L'esercito e le guerre dell'Impero Romano d'Oriente
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Anteprima del libro
L'esercito e le guerre dell'Impero Romano d'Oriente - Giacomo Carrus
Bibliografia
Introduzione
Nella filosofia orientale è diffuso l'ideale metaforico dell'essere come l'acqua. Per aver successo, in una strada densa di imprevisti, è necessario comportarsi come farebbe un ruscello. Vale a dire che, di fronte ad ostacoli e barriere, è bene cercare la propria strada adattandosi al terreno che ci si trova davanti, evitando i punti forti dell'ostruzione, aggirandoli e intaccando i punti deboli. Non ostinarsi nel procedere a testa bassa ma fluire in maniera elastica giungendo all'obiettivo in modo da ottenere il massimo risultato col minimo sforzo. Una bella figura che richiama un deciso pragmatismo. E lungo il corso del Medioevo, ad est, ci fu una grande potenza che, più o meno consciamente e coerentemente, scelse la strada del pragmatismo per far fronte a pericoli che ne minavano la stessa sopravvivenza: l'Impero Bizantino. La deposizione dell'ultimo imperatore romano d'occidente Romolo Augusto da parte del generale barbaro Odoacre, avvenuta nel 476 d.C., segna canonicamente la caduta dell'Impero d'Occidente e la fine della Storia Antica che cedette il passo al Medioevo. Ma se Roma cadde, così non fu per la pars Orientis dell'Impero Romano. Nata in quanto entità politica autonoma nel 395 d.C. in seguito alla divisione dell'Impero attuata da Teodosio I, la sua fu una lunga esistenza che attraversò l'intero Medioevo fino alla caduta di Costantinopoli per mano degli ottomani nel 1453. L'Impero Bizantino nella Storia Medievale del Mediterraneo ha avuto un ruolo da protagonista, mantenuto anche grazie alla capacità di adattare la propria politica al procedere degli eventi. Fu questa una capacità che si dispiegò in particolare nell'ambito dei rapporti diplomatici, decisivi vista la posizione geografica dell'Impero, crocevia di continenti, popoli e culture. In questa stessa posizione geografica, quanto mai infelice rispetto alla controparte occidentale, diviso su tre continenti (Europa, Africa e Asia), con poche frontiere naturali e un territorio caratterizzato in generale da scarsa profondità strategica, l'Impero seppe resistere a lungo, anche in momenti critici di totale isolamento e pressione nemica sulle frontiere, perché seppe rivedere la sua strategia rispetto al modus operandi prevalentemente seguito dall'Impero Romano in età antica. Facendo meno affidamento sulle forze militari, pur sempre efficienti ma utilizzate più come un elemento di deterrenza, operando diverse forme di persuasione per gestire le crisi politiche e militari che via via si presentarono, adottando un ottimo meccanismo di raccolta delle informazioni sulle potenze concorrenti (ottimo per lo meno rispetto al periodo storico di riferimento, di certo approssimativo se paragonato alla cosiddetta intelligence dei nostri tempi), l'Impero mostrò una tenuta eccezionale anche di fronte a sconfitte militari apparentemente decisive, tenuta possibile solo grazie alla strategia di lungo respiro perseguita lungo l'intero corso della sua secolare storia¹. In questo libro si esamineranno gli aspetti salienti dell'azione politica e militare bizantina nei confronti di popoli e potenze straniere. Nella prima parte si descriveranno l'insorgere delle principali minacce esterne che misero in serio pericolo la stessa sopravvivenza dell'Impero, nonché, in generale, l'azione politico-diplomatica diretta verso il contenimento di tali minacce. Nella seconda parte si prenderanno in considerazione alcuni casi specifici particolarmente significativi rispetto ai rapporti diplomatici di Bisanzio con i suoi vicini, in particolare la creazione del cosiddetto Commonwealth Bizantino e il complesso rapporto con Venezia.
Giacomo Carrus
La lotta per la sopravvivenza dell'Impero: l’assedio permanente
Attraverso l'intero corso della sua storia l'Impero Bizantino dovette subire la costante pressione lungo tutti i propri confini da parte sia di potenze concorrenti che di ondate migratorie di intere popolazioni. Nei primi secoli del Medioevo le minacce maggiori vennero da est. Nemico storico di Costantinopoli fu l'Impero Sasanide, erede dell'Impero Partico, grande potenza il cui baricentro gravitava tra la Mesopotamia e gli altipiani iranici. I rapporti tra le due potenze alternavano momenti di pace a conflitti talvolta di entità tale da minacciare la stessa sopravvivenza dei due contendenti. Sotto questo aspetto, esemplare è il caso della guerra romano-persiana combattutasi tra il 602 e il 630. La scintilla che fece deflagrare il conflitto fu la riuscita ribellione del centurione Foca contro l'imperatore bizantino Flavio Maurizio Tiberio, terminata con l'uccisione di quest'ultimo e la proclamazione di Foca come imperatore. Ciò scatenò la reazione del re sasanide Cosroe II il quale era salito al potere nel 590 grazie all'appoggio militare proprio di Maurizio. Presentandosi pretestuosamente come il vendicatore del defunto imperatore bizantino, Cosroe aprì le ostilità nel 602. Inizia l'ultimo, grande, scontro romano-persiano². L'eccezionalità di questo conflitto rispetto alla minaccia permanente che premette da est nei primi secoli di storia dell'Impero d'Oriente è data dalla situazione disperata in cui venne a trovarsi l'Impero. L'avanzata persiana fu travolgente anche per le concomitanti invasioni della penisola balcanica da parte di Avari e Slavi e per una nuova ribellione all'autorità imperiale che, nel 608, portò al potere il giovane Eraclio, figlio dell'esarca di Cartagine³. Con l'esercito persiano sulla riva orientale del mar di Marmara solo la marina bizantina poté evitare un assalto diretto della capitale. Cosciente della straordinaria gravità della situazione, il giovane Eraclio decise di sfruttare il momentaneo arresto dell'avanzata sasanide avanzando di persona con un nuovo esercito in Asia Minore e togliendo l'iniziativa al nemico. Gli eserciti avversari si fronteggiarono per lo più a distanza senza che nessuno riuscisse a vibrare un colpo mortale contro il nemico. Cosroe, deciso a chiudere una volta per tutte la partita con la Nuova Roma, ordinò ai suoi generali di dividere le forze in modo che parte dell'esercito sasanide bloccasse Eraclio in Asia Minore, possibilmente sconfiggendo le sue forze, mentre il grosso delle truppe sarebbe tornato sul mar di Marmara in attesa di sviluppi positivi dell'assalto che gli Avari, spinti da ricchi doni e promesse dello stesso imperatore sasanide, stavano compiendo contro la capitale bizantina.
* * *
L'imperatore romano, conscio dell'insuperabilità delle strutture difensive della capitale, distaccato un piccolo contingente per partecipare alla sua difesa, sconfisse l'esercito mandatogli incontro. Infine, alleatosi in funzione anti-persiana con il bellicoso popolo dei Cazari, concepì l'idea di una fulminea avanzata verso la Mesopotamia e, con la clamorosa vittoria bizantina del 627 presso Ninive, l'esito del conflitto fu ormai deciso. L'Impero d'Oriente uscì vittorioso, ma ad un altissimo prezzo in termini di risorse economiche e di stabilità culturale e religiosa, mentre una nuova minaccia si prepara a sud-est, nella penisola arabica⁴. Nel vasto deserto arabo, oltre i regni cuscinetto dei Ghassanidi e dei Lakhmidi, nei primi decenni del VII secolo nasceva la religione islamica. La tradizione islamica narra che nel 610