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Telyon: La Storia Antica; Vol.1 di 2
Telyon: La Storia Antica; Vol.1 di 2
Telyon: La Storia Antica; Vol.1 di 2
E-book338 pagine4 ore

Telyon: La Storia Antica; Vol.1 di 2

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Info su questo ebook

PRIMO VOLUME DI UNA SAGA CHE RIMARRA' INCOMPLETA.
Un pianeta morente riportato alla vita. Creature pure e affamate di conoscenza muovono i loro primi passi avvolti dalla luce. Gli Elfi. Tra antiche profezie e potenti magie, il mondo verrà presto colonizzato e spartito fra diverse Casate, destinate a convivere in pace e armonia. Ma un nemico della luce si nasconde sull'Isola di Aravia: l'Hyrkale. Amore e odio, lealtà e tradimento, giustizia e vendetta. Tra le sabbie del deserto o all'ombra di una foresta, non potrete evitare di perdervi nel magico mondo di Telyon.
LinguaItaliano
Data di uscita20 feb 2019
ISBN9788832521795
Telyon: La Storia Antica; Vol.1 di 2

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    Anteprima del libro

    Telyon - Laura Santella

    Jury Squarcia Laura Santella

    Telyon

    La Storia Antica

    UUID: 867fc082-9117-11e9-b750-bb9721ed696d

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Frontespizio

    Dedicato a...

    INFO

    Mappa del Mondo di Telyon

    Mappa dell'Isola di Elidor

    Mappa del Grande Continente di Lyemaar

    Mappa del Grande Continente di Lyemaar

    Mappa del Grande Continente di Lyemaar

    Mappa dell'Isola di Aravia

    Mappa dell'Isola di Nimhron

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    CAPITOLO 5

    Capitolo 6

    CAPITOLO 7

    CAPITOLO 8

    CAPITOLO 9

    CAPITOLO 10

    CAPITOLO 11

    CAPITOLO 12

    CAPITOLO 13

    CAPITOLO 14

    CAPITOLO 15

    CAPITOLO 16

    CAPITOLO 17

    CAPITOLO 18

    CAPITOLO 19

    CAPITOLO 20

    CAPITOLO 21

    CAPITOLO 22

    CAPITOLO 23

    CAPITOLO 24

    CAPITOLO 25

    CAPITOLO 26

    CAPITOLO 27

    Glossario

    ANTICIPAZIONI

    GLI AUTORI

    Frontespizio

    Jury Squarcia Laura Santella

    TELYON

    La Storia Antica

    Volume 1

    di 2

    Dedicato a...

    A chi ha ancora la forza di sognare.

    A coloro che non hanno paura di farsi guidare

    dall'istinto e dalla fantasia.

    A te che hai ascoltato la voce di Lyemaar

    senza neanche sapere chi è...

    Che la luce degli Elfi guidi la tua mente

    attraverso questa storia.

    INFO

    Copia in formato e-book pubblicata tramiteStreetLib

    Copia in formato cartaceo stampata nel Marzo 2019

    Prima ristampa Settembre 2019

    Copertina e illustrazioni interne a cura di

    Jury Squarcia

    Editing a cura di

    Lisabetta Mugnai

    www.laura-santella.jimdo.com

    Mappa del Mondo di Telyon

    Mappa del Mondo di Telyon

    Mappa dell'Isola di Elidor

    Mappa dell'Isola di Elidor

    Mappa del Grande Continente di Lyemaar

    Emisfero Meridionale

    Mappa del Grande di Lyemaar Continente Emisfero Meridionale

    Mappa del Grande Continente di Lyemaar

    Il Corno della Vita

    Mappa del Corno della Vita

    Mappa del Grande Continente di Lyemaar

    Emisfero Settentrionale

    Mappa del Grande Continente di Lyemaar Emisfero Settentrionale

    Mappa dell'Isola di Aravia

    Mappa dell'Isola di Aravia

    Mappa dell'Isola di Nimhron

    e del Regno di Dymandhre

    Mappa dell'Isola di Nimhron

    CAPITOLO 1

    La Creazione del Mondo

    CAPITOLO 1

    LA CREAZIONE DEL MONDO

    Da qualche parte, nell’Universo, esiste un mondo di bellezza e splendore incomparabili, una terra dove la luce è stata la prima fonte di vita e di potere. Un pianeta che era destinato a morire ma che, grazie alla compassione di uno straniero venuto da un altro mondo, è riuscito a sopravvivere al suo fato avverso e a dare vita a un'epica storia.

    Il nostro racconto inizia con un viaggio. Un esploratore proveniente da una lontana galassia si diresse verso nuovi orizzonti, in cerca di nuove terre da esplorare, viaggiando attraverso lo spazio e il tempo; intento negli studi sull’Universo e sui pianeti, ai quali aveva dedicato tutta la sua vita.

    Apparteneva a una razza di esseri dai poteri sconfinati. Queste creature studiavano ormai da millenni l’immensità dell’Universo e mantenevano vive le sue delicate leggi di equilibrio, senza mai poter interferire sul corso naturale delle cose, poiché era severamente proibito. L'unico elemento che gli era concesso modificare era il loro stesso pianeta, nient'altro.

    Erano dediti ai loro studi fin da quando nascevano, sembravano non esistere per nessun altro scopo e, giunti in età adulta, ognuno di loro era sottoposto a un esame specifico: dovevano presentare un approfondito studio su uno dei mondi ancora inesplorati. Tale esame, se superato con successo, avrebbe conferito al nuovo adulto il potere necessario per avere accesso alle più profonde conoscenze che avrebbero fatto di lui un Osservatore.

    Questi esseri erano fatti di pura luce, possedevano una lieve forma umanoide, appena accennata, che contraddistingueva i loro corpi. Indossavano vesti fluenti e leggere dai meravigliosi toni del blu, dal più chiaro per i giovani, fino al più profondo per gli anziani.

    Il giorno in cui il nostro esploratore partì, la sua gente gli augurò la buona fortuna accendendo i cieli del loro pianeta con tutti i colori della galassia: una sorta di cerimonia che gli amici e i parenti creavano, con i loro pensieri, per augurare il buon esito dell’esame. Erano soavi luci armoniose che illuminavano il cielo senza fragori; dolcemente, come carezze sgargianti e ricche di poesia.

    Col cuore colmo di speranza, l’esploratore vagò per anni, scrutando ed esaminando le parti poco conosciute dell'Universo, finché finalmente non trovò quello che stava cercando.

    Dopo un lungo girovagare approdò su un piccolo mondo dove, sotto il manto del grande cielo, la terra danzava febbrile nelle spoglie del caos, desolata e cupa. Un grande mare di acido aggressivo ricopriva l’enorme superficie del mondo e consumava, giorno dopo giorno, porzioni di arida terra ferma, distruggendo una grande Pangea che esisteva fin dai tempi della nascita di quel pianeta. Era un mondo destinato a consumarsi e scomparire, poiché gli elementi che lo costituivano andavano in collisione continuamente e, non trovando una forma armonica per coesistere, ne avrebbero causato molto presto la scomparsa.

    L’esploratore era sbigottito, quasi incredulo che potesse esistere un posto del genere. Non aveva mai visitato luoghi con una tale distruzione in atto e dove non si era ancora sviluppata nessuna forma di vita. Si trovò a essere spettatore di enormi eruzioni vulcaniche che lanciavano verso il cielo scuro fasci di lava luminosa; violenti terremoti facevano tremare la terra sotto i suoi piedi ed egli rimase inorridito e affascinato allo stesso tempo da quella visione. Nella sua mente il ricordo delle delicate e silenziose luci, che lo avevano salutato alla sua partenza, si scontrava violentemente con quel caos di roboanti esplosioni e colonne di lava incandescente che adesso gli si paravano davanti, pietrificandolo e incantandolo allo stesso tempo; quello spettacolo era totalmente diverso da ogni cosa che aveva visto fino ad allora in tutta la sua vita...

    D'un tratto pensò che fosse intollerabile lasciare che quel posto scomparisse e non ne rimanesse alcuna traccia. Un qualcosa di quel mondo lo aveva colpito nel profondo, una sorta di lamento; come un triste canto proveniente dal nucleo interno del pianeta, quasi un grido di aiuto. Ascoltando la voce del suo cuore, straziato da quel canto, non resistette e trasgredì alle regole degli Osservatori.

    Utilizzando l’immenso potere che portava dentro di sé, raccolse tutte le sue energie e, guardando in basso, conficcò due dita della mano destra nella roccia, tra un piede e l’altro, trasferendo tutto il suo potere al suolo. Attinse a tutto il suo essere, cedendo non solo la sua magia, ma anche il suo stesso spirito; tutta la sua essenza vitale penetrò nelle viscere della terra, fino al nucleo del globo. Il suolo si accese immediatamente di una luce bianca e scintillante; un fragore tremendo scosse la terra, provocando un’onda d’urto accompagnata da un fascio di luce accecante e, in pochi brevi istanti, il panorama attorno a lui iniziò a mutare drasticamente: il mare smise di bollire e iniziò a schiarirsi, passando dal grigio oleoso originario a un lieve azzurro, espresso poi in tutte le tonalità del blu, come a voler ricordare le vesti della sua gente che da quel momento non avrebbe più potuto rivedere.

    Sull’arida roccia iniziarono a germogliare piccole piante color smeraldo che crescevano a ritmo esponenziale e il cielo, ancora oscurato dal caos precedente, sembrò rendere omaggio a tutta quest’opera schiarendosi e mostrando l’immensa luce di un Sole rimasto fino ad allora nascosto.

    L’esploratore aveva piena consapevolezza che, donando per intero la sua essenza a quel nuovo mondo, aveva messo un limite al suo tempo e rinunciato alla sua immortalità. Non avrebbe più potuto rivedere i suoi cari e la sua luce si sarebbe inesorabilmente spenta per sempre. Un velo di tristezza avvolse il suo cuore, ma riuscì a ritrovare un barlume di serenità pensando che quell'amaro destino che si era scelto non sarebbe stato poi così terribile in confronto a ciò che gli sarebbe spettato come punizione, se mai fosse riuscito a fare ritorno a casa.

    In un profondo respiro di soddisfazione, distaccò le dita dal terreno e alzò lo sguardo verso l’orizzonte; in quel momento lo spettacolo, che si mostrò ai suoi occhi, gli riempì il cuore di gioia. La sua era stata un’opera pari a quella di un Dio e non era affatto rammaricato di aver sacrificato se stesso per dare vita a quella meraviglia. Avrebbe pagato volentieri quel prezzo per vedere, anche una volta soltanto, lo splendido panorama che aveva di fronte e udire la melodia che adesso, dalle viscere della terra, si propagava nell'aria, come a volerlo ringraziare per aver portato la vita su quel pianeta tormentato. Un canto unico e dolce, sussurrato dalla stessa voce che, prima del suo intervento, gridava disperatamente; egli allora capì che quel suono lieve e commosso era senza ombra di dubbio la voce di quello stesso mondo. Un sorriso si affacciò sereno sul suo volto e dentro il suo cuore; era fiero e felice di aver permesso a quel mondo di rinascere sotto quella nuova luce. Un sospiro profondo, un'ultima lacrima, nessuna esitazione.

    Decise che avrebbe lasciato testimonianza di tutto ciò che aveva creato a coloro che sarebbero venuti nelle ere future, alle specie intelligenti che, come lui sapeva bene, avrebbero molto presto abitato quelle nuove terre che battezzò con il nome di Telyon, in onore di suo padre.

    Iniziò a scoprire quello che aveva creato alzandosi in volo, in modo da avere una visione molto più ampia e notò subito che il mare di acido aveva scomposto l’enorme massa di terra, non ancora corrosa, in tre isole che circoscrivevano un unico grande continente.

    Vide che la terra era formata da enormi catene montuose, affiancate da altrettanto vaste pianure, ricche di fiumi e di laghi, mentre i germogli, che subito avevano preso vita dopo il grande cambiamento, erano già divenuti alberi e stavano formando piccoli gruppi di vegetazione che si sarebbero presto trasformati in foreste.

    Non sapeva quanto tempo gli avrebbe concesso il fato per esplorare il suo nuovo mondo, ma sapeva bene che avrebbe sentito quando la fine sarebbe stata vicina e non aveva nessuna intenzione, nonostante fosse molto stanco, di perdere nemmeno un minuto.

    Si era alzato in volo da una delle tre isole, che decise di battezzare con il nome di Aravia, e atterrò in un punto imprecisato del Grande Continente, dove iniziò il suo lavoro; aveva preferito dirigersi là per tentare di completare l’esplorazione della parte più vasta del mondo.

    Nei lunghi giorni di viaggio che furono necessari nel percorrere quelle terre, egli portava sempre con sé una pergamena magica, nella quale i suoi pensieri si concretizzavano, prendendo la forma di segni e parole che descrivevano tutte le scoperte fatte e le meravigliose cose che vedeva.

    Nell’emozione di arricchirsi continuamente con le nuove scoperte, non interrompeva il suo girovagare nemmeno per riposare e, man mano che andava avanti, tutti i nomi che aveva dato alle regioni e tutte le sue osservazioni sui territori si univano ai suoi primi pensieri sulla pergamena.

    Con il tempo quell'unico foglio, che si riempiva sempre più di nomi e conoscenza, si suddivideva in pagine che aumentavano la loro quantità a ogni scoperta, divenendo alla fine il libro che descriveva in tutti i particolari il Grande Continente che da quel momento si impreziosì del suo nome, Lyemaar.

    Giunse il giorno in cui ebbe visitato ogni più remoto angolo del Grande Continente, catalogando e assegnando un nome a ogni singola forma di vita. Aveva visitato le montagne e le valli, visto i laghi e i fiumi, incontrato i primi animali che avevano iniziato a strisciare sulla terra o a nuotare nell'acqua e infine in cielo erano apparsi anche i primi timidi volatili che, come lui, erano curiosi di visitare quei luoghi sconosciuti. Era sicuro di non aver tralasciato nulla di ciò che si trovava sul continente e, dato che gli era stato concesso ancora del tempo, si dedicò alla scoperta delle tre grandi isole.

    Erano occorsi anni per esaminare tutto quel territorio ed egli sapeva bene che aveva ottenuto dal fato molto più tempo di quello che si aspettava. Era quasi sicuro che non sarebbe riuscito a perlustrare tutte e tre le isole, ma nonostante tutto decise di provare.

    Si trovava da pochi giorni sull’isola a Ovest quando percepì il primo malore: era un segno, la sua fine si stava avvicinando velocemente e il suo tempo era quasi scaduto.

    Un nodo alla gola, una fitta al cuore, l’amarezza di essere tutto a un tratto consapevole che avrebbe detto addio a quel mondo senza averlo visitato completamente. Il suo spirito sarebbe rimasto per sempre ancorato al luogo della sua scomparsa, come succedeva a tutti quelli che, pur appartenendo alla sua razza immortale, perdevano la vita per arma nemica o per scelta, così come aveva fatto lui. Perciò si ritrovò a dover decidere in fretta il luogo nel quale avrebbe riposato per sempre e dove il potere della sua anima avrebbe guidato i futuri abitanti di quelle terre.

    In una radura dell’isola, i germogli primordiali erano divenuti già degli altissimi alberi. I Jerkas, così li aveva chiamati, avevano già dei tronchi robusti e grandi e le loro fronde rigogliose frusciavano lievemente sotto l’alito del vento. Per un motivo che nemmeno lui comprendeva bene, l’isola che aveva battezzato con il nome di Elidor aveva recepito il suo potere in modo diverso da ogni altra parte di quel mondo. La magia qui era più forte, la luce del suo potere più intensa e gli alberi erano più sviluppati rispetto a tutti gli altri. Per Lyemaar quello fu un segno inequivocabile: quella radura rigogliosa e traboccante di magia era il luogo perfetto per custodire la sua anima immortale.

    Avrebbe voluto che il tempo si fermasse per sempre per poter godere di quella pace, ma occorreva che il frutto della sua esplorazione fosse messo al sicuro. Edificò dunque un tempio, dove il Grande Libro che conteneva tutta la sua conoscenza sarebbe stato a disposizione delle generazioni future. Con ciò che rimaneva della sua energia, fece apparire una piccola costruzione bianca; aveva una struttura molto semplice, con un tetto a cupola sorretto da sottili colonne bianche e lisce, unite tra loro da pareti tondeggianti che andavano a formare un'unica stanza. L'entrata, accompagnata da un breve corridoio segnato da altre colonne più piccole, era chiusa da una porta robusta, che però appariva delicata per rispettare l'armonia di quel luogo che, in futuro, sarebbe divenuto sacro.

    Lyemaar percorse il corridoio con passo stanco, accarezzando distrattamente le colonne, dopodiché poggiò la sua mano destra sulla pesante porta che si aprì senza difficoltà, come se il tempio stesso lo stesse accogliendo rispettosamente. L'esploratore entrò così in quell'unica stanza; benché ci fossero solo delle piccole finestrelle rotonde sulla parte alta delle pareti, l'interno era illuminato dalla stessa materia di cui era composto, che diffondeva una luce bianca e pura simile a quella emanata da Lyemaar. Non appena mise piede all'interno della sala, dal pavimento si alzò spontaneamente una formazione marmorea, bianca e luminosa; un piccolo altare era apparso al centro della stanza, pronto ad accogliere per sempre il Grande Libro e tutta la sua conoscenza.

    L'esploratore poggiò il tomo sull'altare, ne sfiorò per l'ultima volta le pagine e poi uscì dal suo tempio; le porte si chiusero lentamente ed egli percorse di nuovo il breve corridoio. Appena superò l'ultima coppia di colonne, la stanchezza lo colse come una valanga, facendolo cadere sulle ginocchia, stremato. Trascorse i suoi ultimi giorni sdraiato a terra, con gli occhi rivolti al cielo a osservare gli alberi che crescevano quasi a vista d’occhio. Alcuni di essi erano persino fioriti e altri ancora avevano addirittura dei grossi frutti appesi ai rami; era come se quegli alberi si fossero accorti di essere osservati dal loro creatore e stessero dando il meglio di sé per mostrare la loro bellezza. Con il lento trascorrere dei giorni, Lyemaar notò che pian piano sui tronchi dei Jerkas iniziò ad accumularsi del pulviscolo chiaro, delle particelle leggere portate dalla lieve brezza. Ne era affascinato e incuriosito; fissava quei piccoli accumuli di granelli che cambiavano rapidamente forma. Da macchioline biancastre divennero sottili strisce granulose, finché una mattina si presentarono al Sole come dei veri e propri bozzoli filamentosi, simili a quelli delle farfalle, che risplendevano come perle, emanando un fioco bagliore dall’interno. Divenivano di giorno in giorno più grandi e Lyemaar li osservava sempre più incuriosito e stregato dalla loro elegante bellezza; chissà cosa ne sarebbe uscito fuori?

    Nemmeno lui poteva saperlo e purtroppo non lo avrebbe saputo mai.

    Fu come un tonfo sordo, come se qualcosa cadesse improvvisamente dall’alto piantandosi nel terreno. La vita di Lyemaar si spense, il cielo si oscurò improvvisamente, riempiendosi di nubi cariche d’acqua e iniziò a piovere prepotentemente; Lyemaar era morto e il mondo piangeva la sua perdita. La luce che emanava dal suo corpo si era spenta lentamente, per poi esplodere in una nuova onda che aveva illuminato l’intera radura con un’intensa aura; quella luminescenza che costituiva la sua anima si diffuse in tutta la zona intorno al tempio. Il potere del suo spirito non si sarebbe mai esaurito, nemmeno nel trascorrere dei millenni, trasformando il tempio in un luogo di luce perpetua che divenne il fulcro del potere del mondo.

    Quella potente esplosione emanata dall’anima di Lyemaar, mise in fermento i bozzoli che si trovavano sugli alberi e, un mattino, questi si dischiusero come fiori, dando origine ai primi veri abitanti di Telyon: gli Enkas, o Elfi selvaggi.

    All'inizio furono solo tre i bozzoli che si aprirono al mondo; ne uscirono due figure femminili e una maschile. Erano creature di una bellezza unica e risplendevano della stessa intensa luce che li aveva generati; avevano orecchie molto lunghe e appuntite, ali grandi e delicate simili a quelle delle libellule, fatte di una sottile membrana semitrasparente dai colori cangianti. A queste caratteristiche armoniose però si accostavano anche tratti tipicamente selvaggi, come piccoli denti aguzzi e lunghi artigli affilati. I loro corpi erano esili, ma emanavano una forza spirituale quasi tangibile e tutti e tre possedevano lunghi capelli scuri e argentei occhi rilucenti. Erano già adulti e nudi, ma la loro natura elegante e la luce che li avvolgeva li rendevano innocenti come bambini. I primi tre nati, ancora confusi e ignari di tutto ciò che li circondava, si guardarono tra loro riconoscendosi come fratelli, dopodiché si avvicinarono incuriositi agli altri bozzoli ancora chiusi, ma che continuavano a muoversi freneticamente. Una delle due donne allungò una mano verso un bozzolo per cercare di aprirlo, ma venne investita da un bagliore che la spinse via; l'Elfa cadde a terra e, anche se ancora nessuno poteva saperlo, qualcosa dentro la sua mente era cambiato per sempre. Quel potente flusso luminoso le aveva sconvolto i pensieri e, con il passare del tempo, quel piccolo gesto ingenuo avrebbe segnato le sorti di molti Elfi.

    Bastò attendere qualche giorno e anche gli altri bozzoli si dischiusero delicatamente, generando quella che sarebbe stata poi conosciuta come la Prima Stirpe.

    Gli Enkas iniziarono a girovagare per l'isola di Elidor seguendo i propri istinti, continuando a emanare per tutta la loro vita quella stessa luce che aveva portato l'esploratore, vivendo come splendenti raggi di Sole che, muovendosi, baciavano la terra rendendole omaggio. Essi erano i figli di Lyemaar.

    CAPITOLO 2

    Evoluzione

    CAPITOLO 2

    EVOLUZIONE

    Dopo la loro venuta al mondo, gli Elfi selvaggi, ancora primitivi e incoscienti del loro esistere, si rifugiarono all’interno del fitto bosco che si trovava vicino al tempio. Ammiravano quei grandi alberi da cui erano nati e li osservavano incuriositi. I bozzoli che li avevano generati si erano aperti tutti e, ormai secchi, erano caduti a terra; sulle fronde degli alberi, invece, erano sbocciati meravigliosi fiori rilucenti che irradiavano una calda luce dorata. I petali tondeggianti color oro nascondevano al centro un nocciolo leggermente appuntito e ricoperto di piccolissime protuberanze. Forse era da quel nucleo tozzo che si formavano i grandi frutti che crescevano in mezzo ai rami. Grossi globi rossastri che sembravano contenere una grande quantità di polpa succulenta; la superficie, liscia e lucida, in alcuni esemplari finiva addirittura per spaccarsi sotto la pressione esercitata dalla maturazione, lasciando intravedere il carnoso interno, al cui centro riposavano pazienti tanti piccoli semi.

    Con il trascorrere del tempo, gli Enkas iniziarono ad adattarsi, a costruire villaggi e a creare la loro piccola civiltà all'interno di quel fitto bosco di Jerkas, che dava loro riparo dalla pioggia e dal Sole, oltre a fornirgli quei dolci frutti di cui istintivamente iniziarono a nutrirsi.

    Erano creature dotate di una particolare energia derivata dal potere di Lyemaar e che, sempre più spesso, li attirava proprio verso il piccolo tempio bianco vicino al bosco. Non sapevano il perché, ma era come se quella piccola costruzione li chiamasse a sé continuamente. Fu una delle due prime Elfe nate a trovare il coraggio di avvicinarsi all'enorme porta sigillata.

    Così come era successo con Lyemaar, Fanya appoggiò delicatamente la propria mano sul grande portone e subito questi si dischiuse con delicatezza. Un'ondata di luce venne portata da una folata di vento che sembrava essere rimasto intrappolato, in quel luogo, per tutti quei lunghi anni che erano già trascorsi e la giovane Elfa, titubante ma curiosa, entrò nella piccola stanza bianca, attratta dal Grande Libro. Non aveva mai visto un tale artefatto... Ai suoi occhi ingenui quell'oggetto misterioso appariva totalmente estraneo.

    Indecisa sul da farsi, l'Elfa se ne stava immobile davanti al grande tomo, scrutandolo da ogni lato; poi avvertì una voce nella mente. Una voce dolce e melodiosa, come il sussurro del vento tra l'erba fresca: «Aprilo.» Fanya si guardò intorno, ma non vide nessuno. «Aprilo» ripeté la voce che sembrava nascondere in sé un sorriso.

    L'Elfa inspirò profondamente, tese lentamente la mano verso il libro e, guidata da quella voce sottile, lo aprì.

    Vi erano impressi sopra strani segni che ai suoi occhi non avevano senso; l'Elfa rimase a fissare quelle linee e quelle curve per qualche istante, finché nella sua mente avvertì di nuovo quella dolce voce. Si accorse che scorrendo gli strani segni con lo sguardo, la voce le descriveva cose differenti del mondo che stavano ancora scoprendo; ecco che su una pagina riconobbe il disegno dei fiori che si trovavano sugli alberi della radura in cui vivevano e su cui si erano formati i loro bozzoli. Sotto il disegno vi erano altre scritte; vi passò sopra un dito e si ritrovò a sussurrare: «Fiore di Jerkas.» A quelle parole, il cuore di Fanya venne investito da un'improvvisa e inaspettata gioia; aveva capito di aver fatto una cosa straordinaria e che da quel momento la vita degli Enkas avrebbe potuto essere arricchita da una novità eccezionale: la conoscenza. Il suo volto si illuminò di felicità, posò di nuovo il Grande Libro sull'altare e uscì fuori dal tempio a chiamare i suoi fratelli per condividere con loro la sapienza di quel tomo sacro.

    Fu in quel momento che nacque il Culto della Luce.

    Fanya e gli altri Elfi iniziarono a leggere ogni giorno le numerose pagine del Grande Libro, venendo a conoscenza di come quel mondo e loro stessi erano stati creati da un'entità chiamata Lyemaar. L'esploratore divenne per loro una vera e propria divinità e, con la nascita del Culto della Luce, venne a formarsi quello che presto prese il nome di Alto Consiglio. I primi tre Elfi nati vennero scelti come guida, poiché vennero ritenuti i più saggi, avendo risposto per primi all'energia di Lyemaar. E così la giovane Fanya venne affiancata dal guardiano Deryon e dalla sacerdotessa Elarya, la cui mente era stata inconsapevolmente scossa dalla luce dell'esploratore.

    Grazie a quel sacro libro, gli Enkas accelerarono la loro evoluzione e, insieme alla loro conoscenza e civiltà, si sviluppò anche l'energia che portavano dentro i loro corpi e che li collegava indissolubilmente a quel luogo e al loro creatore. Con il passare del tempo, il potere che Lyemaar aveva trasmesso loro si sviluppò in una vera e propria abilità: la magia, incrementando ancor di più la loro sapienza e creando tra loro una sorta di potere che gli permetteva di entrare in comunione con la mente degli altri. Ben presto i semplici tralci di foglie e i rudimentali pezzi di corteccia si trasformarono in abiti caldi e utensili funzionali. Intrecciavano e lavoravano tutto ciò che il mondo aveva da offrire, creando vesti fresche per il Tolquende, la stagione calda, e abiti più pesanti

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