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Il sesto senso (eLit): eLit
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E-book384 pagine5 ore

Il sesto senso (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Le acque calde e cristalline della Florida sono ideali per immergersi alla ricerca di tesori sommersi. Antichi naufragi e storie di pirati rendono la missione ancora più eccitante. Ma quello che Genevieve Wallace intravede sott'acqua è del tutto inaspettato. Una forma somigliante a una donna attira la sua attenzione. Capelli biondi fluttuano nell'acqua, mentre l'abito bianco è in balia delle correnti. Non è un manichino, come aveva pensato. E non è nemmeno un cadavere. Perché la figura senza vita si anima, la fissa negli occhi e con le labbra formula una parola. Attenta.

Nessuno crede a Genevieve, nemmeno Thor Thompson, il suo compagno di immersione, soprattutto dopo che il cadavere di una donna viene portato dal mare sulla spiaggia. Ma non è la stessa donna, e per Gen questo può significare una cosa sola. Che il pericolo è sempre più vicino.

Una storia in cui un passato violento si lega a un presente carico di mistero. Solo credendo l'incredibile si potrà scoprire la verità. E l'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2017
ISBN9788858968406
Il sesto senso (eLit): eLit
Autore

Heather Graham

New York Times and USA Today bestselling author Heather Graham has written more than a hundred novels. She's a winner of the RWA's Lifetime Achievement Award, and the Thriller Writers' Silver Bullet. She is an active member of International Thriller Writers and Mystery Writers of America. For more information, check out her websites: TheOriginalHeatherGraham.com, eHeatherGraham.com, and HeatherGraham.tv. You can also find Heather on Facebook.

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    Anteprima del libro

    Il sesto senso (eLit) - Heather Graham

    Prologo

    La forma fluttuava, spettrale.

    Da lontano sembrava quasi una donna.

    Sulle prime, Genevieve Wallace non capì che cosa stava vedendo. Era là, sul fondo, e fluttuava appena con la corrente. Sembrava quasi... una donna.

    Guardò alla sua sinistra e vide che Victor Damon era poco distante, concentrato su una sporgenza di corallo che creava l'effetto di una specie di grotta nell'acqua limpida. Con quello che avevano appreso di recente riguardo alla Marie Josephine, si sforzavano di notare ciò che poteva essere più o meno nascosto alla vista.

    Il suono calmo, ritmico del suo stesso respiro le riempiva le orecchie, e Genevieve guardò il manometro dell'aria. Ne aveva ancora più che a sufficienza, e l'indicatore di profondità le disse che si trovava fra i tredici e i sedici metri sotto la superficie. Poteva controllare la strana forma senza mettere in pericolo la propria sicurezza.

    L'acqua era cristallina, scintillante, di un colore fra il verde e l'azzurro. Anche la temperatura era ideale. Era il pomeriggio perfetto per prendersi il tempo di esplorare anche i più piccoli dettagli che attiravano la sua curiosità.

    La settimana precedente, quando avevano cominciato a lavorare in quell'area, era stato diverso. Il primo giorno, tre membri su cinque del personale erano stati malissimo, compreso Marshall Miro, il titolare della Deep Down Salvage. Gen non soffriva il mal di mare, ma con tutta quella gente attorno che vomitava... non era stato piacevole. Ora, però, il vento era completamente cessato. La superficie era liscia come il cristallo. La sabbia si era depositata sul fondo.

    La visibilità era buona.

    Era quasi come se la forma nell'acqua le facesse cenno di avvicinarsi. Sempre ascoltando il suono ritmico del proprio respiro, con un colpo di pinne Genevieve si mosse in direzione dell'oggetto.

    Avvicinandosi, pensò che qualcuno doveva avere gettato un manichino nell'oceano. Da lontano era sembrata proprio una donna, e più si avvicinava, più l'impressione cresceva. Sì, era un qualche tipo di manichino. Genevieve non era facile a spaventarsi, ma era incuriosita.

    I capelli biondi fluttuavano liberamente nell'acqua, creando attorno alla testa del manichino l'effetto di un alone che...

    Con un altro colpo di pinne, Genevieve si portò direttamente davanti al manichino e vide che era vestito con un lungo abito bianco, che ondeggiava con il movimento dell'acqua.

    La serenità del viso suscitò in lei un senso di profonda tristezza.

    Quasi tese la mano in un gesto di comprensione.

    Quasi...

    Con sorpresa, si rese conto che il manichino era laggiù, sul fondo dell'oceano, perché era trattenuto da pesi. C'era una corda attorno alle caviglie, legata a un sacco di tela pieno di quelli che potevano sembrare dei mattoni.

    Il suono del suo respiro si interruppe bruscamente.

    Dovette fare uno sforzo per riprendere a respirare.

    Non era un manichino. Il corpo era vero.

    Il sangue le si gelò nelle vene. Angosciata, allungò la mano, sapendo che doveva toccare il viso. Non c'era speranza che la donna fosse viva. Non si vedevano bolle d'aria, non c'erano altre barche nelle vicinanze, da cui potesse essere caduta... eppure sapeva che doveva toccarla, scoprire se c'era un modo in cui poteva essere salvata.

    Proprio nel momento in cui le sue dita stavano per entrare in contatto con la pelle del viso, la testa della donna si sollevò. Aprì gli occhi, enormi, azzurri, che si fissarono in quelli di Genevieve. Erano colmi di tristezza.

    La pelle era di un bianco grigiastro. Le labbra erano blu.

    Fissò Genevieve, con la bocca che formava una silenziosa O, e sollevò una mano verso di lei, come se cercasse un tocco di consolazione.

    Cominciò a sorridere con grande tristezza.

    Era un sorriso terribile, un sorriso consapevole. Un sorriso senza vita.

    Poi, le labbra bluastre, morte, formarono una singola parola.

    Attenta.

    1

    «Ehi, nessuno ha mai detto che il sole fa rinsavire la gente» osservò Jack Payne, sommozzatore maturo ed esperto, guardando Thor Thompson con aria divertita.

    Thor, dal canto suo, fissava la donna.

    L'aveva vista per la prima volta quello stesso giorno, di mattina, quando la sua barca, la Seeker, si era incontrata con il gruppo ingaggiato dall'amministrazione statale. Erano entrambi impegnati nella stessa missione esplorativa e per quanto riguardava Thor, non c'era mai stato motivo di non lavorare a fianco di altre compagnie e altri sub. Specialmente in quel progetto. Lo stato della Florida, d'accordo con storici e ambientalisti, era decisamente contrario ad alcuni dei metodi che i cercatori di tesori avevano usato in passato. Le barriere coralline erano fragili. Disturbare un po' la natura quando c'era un ritrovamento accertato era una cosa, ma devastare il fondo marino per individuare un relitto era tutt'altra faccenda.

    Erano stati gli storici a mettere in moto quel progetto basandosi su una teoria, e quella teoria doveva essere suffragata da prove prima che lo stato consentisse l'uso di grossi macchinari che avrebbero potuto rovinare la bellezza delle barriere coralline, il vero tesoro della Florida per quanto riguardava il turismo.

    Thor lavorava per il governo federale, non in proprio, e poiché il gruppo della Deep Down Salvage lavorava per il governo locale, non era come se ciascuno di loro intendesse strappare il tesoro all'altro. Se fosse risultato vero che la Marie Josephine era nascosta sotto la sabbia e il corallo e avessero scoperto il bottino dei pirati, avrebbero avuto un buon guadagno, ma lo stato e il governo federale si sarebbero appropriati di tutti i tesori rinvenuti.

    Thor aveva lavorato per tutta la sua carriera di sub al recupero di vecchi relitti, e con successo, e non era che disprezzasse i beni materiali. Ma non aveva mai fatto quel lavoro per amore delle ricchezze che alcuni cercatori di tesori perseguivano con accanimento. Amava il suo lavoro, la storia e l'emozione della scoperta.

    Con il recente ritrovamento del relitto della Nina appena al largo di Calliope Key, ogni sorta di gente si era di nuovo eccitata al pensiero che ci fossero migliaia di relitti ancora da scoprire lungo le coste della Florida.

    Era più che plausibile che almeno qualcuno di quei relitti si nascondesse praticamente... in piena vista. Troppo spesso la gente non sapeva, o non era capace di riconoscere, ciò che stava cercando. Il mare poteva mimetizzare completamente i resti di una nave, dopo secoli. Era qualcosa su cui i ricercatori avevano imparato molto, nel recente passato, quando navi di vario tipo, diventate vecchie e inutilizzabili, erano state affondate di proposito per aiutare la creazione di barriere coralline artificiali.

    Assieme alla passione, comunque, erano arrivati gli ammonimenti degli storici e degli ambientalisti. Un certo numero di aree in cui, secondo quanto si ricavava dagli archivi, poteva trovarsi la Marie Josephine, erano riserve naturali. Dovevano saltare fuori prove inconfutabili di un ritrovamento - assai più di qualche colubrina, o moneta, o anche cannone - per ottenere il permesso di utilizzare attrezzature di dragaggio o di sollevamento.

    Il gruppo di Thor non veniva chiamato solo per ritrovamenti favolosi. C'erano periodi in cui il lavoro era assai più penoso che eccitante, quando andavano in cerca dei sopravvissuti o dei resti di un disastro aereo, o quando non si immergevano nella straordinaria bellezza dei Caraibi, dei mari della Florida o del Golfo del Messico. C'erano anche immersioni nelle paludi, e quelle erano spossanti.

    Quel particolare lavoro, però, era qualcosa che gli piaceva... e in cui sperava di eccellere. Lo studio iniziale degli storici li aveva mandati a immergersi nelle acque più belle del mondo. E il lavoro era particolarmente stimolante poiché, basandosi solo su ipotesi, era un'autentica esplorazione subacquea. Certo, disponevano di sonar e radar, ma poiché i secoli e le tempeste potevano stravolgere completamente i resti del passato, dovevano anche basarsi in gran parte sui loro occhi e sul loro istinto.

    Era difficile realizzare vistosi guadagni in quel tipo di ricerche... nonostante la possibilità di un grosso premio. Tuttavia, al momento le persone erano più importanti dell'equipaggiamento. Per questo Thor era là... e per questo c'era lei.

    La donna che stava osservando era una sub esperta, o almeno così gli avevano detto. Lui e il suo gruppo si erano trovati a sei o settecento metri di distanza dal battello della Deep Down Salvage quando l'aveva vista schizzare di colpo alla superficie. Sarebbe accorso a soccorrerla, ma i suoi colleghi erano stati svelti a recuperarla. Quando la Seeker si era accostata, giusto per accertarsi che fosse tutto a posto, lei era sembrata una pazza che parlava freneticamente di un corpo nell'acqua. Thor si era immerso.

    E aveva trovato una quantità di pesci tropicali variopinti.

    Poiché alloggiavano tutti nel villaggio turistico, adesso lei era là con i suoi amici, e a giudicare dalla sua espressione la stavano ancora canzonando. L'intera faccenda gli sembrava strana perché, a prima vista, l'avrebbe giudicata l'ultima donna al mondo propensa a perdere la calma. Francamente, aveva un aspetto che sollecitava immediatamente tutto ciò che c'era di sensuale nella psiche maschile. Era molto alta - quasi un metro e ottanta - e tutto in lei era elegante. Anche in quel momento appariva calma e sicura di sé. Aveva lunghi capelli castani dai riflessi ramati, sorprendenti occhi verdi, sopracciglia scure, arcuate, un viso ovale e lineamenti che esemplificavano il concetto di perfetta simmetria. Thor aveva visto raramente una donna stare meglio in costume da bagno. Sarebbe potuta diventare una top model...

    La sua semplice presenza in una stanza qualunque bastava ad attirare lo sguardo di ogni maschio a sangue caldo.

    Era un peccato che sembrasse completamente pazza.

    «I conchs sono i peggiori di tutti» affermò Jack, intromettendosi nei pensieri di Thor.

    «Come?»

    «Ho detto...» riprese Jack, accendendosi un sigaro. «che i conchs sono noti per essere pazzi. Sai, i conchs. Come me. I nativi di Key West.»

    «Sono contento di conoscere l'esistenza di questa specie» commentò Thor.

    Jack si strinse nelle spalle.

    «Già, tu sei un ragazzo di Jacksonville, nel nord dello stato... Potrebbe essere una razza diversa.»

    «Una razza sana di mente?» aggiunse Thor, con un breve sorriso.

    Jack aspirò una boccata dal sigaro. Era fra i cinquanta e i sessanta, con i capelli lunghi color grigio ferro. Portava un grosso orecchino con teschio e tibie e una catena con un doblone spagnolo come ciondolo. Aveva la struttura fisica di un uomo della metà dei suoi anni che passasse ore in palestra. A sentire lui, faceva immersioni da quando tutti loro portavano ancora i calzoni corti. Era un tipo che sapeva il fatto suo.

    «Mai sentito parlare del conte Von Cosel?» chiese.

    Thor lo fissò senza rispondere, e Jack sorrise.

    «Era un immigrato tedesco... non un vero conte... che lavorava qui all'ospedale. Si innamorò di una ragazza cubana di nome Elena. Sapeva che era malata di tubercolosi. Inventò qualche strano tipo di cura, ma nonostante i suoi sforzi la ragazza morì. La famiglia la fece seppellire. Qualche anno dopo, lui decide che la salma dev'essere traslata in un grande mausoleo, perciò lo fa costruire, e in teoria il corpo della ragazza vi viene trasferito. Ma col passare del tempo, la gente comincia a notare strane cose a casa del conte, come se lui ballasse con una grossa bambola. A un certo punto si scopre che il poveretto aveva disseppellito il corpo di Elena e cercava con qualche folle procedimento di riportarlo in vita. Aveva dormito con il cadavere per anni, riparandolo costantemente. Finalmente la cosa arriva alle orecchie della famiglia di Elena, e la sorella va a trovarlo. C'è un gran trambusto, ma qualunque reato potesse essergli ascritto è caduto in prescrizione, perciò lui se la cava. Questa è Key West, dopotutto. Non solo non è stato accusato di nulla, ma finisce che la gente gli manda del denaro per permettergli di sopravvivere.»

    «Sei un gran bugiardo, Jack» asserì Thor.

    «Ti giuro che è una storia vera. Chiedi a chiunque. L'hanno riportata i giornali di tutto il paese.» Jack si interruppe per aspirare un'altra boccata. «Il punto è che, al confronto, la giovane signora che stai guardando è sanissima di mente. E maledettamente più bella di qualunque altra che io abbia mai visto con questi vecchi occhi.»

    Thor scosse la testa e sollevò la sua birra.

    «L'ho vista là fuori, oggi, e quando t'immergi l'ultima cosa di cui hai bisogno è qualcuno che perda la testa. Invitala a uscire con te, Jack, ma non portarla sulla mia barca. C'è troppo in gioco.»

    «Mi sono immerso con lei molte volte, Thor. Sa il fatto suo. E quanto a invitarla a uscire... diavolo, potrei essere suo padre. E la conosco da quando era bambina.»

    Thor scosse di nuovo la testa e si voltò a guardare l'acqua. Era quasi la fine dell'estate. Giornate calde, notti splendide. C'era sempre un po' di brezza proveniente dall'oceano. E i tramonti erano fantastici. Erano le otto di sera e il cielo si preparava a cambiare. Adesso era chiaro. Presto sarebbe stato rosa, violetto, oro, giallo, blu... pennellate di colore che si sarebbero fatte a poco a poco più scure. Poi, attorno alle otto e mezzo, sarebbe stato buio, tutto a un tratto.

    Fissava l'acqua... e poi stava fissando di nuovo lei. Era difficile non fissarla, pensò, rendendosi conto di che cosa, in lei, lo attraeva così potentemente. Emanava una naturale, disinvolta sensualità. Era evidente in ogni suo movimento. Niente di forzato, niente di scoperto. Qualcosa che lei stessa, probabilmente, non sapeva di possedere.

    «Il sole sta calando» osservò Jack. «Puoi toglierti gli occhiali.»

    Thor sorrise di nuovo. Diavolo, no. Gli piacevano quegli occhiali scuri come l'inchiostro. Nessuno poteva notare che i suoi occhi continuavano a volgersi verso l'altro tavolo.

    «Non riesci a toglierle gli occhi di dosso, eh?» chiese Jack.

    «Che cosa c'è di non apprezzabile in lei? È solo che penso che nessun uomo razionale... e specialmente un sub... dovrebbe avvicinarsi troppo a una mina vagante.»

    «Vuoi sentire la storia del tizio che pensava che la sua bambola fosse viva e di tutta la gente che pensava fosse stregata?»

    Thor gemette.

    «Jack, piantala.»

    «Sono tutte cose vere. Sai da dove deriva il nome Key West? Quando gli spagnoli arrivarono qui, per primi, era un solo grande cimitero, pieno di ossa. Una tribù indiana morta per un'epidemia? Uccisa in un massacro? Nessuno lo sa. Ma c'erano ossa dappertutto, perciò la chiamarono Cayo Hueso, l'Isola delle ossa. Gli inglesi non si scomodarono a tradurre lo spagnolo, si limitarono a trasformarlo in parole che conoscevano. Te lo dico io, Thor, Key West è un luogo unico.»

    Thor sorrise.

    «Jack, se stai cercando di convincermi che Genevieve ha la testa completamente a posto, non ci riuscirai. Quella donna sostiene di avere visto un corpo nell'acqua. E che le ha parlato.»

    «Ehi... per ogni storia, quaggiù, scoprirai un granello di verità.»

    «Hai sentito parlare di persone scomparse nella zona? Qualcuno sta cercando la vittima di un omicidio? Ho visto i notiziari. Per quanto ne so, nessuno manca all'appello.»

    «Parli come un insensibile figlio di puttana e io ho di meglio da fare che ascoltarti» ribatté Jack. «Il fatto è che sei così concentrato sul lavoro che tratti le donne come se fossero fazzoletti di carta... usa e getta.»

    Thor inarcò un sopracciglio.

    «Ah, sì? Be', non ho ancora visto te sposato e sistemato.»

    «Non ho mai trovato la donna giusta... almeno nella mia generazione. Probabilmente esiste, da qualche parte. Solo, le nostre strade non si sono incrociate.»

    «Io non me la spasso quando lavoro» affermò Thor a bassa voce.

    Jack sbuffò.

    «Solo perché tutte le donne della tua squadra sono sposate, e delle vere amazzoni.»

    «Adesso chi è il figlio di puttana?»

    «Io? Penso che Lizzie sia fantastica, ma è tutta lavoro. Dura come la roccia, e credo che potrebbe battermi a braccio di ferro. E se non ci riuscisse lei, be', chi vorrebbe attirarsi le ire di Zach?»

    Thor si strinse nelle spalle, divertito. Lizzie - Elizabeth Green - non era una donna da prendere alla leggera. Non era un centimetro meno alta di lui, che era quasi un metro e novanta. Suo marito, Zach, era stato un giocatore di pallacanestro professionista, e fra tutti e due formavano una coppia temibile. Lizzie combatteva una quantità di battaglie per la compagnia, quando cercavano di ottenere i permessi per un progetto. Poteva avere la meglio quasi su ogni uomo.

    «Lizzie è tosta. E concreta. Non vedrà corpi che non esistono.»

    «Andiamo, tutti si sono spaventati per qualcosa, una volta o l'altra.»

    «Forse.»

    «E ti si allungherebbe la lingua fino al marciapiede se Gen agitasse la punta del mignolo nella tua direzione.»

    «Ah, sì? Stupidaggini.»

    Il tono di Thor era freddo, ma lui sapeva di mentire. La svitata era una bellezza esplosiva. Ma non aveva mentito dicendo che non se la spassava quando era impegnato in un lavoro. Anche durante una ricerca lunga, rientravano in porto, da qualche parte, e là pensava a divertirsi. Le complicazioni sul lavoro erano qualcosa di cui nessuno aveva bisogno.

    «Dico le cose come le vedo» asserì Jack. «Nessuno mi ha mai accusato di mentire.»

    «Diavolo, ti sto accusando io ora» ritorse Thor.

    Jack rise, notando che Thor stava di nuovo guardando l'altro tavolo.

    «Ricorda, Thor, anche ai più possenti capita di cadere.»

    «Già, già. Sento quella battuta sul possente Thor da una vita» disse lui, poi fece cenno al barista, il figlio del proprietario, per ordinare un altro giro.

    «Abbiamo guardato tutti, Gen» disse Victor. «Non c'era niente laggiù.»

    «Ti dico che ho visto il corpo di una donna» insistette Genevieve, ostinata. «Senti, non so se è stato un qualche tipo di scherzo o se c'è davvero la vittima di un delitto, laggiù. Ma non soffro di allucinazioni. L'ho vista.»

    Bethany Clark le toccò il ginocchio.

    «Ehi, dolcezza, tutti noi vediamo delle cose, laggiù, a volte. È la mente che gioca degli scherzi. L'acqua distorce la visuale.»

    «Bevi un'altra birra» suggerì Victor. «Ti farà sentire meglio.»

    Genevieve strinse i denti. Non poteva dire che i suoi compagni di lavoro non si fossero attivati. Lei era riemersa alla velocità della luce. Per fortuna, era solo a pochi metri di profondità. Nel momento in cui la donna aveva aperto gli occhi e aveva sorriso, aveva provato un tale senso di puro panico che era schizzata verso la superficie, il che le sarebbe potuto essere fatale, se fosse stata a grande profondità. Quando era emersa, era rimasta quasi soffocata dall'acqua di mare, sputando il respiratore e agitando pazzamente le braccia.

    Marshall Miro, capo della loro unità, era a bordo, e Gen sapeva di avere farfugliato in modo incoerente mentre lui l'aiutava a uscire dall'acqua. Victor era emerso subito dopo di lei, avendola vista risalire. Poi erano emersi anche Bethany e Alex, che si trovavano poco lontano, e Bethany era rimasta a bordo mentre gli altri si erano tuffati alla ricerca del corpo. La Seeker, la barca che collaborava con loro, era nelle vicinanze, e anche la sua squadra si era immersa.

    E nessuno di loro aveva visto nulla.

    Forse lei aveva solo immaginato gli occhi che si aprivano, la donna che allungava la mano. Ma aveva visto il corpo. Soltanto, non sapeva che cosa ne fosse stato.

    Purtroppo, aveva farfugliato qualcosa a proposito degli occhi e del fatto che la donna si era mossa e aveva perfino cercato di parlare, e adesso anche Bethany, la sua migliore amica, la riteneva pazza.

    Si guardò attorno nel piccolo villaggio turistico nella vecchia area urbana di Key West dove erano alloggiati. In realtà, lei possedeva una casa a poche centinaia di metri di distanza, costruita sull'isola da un suo più volte trisavolo, anni prima della guerra civile.

    Ma quel villaggio era un luogo di ritrovo locale. Jack teneva là la sua vecchia barca da pesca, e c'era un pontile a cui alcuni poliziotti della zona ormeggiavano le loro imbarcazioni. A tutti loro piaceva andare là anche solo per un caffè o per bere qualcosa la sera.

    Genevieve vi alloggiava per poter lavorare al progetto assieme agli altri in qualunque momento. La loro barca d'appoggio era ormeggiata là assieme alla Seeker. Non c'era un centro benessere né il servizio in camera, ma il villaggio possedeva l'autentico, vecchio fascino conch. L'edificio principale era stato costruito nel 1800. I bungalow erano stati aggiunti attorno agli anni della seconda guerra mondiale, sparpagliati su una spiaggia sabbiosa, e ciascuno era fornito di tavolo e sedie in un piccolo patio individuale. C'erano anche il bar all'aperto e una tavola calda in funzione dalle sette di mattina a mezzanotte e oltre. Il barista di notte era il figlio del proprietario, perciò teneva aperto fino a quando si divertiva. Il menu non era raffinato, ma genuino e saporito.

    Nonostante il fatto che i colleghi, seguendo le sue confuse indicazioni, non avessero trovato alcun corpo, Genevieve aveva insistito per riferire alla polizia ciò che aveva visto. A quel punto si era calmata abbastanza da parlare del corpo, ma non del fatto che era sembrato muoversi di propria volontà. Era tardi quando erano tornati al villaggio per fare la doccia, cambiarsi e ritrovarsi al bar per cenare con pesce fresco, salsa e insalata di patate.

    «Okay, gente, ridete pure di me quanto volete. Io ho visto un corpo» asserì Genevieve, decisa.

    Bethany chinò la testa. Victor, Alex e Marshall si guardarono l'un l'altro, sforzandosi di non sorridere.

    «Ehi, Gen» scherzò Victor. «C'è una signora al bar che vuole offrirti da bere. Guarda... Ooops, no, spiacente, non hai guardato abbastanza in fretta. È sparita.»

    Genevieve lo incenerì con lo sguardo. Avrebbe voluto torcergli il collo. Proprio lui doveva fare dell'ironia? Erano andati a scuola insieme, e da bambini lei lo aveva difeso perché era piccolo e minuto. Adesso era un bel ragazzo, alto e bruno. Non avevano mai rovinato una bella amicizia frequentandosi romanticamente, ma Victor poteva irritarla come se fossero stati una coppia sposata.

    «Victor...» cominciò.

    Lui agitò una mano, sogghignando.

    «Sì, sì, lo so dove vorresti mandarmi.»

    «Ehi, ragazzi, andrà tutto a posto» intervenne Marshall, ma anche lui, sotto sotto, sorrideva.

    Almeno c'era qualcuno che si divertiva, pensò Gen.

    Marshall era il proprietario e fondatore della Deep Down Salvage, nonché nativo del luogo. Da ragazzo era stato affascinato dalla storia di Key West, inestricabilmente intrecciata con racconti di naufragi e di avventurosi recuperi. A volte, i sommozzatori avevano anche salvato la vita a dei poveretti le cui navi si erano frantumate sulle pericolose barriere coralline. Altre volte, tuttavia, aspettavano come avvoltoi, sperando che navi che portavano carichi preziosi urtassero e affondassero. Quel sistema aveva reso ricchi molti uomini nel corso dei secoli.

    Marshall era più vecchio della maggior parte del gruppo di almeno dieci anni. Si era fatto un nome lavorando duramente al nord, nelle fredde acque del Massachussets. Ma Key West era casa sua, il luogo che amava. Aveva usato i suoi guadagni per tornare là e fondare una sua ditta, comprando una barca e le attrezzature. Guadagnava bene, ma era sempre contento di lavorare a qualunque progetto di carattere stori co, e aveva un enorme rispetto per le barriere coralline, il mare e il passato. Robusto e abbronzato, portava i capelli completamente rasati, un look che si intonava stranamente con gli occhi quasi neri e le sopracciglia scure.

    «Scopriremo che c'era qualcosa, laggiù. Sapete... rifiuti di ogni genere gettati da una nave o resti di un naufragio.»

    Alex mugolò una versione del tema musicale di The Twilight Zone.

    «Già, rifiuti con faccia e capelli.»

    Genevieve incenerì con lo sguardo anche lui. Alex era di Key Largo, un mondo diverso rispetto a Key West, visto che la città di Miami era solo a un'ora di distanza verso nord. Era biondo e abbronzato, un figlio del mare e del sole, laureato in storia e sub esperto, ma lei gli aveva mostrato segreti della barriera che solo i nativi conoscevano.

    «Oh, tu...» protestò. Poi s'interruppe, offesa, e si alzò, portando con sé la sua birra fino alla piccola recinzione che dava sul profondo canale in cui erano ormeggiate le imbarcazioni da diporto e da pesca del villaggio turistico.

    «Non andartene arrabbiata!» la richiamò Alex.

    Lei si voltò di scatto, scuotendo la testa e forzando un sorriso.

    «Aspettate, miei cari e devoti amici! Prima o poi avrete il fatto vostro. Non me ne vado arrabbiata. Me ne vado, semplicemente.»

    «Ehi, non essere arrabbiata con me» disse Bethany.

    «Non sono arrabbiata» insistette Genevieve.

    Si incamminò lungo il molo, sorseggiando la sua birra e guardando il tramonto. Era tutto bellissimo e tranquillo, ma dentro di sé lei era ancora agitata. Perché si era lasciata sopraffare dal panico? Aveva lavorato due volte in operazioni di soccorso che si erano trasformate in operazioni di recupero, una volta dopo un disastro aereo nelle Glades meridionali, e una volta dopo un incidente fra barche al largo di Key West, e in entrambi i casi avevano ritrovato dei cadaveri.

    Ma allora i morti non l'avevano guardata.

    Dissodando il terreno di un'aiuola, a casa sua, una volta aveva trovato delle ossa, ma questo non era stato così traumatico come avrebbe potuto essere in un altro luogo, non a Key West, l'Isola delle ossa.

    Ma quelle ossa non erano sparite.

    Sentì una presenza accanto a sé e si irrigidì, certa che uno dei suoi amici l'avesse raggiunta per continuare a tormentarla.

    «Stai bene?»

    Gen si voltò alla sommessa voce maschile e vide Jay Gonzales. Era ancora in uniforme, con il cappello abbassato sulla fronte, gli occhi nascosti dietro gli occhiali scuri.

    Sorrise. Aveva una grande simpatia per Jay. Era più vicino ai quaranta che ai trenta, ormai, ma era assai più giovane quando si erano conosciuti.

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