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La settima notte (eLit): eLit
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E-book172 pagine2 ore

La settima notte (eLit): eLit

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Info su questo ebook

ROMANZO INEDITO

Sette giorni e sette notti soltanto. Il tempo che scorre lento, scandito come da una clessidra...
La misteriosa isola di Columbé, dove affascinanti rituali arcani e cerimonie vudù sono parte della quotidianità.
Angosciosi incubi che sembrano in tutto e per tutto inquietanti premonizioni...
LinguaItaliano
Data di uscita1 apr 2019
ISBN9788858999943
La settima notte (eLit): eLit
Autore

Amanda Stevens

Amanda Stevens is an award-winning author of over fifty novels. Born and raised in the rural south, she now resides in Houston, Texas.

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    Anteprima del libro

    La settima notte (eLit) - Amanda Stevens

    successivo.

    Prologo

    ... Di morte, di putrefazione e di sonno non naturale. Una forza superiore a cui non possiamo opporci ha contrastato i nostri progetti. Vieni, vieni via!

    Romeo e Giulietta, Atto V, Scena III

    «Stanotte ho fatto di nuovo lo stesso sogno.»

    «Era proprio identico?»

    Più che da curiosità, quella domanda era motivata dall'interesse del medico per la sua paziente, eppure mi parve di avvertire una nota di tensione nella voce del dottor Layton. O si trattava soltanto di una manifestazione della mia ansia, in altre parole, della mia immaginazione?

    Strofinandomi le braccia per scacciare il freddo improvviso che si era impadronito di me, guardai fuori, verso le barche che veleggiavano sulla superficie gelida del lago Michigan, tornando all'ormeggio alla fine del giorno. Negli edifici circostanti si accendevano le prime luci, occhieggiante anticipo del crepuscolo di Chicago.

    Il dottor Layton mi scrutava attento in attesa di una risposta. «Perché non me ne parli, Christine?» domandò con dolcezza.

    «Non saprei da dove incominciare» mormorai di rimando, pur traendo conforto dal comportamento del medico. Lo conoscevo da anni, era lui ad avermi aiutato in uno dei momenti peggiori della mia vita, alcuni anni prima, quando avevo perso mio marito.

    Danny era stato ammazzato da un automobilista ubriaco, e all'epoca avevo provato gli stessi sensi di colpa, la stessa inettitudine che provavo adesso.

    Ecco perché ero tornata da Layton. Perché mi fidavo di lui, e perché avevo un disperato bisogno di parlare con qualcuno.

    «È stato come gli altri sogni, ma questa volta addirittura più vivido, più allarmante.»

    «Comincia dal principio.»

    «Facile a dirsi!» protestai. «Non so mai dove finisce la realtà e incomincia il sogno. Non so neppure se dormo o sono sveglia. A volte temo di soffrire ancora di sonnambulismo, e la cosa mi fa paura. Mi sento... mi sento così priva di controllo!» sbottai esasperata, mettendo finalmente a nudo le mie vere paure.

    «Quindi non ricordi di esserti addormentata?»

    «No.»

    «Non è un fenomeno insolito, Christine.»

    «Lo so, ma è diverso. Non so come spiegarmi senza fare la figura della pazza.» Ecco, finalmente l'avevo detto. «Più che un sogno, si direbbe una visione. È come un messaggio, dottore. Lei crede nelle premonizioni?»

    «Non le escludo a priori. È questo che pensi ti stia succedendo, Christine?» insistette il medico.

    Scossi il capo, lo sguardo ancora fisso sulla superficie grigiastra del lago Michigan. Con la mente, però, vedevo le acque turchesi dei Caraibi, avvertivo la brezza marina che mi accarezzava il volto. Non poteva essere un ricordo, visto che non ero mai stata ai Caraibi, eppure se chiudevo gli occhi avevo l'impressione di poterlo quasi gustare.

    «Non so cosa mi stia succedendo» confessai.

    «Perché non mi racconti tutto ciò che ricordi?»

    Mi strinsi nelle spalle. «Ieri sera, stavo guardando un talk show in televisione. Ricordo tutto alla perfezione: la sigla, gli ospiti, l'argomento di discussione. Poi sono andata in cucina a prendere qualcosa da bere, e in un batter d'occhio è cambiato tutto. Mi sono ritrovata avvolta dalla nebbia, come tutte le altre volte.»

    «Eri ancora in casa tua?»

    «No, ero fuori. Sentivo il rumore del mare in lontananza, forse sotto di me. Ricordo distintamente il profumo di spezie e fiori esotici, e il rullo incessante dei tamburi che mi attirava sempre di più nella nebbia. E là, invisibile, c'era qualcuno che mi chiamava, che mi ordinava di raggiungerlo. Ma non so il perché, dottor Layton.»

    «Davvero non lo sai?»

    «No!»

    «Quando hai ricevuto la prima telefonata di tuo padre, Christine?»

    «Una settimana fa, gliel'ho già detto. Erano anni che non mi chiamava.»

    «E quando hai avuto la prima visione?»

    «Proprio il giorno dopo quella prima telefonata di mio padre da Columbé» risposi preoccupata.

    «E quando ti ha chiamato l'ultima volta?»

    «Ieri.»

    «Cosa ti ha detto? Come ti è sembrato?»

    «Mi ha ripetuto la richiesta di raggiungerlo sull'isola. Sembrava... agitato.» Per un attimo chiusi gli occhi, ripensando alle parole di mio padre. Ti prego, Christine. Voglio rivederti. Voglio imparare a conoscerti. Ho bisogno di te, sei la sola famiglia che mi resta. Sei l'unica di cui mi posso...

    Proprio allora era caduta la linea, ma io ero pronta a giurare che mio padre fosse stato sul punto di aggiungere fidare. Ero l'unica di cui potesse fidarsi.

    Ma per quale motivo fidarsi di una figlia che non vedeva da più di dieci anni, e che aveva abbandonato più di vent'anni prima, quando era ancora una bambina? Mio padre si era formato un'altra famiglia, e per quella aveva abbandonato mia madre e me.

    La voce calma del dottor Layton irruppe nei miei pensieri. «Ti è parso che la sua telefonata comunicasse la stessa sensazione di ansia che hai avvertito poi nei sogni?»

    «Capisco cosa vuole dire, dottore, ed è facile stabilire il parallelo, ma questo non mi aiuta a fermare i sogni.»

    «Io invece credo che tu sappia cosa fare per fermarli, Christine.»

    Infine sollevai lo sguardo verso il dottore. «Devo andare a Columbé ad affrontare mio padre.»

    «E vuoi farlo?»

    «Sì» bisbigliai con un filo di voce, sforzandomi di trattenere le mille emozioni che di colpo mi avevano assalita. «Ho sempre desiderato farlo.»

    «Allora cos'è che ti trattiene?»

    «La scuola. Ho degli obblighi nei confronti dei miei studenti. Senza contare che Columbé non è proprio il luogo più sicuro della terra.»

    «Ma fra una settimana incominciano le vacanze di primavera» mi fece notare il dottor Layton. «Di cosa hai paura veramente, Christine? Forse di un incontro con il tuo fratellastro?»

    «Oh, no, dottore! Reid St. Pierre non significa niente per me. Non penso più a lui.»

    Il medico sollevò le sopracciglia. «Mai?»

    «Non mi fa paura» replicai coraggiosa.

    «Allora direi che non c'è nulla che ti trattenga dal partire.»

    «No, ha ragione» riconobbi. Nulla all'infuori dei miei sogni. E di Reid St. Pierre.

    Nonostante ciò che avevo appena detto al dottor Layton, la sua immagine mi era rimasta impressa a fuoco nella mente. E per quanto mi ostinassi a negarlo, avevo una paura matta di rivederlo.

    Già, perché in passato avevo fatto altri sogni. Sogni fantastici, sogni erotici su di lui. Sogni che a loro modo erano ancora più spaventosi degli incubi attuali.

    E ciononostante, sapevo che il dottor Layton aveva ragione. Non c'era che un modo per porre fine a quegli incubi: partire al più presto per Columbé.

    1

    La prima notte

    Vista dal cielo, l'isola di Columbé brillava come un gioiello sullo sfondo scintillante dei Caraibi, ma non appena giunti a terra ci si rendeva conto che in quel paradiso regnava un caos sconcertante. Soldati armati stazionavano a ogni ingresso del piccolo aeroporto, tenendo d'occhio i passeggeri che sbarcavano.

    Ero molto lontana da Chicago, e nonostante la dilagante sensazione di disagio, non riuscivo a contenere l'entusiasmo. Finalmente ero a Columbé, un luogo che avevo sognato per quasi vent'anni, che a fasi alterne avevo amato e detestato, e che ancora era pregno di antichi misteri e riti vudù. Un luogo che pulsava del ritmo primitivo dei tamburi che echeggiavano nell'oscurità.

    Sei a casa.

    Da un momento all'altro avrei rivisto mio padre, e tutto a un tratto era come se gli anni di lontananza tra noi non avessero più importanza. Stringendomi forte le mani, mi guardai intorno con uno sguardo ansioso.

    Dove diamine era? Per quale motivo era in ritardo? E sarebbe venuto da solo, o lo avrebbe accompagnato anche Reid?

    L'eccitazione si tramutò in sgomento. Chissà che aspetto aveva Reid dopo tanti anni? Era ancora arrogante, ancora così misteriosamente distaccato? Ancora incredibilmente bello come lo ricordavo?

    Il cuore mi balzò nel petto al pensiero dell'uomo che avevo conosciuto dieci anni prima, e che all'epoca non aveva dimostrato il benché minimo interesse nei miei confronti. Maledizione! Con tutta probabilità, Reid St. Pierre non ricordava neppure chi fossi, e io ero tanto stupida da fremere ancora al suo ricordo.

    Quando aveva ventiquattro anni, era il sogno di qualsiasi ragazzina: alto, bruno, meraviglioso, con un fascino che avrebbe scaldato il più glaciale dei cuori femminili. Per una ragazza di diciott'anni che in vita sua non aveva avuto altro che sogni, era risultato addirittura travolgente.

    Forse per questo lo avevo detestato con tutta me stessa sin dal primo momento.

    E adesso, mentre avanzavo in coda verso la dogana, ripresi a pensare a quel nostro primo incontro, nel dormitorio del college che frequentavo allora.

    «Christine, mia cara» mi aveva detto mio padre. «Questo è il tuo fratellastro Reid. È ora che voi due impariate a conoscervi. Dopotutto, fate parte della stessa famiglia.»

    Ignaro delle occhiate adoranti delle mie amiche, Reid mi aveva scoccato un sorriso smagliante. E poi, prima ancora che avessi il tempo di capire cosa stava succedendo, mi aveva preso una mano e se l'era sollevata alle labbra.

    Quel bacio leggero aveva scatenato in me una girandola di sensazioni inaspettate, e ne ero rimasta tanto scioccata da ritrarre in fretta la mano.

    Reid era scoppiato a ridere, una risata tipicamente maschile che era echeggiata nel più profondo del mio essere. Non avevo esperienza in fatto di uomini, allora, a stento uscivo con i miei coetanei, eppure avevo capito che Reid St. Pierre poteva risultare un uomo estremamente pericoloso.

    «Non mi sembra che Christine sia entusiasta dell'idea di avere un fratello» aveva commentato Reid.

    «Sciocchezze» gli aveva risposto mio padre. «Ogni ragazza desidera un fratello maggiore.»

    Reid aveva sorriso di nuovo, ma mentre usciva dalla stanza, io non avevo potuto fare a meno di pensare che per me lui non sarebbe mai stato un fratello.

    Il ricordo svanì all'improvviso, lasciandomi interdetta a domandarmi quale sarebbe stata adesso la mia reazione a Reid St. Pierre.

    Poi la coda si mosse, e io avanzai di qualche passo. Intorno a me parlavano tutti, e per ingannare l'attesa cercai di cogliere qualche brano della conversazione degli altri passeggeri.

    «Tu credi agli zombi?» mormorò una voce femminile alle mie spalle.

    Con un sussulto, mi girai di colpo e mi accorsi di due missionarie che erano partite con me da Chicago.

    Una delle due, forse la più giovane, si rivolgeva alla compagna in tono sommesso, quasi avesse paura di dare voce a certi sospetti.

    «Andiamo, Patsy» le rispose la collega più anziana. «Sai bene che Padre Ingram ci ha raccomandato di non lasciare spazio all'immaginazione. Siamo qui a Columbé proprio per combattere queste superstizioni, non dimenticarlo.»

    «Lo so, ma Mary Alice è stata qui per tre mesi l'anno scorso e mi ha detto... mi ha detto...»

    Cosa?, avrei voluto gridare. Cos'ha detto Mary Alice?

    «Ha detto che gli zombi esistono per davvero, e che certe persone adoperano veleni, magia nera e spiriti maligni per catturare l'anima di altre persone. È questo che crea uno zombi... una persona viva, ma priva dell'anima, un corpo senza volontà. Mary Alice dice che si deve fare molta attenzione quando si cammina per strada la sera, e che non bisogna mai, per nessun motivo, uscire dalla macchina dopo il tramonto. Gli zombi si muovono di notte.»

    Rimasi tanto scossa da quelle parole, che quando qualcuno mi toccò la spalla, sobbalzai impaurita. Non mi ero accorta di essere arrivata al cospetto del funzionario di dogana.

    Dopo avere controllato il contenuto della mia valigia, l'uomo incominciò a interrogarmi. «Per quanto tempo intende trattenersi a Columbé?» volle sapere.

    «Non ne sono sicura. Forse qualche giorno, forse un paio di settimane.»

    «Ha già il biglietto di ritorno?»

    «Sì, ma è aperto. Ci sono forse problemi?»

    Lui mi rispose con un'altra domanda. «Dove alloggerà?» volle sapere, e nei suoi occhi saettò un'espressione sospettosa.

    In fretta e furia, cercai di rassicurarlo a riguardo. «Mio padre abita qui» lo informai quindi. «È il proprietario di un albergo, il St. Pierre di Port Royale, e non so ancora se mi fermerò in albergo o a casa sua.»

    Un'ombra passò sul volto dell'uomo, anche se non ne compresi il motivo. Poi, dopo un altro attento esame del contenuto della

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