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La notte dell'adunanza
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La notte dell'adunanza
E-book230 pagine3 ore

La notte dell'adunanza

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Info su questo ebook

L'Adunanza, libro mitico scritto da un cavaliere templare 7 secoli fa, riaffiora dal passato a raccontare gli ultimi momenti di vita dell'ordine cavalleresco.

Il libello nasconde un segreto e indica un luogo dove misteriosi personaggi che sembrano anch'essi riemersi dal passato, affiancano terroristi islamici nella preparazione di un micidiale attentato. Quali segreti contiene quel libro conteso da secoli? Perchè i terroristi hanno scelto proprio il luogo dell'adunanza?

Marco Novelli chirurgo milanese con l'hobby dell'esoterismo e noto esperto di templarismo, viene chiamato ad aiutare le forze dell'ordine.

Gli eventi precipitano in una progressione di colpi di scena che coinvolgono uomini politici, massoni, Cinzia Paoletti, curatrice degli Archivi Segreti del Vaticano, religiosi e altri personaggi a titolo diverso interessati alla vicenda.

Tutto sembra ormai perduto, quando, durante un temporale estivo, Marco Novelli ha un'illuminazione...
LinguaItaliano
Data di uscita27 nov 2018
ISBN9788827858530
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    Anteprima del libro

    La notte dell'adunanza - Marco Grasso

    hystoria

    ROMA luglio 2011

    Il sole filtrava appena attraverso le pesanti tende.

    Non si udiva alcun rumore eccetto il ticchettio sommesso di un orolo- gio a pendolo; il mondo esterno era lontano, impalpabile.

    Mentre Roma fuori era come addormentata sotto i raggi caldissimi del sole estivo del pomeriggio, due persone sedevano su un divano sorseggiando un tè aromatico.

    Le grandi mura del palazzo secolare mantenevano una temperatura ideale senza necessità di aria condizionata.

    Il più giovane dei due, con un gesto nervoso appoggiò sul tavolino antico la tazza vuota e ruppe il silenzio:

    «Bene, lo ammetto: bella mossa arraffare il libro sotto il naso dei pre- ti… ma ti rendi conto che i deliranti pensieri di rivalsa e di vendetta della tua confraternita hanno rischiato di mettere a repentaglio l’intera operazione? Con tutti i nascondigli possibili, proprio quello… Per che cosa, poi? Per fare un dispetto ai Templari! Ma dove vivi? Il mondo è cambiato e sarebbe il momento di…».

    «Taci, non puoi capire!», lo interruppe quasi sibilando l’altra persona. Poi, scandendo lentamente le parole: «Pensa a fare bene la tua parte, piuttosto, e non dimenticare che è grazie alla nostra organizzazione se abbiamo un nascondiglio sicuro per l’ordigno e se potremo portarlo dentro queste mura». Lo sguardo si fece ancora più duro: «E poi la rivalsa e vendetta, come le chiami, sono espressione di un sentimento che dovresti provare anche tu, almeno nel nome di chi...».

    «Va bene, va bene, non c’è bisogno di sgridarmi, è una abitudine che non riesci a perdere, evidentemente... Non hai realizzato che ho fatto le mie scelte e che non intendo più obbedire in silenzio come facevo da bambino».

    Il giovane tese la mano verso il piccolo libro antico appoggiato di fian- co alla teiera di porcellana, ma una mano sottile e curata scattò decisa e prese il libro prima ancora che lui potesse toccarlo: «Bene, ora puoi andare: non mi sembra che il libro ti interessi più di tanto... Poi mi dà fastidio che tu lo tocchi…»

    Lui si alzò con un sogghigno: «Hai perfettamente ragione, gli oggetti vecchi mi infastidiscono, andrebbero gettati! Tolgo il disturbo».

    Uscì con passo svelto senza girarsi; quando la porta si richiuse alle sue spalle, la persona rimasta sola nella sala scosse la testa, poi posò il libro sulle ginocchia, e con grande delicatezza lo aprì sulla prima pagina.

    Gerusalemme, anno 1307

    Una pioggia sottile scivolava senza rumore dalle grate della stretta finestra ricavata nella pietra scura, scura come il cielo di quella sera di novembre, scura come l’animo dell’uomo che, rinchiuso nella piccola cella, attendeva l’iniquo compiersi del proprio destino.

    Apparentemente osservava il rivolo d’acqua sfiorargli le dita ma in realtà nella sua mente rivedeva infinite sequenze di una vita cosparsa di avventure, presagi, scontri, atti eroici ed opportunistici, atti di coraggio e di viltà.

    Mille volti riaffioravano alla memoria: uomini indegni contro i quali aveva dovuto levare le armi, fratelli valorosi spirati eroicamente tra le sue braccia... e poi volti di persone, uomini e donne di ogni razza e religione che dovevano a lui la vita e le proprie sostanze.

    Sorrise amaramente pensando che ben pochi di questi avrebbero rischiato la propria vita o le proprie sostanze per aiutarlo.

    Era troppo saggio per non sapere che la riconoscenza è un sentimento nobile, e che perciò può albergare solo in poche menti superiori.

    Alzando gli occhi verso la feritoia che poco consentiva di vedere al di fuori delle segrete del Palazzo Reale di Gerusalemme, Giacomo De Molay meditò su quanto potere aveva fino a pochi giorni prima… lui, condottiero e uomo di cultura,riferimento religioso ed etico vero principe indiscusso di Gerusalemme. Era il Gran maestro dell’Ordine dei Templari. Non poteva certo immaginare che il ruolo sempre più importante dell’Ordine dei Cavalieri di Cristo avrebbe potuto suscitare l’invidia e l’odio dei due monarchi più potenti della terra: Filippo il Bello, re di Francia, e Papa Clemente III, Pontefice insediato sul trono di Pietro.

    La riorganizzazione dei Templari che lui e il suo predecessore Thibaud de Gaudin avevano attuato, aveva portato l’ordine a rivestire un ruolo di primo piano nello scenario europeo. Infatti i due Maestri avevano curato non soltanto la componente militare e religiosa dell’Ordine ma si erano preoccupati di consolidare la struttura economico finanziaria della potente istituzione.

    I cavalieri di Cristo possedevano castelli e terreni ovunque.

    I mercati europei erano pieni di prodotti che arrivavano dalla loro capillare organizzazione: frutta, verdura, stoffe, armi, pietre preziose e le ricercatissime spezie orientali.

    Avevano poi escogitato un sistema che consentiva ai pellegrini di depositare denaro in qualunque sede templare europea evitando il rischio di essere rapinati. Con una pergamena su cui era riportato un codice leggibile solo dai templari potevano ritirare denaro in altre sedi dell’ordine in qualunque parte del mondo.

    Autorizzati da una bolla Papale riscuotevano una percentuale che dava un gettito continuo e sempre crescente alle loro casse.

    Ideatori delle lettere di credito che avrebbero rivoluzionato il sistema di spostamento di beni e capitali posero le basi per la creazione dei primi istituti bancari del mondo.

    Alcune recenti insignificanti sconfitte militari avevano consentito ai loro nemici di iniziare una campagna denigratoria contro l’Ordine. Si diceva che i Templari non avessero più a cuore i sacri obbiettivi iniziali e che si fossero progressivamente fatti corrompere dal richiamo dei beni terreni, denaro, agiatezze, potere.

    Si insinuava che la loro riconosciuta capacità diplomatica fosse asservita allo scopo di essere accettati dal mondo islamico e per poter aumentare i loro traffici anche in terre abitate da mussulmani.

    Addirittura era arrivata fino in Terra Santa anche la più infamante delle accuse: eresia, disprezzo della Croce!

    Queste accuse parevano ridicole per chi conosceva i Cavalieri Templari, la loro incessante attività di preghiera e di presidio armato della Terra Santa, ma Giacomo sapeva bene che una calunnia insostenibile a Gerusalemme poteva diventare verità indiscussa a Roma o Parigi o Londra. Il Gran Maestro scosse la testa, cercando di ricacciare indietro i demoni che lo angosciavano non certo la paura di morire ma i dubbi sul futuro dell’Ordine... sapeva bene che al momento non c’erano possibilità di ristabilire la verità.

    Capitolo 1.

    Il testamento

    Il silenzio che avvolgeva Giacomo e i suoi pensieri fu rotto all’improvviso dal violento rumore dei catenacci della porta.

    Una guardia, da anni in servizio alle segrete del Palazzo, disse con tono sommesso e rispettoso: «Maestro, posso introdurre il Vostro Confessore?». Una figura massiccia si stagliò sulla porta illuminata dalle torce appese all’esterno. Pochi istanti dopo la pesante porta di legno si chiudeva alle spalle del monaco.

    I due uomini si scrutarono per qualche secondo, poi Giacomo si alzò in piedi con le mani tese ad abbracciare Paul de La Ferrat, uno dei cavalieri templari più valorosi, legato a De Molay da una profonda e lunga amicizia.

    Paul nel frattempo, si era abbassato il cappuccio e scuotendo la testa incorniciata da lunghi capelli ricci, esclamò:

    «Maestro, non vi lasceremo certo bruciare su un rogo da questi cani rognosi. Domattina i templari saranno tutti nella Piazza; vi strapperemo alle loro mani con...».

    Paul ammutolì, come sempre, ad un solo cenno della mano destra di

    Giacomo.

    «Taci Paul, non abbiamo molto tempo, ed ho cose ben più importanti da dirti».

    «Ma...».

    «Il tentativo di liberarmi finirebbe con il massacro di tutti i templari superstiti, esattamente quello che vogliono il Monarca francese e

    l’impostore di Roma. Piuttosto quanti fratelli sono sopravvissuti?»

    «Circa ottanta, Maestro».

    «Maledetti!». Fece un profondo sospiro: «Ascoltami senza interrompere, il tempo concesso per la confessione è solo di pochi minuti».

    Giacomo parlava a bassa voce, il tono fermo di sempre. Gli occhi chiari, vivaci che prima saettavano da un punto all’altro della stretta cella, ora erano fissi, come a leggere un invisibile libro alle spalle di Paul. «Ormai nulla può cambiare il mio destino, ma poco importa». La voce del Gran Maestro si incrinò per un attimo: «Verranno anni durissimi, i templari saranno ricercati e uccisi, la Chiesa di Roma ha ormai stretto patti profani… per secoli il nome di Dio sarà usato per uccidere, rubare, creare una ricca e corrotta potenza terrena dimenticando il Sacro Libro. Ma ti posso garantire che i templari sopravvivranno e nei secoli difenderanno il Tempio dalle offese, gli insulti e le rozzezze dei miscredenti profanatori. I segreti della Cristianità di cui siamo ora i custodi devono essere protetti ad ogni costo».

    Giacomo ora fissava negli occhi Paul.

    «Inginocchiati fratello».

    Con la mano destra appoggiata sulla spalla sinistra di Paul, il Maestro del Templari cominciò a parlare sommessamente, ma scandendo le parole in modo nitido.

    «Io, Giacomo di Molay, Gran Maestro dell’Ordine dei Templari, avvalendomi dei poteri speciali assunti in questa drammatica contingenza nomino direttamente te, Paul de La Ferrat, mio successore nella carica di Gran Maestro del nostro Sacro Ordine. Questa nomina sarà trascritta da te, appena possibile nei nostri registri, a mio nome con la dizione nomina motu proprio. Ora il tuo compito è raggiungere i fratelli nel Tempio Coperto, aprire la cassaforte, prendere il contenuto e partire prima possibile. Il piano di fuga ti consentirà di farcela, ne sono certo. Ti ritroverai come previsto con...», la voce esitò appena, «i superstiti nel giorno dell’Adunanza. Quello stesso giorno darai a 8 eletti scelti da te un gioiello uguale a quello che porterai anche tu. Li troverai nella cassaforte. Ogni Cavaliere Eletto dovrà, prima di morire, nominare un degno successore dandogli il gioiello. I nove eletti avranno il compito di tramandare le mie disposizioni e i nostri segreti per sempre. I templari sopravvivranno in epoche buie e luminose, con l’incarico supremo di vivere con la dignità che ci è propria, in ogni momento pronti al richiamo Divino, sia a proteggere un umile minacciato, sia a ricostruire il tempio difendendolo a costo della vita. Il senso della nostra esistenza sarà nel nostro motto non nobis, non nobis domine, sed nomine tuo da gloriam. Il tesoro è già in salvo e sai come proteggerlo. L’ampolla del grande segreto è come sempre nello scrigno d’avorio».

    Sfilò un oggetto dall’interno della cintura: «Questa è la chiave della cassaforte».

    Facendo scivolare nelle mani di Paul una chiave d’oro, Giacomo gli fece segno di alzarsi.

    Lo guardò fisso negli occhi. Il tono della sua voce divenne meno perentorio, quasi dolce. Ora non parlava il Gran Maestro, parlava l’amico, il fratello legato da affetto, da ideali comuni più forti di un legame di sangue.

    «Paul, ti prego, niente eroismi inutili. Il tuo compito è importantissimo. Devi salvarti: da te dipende la sopravvivenza dell’Ordine. E non solo…». La voce si incrinò di nuovo: «Dobbiamo mantenere e tramandare tutto quello che sappiamo, prevedo che per secoli oscureranno…».

    Il rumore dei catenacci annunciò l’imminente apertura della porta. Giacomo smise di parlare. Per pochi secondi i due uomini si guardarono fissi negli occhi, poi la porta si aprì e prima che la guardia aprisse bocca, il monaco voltò le spalle e uscì a passo svelto dalla cella.

    Capitolo 2.

    L’agguato

    Paul camminò verso l’uscita seguito da una delle guardie. Nei corridoi bui tenne ben calato il cappuccio curvando leggermente le spalle per evitare che le guardie notassero il meno possibile una corporatura e un’andatura certamente più consona ad un uomo d’armi che ad un uomo di chiesa.

    Temendo un tentativo dei templari di liberare il Gran Maestro, gli uomini di guardia alle segrete erano più del solito.

    Paul iniziò a percorrere il lungo corridoio lentamente e con il cuore sempre più gonfio di rabbia a un tratto raddrizzò le spalle: irrazionalmente sperò di essere riconosciuto.

    Ormai accecato dai sentimenti alzò spavaldamente il viso esponendolo alla luce delle torce.

    Sarebbe morto combattendo, portandosi all’inferno tanti bastardi rinnegati. Poi di colpo ripensò alle ultime parole di Giacomo.

    Aveva una grande responsabilità, la sopravvivenza dell’Ordine dipendeva ormai solo da lui.

    Continuò a camminare nei corridoi della fortezza con la testa china. Quello non era ancora il momento di combattere. Accelerò il passo: doveva assolutamente uscire vivo dalla rocca.

    Un breve cenno di saluto alle guardie e la pesante porta d’ingresso si chiuse alle sue spalle.

    Arrivato all’esterno della rocca Paul si rese conto di aver percorso l’ultimo lungo corridoio in fretta senza pensare e quasi senza respirare. Con un piacere immenso sentì l’aria fresca della sera entrare nei polmoni.

    S’incamminò verso la scala di granito che portava in basso in una piccola piazza da cui si sovrastava Gerusalemme.

    Solo a quel punto si sedette sul largo muro di pietra guardando la città. Le tenebre della notte erano scese di colpo. Paul si ritrovò ancora una volta a ricordare, senza motivo, quanto erano diversi i tramonti dolci e pigri della sua terra natale.

    Immediatamente dopo pensò, per la prima volta da quando aveva sul petto la croce da templare, che non avrebbe voluto essere dov’era. Avrebbe preferito in quel momento essere seduto sulle sponde della Loira, a pochi passi dalla tenuta di famiglia, a osservare il fiume su cui aveva passato gli anni dell’infanzia e della giovinezza, colorarsi delle tinte del cielo diventando sempre più scuro, quasi di velluto, fino a sparire inghiottito dalle tenebre... Era dolce ma inquietante sentire solo il rumore delle piccole onde, ma era forse più dolce pensare che era sufficiente alzarsi, camminare a passo svelto per pochi minuti ed essere nell’accogliente salone del castello attorniato da parenti e servitori.

    Per un attimo sentì distintamente le voci dei suoi genitori che lo chiamavano, ricordò distintamente come lui correva felice cercando il loro abbraccio amorevole e protettivo.

    Scosse la testa. Con un macigno sul petto e la gola gonfia di rabbia, odio e tristezza, lanciò un sasso in mezzo agli alberi. Lo sentì rotolare come rotolavano in quelle ore le certezze di un templare.

    Infilò la mano nella tasca destra della tonaca a cercare la chiave che Giacomo gli aveva dato. Immediatamente lo sentì, non c’era bisogno di guardarlo per riconoscerlo mentre lo estraeva dalla tasca.

    L’anello aureo, simbolo del potere dei templari che solo il Gran Maestro aveva diritto di indossare.

    Giacomo l’aveva fatto scivolare nella sua tasca. Lo infilò sull’anulare della mano sinistra e, di colpo, senza preavviso, fu scosso da violenti singhiozzi.

    Giacomo di Molay per lui non era solo il Gran Maestro. Era anche l’amico, il confidente, maestro di vita e di religione, colui che l’aveva accolto quando undici anni prima era arrivato, giovane rampollo di una nobile famiglia francese. Non aveva esitato all’invito della casa reale, rivolto alle famiglie più nobili, di inviare i propri figli a difendere la cristianità nell’Ordine dei Templari.

    Paul infilò l’anello al dito della mano sinistra, poi si osservò la mano ornata dal gioiello e realizzò di essere stato pervaso da una sensazione di calma interiore che aveva di colpo spazzato via l’angoscia e la rabbia. Un raggio di luna filtrò tra le nubi e, pur flebile, a Paul sembrò che squarciasse come un lampo il buio fitto che ormai avvolgeva Gerusalemme.

    In quel momento Paul realizzò all’improvviso che seppur con un rituale inconsueto era comunque stato insignito della carica di Gran Maestro dell’Ordine dei Templari.

    Si inginocchiò e con la mano destra aperta sul cuore mormorò il solenne giuramento: «Io, Paul de La Ferrat, accetto di servire l’Ordine dei Templari fino alla morte; il mio cuore e la mia spada saranno sempre al servizio della Sacra Croce».

    Si alzò,

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