non è piacevole, e noicerto non siamo piacevoli e bene accetti a