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Insula Tresoya
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E-book296 pagine4 ore

Insula Tresoya

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Info su questo ebook

«Caro Jérôme,

notre primo incontournable, attrape-le comme un miracle, il est en train de changer. Cinque anneaux d'attention et de préparation pour un moment décisif.
Poi mi sono avvicinata et ses solos scopo di condurti sulla mia isola, l'Insula Oya. Mio padre époque était déjà en attente d'un changement de statut. Tu avevi inconsciamente dans l'histoire de la guerre à l'époque statutaire pour célébrer l'anniversaire de la fête.
Vos commentaires sur les actions et les conditions de vie de tous les jours. È giusto continuare a seguirlo sulla sua strada?
La vita ci propone delle scelte. Tocca a noi fare quelle giuste.

Marie, tua sorella che pensa a te. »

LinguaItaliano
Data di uscita16 lug 2019
ISBN9781547550289
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    Anteprima del libro

    Insula Tresoya - Lencroz Sébastien

    INSULA TRESOYA

    SÉBASTIEN LENCROZ

    INSULA TRESOYA

    Il Codice della proprietà intellettuale francese autorizza, ai sensi dell’articolo L. 122-5, 2° e 3° a, da un lato, solo copie o riproduzioni strettamente riservate all’uso privato del copista e non destinate all’uso collettivo e, dall’altro, analisi e brevi citazioni a scopo di esempio e illustrazione, mentre qualsiasi rappresentazione o riproduzione in tutto o in parte fatta senza il consenso dell’autore o dei suoi successori o aventi diritto è illegale (art. L. 122-4).

    Tale rappresentazione o riproduzione, con qualsiasi mezzo, costituirebbe pertanto una violazione, sancita dagli articoli L. 335-2 e seguenti del Codice della proprietà intellettuale francese.

    Copyright © 2018 – Sébastien LENCROZ

    Traduzione : Elisabetta De Martino

    ISBN: 979-10-96378-03-6

    Licenza: CCO CREATIVE COMMONS

    Al mio piccolo tesoro

    1

    Mentre ti guardo non riesco a levarmi quella canzone dalla testa.

    «Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri a teeeee.»

    Finalmente ti ho trovato. Quanto è stata dura! Sei stato proprio difficile da scovare.

    Che cosa sto facendo qui? Non posso spiegartelo ora, ma vedrai che ci conosceremo presto. Questo è un giorno importante per te e anche per me.

    Goditi questo momento con la famiglia al ristorante. Un buon tipico bistrot di Strasburgo, Au Pont Saint-Martin. Non conoscevo questo locale, ma mi piace molto l’ambiente. Ti ringrazio per avermi permesso di scoprirlo. Così saprò dove andare a mangiare la prossima volta che verrò nel capoluogo alsaziano. Il locale si trova ai bordi dell’Ill, piccolo fiume che attraversa il quartiere Petite France. Tutta la facciata è decorata con travi a vista e l’interno sembra quello di una tipica fattoria del posto. È molto caratteristico e davvero incantevole.

    Dal mio punto di osservazione ti vedo con i tuoi ospiti. Anche voi ammirate l’ambiente. La sala del ristorante è arredata con gusto. Alle pareti ci sono vecchi dipinti e utensili di altri secoli.

    Forse un giorno potremo incontrarci qui e mangiare insieme. Sto divagando. Sono qui per un solo scopo e non devo dimenticarmelo.

    Dalla mia posizione, attraverso il mirino del fucile, posso vedere tutti voi. Naturalmente voi non potete vedermi, sono ben nascosta, a più di cento metri di distanza. Ho scelto un’ottima posizione per sorvegliarvi. Non preoccupatevi, ci conosceremo presto.

    Avete tutti un’aria felice. Davvero un bel quadretto. Nulla mi assicura che questa apparente gioia sia reale, visto che i rapporti umani in fondo sono così ipocriti. Tu stai scherzando, eppure devo dire che non sembri forzato.

    Io non mi ricordo nemmeno più il mio ultimo momento di felicità, relax, condivisione con la famiglia o gli amici. Sarà passato di sicuro qualche annetto. Prima di lasciare la mia isola, probabilmente, quindi più di cinque anni fa. Quanto tempo!

    Ho aspettato questo momento con impazienza. Il ritorno a casa è finalmente a portata di mano. Mio padre mi aspetta. E i miei amici, cosa ne sarà stato di loro? Non sono stata autorizzata ad avvertirli che me ne stavo andando. Mi è stato proibito di contattarli e chiedere loro notizie. Ho dovuto sparire da un giorno all’altro per compiere la missione che mi è stata affidata da mio padre. Ho messo da parte la mia vita personale per il bene della nostra comunità, e di tutta l’umanità. Mio padre sarà orgoglioso di me. La tua vita, la mia vita, tutte le nostre vite cambieranno.

    Prendo in mano il cellulare e seleziono il numero di mio padre. Devo tenerlo al corrente.

    «Pronto papà, sono io. L’ho trovato. Sono vicinissima al figlio di Hélène.»

    «Benissimo. Finalmente! Ora recuperi il medaglione e lo porti subito a casa. Io sono qui che ti aspetto.»

    «Non vedo l’ora. Io...»

    «Avresti anche potuto sbrigarti più in fretta» mi interrompe lui. «C’è voluto un bel po’ di più di quanto pensassi. Ma lo sai bene anche tu. Hai visto il medaglione?»

    «Non ancora. Mi manca la conferma visiva prima di agire. Sono sicura che ce l’abbia addosso. Una volta che l’avrò visto, metterò in azione il piano. Ho preparato tutto alla perfezione per recuperarlo senza difficoltà. Prometto che questa volta non ci saranno più morti.»

    «La cosa essenziale è il medaglione. Alcuni sacrifici contribuiscono al bene dell’umanità. L’importante è che tu non ti faccia notare o, peggio, arrestare. Inoltre, se stasera avrai in mano il medaglione, gli ultimi sacrifici non saranno stati vani.»

    Mio padre ha ragione. Ha sempre ragione. Che fortuna essere sua figlia!

    Se recupero il tuo medaglione prima di mezzanotte, sarà perfetto.

    La morte di tua madre avrà avuto un senso perché mi ha permesso di trovarti. Non avrà sofferto per niente. La tortura sarà stata utile e lei avrà smesso di vivere per contribuire alla nostra causa. Anche se non mi ha voluto dire subito dove si trovasse il medaglione. In effetti non mi ha detto nulla. Mi ha nascosto il fatto che ce l’avessi tu. È stata male, io l’ho fatta soffrire, ma non ha parlato. Per tutta la durata dell’interrogatorio ha continuato a proteggerti. Tu non la conosci, ma lei ti ama molto. Pardon, ti amava molto.

    Io non ho avuto la tua fortuna, non ho avuto lo stesso affetto dai miei genitori. Mio padre mi ha cresciuta da solo. Mia madre è scomparsa quando ero bambina. Un po’ ce l’ho avuta con tua madre. Ero gelosa dell’amore che aveva per te, quello che mia madre non aveva mai avuto la possibilità di dimostrarmi. Questo mi ha motivato ancora di più a trovare te e il tuo medaglione.

    Mi serve. Ne ho bisogno più di te e saprò cosa farne. Voglio tornare a casa e ho sete di lode e ringraziamento. Mio padre sarà finalmente fiero di me e me lo dirà. Devo riportargli questo medaglione. La mia impazienza nei confronti di tua madre l’ha uccisa. Non è colpa mia. Tutto quello che doveva fare era dirmi dove trovarti.

    Tu non conosci la tua madre biologica, ma lei non poteva tradirti. Credimi, tu le assomigli molto. Non ho mai visto tuo padre, quindi non so da chi hai preso di più, ma hai sicuramente molti tratti di tua madre. Avete le stesse linee del viso, gli occhi azzurri, il naso arrotondato, e soprattutto le fossette sulle guance. Tu sei lei in versione maschile.

    Io non so da chi ho preso di più. Non assomiglio molto a mio padre, ma ho pochissimi ricordi di mia madre.

    Ritornando a tua madre, mio padre mi considera responsabile della sua morte. Il mio primo fallimento. A metà, direi, perché almeno sono riuscita a trovarti. Oggi sono così vicina, così vicina a te.

    Indossi il medaglione, giusto? Non ho alcuna voglia di cambiare tutti i miei piani. Mi ci sono voluti giorni per metterli a punto. Tu non puoi saperlo, ma ho anche insistito tanto al telefono chiedendo di prenotare proprio quel tavolo. Ho chiamato il ristorante fingendo di essere un membro della famiglia e ho chiesto di riservare quel posto perché ci tenevi. Ci terremo entrambi, perché sarà il luogo del nostro primo incontro.

    Tutto è pronto per oggi. Lo scoprirai e sarai il mio attore principale. Solo una piccola incertezza. Lo indossi il medaglione, vero? Sarebbe sbagliato non indossarlo. È un gran giorno. È il giorno del tuo trentesimo compleanno. Non facciamo improvvisazione.

    Devo ancora aspettare di vedere il medaglione? O devo sparare e vederlo una volta sul posto?

    Il cuore comincia a battermi un po’ più in fretta. Devo stare molto attenta a controllare il respiro. Bisogna infatti che rimanga stabile e costante. Devo mantenere la concentrazione e soprattutto rilassare il battito cardiaco al minimo per la massima efficienza.

    Sto regolando la tacca di mira. Controllo tutti i parametri come durante l’addestramento. Per non correre alcun rischio, nei miei calcoli ho preso in considerazione anche lo spessore del vetro. Ho controllato sul posto. Sono doppi vetri. Un semplice spostamento di alcuni gradi dell’angolo di tiro ed è fatta. Il mio istruttore sarebbe orgoglioso di me.

    Passerete tutti qualche momento molto particolare. Tutti sembrano felici e si scambiano sorrisi. Quindici persone sono sedute al tuo fianco. Sono in attesa del dessert e del mio regalo. Famiglia e amici avranno un posto in prima fila. Io ti metterò al centro dell’attenzione, fidati di me. Il tuo mondo idilliaco sta per finire.

    È da tempo che mio padre mi ha preparato per questo giorno. Sono cinque anni che manco da casa. Cinque anni che inseguo quel medaglione. Cinque anni che ci portano a incontrarci. Cinque anni che pensavo di aver perso, fino ad ora. Cinque anni che cerco un riconoscimento da parte di mio padre. Finora non ci ero riuscita, ma oggi finalmente mi sento più forte, così vicina al successo.

    La mia concentrazione è al massimo. Riproduco il metodo appreso durante l’addestramento, insieme ad altri mercenari, dal mio istruttore, che è stato uno dei migliori agenti delle forze speciali del suo tempo. Tutti i miei sacrifici saranno ricompensati. Devo concentrarmi sull’obiettivo, è molto importante. Devo svuotare la testa.

    Nessun danno collaterale e tutto andrà bene. Tu sei il bersaglio. Solo tu. Guardo tutti i presenti e poi miro su di te. Prima immagine, il tuo volto gioviale. Mi sorprendo a sorridere tanto il tuo viso è comunicativo. Miro leggermente in basso per colpire la tua spalla destra. Hai una catenella d’oro. Vedo sotto la tua camicia la forma del medaglione. Sono arrivata al traguardo.

    Torno al mio obiettivo, la spalla. Una pallottola ben piazzata funziona sempre. Un bello schizzo di sangue, ma fortunatamente per te, so cosa sto facendo. Non rischierai nulla. Sarò presto lì con te.

    Il vuoto completo. Respiro sempre più lentamente e chiudo gli occhi per un attimo. Il vuoto. Mi concentro sul mio obiettivo. «Tu sei solo un anello della catena» mi ripeteva sempre mio padre. Mi rendo conto di quanto sia importante il mio ruolo in questo momento. Mio padre sarà fiero di me.

    Cinque anni che mio padre mi manca. Cinque anni che corro dietro quel medaglione. Cinque anni difficili per meritare appieno il ritorno sulla mia isola.

    Riapro gli occhi. È giunto il momento. L’angolo di tiro è perfetto. Tutti sono concentrati sulla tua torta di compleanno. Con lo stomaco ben pieno, tutto quello che ti resta da fare è spegnere le candeline e poi tocca a me.

    Pum.

    2

    Ti piace il mio regalo di compleanno?

    Nessuno nel ristorante capisce cosa sia appena successo. Un rumore sordo, che corrispondeva al proiettile che attraversava la finestra, ha sorpreso tutti. Ne è seguito un grazioso schizzo di sangue sulla torta. Tutta la tavolata si congela per qualche secondo. E poi il panico. La tua famiglia ti circonda per vedere cosa sia successo. Spero che qualcuno abbia la presenza di spirito di comprimerti la ferita. Così non sanguinerai troppo e io arriverò giusto in tempo per il tuo svenimento. Mi bastano dai dieci ai quindici minuti per sgombrare.

    Metto via tutto. Sono meticolosa, non devo lasciare tracce. Ogni pezzo del fucile trova posto nella mia valigetta. Raccolgo anche il bossolo caduto a terra. Nel giro di due minuti non è rimasto alcun segno della mia presenza. I miei anni di addestramento stanno dando i loro frutti. Non sono mai stata così diligente. Per essere sicura di non lasciare alcuna traccia, getto un po’ di benzina. Poi allungo una miccia lenta comprata in rotolo in un negozio di fuochi d’artificio. Secondo i vari test che ho eseguito, la lunghezza che estendo fino alla porta mi darà circa venti minuti di tempo prima dell’arrivo dei pompieri e dieci minuti prima dello scoppio. Le forze dell’ordine non sapranno più dove sbattere la testa una volta arrivate sulla scena del crimine.

    Il conto alla rovescia è partito. Sono già uscita dall’edificio ed entro nell’ambulanza parcheggiata. Mi ci vogliono solo pochi secondi per cambiarmi d’abito. Una vera trasformista alla Arturo Brachetti, per gli intenditori.

    Mi premuro di allontanarmi un po’ dalla zona prima di mettere la luce lampeggiante e soprattutto la sirena, in modo che tutti possano sentirmi arrivare. Finalmente ci conosceremo meglio. Parcheggio proprio di fronte al ristorante.

    La folla davanti al locale sta crescendo rapidamente. Tutti vogliono vedere cos’è successo. Nel giro di cinque minuti i curiosi sono usciti dalle loro tane. Mentre scendo dall’ambulanza sento serpeggiare i più vari sospetti: attentato, regolamento di conti o altri fatti di cronaca.

    Quanto sono ingenui. Non hanno idea di cosa stia succedendo. Tutti ignoranti. Pensano di essere protetti da un sistema, invece non hanno più libertà. Presto offriremo loro una nuova vita. Tutto ciò che sta accadendo in questo momento è per il loro bene. Ma loro non lo sanno, altrimenti non credo che l’equilibrio della nostra società reggerebbe ancora per molto.

    Entro rapidamente nel ristorante con la mia borsa da medico ostentando sangue freddo. Mi rimane solo metà del tempo previsto. Il mio piano ha qualche difetto, ma nessuno deve rendersene conto. La convinzione che ostento lo maschererà. Così potremo partire il più presto possibile. Delle domande che sorgeranno dopo la partenza non mi interessa, saremo già lontani.

    «Lasciate passare i soccorsi» grida il direttore.

    «Grazie, fatemi passare per favore.»

    Finalmente mi avvicino a te. Finalmente mi avvicino al medaglione.

    Sono arrivata.

    Tu sei sdraiato sul tavolo. Sono orgogliosa del mio tiro. Ho fatto un buon lavoro. Non hai perso troppo sangue, perché tuo fratello ha avuto i riflessi pronti e ha compresso subito il punto di ingresso del proiettile. Cerco di eseguire tutti i tipici gesti di primo soccorso che ho visto fare ai personaggi delle serie televisive.

    «È stabile, va bene così» dico. «Ora aiutatemi a trasferirlo sulla barella.»

    «Dove sono i suoi colleghi, perché è da sola?» mi chiede tuo fratello.

    «Ho preso la chiamata d’emergenza mentre tornavo a casa. Essendo la più vicina, ho fatto una leggera inversione di marcia per arrivare prima sul posto e recuperare il paziente il più velocemente possibile. È urgente! Non c’è tempo da perdere!»

    Piuttosto convincente, no? Sono orgogliosa della mia risposta. D’altra parte dobbiamo partire in fretta, prima che arrivino i veri soccorsi. Non ci restano che cinque minuti.

    «Mettiamolo sulla barella» ordino. «Al mio tre. Uno, due e tre. Lo porto alla clinica universitaria di Strasburgo. I famigliari lo potranno raggiungere in loco.»

    Comincio a spingere il ferito verso l’ambulanza quando tuo padre mi afferra il braccio.

    «Vengo con lei. La accompagno. Non può lasciarlo da solo nel retro.»

    «Mi spiace, non sono autorizzata. Devo recuperare il mio collega che mi aspetta a due isolati da qui. Si prenderà cura lui del paziente.»

    «Dispiace anche a me, ma non posso lasciarla andare da sola con lui. Voglio solo stargli accanto, tutto qui!»

    Piuttosto testardo tuo padre. Niente da fare. Dovrò occuparmi di lui quando sarà il momento. Senza danni collaterali, naturalmente. È in cattive condizioni di salute, quindi me lo mangerò in un sol boccone.

    «Va bene. Veloce! Salga! Porterò però una sola persona, altrimenti il mio collega non potrà prendersi cura del ferito e mi farà una ramanzina. Sapete comunque tutti dove siamo diretti.»

    Muoviamoci. Sento altre sirene in lontananza. I soccorsi stanno arrivando, ma ormai è troppo tardi. I clienti e i tuoi cari rischiano di iniziare a fare domande. Tu sei nella mia ambulanza e tuo padre è seduto accanto a te. Accendo il motore.

    Toc toc.

    Tua madre adottiva bussa al finestrino. I tuoi genitori sono tipi appiccicosi.

    «Ehi! Ma non aspetta la polizia?»

    «Mi piacerebbe, ma se aspetto la polizia suo figlio morirà. E dovrete fare tutti una deposizione in modo che le autorità capiscano cosa è successo. Sarete responsabili della sua morte.»

    «Mi scusi, me lo stavo solo chiedendo.»

    «È una giusta domanda, ma è a lui che hanno sparato. È un lavoro da professionisti. Ve lo assicuro, in caso di decesso la polizia se ne occuperà. Ora dobbiamo andare!»

    Le mie ultime parole hanno avuto l’impatto desiderato. Partiamo e lasciamo tua madre a piangere sul marciapiede. La vedo allontanarsi nello specchietto retrovisore. È tutta pallida e sembra che stia per svenire. I tuoi amici la fanno sedere su una sedia.

    Siamo finalmente soli, o almeno, quasi soli.

    Con la luce lampeggiante accesa e la sirena urlante, accelero. La polizia non è lontana, questo è sicuro, e sarebbe meglio per me, per noi, se non fossimo più nei paraggi. Appena passata la prima curva, vedo arrivare le luci dell’ambulanza o della polizia. Siamo partiti appena in tempo. L’incendio dovrebbe scoppiare presto. Più avanti incrociamo un’auto della polizia, ma per il momento non hanno idea di nulla. Accelero ancora di più una volta usciti dal centro storico. Non siamo seguiti.

    Per non suscitare sospetti in tuo padre, decido di mandare un messaggio con la radio. Prendo l’apparecchio e inizio il mio piccolo discorso.

    «Qui è l’ambulanza 126. Ho appena recuperato la vittima di un colpo di arma da fuoco dal quartiere Petite France. Maschio di trent’anni, ferito alla spalla. Il proiettile non pare essere fuoriuscito. Parametri stabili. Ha perso molto sangue ed è incosciente. Arriviamo tra meno di dieci minuti.»

    Ho alzato la voce in modo che tuo padre sentisse tutto. Dalla sua posizione non vede che la radio è spenta, deve pensare di essere in un’ambulanza che porta suo figlio in ospedale.

    Il tempo mi ha insegnato che più una persona si sente circondata da un clima di sicurezza e fiducia, più è vulnerabile al momento opportuno. Ne avrai la prova tra pochi istanti.

    Arriviamo infine al parcheggio dell’ospedale. Spengo la luce lampeggiante e la sirena. Anche se sono sicura di me, mi assale un leggero dubbio. Il timore di essere stata seguita e di fallire. Un piccolo brivido, ma ormai ci sono. Prima di entrare nel parcheggio noto che nessuno ci ha seguito. La via è libera. Il mio piano sta funzionando come un orologio. C’è solo un piccolo intoppo che va risolto: tuo padre.

    Mi fermo in una parte isolata del parcheggio. Tuo padre comincia a preoccuparsi, perché non ci siamo fermati esattamente al pronto soccorso. Dopo essere stato rassicurato dall’aver visto l’ospedale, l’effetto sorpresa funziona a meraviglia.

    Non ci sono passanti in giro. Ho anche avuto cura di parcheggiare in un luogo non coperto dalle telecamere. Il complesso studio preliminare sta dando i suoi risultati.

    Scendo in fretta dall’ambulanza e mi dirigo verso il portello posteriore. Tuo padre non può uscire da solo, il meccanismo è bloccato. Non volevo correre il rischio che fuggissi. I minuti sono contati e non dobbiamo farci notare. Apro il portellone per affrontare tuo padre e gli punto contro la pistola.

    Avresti dovuto vedere la sorpresa nei suoi occhi. È esattamente ciò che stavo spiegando.

    «Non faccia nulla di stupido e tutto andrà bene. Altrimenti non esiterò a sparare. Così eviterete entrambi di morire.»

    «Chi è lei? Cosa vuole da noi?» balbetta lui.

    «Stia zitto e faccia il bravo. Altrimenti sua moglie rimarrà vedova e dovrà anche piangere la perdita del figlio adottivo.»

    La sorpresa nei suoi occhi mi riempie di gioia e di entusiasmo. Eh sì, so tutto. Amo questo momento in cui nella mente delle persone tutto si confonde. È il momento in cui le domino, in cui posso fare con loro quello che voglio.

    «Hélène le manda i suoi saluti dal cielo. Aveva con sé un regalo che cerco da anni e l’ha lasciato a suo figlio. Sta a lei permettermi di recuperarlo cosicché suo figlio adottivo non vada a raggiungere la sua vera madre.»

    Il tuo padre surrogato è congelato. Ha lo sguardo perso. Il suo cuore non reggerà a lungo. Sono abbastanza sicura che tua madre adottiva non gli abbia detto tutto. È meglio così. Non avrà la possibilità di riprendersi. Gli ho già dato il colpo di grazia. Cade dall’ambulanza e si accascia a terra. Dovrebbe farcela, avrei potuto essere più cattiva. Però non è questo il mio obiettivo.

    Controllo il parcheggio per assicurarmi che non ci siano spettatori indesiderati sulla scena. Do una bella occhiata in giro. Nemmeno un rumore. Non c’è ancora nessuno. Devo sbrigarmi.

    Entro nel retro dell’ambulanza passando sopra il corpo di tuo padre e ti apro la camicia. Il sudore mi scorre lungo la schiena. Mi prende una vampa, un dubbio. Invece c’è. Il medaglione brilla intorno al tuo collo. Non so come ringraziarti. È il tuo compleanno e sei tu che mi stai facendo un bel regalo.

    Non c’è tempo per tirare in lungo. Nemmeno un attimo per ammirare il tuo regalo. Avrò tutto il piacere di farlo

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